Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Piemonte ® Provincia di Torino |
TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI TORINO
in sintesi, pagina 1
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
Fermando il puntatore del mouse sulla miniatura di ogni foto, si legge in bassa risoluzione (tooltip) il sito da cui la foto è tratta e, se noto, il nome del suo autore: a loro va riferito il copyright delle immagini.
= click image to enlarge / clicca sull'immagine per ingrandirla.
= click also image to enter / puoi entrare nella pagina anche cliccando
sull'immagine.
= click image to castelliere.blogspot / clicca sull'immagine per
castelliere.blogspot.
= click image to wikipedia / clicca sull'immagine per wikipedia
«L'aspetto attuale, sostanzialmente unitario, del Castello è in realtà la sommatoria di quattro grandi fasi costruttive, in parte ancora individuabili e in parte inglobate ed obliterate all'interno della più recente trasformazione. Il nucleo originario risale verosimilmente al XII secolo, durante il quale la dinastia dei San Martino si afferma nell'area canavesana: oggi solo pochi ma poderosi settori di muratura nell'area di nord ovest testimoniano l'esistenza di quella prima fortificazione. A metà del secolo XVI il Castello conservava ancora l'impianto di fortilizio, era circondato da un fossato e composto da una torre e da edifici civili e rustici organizzati intorno ad una corte e affiancati da giardini. La prima trasformazione si realizzò nel 1646 su committenza del conte Filippo San Martino, consigliere della reggente Maria Cristina di Francia: il progetto, che la tradizione non documentata fa risalire ad Amedeo di Castellamonte, interessò la parte di affaccio al giardino, la definizione del cortile di San Massimo attraverso la costruzione di due gallerie parallele e la costruzione della Cappella di San Massimo sul sito di un edificio religioso preesistente. Alla morte di Filippo di Aglié il programma di trasformazione viene interrotto: il Castello, noto attraverso le iconografie, si presentava già con struttura sostanzialmente simmetrica, a due corti, l'una interna (il cortile di S.Massimo) e l'altra esterna verso il borgo di Aglié, dal quale era divisa da un edificio porticato a un solo piano. Appare già realizzato il fronte est, caratterizzato dalle due torri padiglione affacciate sul giardino. Quest'ultimo si presentava a parterres, con alti terrazzamenti sostenuti da poderosi muri di sostegno articolati da nicchie animate da statue e telamoni.
Quasi un secolo dopo, quando nel 1763 il Castello venne acquistato dai Savoia come appannaggio del secondogenito Benedetto Maria Maurizio duca del Chiablese, prende consistenza un nuovo grandioso progetto di riqualificazione del complesso ad opera dell'architetto Birago di Borgaro. Il progetto prevedeva la ridistribuzione degli appartamenti ducali nella zona nord verso il Borgo, coinvolto dall'architetto nel vasto programma di rinnovamento attraverso l'edificazione della attuale Chiesa parrocchiale collegata al Castello mediante una galleria coperta a due piani tuttora esistente. Birago chiama ad Aglié gli artisti cari alla corte: il Collino per la statuaria delle fontane, lo stuccatore Bolina per gli apparati decorativi del grande atrio d'ingresso o salone di caccia. Anche le pertinenze (i giardini, le cascine, i mulini) partecipano al nuovo disegno nella sistemazione dei giardini e del parco, risolto in termini di rigorosa simmetria verde, con lago circolare al fondo lungo l'asse longitudinale; la sistemazione generale dell'impianto a verde venne curata da Michel Benard. Anche questo progetto rimane incompiuto: nella facciata verso il borgo é evidente la soluzione di continuità tra la parte destra, realizzata, e quella sinistra, di timbro seicentesco. Durante la dominazione napoleonica il Castello fu trasformato in ricovero di Mendicità, mentre il parco venne lottizzato e venduto a privati. Dal 1823 rientrò per eredità nei possedimenti reali e due anni più tardi ebbe inizio il quarto ed ultimo intervento di aggiornamento degli appartamenti, affidati dal Re Carlo Felice a Michele Borda di Saluzzo. ll Castello fu ancora riarredato dagli artisti di corte: Paolo Cremona restaurò gli stucchi della Cappella di San Massimo dove Giacomo Spalla sistemò al centro dell'aula la colonna donata dal Papa a Carlo Alberto; Spalla allestì anche la Sala Tuscolana e le statue dei giardini. Venne realizzato il teatrino presso la Galleria dei Marmi, in luogo della obsoleta Cappella di San Michele. Nella seconda metà dell'Ottocento, infine, venne riallestita la Galleria Verde e portato il parco alla sua consistenza attuale, abbandonando le simmetrie verdi per la romantica versione pittoresca ancora conservata. Venduto allo Stato nel 1939 il Castello venne destinato a museo di se stesso lasciandone immutate strutture e arredi.
IL PARCO, ANTICA RISERVA DI CACCIA. Il giardino e il parco, che circondano il Castello su tre lati, attestano il processo di nobilitazione operato sul territorio dalla presenza del Castello, intorno al quale ruotano anche le pertinenze rustiche: il mulino, le cascine Valle, Lavanderia, Allea o La Mandria, dalla facciata aulica inquadrata nel canocchiale prospettico di uno dei viali principali del parco. Il giardino a sud ovest è organizzato a terrazzamenti posti su tre piani differenziati sorretti da maestose sostrutture originariamente rivestite a verde: quello basso (1867 c.a.) è disegnato all'inglese ed è caratterizzato dalla presenza dei grandi alberi, tra cui predominano i platani, il carpino bianco e la quercia rossa; al centro della composizione vi è lo specchio d'acqua circolare. Il piano intermedio (1646-57) a "parterres", è caratterizzato dalle composizioni delle siepi in bosso ed è impreziosito dalle statue e fontane poste entro nicchie. Nel piano più elevato, o giardino pensile, tra le aiuole e le citroniere sono collocate la colombaia e una piccola fontana. Il parco, separato dalla seconda metà dell'Ottocento dal resto del compendio ducale, si presenta oggi nella versione romantico-paesaggistica assunta solo a partire dalla metà del XIX secolo. ... Passato di proprietà allo Stato con il Castello nel 1939, il parco è stato risanato, bonificato, e restaurato a partire dagli anni Ottanta, mediante una serie progressiva di ininterrotti interventi».
http://www.beniarchitettonicipiemonte.it/sbappto/4-luoghi-della-cultura/37-castello-di-aglie
Airola (ruderi del castello di Castruzzone)
«Airale sorge a 2 km dal capoluogo [Carema], al confine con il territorio comunale di Settimo Vittone, a fianco del torrente Chiussuma. Dalla Statale 26, una strada sale verso la borgata, di origine antica, sovrastata dai ruderi del castello di Castruzzone. L'impianto viario ed urbanistico è rimasto inalterato, nonostante siano state inserite costruzioni recenti» - «Il paese di Carema che si adagia in una bella conca soleggiata, svolge la funzione di spartiacque tra Piemonte e Valle d'Aosta. Nel corso dei secoli invece, ha segnato il confine del territorio italico prima con la Gallia e successivamente con il regno di Borgogna. ... I ruderi del castello di Castruzzone, l'antico Castrum Ugonis edificato nel XII secolo e distrutto nel XVI durante la guerra contro i francesi, dominano invece la frazione di Airale».
http://www.caremadoc.it/template.php?pag=9089
Alpignano (castello dei Conti Provana di Leiní, torre campanaria)
«Di origine medievale, fortezza dei primi signori del luogo, gli Arpini (Alpini di Torino), nel Cinquecento fu dato in feudo ad Andrea Provana, famoso vincitore della battaglia di Lepanto, combattuta contro i Turchi nel 1571. Il castello è di chiara destinazione guerresca e lo testimoniano gli spessi muri maestri, aperture e feritoie a disposizione irregolare sulla facciata prospicente la Dora e tratti delle poderose mura. Alla conquista del paese da parte dei francesi nel 1798, il castello viene confiscato e diventa di proprietà del Demanio. Nel 1804 passa di proprietà all’ Avvocato Modesto Paroletti, poi ai fratelli Revelli, a Robbio di Varigliè, avvocato consigliere e sindaco di Alpignano, ad Antonio Riberi ed infine nel 1944 all’ Istituto Missioni della Consolata. Un arco di gusto neogotico, come le Torri ed il Lavatorio, fatti costruire dopo il 1863 da Riberi, introduce al castello e al grande parco. Alcune note sui personaggi di più recente storia che si sono susseguiti nella proprietà. L’avvocato Paroletti intende demolire il castello “per cercare nelle fondamenta un ricco tesoro che si credeva vi fosse sepolto“ e nella vendita ai fratelli Revelli “da buon legale qual era riservò a sé il diritto di possesso, quando mai il tesoro fosse stato trovato“. Durante la proprietà dei fratelli Revelli, avvocato l’ uno, pittore l’ altro, il castello divenne “ sede d’ ogni più splendido Signore “: fu decorato, abbellito esternamente, fu allestito un museo di storia naturale, le sale e le stanze affrescate da Vincenzo, il fratello artista, un po’ bizzarro e fantasioso, di cui il salone più significativo fu da lui denominato “Tempio della Filosofia“. L’avvocato Riberi completò l’abbellimento del castello dando lavoro ad artigiani locali; ricostruì le torricelle, il muro di cinta e il lavatoio neogotico, ancora esistenti» - «Torre (sec. XIV), trasformata nel Settecento in campanaria e, successivamente ornata del classico orologio. Dalla stazione, aperta nel 1854 insieme alla linea ferroviaria Torino-Susa, costeggiando l'antico viale alberato della Vittoria e poi via Diaz, si arriva ad un cancello sempre aperto. Oltre il cancello, si apre un grande parco: in fondo, una rara locomotiva a vapore delle "Officine di Saronno" (1900) e due case, una moderna, l'altra nascosta, del '700. Sono le case dei tipografi Tallone. La stamperia, aperta ad Alpignano nel 1957 da Alberto, libraio antiquario e stampatore a Parigi, produce nel suo laboratorio, visitabile, libri rari e preziosi, sogno di tutti i bibliofili».
http://www.associazionerevelli.net... - http://www.provincia.torino.gov.it/turismo/cittarte/2002/alpignan.htm
Andezeno (castello)
«Il "castrum" ad Andezeno è citato nel documento di pace firmato nel 1261 tra i Conti di Biandrate e il Comune di Chieri. Difficile dire se si trattasse di un castello o solo di una fortificazione con relativa cinta muraria attorno alla Rocca. Certo è che sulla parte più alta del "castrum" sorgeva la Torre di difesa, tuttora esistente, rimaneggiata nel corso dei secoli e divenuta poi, con l'aggiunta di due campane e dell'orologio sulla facciata, torre campanaria. L'ultima notizia del castello medievale di Andezeno è fornita dall'antico catasto del 1533, in cui risulta occupato dalla famiglia dei tre fratelli "Pozzo". Il nucleo originario del castello, di cui restano poche tracce, risale al XII secolo. Fu gravemente danneggiato e poi distrutto nel XVI secolo dall'esercito spagnolo e da quel momento non se ne hanno più notizie. Esso è stato in parte incorporato nella costruzione della nuova residenza della famiglia Ormea e Berta nel secolo XVII e della famiglia Villa all'inizio del XVIII secolo, con la totale trasformazione della collina sul lato verso Chieri».
http://www.comune.andezeno.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=24123
Arignano (castello Inferiore o delle Quattro Torri)
«Il castello inferiore è l'unico castello in stile rinascimentale del Piemonte e forse di tutta l'Italia del Nord, conservato senza avere mai subito alcuna trasformazione per costruzioni precedenti. Fu costruito dai conti Costa di Arignano, presumibilmente tra il 1407-1430, le finestre invece furono inserite nell'epoca successiva. Il "De Bernardi" accenna che il castello fu stato costruito per necessità impellente nel '400, dopo che il capitano di ventura "Facino Cane", nel 1396 distrusse il Castello Superiore. Il Castello Inferiore fu comprato dal consigliere del Duca Amedeo VIII di Savoia, il conte Luigi Costa che acquisendo il feudo, nel 1407, provvide sicuramente a fortificarne il luogo. Il castello fu di proprietà della prima linea dei Conti di Arignano fino al 1690; dopo subentrò la seconda linea dinastica cadetta che si perpetuò, fino al 1926; infine vi è la terza linea dei Conti Costa di Polonghera, che si estinse nel 1990. Ora il castello è di proprietà della famiglia Zucca che sta provvedendo ad un serio restauro conservativo di tutto il complesso monumentale. Il Castello Inferiore è a pianta quadrata affiancato da quattro torri circolari. Le finestre sono tipicamente rinascimentali piemontesi con cornici in cotto rette da una croce. Il cortile interno è tutto composto da un porticato con soprastante loggiato».
http://www.chieri.info/contents/chieri_castellodiarignano.php
Arignano (rocca o castello Superiore)
«Arignano è situato sulla collina torinese a est della città di Chieri; ai piedi del poggio scorre il torrente Levanetto. ... Il sito è indicato per la prima volta nell' ultimo scorcio del secolo X in un diploma dell' imperatore Ottone III a favore del vescovo di Torino, Amizone. Dal XIII fino al XVIII secolo fu feudo della città di Chieri che ne investì varie famiglie; in ultimo pervenne ai Costa della Trinità. Due sono in particolare i monumenti di grande interesse storico: la rocca e il castello. La rocca o castello superiore è citato per la prima volta in un diploma del 1047 dell'imperatore Enrico III a favore del Capitolo di San Salvatore di Torino; non si tratta sicuramente dell'attuale Castello la cui edificazione, sulle rovine del precedente, è da attribuirsi alla fine del XIII secolo in concomitanza con la più generale ristrutturazione del territorio chierese al termine della guerra fra il potentissimo marchese Guglielmo VII del Monferrato e la confederazione di comuni, tra i quali Asti e Chieri, appoggiati da Amedeo V di Savoia. Del primitivo complesso formato da una bassa cortina di protezione, un palazzo di abitazione e un mastio quadrato, perno della difesa, sono tuttora visibili una parte del mastio e poco altro. Danneggiato pesantemente dalle milizie di ventura di Facino Cane nel XIV secolo fu ristrutturato e ampliato nel secolo successivo, ma ne fu modificato l'impianto difensivo precedente. Il palazzo divenne il centro del complesso architettonico, era circondato da cortine rafforzate su tre angoli da torri quadrate (delle quali solo una tuttora sopravvive) e sul quarto spigolo dal mastio. L'evoluzione dell'arte della guerra, con l'utilizzo delle bocche da fuoco, fece decadere il castello. Al suo scadimento contribuÌ, nel XVIII secolo, la costruzione a ridosso del medesimo di una villa dei Costa della Trinità, degna di menzione per gli affreschi a grottesche, paesaggi e scene classiche, e per gli stucchi che adornano i soffitti di alcune sale. Nelle vicinanze della villa, ora suddivisa in varie proprietà, sorgono due edifici contigui in stile neogotico, adibiti un tempo a scuderie e a depositi delle carrozze. Malgrado la funzione originaria, sono di aspetto gradevole e, sebbene molto degradati, possono essere inseriti con dignità nell' ambito dell' architettura piemontese neo gotica del periodo di Carlo Alberto. L'antico mastio si affaccia sulla piazza della Parrocchiale dell' Assunzione di Maria Vergine, patrona del paese con San Remigio vescovo. La chiesa, a una navata con due cappelle laterali, fu fatta costruire dai conti della Trinità nel 1781, in luogo di una più antica risalente al XV secolo. ...».
http://www.mepiemont.net/paesi/prov_to/arign.html (da Il Piemonte paese per paese, Bonechi Editore)
Avigliana (casaforte e palazzo del Conte Beato Umberto III di Savoia)
«Casaforte del Conte Beato Umberto III di Savoia. L'imponente edificio tardomedioevale, articolato in un corpo centrale ed in maniche laterali (erette a delimitare un ampio cortile centrale), appare composto da una residenza padronale di considerevoli proporzioni, abbellita nel piano alto da un loggiato e da costruzioni periferiche adibite a funzioni di servizio, che lo riducono alla tipologia di casaforte. La protezione dell'accesso da Via XX Settembre, consentito esclusivamente da un ponticello in muratura che scavalca Via Alliaud, è garantita da un massiccio portale secentesco. Palazzo del Beato Umberto. Casa natale del Conte Beato Umberto III di Savoia (detto il Conte Rosso) è un edificio costruito in seguito ad un lascito del 1347. Fu anche sede dell'antico Ospedale dove erano ospitati i pellegrini che transitavano sulla Via Francigena. Di fronte a tale edificio si trovano i resti di una Casaforte del Beato Uberto III (ampia e quadrata), collegata alla via con un ponte in muratura, un tempo in legno».
http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Avigliana/Casaforte_del_Beato_Uberto_III - ...Palazzo_del_Beato_Umberto
«Il castello e la città di Avigliana sono intimamente legati alle vicende dei primi Conti di Savoia. Tra il XII e il XIII secolo, con una sottile rete di alleanze e di rapporti con le principali famiglie feudali della zona, gli esponenti della dinastia sabauda riuscirono a consolidare il controllo di quella parte della Valle di Susa che avevano ereditato alla morte della contessa Adelaide (1091), spingendosi fino al borgo di Avigliana. La presenza dei signori sabaudi diede un forte impulso alla crescita del borgo, favorendo l'insediamento di una comunità vivace dedita al commercio e allo sfruttamento dell'agricoltura. Per il suo carattere di caposaldo fortificato, Avigliana non venne mai infeudata ai vassalli, rimanendo sempre sotto il diretto controllo dei principi che ne fecero una sede di castellania con giurisdizione sulle comunità vicine. Il personaggio che più di ogni altro condizionò i destini di Avigliana fu senza dubbio il conte Amedeo III che adottò il castello della città lacustre come sua residenza, promuovendone le prime ristrutturazioni. In esso nacque poi Umberto III il 4 agosto 1136. I conti Tommaso I e Tommaso II elevarono la cittadina al rango di castellania, facendone una testa di ponte dei loro interessi verso il torinese e la pianura. Il 24 febbraio 1360 nacque nel castello Amedeo VII, divenuto celebre nelle cronache della dinastia col nome di Conte Rosso. Dopo il 1400, il castello, esaurito il periodo degli splendori della corte, assunse esclusivamente il ruolo di fortezza. Attaccato e preso dalle armate francesi nel 1536, venne restaurato e parzialmente trasformato in un forte bastionato da Carlo di Castellamonte nel 1629. Nel maggio del 1691 il castello venne assediato e preso dal generale Catinat, che diede ordine di distruggerlo completamente con l'uso delle mine. Quando non vi erano i Conti, nel castello risiedeva il castellano, un funzionario nominato dal Conte, che rappresentava i diritti giurisdizionali del feudatario».
http://www.lionsclubsusarocciamelone.it/avigliana_castello.asp
Avigliana (fortificazioni, torre dell'Orologio)
«In diversi punti del centro storico sono visibili alcuni resti del sistema difensivo e di accesso alla città: porte (S. Maria, Ferronia, S. Pietro), torri, murature risalgono all'epoca medievale, tra il XII ed il XV secolo. Porte d'accesso, mura inglobate in costruzioni di epoca successiva, alcune torri, danno un'idea della complessità del sistema difensivo cittadino che si legava a quello del Castello. Porta Ferronia: risalente al XIII secolo il palazzo era su due piani con un portico, passando sotto il quale si accede ad un ampio cortile. Le arcate a sesto acuto con cornici in cotto sono rette da pilastri tondi decorati da capitelli scolpiti con figure. Torre dell'Orologio. Nel 1330 venne installato, primo in Piemonte e secondo in Italia dopo quello di S. Eustorgio in Milano, un orologio pubblico su una Torre ottagonale che da allora prese il nome di "Torre dell'Orologio". Questo complesso è stato riprodotto nel Borgo medievale del Valentino a Torino».
http://www.comune.avigliana.to.it/index.php/luoghi-di-interesse
«Nel XVIII secolo la famiglia Vagina divenne la più ricca e la più in vista del paese e volle onorare questa ricchezza con un titolo nobiliare. Fu nel 1781 che Vittorio Amedeo III conferì al Vagina il titolo di barone D’Emarese, piccolo centro della Valle D’Aosta nei pressi di Saint Vincent. Il palazzo dei baroni D’Emarese conserva tracce di costruzione cinquecentesca anche se il suo complesso è chiaramente settecentesco; formato da più fabbricati adibiti a funzioni diverse, nella parte sud ospitò, nell’ottocento, la lavorazione della seta. Successivamente la filatura fu spostata in un palazzo attiguo e funzionò fino al 1910 circa. In un’altra ala del palazzo vi era la distilleria dove ebbe inizio la produzione dell’amaro Bairo, voluta dal barone Eugenio D’Emarese. Tutta la struttura fu poi trasferita alla periferia del paese dove il prodotto venne fabbricato per oltre un secolo e la cui produzione cessò nel 1969. Da quella data la formula e il marchio furono acquistati dalla Buton. Nel 1908 il palazzo D’Emarese fu acquistato dai Fratelli Maristi, una congregazione religiosa francese, che vi stabilì il suo noviziato. Risale a questo periodo la costruzione della galleria che collega la parte Nord del palazzo con la parte Sud. Gli archi sono di forma canavesana, come quelli del palazzo comunale. Nel 1970 i fratelli Maristi lasciarono il paese e dal 1977 il palazzo D’Emarese divenne la casa di riposo per anziani “Residence del Frate”».
http://www.comune.bairo.to.it/edificistorici.asp
Bairo (torre Bianca, torre Rossa)
«L’origine dei loro nomi è legata ai materiali di costruzione. Della torre Bianca non esistono più tracce in quanto crollata intorno al 1700; si presume, però, che la sua locazione fosse al limite estremo della linea di fuga vicino alla porta est. La torre Rossa si trova al centro del Ricetto e venne costruita intorno al 1300/1400. Nel 1600 ospitava gli uffici del Comune e le Scuole elementari. A partire dagli anni ’30 la Torre divenne l’abitazione di Desiderio Trabucco, noto come il “Papillon del Canadese”. Tra le caratteristiche della Torre, l’orologio che risale al 1803 ed il cui meccanismo venne realizzato dal fabbro-orologiaio barese Pistono Battista. Dalla Torre parte un cunicolo, che sicuramente portava fuori dall’abitato, ma si presume collegasse Bairo ad Agliè. Anticamente nei sotterranei della Torre venivano reclusi i prigionieri, che poi venivano giustiziati sulla Torre stessa ed appesi al suo esterno ad una pietra a forma di gancio, affinché tutti potessero vederli».
http://www.comune.bairo.to.it/edificistorici.asp
Balangero (ruderi del castello)
a c. di Duilio Chiarle
«Compare come luogo fortificato, al pari degli altri castelli, nell’antica veduta prospettica della Poirino medievale custodita in Municipio. Già possesso dei Lomello, poi dei nobili chieresi Quarino, Tana, Benso e Broglia, fu venduto da questi ultimi nel 1821 alla famiglia poirinese degli Alfazio, i quali a loro volta lo cedettero nel 1839 al conte Giuseppe Barbaroux. Avvocato, ministro di Stato, guardasigilli di re Carlo Alberto che gli affidò la compilazione del codice civile, veniva talvolta a Balme per riposarsi dalle fatiche del suo impegno. Morì suicida nel 1843: Torino gli dedicherà una via e Cuneo, la sua città natale, gli farà erigere un monumento in bronzo. La proprietà passò al figlio Carlo, senatore del Regno, primo presidente di Cassazione, deceduto a Torino nel 1886; una lapide, posta a suo ricordo nel palazzo comunale, è stata da tempo rimossa. Gli subentrò il figlio Giuseppe, giudice al tribunale di Torino, che morì a Poirino nel 1902 lasciando erede la vedova, contessa Amalia Sciolla. Qualche vecchio contadino ancora la ricorda negli ultimi anni di vita, ridotta in miseria al Cottolengo dopo aver venduto quasi tutti gli averi. Finì i suoi giorni nel 1930. Sono andati dispersi gli arredi, i mobili e le splendide carrozze che avevano fatto di questo piccolo castello la raffinata residenza di campagna dei Barbaroux; distrutto anche il giardino alberato antistante l’ingresso, con la vasca circolare e la fontana in pietra. L’edificio, rimaneggiato in parte nell’Ottocento ed adibito ora ad abitazione rurale, è di epoca tardo medievale. La torre ospita una minuscola cappella neogotica».
http://poirinonews.blogspot.it/p/castelli-e-monumenti.html
«Il castello si trova sul confine occidentale del territorio di Ivrea, confinante ad est con le acque del fiume Dora Baltea. La sua storia, come quella del paese di Banchette, è sempre stata strettamente connessa a quella della città eporediese, di cui seguì le sorti in tutto il medioevo. La residenza castellata fu costruita su di un isolotto morenico per controllare la via che da Fiorano portava ad Ivrea, passando sotto il Monte Liggiero. L'edificio risale al periodo anteriore al XII secolo, ma il sito pare fosse già stazione fortificata dei Romani. Successivamente ampliato con l'aggiunta di una torre con la finalità di aumentare le funzioni di difesa, fu comunque, in periodi diversi, danneggiata dal passaggio di bande di ventura e di soldatesche spagnole e francesi fino a ridursi, a metà dell'800 ad alcune mura merlate. Risale proprio a questo periodo il restauro operato sui ruderi preesistenti dalla famiglia Pinchia, che ne aveva ottenuto titolo comitale per concessione di Vittorio Amedeo II nel 1722. L'ultimo e più noto esponente della famiglia fu Emilio Pinchia, uomo politico, scrittore e poeta di chiara fama, che per i suoi meriti si vide concesso dal re nel 1904 il titolo di Conte di Banchette. Sul finire del XIX secolo, il Conte volle realizzare una residenza articolata in diversi ambienti adatta sia per le funzioni di rappresentanza che per l'abitazione di più gruppi familiari, affidando i lavori che porteranno il castello alla conformazione attuale ad Ottavio Germano, collaboratore del famoso Alfredo D'Andrade. ... All'inizio del 2013, la proprietà del Castello di Banchette passa alla Floramo Corporation srl, società di primaria importanza nel settore delle analisi chimiche, industriali e merceologiche, che fa capo alla famiglia Quaglia. L'intenzione dei nuovi proprietari, il capofamiglia Giuseppe insieme alla moglie ed i figli Giancarlo e Andrea, è quella di offrire a tutti la possibilità di godere dell'eccezionale bellezza di questa location unica, finora chiusa al pubblico, ridonandole nuova vita e rendendola disponibile per eventi memorabili. Nel 2013 continueranno i lavori già avviati che stanno riportando il castello ed il parco al loro antico splendore, per vedere nel 2014 ufficialmente aperte le porte della fastosa dimora storica».
http://www.castellodibanchette.it/castello-di-banchette-lastoria.html - ,,,chisiamo.html
«Architettura medievale. La torre risale agli anni 1.000/1.100. Veniva utilizzata a guardia del ponte per la riscossione di gabelle. Attorno alla torre è stata costruita una cascina, con relativa casa patronale e chiesa, che serviva per la coltivazione dei terreni circostanti. La costruzione è iniziata a fine 1.600 ed è terminata metà del 1.700. Nel massimo splendore era una frazione con annessa parrocchia ed ospitava, nei periodi di raccolta e semina fino a 110 persone circa (oggi lo stesso lavoro viene fatto da 3 persone). è la corte chiusa più grande del Piemonte» - «Un documento del 1297 attesta la presenza di una casa, di una torre e di vasti appezzamenti di bosco. Possesso dei Canonici di Asti, poi feudo dei Roero astigiani, passò nel 1416 agli Asinari di Virle, da cui nel Seicento pervenne per successione agli Isnardi De Castello, estinti nel 1770 con la morte del marchese di Caraglio. Quando, con decreto del 1785, Vittorio Amedeo III eresse Chieri, Poirino e Riva in principato quale appannaggio del figlio Vittorio Emanuele duca d’Aosta, vi fu unito anche il feudo di Banna. è in virtù di questo decreto che Umberto II di Savoia, ultimo re d’Italia, aveva tra gli altri anche il titolo di principe di Poirino (e come tale fu onorato alla sua morte nel 1983 dal Municipio, con l’affissione per le vie di manifesti listati a lutto). La tenuta, che oggi conta circa 850 giornate di terreno, venne alienata nel 1793 al conte Bertalazzone d’Arache cui subentrarono, in ordine di tempo, i conti Castellani Varzi de Merlani, i signori Ceriana, Amalia Casana moglie del conte Fè d’Ostiani ed infine Elena Rossi di Montelera, al cui figlio, marchese Gianluca Spinola, si devono i recenti e pregevoli restauri alla chiesa ed al castello, costruito quest’ultimo sulle fondazioni di un’antica casaforte. Ed un auspicabile intervento di recupero attende anche l’imponente complesso di edifici a corte chiusa, che Cavallari Murat ha definito “rurale romanica organizzazione chiesastica”, tra i più grandi ed interessanti dell’intero Piemonte».
http://www.comune.poirino.to.it/mm/mm_p_dettaglio_nofoto.php?idmonumento=12&x= - http://poirinonews.blogspot.it/p/castelli-e-monumenti.html
Baratonia (resti del castello)
a c. di Duilio Chiarle
«Nel 1240 esisteva un “Hospitium de Guiaz de Barbania”, cioè una struttura dove il signore ospitava servi o coloni, che venne citato ancora nel 1302. Nel 1378 venne distrutto in parte dai San Martino di Front; l’anno successivo i conti di Rivara presero possesso del sito, che venne incendiato dai Valperga alla fine del secolo. Solo nel 1447 un documento parla di “ricetto”, che coincideva con il centro abitato fortificato che sorgeva sull’area sopraelevata di circa quattro metri a fronte della piazza attuale. Il borgo aveva due torri ed un magazzino fortificato. Non è più possibile evidenziare tracce del nucleo antico e delle altre fortificazioni precedenti le distruzioni del XIV secolo. Si è invece conservata, nella parte più elevata dell’abitato, una torre-porta, una massiccia mole parallelepipeda a cortina laterizia, che risale alle fasi ricostruttive della fine del XIV secolo. Sul fronte esterno e sul fianco sinistro si rilevano tracce della più antica struttura con muratura di ciottoli a spina di pesce di cortina e massi lapidei di spigolo. Nel XV secolo la torre aveva un ingresso carraio con ponte levatoio manovrato da bolzoni, di cui restano tracce. All’altezza dei tagli di manovra e superiormente corrono fasce di dentelli. La torre terminava con una merlatura bifida ed era aperta verso l’interno, con impalcature lignee ai vari piani. Nel XVII secolo fu aggiunto un tetto in coppi per adibirla a torre campanaria, funzione che mantenne sino a metà del XX secolo».
http://archeocarta.org/barbania-to-torre-porta/
«Il grandioso castello, menzionato già nel 1290, è un complesso realizzato in fasi diverse: la più antica, coeva alla prima citazione e attribuibile all'iniziativa di Chieri, che deteneva il feudo dal 1246, è leggibile nella facciata est fra le torrette pensili e il passo di ronda. L’immagine complessiva della struttura è comunque trecentesca, da mettere in relazione con l'investitura sabauda del feudo ai Provana nel 1357. Nel recinto, la quattrocentesca chiesa del castello, ad aula unica, presenta in controfacciata uno spazio riservato ai feudatari e, sul pavimento, lapidi tombali delle famiglie succedutesi nel governo» - «Il Castello medievale di Bardassano, oggi di proprietà dei Conti Giriodi Panissera, risale al 1200. Per lungo tempo fu trasformato in prigione dal Comune di Chieri da quando, per scaramucce tra nobili, ne rivendicò la proprietà. Così viene descritta nel 1700 la proprietà del Castello nel corso dei secoli (tratto da un documento del volume di Francesco Guasco, Marchese di Bisio, Carte Piossasco dell'Archivio del Castello di Bardassano): "Il Castello di Bardassano, dopo essere stato dei Signori di Tondonito, poi del Comune di Chieri e quindi infeudato a varie famiglie, toccò per l'investitura 6 gennaio 1489 ad Antonio di Saumont o Submont, favorito del duca Carlo I, donde, per una serie di successioni femminili, attraverso i signori di Pesmes, Montemaggiore e Piossasco, pervenne ai Panissera e, da questi, alla famiglia dei conti di Giriodi per il matrimonio di Giuseppina Panissera di Veglio col conte Augusto Giriodi"».
http://www.touringclub.com/monumento/piemonte/torino/castello-di-bardassano.aspx - http://www.rovasio.com/cennistorici.htm
Bardonecchia (castello di François de Bardonnèche o Tour d’Amont)
a c. di Federica Sesia
Bardonecchia (forte di Bramafam)
«Il Forte Bramafam è stato costruito tra il 1874 e il 1889 sul sito dell’omonimo castello demolito nel 1574. Fu realizzato con lo scopo di difendere il traforo ferroviario del Fréjus appena inaugurato. Dotato di diversi tipi di artiglierie, all’epoca all’avanguardia e più importante fortificazione delle Alpi occidentali, venne parzialmente disarmato durante la Prima Guerra Mondiale e trasformato in campo di prigionia per gli austriaci. Destinato successivamente a sede della 516a Batteria G.a.F. durante la Seconda Guerra Mondiale fu occupato dai tedeschi dal settembre 1943 al 27 aprile 1945. Dal dopoguerra il forte, dimesso dall’Esercito, è passato in carico al Demanio, ed è stato lasciato per decenni in totale abbandono. Il Forte, di 64.000 m2, dal 1995 è stato preso in affidamento dall'Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare, associazione di volontariato culturale, che ne cura il restauro ed il recupero funzionale. Al suo interno l’associazione vi ha realizzato un museo dedicato all’evoluzione della fortificazione e alla storia del Regio Esercito dalla seconda metà dell’Ottocento alla Seconda Guerra Mondiale. Il percorso storico-didattico è realizzato tramite ricostruzioni ambientali delle varie epoche completate da 160 manichini che indossano uniformi originali, 30 artiglierie coeve, oltre 2.000 reperti di vita militare, documenti, giornali, piccole e grandi storie. Il fine è di permettere di effettuare un inedito viaggio nel tempo cogliendo anche nei più piccoli particolari quotidiani oltre che nei grandi eventi la vita dei militari attraverso un secolo».
http://www.vacanzebardonecchia.it/italiano/bardonecchia/itinerari/forte_bramafam.html
«Il castello sorge isolato su un poggio nei pressi della frazione Baroni. La sua localizzazione è contrapposta a quella del castello di San Giorio, situato sulla riva opposta della Dora; entrambi in posizione dominante, avevano il controllo di ampie aree del territorio e, in particolare, della strada di Francia che percorreva il fondovalle. La "villa" di Bussoleno era legata ai conti di Savoia fin dalla fine del '200; il castello si trova citato nelle investiture comitali del Trecento come "castrum quod dicitur Castrum Borellum" ma è di origine più antica; la tradizione lo riferirebbe ai tempi di Adelaide di Susa che lo avrebbe concesso in feudo al nobile Borello. L´insediamento ha pianta quasi quadrata, con cinta coronata da merli e da cammino di ronda, ancora quasi intatto per l´intera estensione; la muratura in ciotoli e scapoli di pietra è ben apparecchiata e presenta zone di tessitura a spina di pesce; gli spigoli sono rinforzati da conci di pietra squadrati. Sul fronte nord si apre la porta principale, sormontata da un rialzo difensivo del recinto murario, con feritoie per frecce e balestre; sugli spigoli laterali si trovano due belfredi a pianta circolare, sostenuti da beccatelli in pietra, pure muniti di feritoie. Tali elementi difensivi, comuni nei castelli piemontesi ed in altre fortificazioni della zona, si fanno risalire al XIII sec. Il portone di accesso è sovrastato da una monofora coronata da un motivo lobato ricavato da un monoblocco lapideo; i ritti laterali lapidei sono costituiti da colonne con rozzi capitelli in pietra. Lo stesso elemento si trova sulla porta che si apre in centro al lato sud, ma appare chiaro che tale elemento non è posto nelle sua collocazione originale; si può supporre che sia stato reimpiegato quando, verso il 1920, furono eseguiti lavori di adattamento che causarono la demolizione di una cappella appoggiata ai lati nord ed est. In epoca anteriore il luogo, soggetto a numerosi passaggi di proprietà, fu utilizzato come cascina agricola senza riguardo ai suoi valori di testimonianza storica e architettonica. Le nuove opere portarono all´apertura di porte e finestre, ed alla costruzione di un balcone nella parete a levante del recinto, alterandone quindi immagine e significato originali. Dei due fabbricati opposti che si trovano nella corte, adiacenti rispettivamente al lato est ed al lato ovest, quello ad est è stato soggetto a molte manomissioni, mentre quello ad ovest ha conservato il carattere rustico».
http://www.comune.bussoleno.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2506
«Castello. I vescovi di Torino, dopo l'invasione dei Longobardi, godettero di una certa indipendenza, in quanto i re e gli imperatori esercitavano sulla città un potere puramente nominale. Però per difendere la città dovettero affidarsi a qualche potente vassallo. Fu così che il vescovo di Torino, Arduino di Valperga, nominò Federico Piossasco, primo signore di Beinasco attorno all'anno 1200. Federico diede origine al ramo Piossasco De' Federici. La città di Torino, che frattanto si era costituita in comune libero, si sentiva danneggiata dai mercanti che transitavano per Beinasco senza pagare il pedaggio e venne quindi nella determinazione di farsi cedere da Federico Piossasco il Castello mediante una ricompensa in denaro e l'investitura del Castello, villa e luogo di Beinasco per lui e per i suoi successori. L'atto venne stilato il 22 giugno 1239 ed il 16 luglio dello stesso anno, Giovanni figlio di Federico confermò la donazione fatta dal padre. Il Castello venne poi in possesso del conte spagnolo Lovensito, sembra nel 1325. Poi per un lungo periodo non si conoscono più i successori. Solo nel 1584 risulta che Beinasco era dominio feudale dei signori Erminio Cesare e fratelli De' Federici di Piossasco. Nel 1753 ritroviamo un Carlo, figlio di Giuseppe Antonio, sempre nel ramo De' Federici, che riceve l'investitura di Beinasco. Nel corso dei secoli il Castello subì incendi, devastazioni e rimaneggiamenti. Il Castello fu di architettura guelfa. Della costruzione originale conserva ancora alcune bifore che guardano verso il Sangone. I ruderi che si affacciano sul viale rappresentano la porta d'ingresso, anticamente cinta da fossato e ponte levatoio. ... Torre. In epoca medioevale Beinasco fu sottoposta prima all'autorità dei Signori di Piossasco, poi dei principi D'Acaia (ramo collaterale della famiglia Savoia) e infine, dopo il 1360, al controllo diretto dei Savoia. Della cinta muraria del castello, costruito nel XIII secolo, si è conservata solo una porta sull'attuale Corso Cavour (torre).».
http://www.comune.beinasco.to.it/beinascoCMS/ilcastello - ...itinerarioturistico
Borgo Castello (castello della Mandria)
«A poco più di 3 km dal centro storico di Venaria Reale, alle spalle della grande Reggia sei-settecentesca, si trova il Parco Regionale de La Mandria. Legato sino al XIX secolo al destino e alla storia della Reggia sabauda il Parco e il corpo di fabbrica situato su un'altura artificiale denominata la "Nuova Mandria" verrà destinato ad uso esclusivo e privato di Vittorio Emanuele II di Savoia già a partire dal 1859. Luogo da sempre legato all'allevamento delle cavalle di razza divenne, nella volontà del primo re d'Italia, luogo privilegiato e preferito per le sue battute di caccia. A tal fine il Parco venne completamente murato e gli architetti regi Barnaba Panizza e Domenico Ferri vennero incaricati di edificare e costituire tutti i fabbricati che potessero permettere al sovrano di praticare la sua attività più amata, quella venatoria. In facciata al Castello, il più importante tra i fabbricati presenti sul territorio del Parco, vennero realizzati gli ambienti che tutt'oggi costituiscono i bellissimi Appartamenti Reali. Spaccato perfetto delle scelte e del gusto del sovrano, le 18 sale, aperte al pubblico, mostrano al visitatore tutto il fascino di un grande protagonista del Risorgimento italiano che condivise parte della sua vita privata, proprio al Castello della Mandria, con la moglie morganatica Rosa Vercellana (detta la Bela Rosin) nominata contessa di Mirafiori e Fontanafredda. Con la morte del sovrano il Parco, il complesso del Castello e tutti i reposoir di caccia vennero acquistati tra il 1882 e il 1887 dalla famiglia Medici del Vascello. Con essi la storia del territorio conobbe una nuova fase di sviluppo sino al 1976 quando la Regione Piemonte acquistò tutto il patrimonio ambientale e architettonico del Parco, istituendo nel 1978 l'Ente di Gestione del Parco Regionale La Mandria. Dal 1997 il Castello della Mandria, insieme a tutte le altre residenze sabaude piemontesi, è Patrimonio dell'Umanità (Unesco)».
http://www.parchireali.gov.it/appartamentireali/pagina.php?id=42
BORGO DEL LUOGo (castello, ricetto)
«A sud del capoluogo ed in cima ad una collina si trova il Borgo del Luogo, frazione di Brusasco, nota anche col nome di Borgo Garibaldi. Il nome "Luogo" deriva dal latino lucus, ossia "bosco sacro". Qui nel medioevo, a difesa degli abitanti, sorse il primo nucleo del castello, a fianco del quale fu realizzato anche un ricetto, del quale rimangono molte testimonianze. Fra queste si segnala la Porta di San Sebastiano, che era una delle due porte che consentivano l'accesso al ricetto del Luogo. Sulla Porta di San Sebastiano sono ancora visibili l'antica struttura merlata, l'accesso pedonale e l'accesso carraio. Di struttura molto simile doveva essere la porta Cerrone, che sorgeva nella posizione dell'attuale campanile della chiesa di San Bernardo. ... Il castello ha origini molto più antiche, probabilmente risalenti al Trecento, come testimoniano alcune porzioni di muro costruite con pietre disposte a spina di pesce. La prima notizia documentabile sull'edificio risale al 22 settembre 1446, quando il castello fu dato in feudo ai fratelli Bonifacio, Bertolino e Giorgio dei Conti di Valperga. Il possesso dei Valperga terminò il 20 agosto 1504. Fra i tanti proprietari che si sono susseguiti, si ricorda Claudio Cesare Dodolo di Chieri, che diventò proprietario dell'edificio nel 1575, perché fu personaggio scontroso e superbo e perché, vista la precarietà abitativa del castello, andò ad abitare nella chiesa parrocchiale. Nel 1722 il castello passò in proprietà alla famiglia dei conti Cotti, che fece ricostruire il castello, affidandone i lavori al già citato architetto Giovanni Maria Molino. Il nuovo edificio fu realizzato secondo i canoni più diffusi per le dimore signorili di campagna del Piemonte e sorse sull'area del giardino antistante l'antica struttura, ormai in rovina. Nel 1780 il conte Luigi Cotti, personaggio estroso, compositore di musica e amante del teatro, ereditando il castello, sistemò il parco secondo la tipologia all'inglese, sfruttando le rovine medievali e costruendo su di esse un falso ninfeo romano in rovina, quale ipotetico resto della residenza estiva dell'imperatore Pertinace. Il castello si ingrandì ulteriormente con l'aggiunta della galleria sovrastata dall'ampio terrazzo e circondata dalle scenografiche gradinate di raccordo dei dislivelli del terreno, ad opera dell'architetto Vituli. La dinastia dei Cotti si estinse con la morte a Pietroburgo dell'ultimo discendente, Alessandro. Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1874 il castello fu acquistato dal conte Gazzelli Brucco di Ceresole, che nel parco fece erigere un torrione di fattura neomedievale, secondo il gusto del tempo, con annessa cappella. Successivamente, e fino a circa il 1970, il castello rimase di proprietà dei Padri Marianisti, che lo collegarono al vicino collegio. Dopo 22 anni di abbandono totale il castello è ora di proprietà della famiglia Violi ed è adibito ad agriturismo».
http://www.parcopotorinese.it/pun_dettaglio.php?id_pun=964
Borgomasino (castrum vetus, castrum novum)
«Il castello ha origini molto antiche, infatti i primi documenti che parlano di questa costruzione risalgono all’XI secolo, quando Guido, conte di Pombia, comprò da Ardissone le proprietà della zona di Ivrea. In questi documenti il castello è chiamato “Castrum Vetus”, per distinguerlo dal castello di Torrazza, costruito nello stesso periodo, ma chiamato “Castrum Novum”. Il castello è stato edificato sul confine tra i territori di Ivrea e Vercelli per delle ragioni difensive e fu sovente teatro di guerre tra i due paesi. Nel 1361 Bartolomeo di Masino vendette a Amedeo di Savoia il paese di Borgomasino, mantendo unicamente la proprietà del castello. I rapporti tra il conte di Masino e quello di Savoia s’aggravarono e il Conte decise di fortificare la zona circostante il castello; queste lotte finirono alla fine del XIV secolo e i Conti di Masino furono infeudati prendendo il titolo di conti di Masino di Borgomasino. I documenti conservati, dal XIV al XVII secolo, testimoniano la presenza di numerose dispute tra i conti Valperga di Masino e i conti di Borgomasino, che avevano delle proprietà e il titolo nobiliare. Questi atti dimostrano che nel XVI secolo l’edificio era composto dal castello, dotato di due torri e dalla chiesa di San Salvatore, della quale ancora oggi sono visibili il campanile e parte dell’abside. Una planimetria redatta nel 1757 dall’architetto Tommaso Prunotti di Torino ci mostra una descrizione della struttura del castello. Ci sono due castelli messi in evidenza: il primo che si trova a mezzogiorno, apparteneva a Francesco Antonio Valperga; il secondo, che si trova a mezzanotte, era del conte Carlo Francesco Valperga di Masino. Nel 1818 un crollo danneggiò gravemente il castello. Nel 1845 la famiglia dei conti Valperga di Masino si estinse e i conti Masino di Borgomasino ereditarono il titolo di conti Valperga di Masino. In seguito parte del castello a mezzogiorno fu donata alle suore per installarci un asilo e parte alla parrocchia di San Salvatore. Verso il 1870 si edificò sull’antica struttura posta a mezzanotte una villa residenziale, progettata dall’architetto Siniscalchi di Torino secondo il volere del conte Luigi Valperga di Masino. Il castello così trasformato è rimasto proprietà dei conti Valperga di Masino fino a metà del 1989, quando fu acquistato e restaurato dagli attuali proprietari. Oggi il castello è una splendida villa, ma mantiene ancora una delle due torri medievali a pianta quadrata e gli edifici rustici».
http://12alle12.it/castello-di-borgomasino-7217
Borgone Susa (palazzo Montabone)
«Palazzo Montabone (sec. XVII), viene acquistato dal Comune di Borgone Susa nell'anno 1901 dal cav. Enrico Montabone per essere adibito a Municipio e scuole Elementari. Costituisce un insieme architettonico che conserva, malgrado i vari interventi specialmente all'interno nei corso degli anni, la sua struttura elegante di palazzo civile fine seicento a pianta rettangolare rotta dall'ampia scala in pietra naturale sulla facciata principale e da due avancorpi che al piano nobile formano due terrazzi prospicienti l'attuale piazza del Comune. Esso è composto da due piani fuori terra e da un seminterrato. In particolare in quest'ultimo esistono ancora i locali che venivano utilizzati come cucina e il forno per la cottura del pane. Al piano nobile vi sono i saloni con soffitto ligneo a cassettoni dell'inizio del '700, ora restaurato. Inoltre un armadio in noce massiccio del 1750. Il piano nobile è arricchito da arcate a tutto sesto che fungono da atrio di ingresso ai saloni di rappresentanza (ora uffici e salone consigliare). Da menzionare anche alcuni quadri di minor pregio raffiguranti i duchi di Savoia nel 1730: Carlo Emanuele III e la sua terza moglie Elisabetta Teresa di Lorena. Nell'estate del 1985 sono stati eseguiti ulteriori lavori di ritinteggiatura della facciata e, successivamente, dello stemma, con particolari soluzioni cromatiche che danno nuovo splendore all'eleganza della costruzione».
http://www.comune.borgonesusa.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2474
Borgone Susa (ruderi della torre di Borgone o castellazzo o Castlas)
«La torre, che si erge in posizione dominante su un piccolo poggio, appare oggi mutilata del coronamento, come mozzata da un taglio diagonale che l´ha privata di connotazioni particolari - merli, finestre, o feritoie - che avrebbero potuto caratterizzarne la fisionomia. è quanto rimane di un più esteso insediamento fortificato, come testimoniano resti di murature affioranti disposti intorno alla costruzione superstite. Anche la denominazione dialettale di "Castlas" e il nome "Castellazzo" riportato nella cartografia settecentesca, confermano che la struttura fortificata era in antico di proporzioni più ampie. L´origine della costruzione è certo anteriore al Trecento, ma non sono stati trovati a tutt´oggi documenti probanti. Solo nel 1426 è citata come "domus seu turris nobilis Philiponi de Barralibus de Secuxia"; era quindi una casa attrezzata anche per la residenza del nobile proprietario. La torre ha pianta rettangolare (m. 9,50 x 5,90) e la sua altezza va da 6 a 8 metri. Costruita con muratura in ciotoli e scapoli di pietra, ha un´apparecchiatura più accurata negli spigoli e presenta segni di varie riprese murarie. Nelle murature, segnate da molte buche pontaie, si apre un´unica finestrella verso sud; una zona con tessitura a spina di pesce è ancora visibile a lato di un piccolo varco aperto in epoca imprecisata, che permette di accedere all´interno. Entro il perimetro dei muri, lo spazio completamente libero, lascia vedere il cielo.
La torre è stata oggetto di un recente intervento di consolidamento che ha sanato una grave lesione che interessava lo spigolo nord-ovest. Anche le piattabande in pietra poste al disopra delle aperture sono state consolidate, mentre in varie parti si notano risarciture dei giunti e riprese di piccole lacune, anche con l´impiego di malta cementizia. Il terreno su cui poggia la torre, composto da materiale di deposito alluvionale, quindi poco coerente, presentava fenomeni di erosione e di sgretolamento con progressiva perdita di resistenza in particolare sui lati sud e ovest. L´intervento di consolidamento, attuato con la messa in opera di sbarramenti in legno a gradoni, ha messo in sicurezza il pendio, consentendo il piantamento di essenze arboree che, radicate nel terreno, ne garantiranno nel tempo la stabilità. Indicatore di conservazione: stato di conservazione ottimo. La mole tronca e massiccia della torre del Castlas, visibile da notevole distanza, è un segno forte nel paesaggio valsusino ed ha valore di simbolo e di memoria. L´illuminazione notturna la segnala come importante riferimento visivo; sarebbe auspicabile completare con la sistemazione esterna delle pertinenze gli interventi di restauro già realizzati. Una campagna di saggi archeologici potrebbe rivelare dati più concreti sulla effettiva consistenza dell´insediamento originale, arricchendone la conoscenza e richiamando maggiore attenzione per il luogo che merita in ogni caso di essere inserito nel percorso dedicato alle strutture fortificate valsusine».
«Le tracce storiche di un primo forte rurale si trovano nel Diploma imperiale di Guglielmo II di Olanda del 1252. Il XIV secolo fu contraddistinto dall'esercizio del potere feudale concesso alle famiglie signorili locali, protette dai Savoia. In particolare le famiglie bruitesi godevano delle prerogative feudali del territorio, del castello e della giurisdizione, che si rafforzarono nel corso del tempo, sino a far acquisire alle famiglie detentrici dell'imperium locale, una vera e propria signoria, che acquisisce la prerogativa di "nobiltà" già nel 1327. L'attuale massiccia costruzione, in decadenza, è originaria del XVI secolo, con annesso un grandioso parco; prende il nome della famiglia di origine fiamminga che lo tenne per varie generazioni. Sulle pareti esterne dell'edificio è possibile ammirare un sontuoso affresco del pittore piemontese Carlo Morgari eseguito nel 1933 con l'immagine di San Martino che dona il suo mantello a un povero. Il Castello di Bruino ha vissuto numerosi cambiamenti nel corso dei secoli fino ad assumere oggi l'aspetto di una residenza di campagna. Ubicazione: Piazza del Municipio».
«Sulla sponda sinistra del fiume Dora Riparia, abbarbicato sulle pendici montane, il castello di Bruzolo si erge, con la sua possente torre, quasi ai piedi dell’abitato. Il borgo, già esistente in epoca romana, doveva essere dotato, fin dall’età augustea, di una torre di avvistamento, situata lungo la strada di attraversamento della valle. Ma soltanto a partire dall’XI secolo prende avvio la costruzione di un vero e proprio sistema fortificato, dotato di cinta merlata quadrangolare, munita di torri angolari circolari. Il castello, così come oggi si presenta, è quanto risulta dalla complessa evoluzione che ha trasformato la rocca difensiva in comoda e lussuosa dimora signorile, trasformazione che ha preso avvio dal XVI secolo. Ecco allora comparire gli ampi saloni decorati, il camino grandioso della cucina, munito di girarrosto per i banchetti dei nobili e, infine, il sistema di “toppie” che circondano il castello, come a formare un’allea lussureggiante idonea alle passeggiate. Di epoca barocca, di poco successiva, è l’aggiunta della Porta Nobile, necessaria per ingentilire l’accesso al castello. Proprio nel corso dei lavori, eseguiti dal 1712, furono abbattute le due torri angolari del lato est e mozzate le due torri restanti, mentre vennero realizzate nuove ali di fabbricato. Causa delle massiccia opera di trasformazione fu senza dubbio la cessata necessità di difesa individuale e il lento evolversi delle esigenze di una corte signorile, che sempre più si trovò a far parte delle storia.
Proprio il castello di Bruzolo, infatti, fu teatro degli avvenimenti che precedettero la stipula del Trattato omonimo, che prevedeva i termini di un’alleanza tra Enrico IV re di Francia e Carlo Emanuele I duca di Savoia, contro il comune nemico spagnolo (1610). Soltanto l’omicidio di Enrico IV pose repentinamente fine al trattato, che avrebbe dato all’Europa un nuovo assetto politico e all’Italia il concreto avvio all’unificazione. Il sapore medievale continua però a persistere, in quella forma racchiusa del castello, dominata dalla torre quadrata, e dalla presenza di caditoie, realizzate sulla torre e a cavallo dell’accesso al cortile, dove essa è inoltre munita di corpo di guardia superiore. E poi ci sono i sotterranei e le cantine, un tempo utilizzati anche come luogo di prigionia e in cui, forse, ancora si potrebbero rintracciare i resti di cunicoli comunicanti con l’esterno. Le grandi sale, poi, raccordate sui vari piani da un grande scalone o da più ristretti passaggi a chiocciola, sono oggi un museo di storia familiare: gli oggetti quotidiani, i quadri e gli arredi dell’ultima famiglia proprietaria del maniero, la famiglia Marconcini, costituiscono una raccolta di storia e un’antologia del passato, alla quale si mescolano le tracce ancora più antiche lasciate nel castello nel corso del tempo. Tanti e nobili dovevano essere i pellegrini di passaggio che trovavano ospitalità presso il castello, dove potevano trovare anche una cappella dove pregare in silenzio. Qualcuno di quei pellegrini ha lasciato una traccia del suo passaggio, donando alla cappella, forse in segno di ex voto per il lungo viaggio fino ad allora percorso, un segno della propria riconoscenza».
http://www.laguidaditorino.it/sezione.php?id=14&capitolo=80
BURIASCO (castello)
«Buriasco fu diviso da epoca non accertata in due settori. I più antichi documenti conservati nell'archivio storico Comunale ne attestano la divisione a partire dal XIV sec. Buriasco superiore comprese le terre tra Pinerolo ed il centro abitato ... e fu feudo di Pinerolo, con Riva e Baudenasca. Buriasco inferiore si costituì nella zona tra il centro abitato ed i confini con le terre di Vigone , Macello e Riva. La zona superiore dipese per l'amministrazione civile da Pinerolo ma per la vita spirituale gli abitanti dipesero sempre dalla parrocchia di Buriasco inferiore, la quale peraltro andava sottoposta alla diocesi di Pinerolo. ... Ebbe giurisdizione su parte del territorio di Buriasco per donazione del marchese Olderico Manfredi datata 6 giugno 1021 il Capitolo di S. Giovanni di Torino; questi a sua volta nel 1399 cedette il territorio ad Amedeo VIII di Savoia per il prezzo di 850 fiorino d'oro e 32 soldi viennesi. Nel 1619 Carlo Emanuele I investì la città di Pinerolo del feudo a lui pervenuto dall'acquisto di Amedeo VIII. La zona seguì per necessità le vicende della città di Pinerolo , con la dominazione francese al termine della quale, nel 1714, venne riconsegnata, congiuntamente a Riva e Baudenasca, a Vittorio Amedeo II. L'investitura del feudo alla città fu in seguito riconfermata nel 1736 e nel 1748. Primi signori di Buriasco inferiore furono Ruffino Gili, investito nell'anno 1270, ed il nipote di questi, Giacomo Gili d'Acaja il 12 ottobre 1345. ... Il 23 dicembre 1418 il feudo passò ai Montbel, signori di Frossasco.
Tra il XIV ed il XV secolo si costruì probabilmente il castello, con l'annesso ricetto per il riparo della popolazione separato da un fosso difensivo, luogo di cui parlano i documenti ma di cui nulla resta. ... Nel 1546 il castello ed il feudo di Buriasco inferiore vennero dai Montbel ceduti alla città di Pinerolo. Nel 1592 la località fu saccheggiata ed incendiata dalle truppe francesi del maresciallo De Lesdiguières che, fallito il tentativo di occupare Pinerolo in nome di Enrico IV di Francia, le lasciò libere di mettere a ferro e fuoco il pinerolese. L'avvenimento è ricordato da una pergamena con cui, il 19 maggio 1595, Carlo Emanuele I libera la comunità e gli uomini di Buriasco dal pagamento delle tasse per 10 anni a compenso dei danni patiti a causa degli assalti nemici e a ricompensa per avere difeso il castello. Il 28 luglio 1615 Buriasco inferiore fu eretto a contea; la città di Pinerolo cedette per il prezzo di 26.000 scudi il possesso del feudo, castello, territorio e giurisdizione al conte Maurizio Ferrero, già signore di Bibiana e Famolasco. Il conte era personaggio assai vicino al duca Carlo Emanuele che probabilmente gradì l'investitura; in alcune lettere scritte tra il 1609 ed il 1615 il duca aveva auspicato di ottenere personalmente il possesso del castello come baluardo difensivo strategico in caso di nuovi attacchi da parte dei francesi. La signoria dei conti Ferrero si protrasse per tutto il XVIII e fino al XIX secolo ...» - «Il Castello è stato purtroppo irrimediabilmente rimaneggiato nei secoli. Attualmente è composto da un ampio muro di cinta con torri circolari, che racchiude al suo interno diversi fabbricati moderni e un giardino. L’ultima ristrutturazione avvenne quando fu adibito a ristorante nel 1961. ... Il Castello è attualmente adibito a ristorante».
http://www.comune.buriasco.to.it/viewobj.asp?id=2623 - http://archeocarta.org/buriasco-to-castello
«...Vero monumento di Busano è la Torre-porta del ricetto, il più consistente e massiccio resto del Ricetto busanese, di un ricetto che, come vedremo, presenta delle sue particolarità ... La Torre-porta del ricetto è una costruzione databile del XIII-XIV secolo, su una precedente struttura dell’XI secolo, alta oggi 19 metri, costruita con pietre squadrate e pietrame di fiume. Sulla parte esterna della Torre-porta sono ancora visibili i segni del ponte levatoio, praticamente le feritoie da cui fuoriuscivano le catene e le funi che guidavano, nella calata e nell’alzata, la passerella. Inoltre, sulla parte interna della Torre-porta si apriva un’altra uscita, a circa otto metri di altezza, che immetteva nel camminamento per le sentinelle. La Torre-porta, la principale, era volta ad oriente, mentre una seconda torre-porta, oggi inglobata in case e casette, la più recente delle quali risale alla seconda metà del 1800, era rivolta verso sud. In pratica, da entrambe si potevano controllare bene tutte le direzioni da cui poteva giungere il maggior pericolo per la gente che si raccoglieva nel Ricetto. Il Ricetto di Busano, pure, che rappresenta ancor oggi il complesso strutturale architettonico su cui si è sviluppato il paese, presenta delle particolarità che lo distinguono dagli altri ricetti canavesani; particolarità che risiedevano principalmente nella sua destinazione, che – come mostrano la sua struttura e la sua forma molto elaborata della casa centrale - doveva essere quella di accogliere in caso di necessità parte del contado busanese, attorno alla casa centrale, probabilmente quella dei signori Mollo, a sua volta ben fortificata. Si trattava, dunque, di un ricetto consortile, in cui avevano accoglienza solo le pertinenze del signore. La Torre-porta era un tempo ricoperta anche di interessanti affreschi tardo-gotici, a riprova della chiara appartenenza longobarda dei suoi costruttori. ...».
https://sites.google.com/site/globekeyworld/busano
«L’edificio presenta la tipologia originaria e ordinaria delle case borghesi e mercantili che nel tardo Trecento all’interno del borgo chiuso si affacciavano sulla via Francigena. Uno zoccolo rialzato o terracia, delimitato sul fronte stradale dalle colonne circolari su cui poggiava la struttura a sporto dei piani superiori, era destinato all’esibizione e all’offerta al pubblico dei generi esitati dalla bottega. Le colonne erano parzialmente intercluse da un bancone ligneo (banchus cum scrineo conclavato) che al tramonto veniva chiuso senza neppure riporre i generi non deperibili nel magazzino (reçolium). Sul fronte interno della terrazza si trovavano alcuni capaci contenitori lignei - perlopiù in abete (de bletono) o in castagno (arca castagneria) - inchiavardati al muro con una catena e contenenti le prime scorte rinnovate al ritmo della vendita al minuto, giorno per giorno. I furti nelle arche non erano infrequenti ma, avvenendo perlopiù di notte e configurandosi come furto con scasso sulla via Francigena, siffatte aggravanti portavano all’applicazione massima della pena di franchigia (60 soldi segusini) o, in caso d’insolvenza, all’amputazione dell’orecchio e della mano e, se reiterati, all’impiccagione. Dalla terracia si accedeva al magazzino vero e proprio (reçolium) che custodiva le scorte stagionali del negozio ma poteva anche configurarsi come negozio-magazzino (apotecha) frequentato dal pubblico: i notai nelle datazioni topiche distinguevano pertanto i contratti conclusi sub porticu, sul fronte stradale vero e proprio dell’anticorpo porticato, o all’interno della casa (in apotecha, in reçolio). Al pianterreno o piano rialzato si apriva sul retro del magazzino la fogagna o casa da fuoco: non si trattava di una semplice cucina (coquina) ma di un ambiente più vasto destinato alla vita domestica con uno sfogo diretto sul cortile o parte rustica dell’edificio. ... Due località, Torino e Chambéry, che rappresentavano anche i due principali, estremi referenti commerciali della fiera di san Luca, da dove convergevano su Bussoleno non solo merci ma altresì saperi sociali e materiali che ne connotarono l’insediamento tardomedievale. Un’ultima annotazione va fatta circa la denominazione che questa casa ha assunto: fu adottata negli anni Ottanta dell’Ottocento sulla base del motivo araldico raffigurato sui pilastri della terracia, peraltro mal interpretato e attribuito agli Aschieri, da cui il nome. Con tale nome fu riprodotta nel Borgo Medievale del Valentino e da allora è rimasta nella cultura diffusa Casa Aschieri. Nel Trecento fu la casa del notaio Giovanni Vacio».
http://www.invalsusa.it/esercizi-convenzionati/item/237-casa-aschieri.html?tmpl=component&print=1
Bussoleno (casaforte degli Allais, mura)
«I primi documenti attestanti l´esistenza di queste mura risalgono al 1390 ma è certo che il borgo di Bussoleno possedeva sin dalle origini strutture difensive adeguate alla sua importanza strategica. Il ponte sulla Dora era infatti l´unico, insieme a quello di Avigliana, a consentire il passaggio del fiume per le truppe, per le derrate e per i viandanti diretti a percorrere l´antica strada di Francia. Il sistema difensivo di Bussoleno era composto dalla cinta fortificata e dalla casaforte collocata a sud - oggi quasi irriconoscibile dopo le numerose trasformazioni d´uso - mentre Castel Borello, data la posizione emergente, controllava il transito sulla strada di Francia. Nel quadro del sistema difensivo della bassa valle, il borgo chiuso di Bussoleno era in posizione centrale rispetto ai presidi di Castel Borello, Chianocco e San Giorio. La cinta fortificata, ampliata e ridefinita durante il Trecento, disegnava un perimetro rettangolare con due porte di accesso, verso est e verso ovest; la prima fu abbattuta nel 1835, la seconda è ancora riconoscibile nonostante le pesanti trasformazioni subite; della medievale "Porta di Francia" citata nei documenti non è certa la collocazione. Nel 1590 si deliberò l´abbattimento di una parte del recinto difensivo e nel 1690 venne decretata la costruzione di nuove fortificazioni, su progetto dell´architetto ducale Amedeo di Castellamonte, a protezione del centro abitato. Nel 1810 si ordinò l´abbattimento delle mura difensive ma il tratto nord fu risparmiato. Il tratto di mura che ancora sussiste, rimasto quasi integro fino ai primi anni del Novecento, fatti salvi sporadici interventi di ripristino, subì in seguito numerose trasformazioni; il lato interno è ora totalmente nascosto dalle costruzioni addossate, delle quali costituisce il muro perimetrale. La cortina difensiva, spessa circa un metro, è costituita da una muratura a sacco, formata da ciotoli e scapoli di pietra; è compresa tra le due torri rotonde superstiti, coronate da merli e presenta al centro un passaggio carraio, ricavato forando il muro antico. Le estremità opposte della cinta, ai lati delle torri, hanno conservato in parte il paramento lapideo in vista, mentre nella zona centrale l´apertura di porte, finestre e balconi e il rivestimento di intonaco hanno annullato la continuità della compagine muraria originale. Nel caso di edifici a tre piani, l´ultimo livello ha conglobato il cammino di ronda superando l´altezza originale della cinta muraria.
In generale l´aspetto della cortina muraria presenta gli inconvenienti tipici prodotti dall´azione dell´acqua e dalla mancanza di manutenzione: si notano risalita di umidità lungo la parte basamentale, frequenti fenomeni di distacco di intonaco dal supporto, perdita di coesione dei giunti nella muratura a vista. L´esposizione a nord accentua la presenza diffusa di muffe e macchie scure dovute alla forte umidità interna alle strutture ed alla incontrastata azione degli agenti atmosferici. Gli elementi costruttivi relativamente recenti che aggettano dal corpo murario (servizi pensili, balconi, tettucci, ecc.) costituiscono soluzioni di continuità che non giovano alla conservazione delle strutture antiche. L´abbondante presenza di fili, cavi e condotti per le reti idriche ed elettriche denuncia ulteriormente lo scarso rispetto per l´importanza storica e documentaria della preesistenza. Il tratto di cinta fortificata superstite di Bussoleno ha caratteristiche tali da meritare adeguati interventi migliorativi. Per ovvi motivi le costruzioni addossate non potranno essere eliminate; esse stesse sono da considerarsi ormai storicizzate nello sviluppo del borgo di Bussoleno, di cui costituiscono parte vitale. Le strutture superstiti del recinto difensivo potrebbero tuttavia essere efficacemente valorizzate qualora si giungesse alla determinazione di rimuovere gli elementi aggettanti che, a prescindere dall´effetto di disturbo alla continuità della parete tra le due torri, denunciano una collocazione impropria anche per l´affaccio verso nord. Ferme restando le aperture realizzate per illuminare ed aerare gli ambienti retrostanti, si potrebbe attenuarne la presenza eliminando ante e persiane che fuoriescono dal filo murario; anche il coronamento del muro potrebbe essere regolarizzato evitando aggetti eccessivi delle coperture e per i cavi ed fili elettrici in vista dovrebbe essere trovato un percorso diverso. Infine dovrebbe essere affrontato il restauro del paramento valutando, dopo gli opportuni saggi, l´opportunità di riportare in vista il tessuto murario lapideo. In ogni caso, quanto rimane della cinta difensiva di Bussoleno rientra nelle testimonianze di un periodo importante per la storia della Valle di Susa e potrà essere inserito nel percorso di ricognizione dei presidi fortificati di impianto medievale».
Bussoleno (porta Superiore o di Francia)
«È l’unica porta superstite della cinta. Poiché serviva un percorso minore che in sponda destra lungo la direttrice occidentale risaliva la valle verso Susa, percorrendo le campagne di S. Petronilla, Coldimosso e Traduerivi, con i nuovi tracciati napoleonici fu relegato a itinerario locale che investiva esclusivamente il versante vallivo meridionale tra Mattie e Susa. Escluso dal grande traffico internazionale che si svolgeva sull’altra sponda del fiume, non necessitò di una riplasmazione dei manufatti né dei percorsi, né dei piani d’uso. Diversamente nel medioevo, quando il traffico locale e internazionale coincidevano per larghi tratti e l’area di strada si strutturava per fasci paralleli di vie più o meno importanti ma tutte frequentate, attraverso la porta di Francia scorreva un traffico moderatamente intenso: era, ad esempio, l’itinerario seguito da quanti si muovevano attraverso il colle delle Finestre che metteva in comunicazione la valle di Susa con il Delfinato subalpino, con il Pinerolese e, da qui, con il Piemonte meridionale. Altri colli minori nel massiccio dell’Orsiera e sullo spartiacque Dora-Chisone erano usualmente frequentati dai montanari su scala locale ma con una continuità apprezzabile come risulta dai resoconti di riscossione dei pedaggi. Importanza maggiore la Porta rivestiva per quel collegamento tra l’area adibita allo spazio fieristico e mercatale e il cuore commerciale del borgo chiuso durante la settimana di san Luca.
Lo sviluppo del quartiere fuori porta fu così intenso a ridosso dell’area di fiera che in età tardomedievale e particolarmente per tutto il Quattrocento si andarono formando piccoli insediamenti e agglomerati rustici con ampi stallaggi, fienili e tettoie, nonché aree di servizio prima con una localizzazione e installazione temporanea, poi con un impianto permanente. D’altronde lo stoccaggio di forti scorte foraggiere non poteva avvenire all’interno del borgo sia per la mancanza di spazio nel Quattrocento terminale, sia per il pericolo d’incendio che grosse scorte di fieno rischiavano d’alimentare in modo incontrollato nel cuore stesso del borgo chiuso con effetti comprensibilmente devastanti. L’attuale struttura superstite si addice a una realizzazione tardotrecentesca del manufatto secondo il modello della torre-porta fiancheggiata da una cortina muraria con torri angolari a tiro radente. Si consideri che la torre-porta è stata decurtata dell’ultimo piano con il crollo della piombatoia a sporto che ancora conservava nel 1821. Quanto ci resta della struttura in elevato avvicina questo manufatto ad altre consimili strutture di area valsusina e savoiarda: apparecchi murari a scapoli di pietra disposti su filari regolari e annegati in un manto di calce piuttosto resistente, massicci orizzontamenti in legno di larice, scarse aperture protette sull’esterno con progressiva sostituzione delle arciere verticali con orbicoli difensivi per piccole artiglierie manesche. ...».
http://www.comune.bussoleno.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=28928
«Con altre porte simili (la tradizione vuole tre, ma il numero esatto non è accertato) faceva parte di un sistema difensivo costituto da mura di recinzione di una robustezza che fonti storiche (per altro non del tutto attendibili, trattandosi di una raccolta di “Annali” compilata introno al 1550) danno già per esistenti sin dal sec. XII. Poiché risulta che nel 1224 Guido di Biandrate abbia fatto costruire la “Rocca o Castellazzo”, di cui tuttora esistono imponenti ruderi, si pensa che abbia, nella stessa occasione, restaurato e reso funzionale anche il circuito di mura e le porte. Filippo d’Acaia, che nel 1316 acquistò dai Biandrate il feudo di Caluso permutandolo con i feudi di Corio e Rocca, nel 1324 fece costruire, tutto intorno al borgo, seguendo in parte il primitivo tracciato, un poderoso circuito di mura costeggiato da un profondo fossato, e modificò le porte (probabilmente al suo intervento è dovuta la parte gotica delle medesime), munendole di ponte levatoio (e infatti nella porta Crealis sono ancora visibili gli anelli in cui scorrevano i tiranti). L’arco romanico innalzato agli inizi del 1300, è citato nel De Bello Canapiciano da Pietro Azario, vissuto nel sec. XVI e cronista del suo tempo. Porta Crealis fu protagonista di furiosi attacchi da parte delle truppe del marchese del Monferrato, contro i difensori calusiesi guidati dal conte di San Martino nel 1362. L’imponente opera venne costruita secondo il progetto e sotto la direzione di Martino di Agliè, architetto ed esperto di fortificazioni, cui si deve anche il castello di Malgrate di Rivarolo. L’unica rimasta fino ad oggi è la porta che sorvegliava l’ingresso a levante, la Crealis, appunto, anche se nel corso dei secoli subì guasti e vandalismi (l’ultimo nel 1976, quando l’arco romanico venne fatto crollare da un autocarro; venne poi ricostruito fedelmente alcuni anni dopo dal Comune), mentre le altre vennero demolite in occasioni diverse (l’ultima fu la porta Faniania all’imbocco di via Guala, che venne abbattuta verso la metà del secolo scorso per l’ampliamento e la sistemazione della piazza del Municipio, attuale piazza Ubertini».
http://www.localport.it/canavese/monumenti/mon_risultato.asp?id=1537
CALUSO (ruderi del Castellazzo)
«Da Piazza Ubertini, a lato del Palazzo Civico, vi è una stradina che porta in località Castello. In cima al poggio emergono, avvolte da una fitta vegetazione, la massicce mura che cingevano la rocca. La fortezza feudale fatta erigere dai Della Valle di Mazzè risale intorno al XIII secolo. Nonostante i colpi inferti da Malerba, che era sotto la guida dei Marchesi di Monferrato, alcune muraglie alte circa dieci metri resistettero agli aggressori e al passare del tempo. Sullo spiazzo antistante la rocca si nota un altro interessante rudere: sono le tre pareti prive di tetto dell’antica chiesa di San Calocero, la primitiva parrocchia di Caluso, ancora esistente nel secolo XVI e menzionata in una bolla pontificia intorno al 1170-1175. Non fu un vero e proprio castello, bensì una “cassaforte”, cioè una costruzione militare. La sua mole imponente si stagliava sul colle di San Calocero (Monte Rotondo) e poteva controllare le strade sottostanti, in particolare quella per Ivrea e quella per Vische verso il Vercellese. A costruirlo fu Guido di Biandrate (1224) , che rafforzò anche il circuito delle mura e le porte d’ingresso al borgo. Nel 1316 subentrò al Biandrate nel possesso del feudo di Caluso Filippo d’Acaia, associato dei Savoia (ne era , come il Vaud, un ramo cadetto); questi, nel 1324, con grandiose opere di fortificazione affidate all’architetto Martino di Agliè , cui si deve anche il castello di Malgrate di Rivarolo, fece di Caluso un importante caposaldo del partito guelfo in Canavese. Anche il castellazzo venne rafforzato, tanto da potervi alloggiare una guarnigione di 200 soldati, fatta venire appositamente da Ivrea. Nelle guerre tra guelfi e ghibellini Caluso giocò un ruolo di primo piano; con la sua poderosa roccaforte e le robuste mura costeggiate da un profondo fossato, guardate da porte presidiate, era una spina nel fianco di Giovanni II Paleologo, marchese del Monferrato, uno di punta del partito ghibellino, impegnato in una lunga e sanguinosa guerra (detta del Canavese) contro Giacomo d’Acaia, figlio di Filippo. Giovanni II tentò più volte di espugnare Caluso, inviando i suoi Mercenari guidati da Facino Cane e dal Malerba, ma vi fu sempre respinto. Finalmente, nel giugno del 1349, dopo vari tentativi, alla testa delle sue truppe e accompagnato da uso cugino Ottone di Brunswick, riuscì ad entrare e a porre l’assedio alla rocca. Durante la notte però i capi guelfi elusero l’assedio e si posero in salvo attraverso una breccia. Caluso diventò feudo di Ottone di Brunswick, a cui Giovanni II l’aveva assegnato, fino al 1376, dopo di che passò ai Valperga di Rivara che lo mantennero fino al 1537, anno in cui si insediarono gli Spagnoli, comandati dal generale Cesare Maggi, che smantellò il castellazzo temendo che cadesse in mano ai francesi. Da allora non è mai più stato attivato».
http://www.localport.it/canavese/castelli/castelli_risultato.asp?luogoCAS=Caluso
Cambiano (castello dei Mosi, castello dei Mosetti)
«"I Mosi". (.....) Tra i vari insediamenti medievali disseminati lungo la "via alta" tra Chieri e Santena, mentre Ponticelli pare avere origni altomedievali e Fontaneto fu una località frequentata sin dall'età romana, i Mosi e i Mosetti vennero, apparentemente, costruiti molto tardi, quando già la Repubblica chierese era affermata. Il primo, infatti, compare solo a partire dai Catasti del 1275, come appartenente alla famiglia dei Gribaudi, quindi ritorna negli Statuti del 1311 (=Moxios), nei Catasti del 1327, nella richiesta del Comune di difendere castelli e casali del 1366 (=Moxos) ed, infine, negli Estimi del 1425, dove viene elencato tra i "casales" con il toponimo "Mossios" ed è accatastato tra le proprietà dei Broglia. La sua funzione doveva essere quella di cascina-granaio, fortificata per impedire le razzie, e tale caratteristica mantenne nel tempo, sino al 1748, allorchè entrò a far parte della "contea di Fontaneto", infeudata ai Levrotti. Oggi i Mosi presentano come un edificio monolitico, in pessimo stato di manutenzione, a quattro piani fuori terra serviti da due scale: la prima, sul retro, inglobata nel perimetro dell'edificio, è chiusa, in alto, da un abbaino settecentesco che ne denuncia il periodo di costruzione; la seconda, sul fronte verso la corte, è una tipica scala-torre che termina in un loggiato, anch'esso databile al XVIII secolo (...) Nulla sopravvive che possa testimoniare del casale medievale: tutte le luci sono di fattura moderna. Si deve dedurre, quindi, che i Levrotto operarono delle sostanziali trasformazioni sul fabbricato per adattarlo alle loro esigenze. Interessante, addossato al muro del fronte posteriore, un pozzo ancora parzialmente coperto da un tettuccio in coppi.
"I Mosetti". Tra la casa-forte dei Mosi e quella di Fontananeto (oggi scomparsa e sostituita dalla Cascina Guetto) sorge il "castello" dei Mosetti, un edificio di significativo interesse architettonico, più che storico, che meriterebbe un'accorta opera di restauro per rimuovere alcuni interventi maldestri effettuati negli ultimi decenni. La sua origine, come quella dei vicini Mosi, parrebbe relativamente tarda, non precedente la metà del XIII secolo. Il Bosio sottolinea la sua presenza già nei Catasti chieresi del 1275 e del 1327, quando il bene apparteva alla famiglia dei Gribaldi; tuttavia è significativo che, negli Statuti del 1311 (riportanti norme emanate dal Comune nel secolo precedente), non compaia tra le cascine fortificate destinate a raccogliere il grano che deve essere inviato a Chieri. Solo nel 1366 - con toponimo "Moxatos", e da questo momento in ogni elenco dei casali chieresi - i Mosetti fanno la loro comparsa ufficiale e stabile nella storia locale e seguono il destino dei Mosi, passando, nel Quattrocento, ai Broglia e, nel 1748, ai Levrotto. (...) L'edifico si presenta come una costruzione gotica, confermando i dati sulle sue origini. Il fabbricato storico ha una pianta quadrata con una piccola corte centrale sulla quale si affacciano tre corpi di due piani fuori terra, ed un quarto corpo a tre piani sormontati da un passo di ronda che si apre all'esterno con un loggiato. Al centro del fronte principale una torre quadrangolare sovrasta il portale carraio d'accesso al cortile. Lo schema parrebbe derivato dalle torri-porta dei ricetti e richiama quello di Castelguelfo. Apparentemente la torre è coperta da un tetto ad un solo spiovente, rivolto verso l'esterno, ed anche questa tipologia trova diversi riscontri nel territorio (Corveglia, Castello di Carmagnola). L'interno del cortile conserva, al centro, un pozzo in laterizi con copertura in coppi. Le pareti dell'edificio che si affacciano sul cortile hanno oggi un paramento in mattoni a vista ed una, in particolare, è arricchita da due fasce marcapiano formate da laterizi lavorati simili a quelli delle cornici delle finestre ogivali (un tempo "bifore"). La mancanza di decorazioni e figure geometriche o vegetali e la sola presenza di mattoni con il bordo arrotondato, alternativamente concavo e convesso, fanno pensare ad una costruzione tardo-trecentesca, frutto di un rinnovamento di parte della casa operato negli anni in cui anche Chieri iniziava la grande ricostruzione secondo il gusto gotico. La borgata dei Mosetti, che comprende anche altre cascine, oltre al complesso del "castello", possiede una cappella barocca intitolata a san Rocco».
http://www.gabriellatieghi.org/index.php?mod=15_Monumenti/Castelli (da Guido Vanetti, Chieri e il suo territorio, edizioni Corriere)
CAMBIANO (torre campanaria o torre-porta)
«La torre campanaria (o torre porta), detta anche “porta stellina” è gemella della torre campanaria che, un tempo svettante nei pressi del campanile della chiesa parrocchiale, fu abbattuta nel giugno del 1883; alcuni dei mattoni che la costituivano furono impiegati nelle fondazioni dello stesso campanile. La seconda torre, ancora in piedi, costituiva, con la prima, un accesso al paese in tempo medievale, grazie all’ampio passo carraio, un tempo chiuso da un portone; il tetto aveva orditura lignea e manto di copertura in coppi. Si tratta di una costruzione presumibilmente databile intorno al XIII secolo, anche se fu in seguito rinnovata, aggiungendovi la meridiana e successivamente l’orologio, e ribassando l’originale arco ogivale. Da essa si accedeva alla “piazza” (attualmente via Compajre), l’unica via spaziosa all’interno delle mura. Su entrambe le torri si trovavano le sentinelle, allora dette “scolte” che, al sopraggiungere di un pericolo, avvertivano la popolazione con il suono delle campane e fuochi. Durante il giorno la porta era aperta e attentamente sorvegliata dal “clavario”, un alto funzionario della polizia urbana. ...».
http://www.parrocchia-cambiano.it/StoriaArte_Torre_Campanaria.php (a c. di Elisa Marchiori)
«Il campanile della frazione Campiglia venne ricavato da piccola torre di difesa costruita su masso erratico alto m 4-5 con pareti a strapiombo. La torre era alta tre piani, di forma quadrata con i lati di circa m 4. La sua tessitura muraria è realizzata con pietre tagliate in modo regolare; i cantonali solidi e squadrati sono ben connessi; la malta presenta stilature precise. Una porta a triliti di buona fattura sul lato ovest era l’accesso alla torre. Sul lato sud vi è una finestrella con doppia strombatura. Accanto alla torre sorgeva piccolo castello, di cui non rimane traccia. Una chiesa esisteva nel 1329, ma venne ricostruita nel XVIII secolo».
http://archeocarta.org/valprato-soana-to-torre-campiglia
CAMPO DEL CARRO (torre delle Combe)
«Rientra nella serie delle torri di vedetta e di segnalazione dislocate in luoghi strategici a controllo della valle. La scarsità di dati storici non permette di definirne la datazione che, per analogia, potrebbe essere riferita al XIII secolo. La torre comunica direttamente con quelle di Traduerivi e di Mattie. La muratura è composta da pietre squadrate unite da scarsissima malta, quasi da sembrare apparecchiata a secco ed ha spigoli caratterizzati da lastroni orizzontali. La pianta è quadrata; lo spazio interno è vuoto e privo di copertura ma sono visibili le tracce di orizzontamenti lignei scomparsi. La merlatura di coronamento è in parte occlusa ed in parte crollata ma si riconosce ancora la distribuzione dei grandi merli squadrati, tre per lato. La porta di accesso, definita da stipiti di blocchi lapidei con rozzi capitelli che sostengono un robusto architrave, è collocata sul prospetto nord, in corrispondenza dell´odierno piano di campagna, che probabilmente non corrisponde all´originale; superiormente si trova una bella monofora, con stipiti monolitici sormontati da pietre sbozzate con funzione di capitello, che reggono l´architrave pure monolitico, modellato ad arco. Ai lati, due travi aggettanti dal muro segnalano l´esistenza di una bertesca lignea, ora scomparsa. Una monofora analoga si trova al centro della parete sud, con una stretta feritoia sottostante. La robustezza della struttura lapidea ha garantito la buona conservazione dei paramenti fino alla zona sommitale dove si riscontrano, oltre alla perdita di gran parte del coronamento merlato, antiche riprese murarie. La muratura si presenta per il resto sana e non si notano fenomeni di umidità di risalita nella parte basamentale perché la pendenza del terreno circostante garantisce un corretto smaltimento delle acque. Indicatore di conservazione: stato di conservazione cattivo. La proprietà pubblica della torre potrebbe favorire un intervento di restauro mirato a prevenire i danni del tempo ed a frenare il degrado già evidente con la caduta di materiale che ha inciso sul profilo merlato. Il luogo ha le caratteristiche di belvedere naturale».
Candia Canavese (Castelfiorito, castrum di Candia)
«La località che oggi è conosciuta come Canavese nasce sull’impronta di un antico ghiacciaio lungo un centinaio di chilometri, arrivando a lambire le colline di Cavaglià, Borgomasino, Moncrivello, Mazzè, Caluso, Candia,Vialfrè e Strambinello. Da fonti medievali non si evincono notizie specifiche della costruzione del castrum di Candia, si hanno solo tracce dell’investitura da parte del podestà di Ivrea ai fratelli Guglielmo, Giacomo ed Enrico nel 1205. Nella seconda metà del XIII secolo, Guglielmo VII del Monferrato cerca di sottomettere città e castelli del Canavese e questo costa a lui e ai suoi alleati (i signori di Candia e Castiglione) una scomunica da parte del vescovo. Si apre così un periodo di sfrenata libertà comunale e di contese, dove sono presenti più signori (i Raimondo di Candia, i De Candia, i Galvagno, i signori di Orio, i signori di Mazzè) alcuni appoggiati dal Vescovo alcuni dal Marchese. Nel ’300 finisce la signoria dei San Martino su Castiglione: nuovo oggetto di conflitto diventa la giurisdizione e il castello di Candia. La prima traccia storica del castello è costituita dal richiamo alla concessione del permesso ai signori di Vische per la costruzione di una casa nel castello. Successivamente la prassi si consolidò ed ogni nuovo consignore acquistò una parte del “castello”: nel 1555 le famiglie Provana, Galvagno e altre non espressamente citate possedevano una casa. Nella metà del XVII secolo il gruppo signorile era ormai ridotto a poche famiglie che si ridussero ad una sola nel momento in cui i Birago di Vische acquistarono tutte le quote di signoria. Probabilmente verso la fine secolo i Birago fecero abbattere le vecchie costruzioni cancellando in tal modo la fisionomia del sito in quanto, essendo i soli signori del luogo non avrebbe più avuto ragione di esistere. L’800 è quindi il secolo in cui il castello assume la sua forma odierna: è un secolo in cui viene data importanza alla ricerca storica, a capire come operavano le maestranze nel passato e quali tecniche utilizzavano. Il restauro del castello di Candia si colloca in questa volontà di riportare alla luce l’architettura medievale e si preferisce, ad una rappresentazione strutturale compositiva, una più pittorica e capace di esprimere sentimenti. Forse è rifacendosi a questi restauri, progettati dall’Arch. Carlevaris, che il complesso venne chiamato Castelfiorito. Il castello non appare come costruzione omogenea: in parte è con mattoni a vista, come la torre dalla merlatura ghibellina, avente struttura simile all’antica e originale Torre di Castiglione».
http://www.castelfiorito.com/storia-origini-del-castello
Candia Canavese (palazzo Comunale)
«Documenti antichi del XV secolo raccontano di adunanze della Credenza di Candia nella Chiesa di San Michele. Fin dal XVII secolo la Comunità di Candia possedeva un edificio oggi incorporato nell’attuale Residenza Municipale. Nel XVIII secolo l’edificio era di modeste dimensioni: vi si accedeva dalla porta attualmente utilizzata e ci si trovava immediatamente di fronte ad una ripida scala che, dividendolo simmetricamente, consentiva l’accesso al piano superiore».
http://www.comune.candia.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=31223
Candia Canavese (torre di Castiglione)
«è ciò che resta dell’antico castello che dominava sopra il borgo di Castiglione, si raggiunge con una camminata di circa 15 minuti attraverso una vecchia stradina lastricata che passa attraverso una fitta boscaglia, la strada che serve per raggiungere la vecchia chiesa di Santo Stefano. La torre è di proprietà della famiglia Pachiè e negli anni ’70 è stata completamente restaurata. è quasi totalmente costruita in mattoni, ad eccezione della parte inferiore che è in pietra. Non è aperta al pubblico».
http://www.albyphoto.it/articoli/candia-canavese
Candiolo (castello di Parpaglia)
«Cascina e Castello di Parpaglia. Anticamente questa cascina col castello era pure feudo dell 'Ordine di Malta e semovente dal suo diretto dominio, ed i primi Signori che la tennero, cioè i Revigliasco e Parpaglia erano Commendatori della prefata religione e pare la tenessero dalla stessa. Nel 1636 fu impugnata dall'Ordine la sua riduzione a mani regie e ancora nel 1788, quando si accese la lite tra la religione e il signor Stefano Campana affittavolo della Commenda Magistrale di Stupinigi, i Gran Priori si appellavano "Signori principali di Parpaglia", quantunque in quell'epoca lo fossero più di nome che di fatto. I primi che tennero per quanto si ricordi detto castello e cascina furono, come dicemmo, i Revigliasco, indi passò ai Parpaglia che erano un ramo dei prefati signori (dall'albero genealogico proveniente dal Conte Bianco di San Secondo di Pinerolo). I Parpaglia (Cavalieri di Malta) erano non solo signori di detto luogo, ma ancora di Bastia, Bobbio, Borgaro, Celle, Luserna, Ozegna, Revigliasco, S. Marcel, San Giorgio, S.Secondo di Pinerolo, Stroppiana, Torre Pellice. Più tardi il castello di Parpaglia divenne feudo dei Valentino, dei Gallinati col titolo di conte, e poi lo ebbero con titolo signorile i Piossaschi di None e gli Orsini di Rivalta. Passò quindi al marchese Perrachini Bonaventura di Cigliano che stipendiava un cappellano per la messa quotidiana. Nel 1760 detto marchese vendette il castello, case e cappella, con tutti i beni mobili ed immobili (528 giorn.) a favore del Regio Patrimonio per L. 150.000. Nel 1800 i beni dell'Ordine furono dal governo francese dichiarati nazionali e si assegnò un reddito all'Ospedale. Dal governo comperò la cascina di Parpaglia un certo Agnelli Pietro, e il 14 Gennaio 1852, dietro regio decreto, l'Ordine Mauriziano l'acquistò dal suddetto aggregandolo alla Economia di Stupinigi. Annessa all'area vi è anche la cappella Parpaglia. Oggi il Castello è di proprietà della Regione, è in cattivo stato di conservazione, ma seducente. Nel 2011 è stato incluso in un progetto di recupero. Da una idea nata nel 2015 in Pro Loco e sostenuta dal Politecnico, Facoltà di Architettura, sono stati sviluppati interessanti progetti presentati e conseguentemente inseriti in un Libro dal titolo Learning from Heritage, stampato dal Politeccnico di Torino. Il testo, (disponibile) sintetizza gli 8 progetti frutto di un lavoro svolto dagli studenti di architetura, per uno sviluppo sostenibile del Castello e della Cascina Parpaglia, situati nel Parco di Stupinigi sul territorio Candiolo».
http://www.prolococandiolo.com/fabbricati.html
«Il Palazzo Comunale, classico palazzotto d'epoca con balconata, si trova a ridosso della piazza centrale, Piazza Sella. In passato fu usato, in condivisione, come Scuola Elementare intitolata a "S.A.R. Principe di Piemonte". Ha a ridosso una torre campanaria del XV secolo (Torre Civica, in cui l'unica campana è ancora attiva), con la caratteristica forma di portale d'accesso conficcato tra vecchie mura. Sulla torre spicca una pregevole meridiana, riportante una curiosa dicitura, forse scritta in un misto di "franco-piemontese" (probabilmente a ricordo della presenza di truppe francesi al tempo del loro dominio). Oggi è adibita a sede per varie Associazioni locali e della stessa Pro Loco» - «La Torre Campanaria rappresenta il più antico tra i beni architettonici attualmente visibile nel Comune di Candiolo e che sono sopravvissuti al tempo e alle vicende storiche del paese. La sua costruzione viene fatta risalire all'inizio del XII secolo, quando il paese era in mano ai Cavalieri di san Giovanni, poi diventati Commenda di Malta (ordine sovrano che esercitò la sua giuridisdizione su Candiolo dal 1926). In origine la Torre ospitava sotto l'attuale arco il ponte levatoio che permetteva l'accesso al "recinto fortificato", cuore politico e religioso del borgo sotto i Cavalieri e successivamente con la Commenda. All'interno del recinto si svolgeva la vita dei candiolesi e qui si trovano le sedi del potere religioso e di quello temporale: la chiesa, anticamente dedicata alla Madonna della Spina, e i due castelli dell'Ordine, Castel Vecchio e Castello Nuovo. Per tutto il Medioevo e fino al 1800 la Torre continuò a svolgere la sua funzione di ingresso al ricetto della Commenda. Dopo il 1800 vennero abbatture le mura dell'ormai vetusto ricetto, venne eliminato il ponte levatoio e l'antico fossato fu riempito ma la torre, ancora in buone condizioni, sopravvisse. Negli ultimi due secoli di storia, questo simbolo del Comune di Candiolo ha subito vari interventi in base al suo utilizzo; in particolare nel corso degli anni diverse porzioni delle aperture sono state tamponate e gli archi che davano anticamente accesso al recinto sono stati chiusi. La Torre campanaria è stata restaurata inizio anni 90».
http://www.prolococandiolo.com/fabbricati.html - http://artbonus.gov.it/117-27-torre-campanaria.html
«Sito in Frazione Cantogno, il Castello rappresenta una delle costruzioni più antiche di Villafranca di cui oggi, purtroppo, restano soltanto alcuni resti. Sono ancora visibili l'arco del vecchio ponte levatoio e alcuni affreschi interni risalenti ai primi decenni del 1200. Le tre figure rappresentano il crocifisso, San Pietro e San Paolo (il grave deterioramento permette appena di individuare le figure dei due santi mentre quella del Crocifisso è la meglio conservata)».
http://www.comune.villafrancapiemonte.to.it/viewobj.asp?id=1436
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
CAREMA (Gran Masun, palazzotto Ugoneti)
«La Gran Masun. è una massiccia casaforte di epoca altomedioevale, la cui presenza denota l’esigenza difensiva del borgo di Carema. E’ una costruzione in pietra che rispecchia un’architettura di tipo comacino-ticinese. Secondo la tradizione vi aveva sede il presidio militare e vi si amministrava la giustizia: sulla casa infatti domina una torretta, probabilmente di vedetta, e il sotterraneo fu forse l’antica prigione, di cui pare esista ancora una botola ( trabocchetto) per i casi di sommaria giustizia medioevale. Vi è inoltre un’ampia cantina che veniva utilizzata per la conservazione del vino. Le finestre, piccole, munite di inferriate e architrave a cuspide, sono sostenute soltanto da pietre squadrate e senza cemento. Sulla facciata, sotto l’ultima finestra in alto, è visibile uno stemma sabaudo con quattro diversi disegni; sotto il cornicione si notano resti di sculture e di altri stemmi. Il Palazzotto Ugoneti. Era la sede “urbana” della potente famiglia nobiliare degli Ugoni o Hugoneti, feudatari di Carema, che avevano diritto di pedaggio sul passo della Bardeisa, situato nella zona in cui possedevano un altro castello denominato Castruzzone da “Castrum Ugonis” ( di questo oggi non rimangono che alcuni ruderi sopra la frazione Airale). Alla massiccia costruzione in pietra, probabilmente di impostazione tardo-romana, si accede da un oscuro portico ad arco e attraverso un portone in legno; all’interno una scala a chiocciola in pietra collega i piani fino al solaio; sul tetto troviamo una torre, certo di vedetta poiché il palazzo fu probabilmente anche sede di guarnigione».
http://www.comune.carema.to.it/turismo-cultura-e-sport/da-visitare/165-il-borgo
«Fino al 1544, Carignano era un borgo fortificato di tutto rispetto. La sua posizione al confine tra le terre del ducato e quelle poste sotto l’influenza del regno di Francia, la rendevano da un lato preziosa per la difesa degli stati dei Savoia e dall’altro appetibile ai nemici, per la penetrazione dell’esercito sino a Torino. Dai documenti, si deduce che Carignano era circondata da mura, e possedeva vari sistemi di difesa: rivellini, bastioni, porte con ponti levatoi, forti e caserme, torri di avvistamento. Possediamo due interessanti descrizioni del borgo fortificato, una a cura del segretario comunale Agosta, l’altra dello storico Della Chiesa. Il notaio Giuseppe Agosta, segretario del Comune di Carignano, scrisse all’Intendente Generale Sicco d’Ouvrano nel 1752, dicendo che Carignano era "Città ridotta in presidio e piazza fortissima, stata, spettatrice di sanguinose battaglie... vittrice di lunghi e disastrosi assedi... stati, detti presidio e piazza, dall’ingiuria dei tempi andati, dalle violenze delle guerre, incendi ed altre strane avventure ridotto alla rovina e scemato di quel lustro che per più secoli aveva nodrito, non vedendosi più cos’antica di considerazione in essa città, alla riserva di alcune vestigia di fossi che servirono di antemurali alla medesima e due portoni, con quattro torri dette delle guardie, esistenti una in città la quale di presente serve alla Parrocchiale da campanile, e le altre tre sulla fine di essa chiamate una del Marghiccio, altra di Valsorda e l’altra del Ceretto, i quali fossi, torri e avanzi di Bastioni ora annientati"...
Il Della Chiesa scrisse invece: "Carignano... che ha in mezzo una spaziosa piazza attorniata da portici, e per grandezza, per magnificenza di fabbriche e per nobiltà di alcune sue famiglie non invidia a molte città, era cinta da muraglie, di fosse, di bastioni; ma dopo la rotta di Ceresole ricevuta da Spagnoli nel 1544 fatta preda del vincitor francese Francesco di Borbone duca d’Enghien e resa bersaglio di miliari furori, pagò la pena d’aver servito ai vinti nemici, col patir lo spoglio delle sue muraglie e dell’altre sue fortificazioni. Nel furor dei soldati solo illeso si conservòil suo castello, compassionato forse per la sua bellezza"... Un importante documento, che testimonia le difese di Carignano verso la metà del XVI secolo, è costituito da un disegno contenuto nell’Atlante di piante militari, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Il disegno, ad acquerello, dovrebbe riferirsi alla celebre battaglia del 1544, visto che sono rappresentati movimenti di truppe tra Carmagnola e Ceresole. La cinta muraria di Carignano è raffigurata con tre porte, e da alcune torri; è delineato la struttura del castello, con le torri rotonde. Dalle mura si diparte la linea dei bastioni, che comprende un ampio territorio suburbano ad ovest e a nord del concentrico. Sono delineati alcuni forti (S. Bernardo, S. Lazzaro e uno nella zona verso S. Rocco). La chiesa di S. Martino è chiusa da trinciere. Presso la sponda destra del Po sono identificabili la torre di Forte Passo e la casaforte della Gorra.
Le mura. Nella tavola del Theatrum Sabaudiae..., stampata nel 1683 ma incisa nel 1666 circa, sono ancora percepibili tracce delle antiche mura che difendevano il borgo medioevale. Secondo gli storici, il primo borgo fortificato era già difeso da mura, ma il perimetro è difficilmente identificabile: è probabile che esse difendessero l’Isola di San Giovanni, ponendo ai limiti il castello, come nella maggior parte dei borghi piemontesi. Questa prima cerchia di mura fu ampliata forse nel XIV secolo, in concomitanza con l’espansione dell’abitato lungo le due nuove direttrici viarie, corrispondenti alle odierne Via Frichieri-Via Vittorio Veneto e Via Savoia. Una parte del perimetro è ancora intuibile esaminando la disposizione delle attuali abitazioni, in Via Torre e in Piazza Carlo Alberto: le regolare disposizione delle facciate sarebbe riferibile alla presenza delle fortificazioni, fatte abbattere, per la quasi totalità, dai Francesi, che occuparono Carignano dopo la disfatta ispano-sabauda del 1544 (Ceresole). Un buon tratto di mura è venuto alla luce durante i lavori di recupero dell’Ex Lanificio Bona&Delleani, nel 1995: oggi, una parte delle poderose mura di difesa è visibile nel parcheggio sotterraneo. Particolarmente interessante è il tratto iniziale di Vicolo Annunziata (partendo da Via Borgovecchio): la linearità della stradina indicherebbe la presenza della cosiddetta lizza, il cammino di ronda riscontrabile lungo le mura di molte città fortificate. In alcune città, come Torino (la lizza corrisponde all’odierna Via Eleonora Duse), questa struttura, dalla sezione molto larga, serviva anche per compiere corse di cavalli, in tempo di pace, o per spostare carri e armi pesanti. A Carignano è più probabile che fosse una semplice misura difensiva: gli assedianti, se riuscivano a superare le mura, si trovavano chiusi in trappola, rinvenendo di fronte un altro tratto di mura o edifici da cui gli assediati eseguivano un fitto lancio di dardi o proiettili».
http://www.carignanoturismo.it/files/fortificazioni.pdf
«In città esistevano varie casetorri, utilizzate dalle famiglie nobili come vere e proprie fortezze, a difesa del patrimonio familiare ma anche della propria supremazia. Ne restano alcune: una è in Via Savoia, un’altra in via Cara de Canonica, inglobata nell’edificio signorile appartenuto ai Provana di Collegno.Inoltre, a difesa del borgo contro le incursioni esterne, esistevano delle torri di avvistamento. Il quadro della Madonna del Rosario, conservato nella chiesa di Nostra Signora delle Grazie, ci offre una panoramica dettagliata di queste strutture difensive. Delle antiche torri cittadine, una solamenteè ancora in piedi: la cosiddetta torre di Po Morto (o torre Civica), che potrebbe essere la costruzione fatta innalzare nel 1229 dai marchesi di Romagnano, consignori del luogo, con il concorso del vescovo di Torino, a difesa del borgo dagli attacchi delle repubbliche di Asti e Chieri. Questa Torre era circondata da un Fortaricio, eretto su indicazioni dell’ingegnere militare Ascanio Vittozzi: le vestigia di queste poderose opere sono ancora visibili. Fino al 1932, la torre funse da torre campanaria della parrocchiale. Fuori del concentrico, sono citate dai documenti altre tre torri: quella del Ceretto, quella in regione Valsorda, e quella del Marghiccio. La torre del Ceretto, posta probabilmente all’ingresso dell’omonima borgata, è citata in un documento del dicembre 1592: "I sindaci e consiglieri hanno ordinato che si facciano le guardie sopra la torre del Ceretto e sopra la torre del presente loco (Carignano o Valsorda?) eleggendo per capo sopra la torre del Cerreto Benedetto Moresco quale habbi autorità di compelire tutti li particolari habitanti al Cerreto, Campagnino, Brilando, Bagnolo et altri tutti circonvicini di ritrovarsi ogni notte tre persone di guardia; et di giorno, sopra la torre del presente loco... e dar segni secondo saranno ordinati, o con colpo degli archibugi o con altri segni". Spesso, il Comune interveniva lagnandosi perché i capifamiglia inviavano a guardia garzoni di servitù, incapaci d’attendere all’importante servizio di guardia. Per quanto riguarda la torre di Valsorda, essa era nota anche come torre delle masche, in quanto si riteneva che le streghe si dessero convegno sotto la sua alta mole. È l’unica struttura di avvistamento, posta fuori delle mura, ancora in piedi. Lo storico Giacomo Rodolfo la faceva risalire al 1100: nei dintorni furono ritrovati numerosi frammenti di vasellame e terrecotte altomedioevali. La torre del Marghiccio o di Madama, distrutta alla fine del XVIII secolo, era posta probabilmente tra la cascina Fortepasso e Borgocornalese, quindi al confine con Carmagnola, territorio controllato dal Regno di Francia».
http://www.carignanoturismo.it/files/fortificazioni.pdf
«Il nome di Carmagnola viene citato per la prima volta nel 1034 in un documento col quale Rodolfo, abate della potente abbazia benedettina di Nonantola, nel Modenese, si accordò con i conti di Pombia, famiglia arduinica del Novarese, per uno scambio di beni e di terre, fra cui anche il territorio di Carmagnola. I marchesi di Romagnano e i discendenti di Bonifacio del Vasto – poi Marchesi di Saluzzo – si contesero la signoria di Carmagnola e delle sue terre, con alterne vicende sino all’inizio del XIII secolo quando Manfredo II si assicurò l’intero potere politico e giurisdizionale. Manfredo II, consapevole dell’importanza strategica del sito di Carmagnola, come avamposto del marchesato verso la pianura padana, nel 1203, diede inizio alla costruzione del castello con un primo sistema di difesa esterno con fossati e palizzate. Nel 1226 il castello fu collegato alla cerchia di mura di forma quadrangolare che racchiudeva l’odierno centro storico ed era dotata di tre porte sui tre lati, essendo il quarto occupato dal castello. Dall’inizio del XIII secolo e sino alla metà del Cinquecento (fatto salvo il periodo fra il 1375 e il 1410 di dominazione francese) Carmagnola, pur vivendo nel clima culturale e internazionale della raffinata corte del Marchesato di Saluzzo, fu soprattutto una roccaforte militare e perciò venne coinvolta nelle guerre e scontri armati con gli Acaja, i Savoia, i marchesi del Monferrato, i Visconti di Milano, gli Spagnoli e i Francesi che, intorno alla metà del ‘500 distrussero parte del castello. Nel 1588 fu conquistata dalle truppe di Carlo Emanuele I e Carmagnola entrò nell’orbita del Ducato di Savoia seguendone le vicende. Era stata costruita una seconda cerchia di mura, a poca distanza da quella medievale, con bastioni e fossato, ma fu poi completamente smantellata nel 1692.
Il castello nel 1682 aveva una pianta quadrangolare con quattro corpi di fabbrica a due piani fuori terra disposti intorno ad un cortile interno, circondato da una cortina muraria, con quattro bastioni angolari e fossato. Buona parte delle fortificazioni del castello fu messa all’asta e venduta nel 1701 ai Padri Filippini che costruirono la chiesa di San Filippo con parte dei materiali ricavati dalle strutture; trasformarono la parte residua del castello in convento: abbatterono un lato delle fortificazioni, aprirono grandi finestre al piano terra e porte-finestre con balconi al primo piano e trasformarono la torre di guardia in campanile. Nel 1863 l’intero complesso fu acquistato dal Comune che, in seguito ad altre trasformazioni, adibì il Castello a Palazzo Comunale. L’edificio conserva ancora dell’originario impianto medievale il paramento murario visibile soprattutto sul lato verso i giardini pubblici: sono visibili cornici in cotto, fascia marcapiano a dentelli e la merlatura in parte tamponata. Un porticato con grandi archi a sesto acuto si affaccia sul cortile interno. La quattrocentesca torre di guardia a base quadrata, termina con una piccola cella campanaria di epoca successiva. All’interno della torre, visitabile in particolari occasioni, una piccola cella un tempo adibita a prigione. Una bassa torre circolare, coperta da un tetto, sorge verso l’asilo Ronco, di poco staccata dal castello; probabilmente aveva funzioni difensive complementari».
http://archeocarta.org/carmagnola-to-castello-ed-edifici-medievali/
CARMAGNOLA (palazzi medievali, torre della Musica)
«Casa Borioli (sec. XV). Al n.1 di P.zza S. Agostino e quindi all'angolo con via Valobra, si trova Casa Borioli, edificata nel XV secolo, ma sottoposta negli anni a diversi interventi edilizi che ne hanno compromesso l'aspetto originario. Memorie gotiche sono le due grandi cornici di finestre ad arco acuto, realizzate con formelle in cotto di raffinatissima fattura ad arco acuto, l'una sulla facciata verso piazza S. Agostino, l'altra su via Valobra, entrambe all'altezza del primo piano. Al piano terra, la Casa Borioli è aperta da un portico a quattro campate con volta a botte e gli archi dei portici, a sesto acuto, che poggiano su robusti pilastri leggermente scarpati. Meno rilevante, in termini storico-artistici, la porzione di isolato rimanente, anch'esso tuttavia aperto, al piano terreno, da due arcate di portici. ... Casa Cavassa (sec. XV). Palazzo nobiliare del XV sec. fatto costruire da Enrico Cavassa, la cui famiglia si innalzò alle prime cariche politiche del marchesato di Saluzzo. Straordinario e ricchissimo il suo apparato decorativo, sia a livello architettonico che ornamentale e pittorico. ... Casa delle Meridiane o Casa Piano (sec. XV). Palazzotto signorile edificato nel 1499 e dal 1551 appartenuto alla famiglia Cavassa. La facciata presenta uno straordinario complesso di affreschi realizzati negli anni 1555-1557 concepito in funzione dei quadranti solari che vi sono inseriti. ... Torre della Musica (sec. XVIII). Un posto a parte nel panorama di edifici storici di Carmagnola è da riservare a quella che è detta "Torre della Musica", sede della ormai storica "Società Filarmonica". Fondata ufficialmente - come è scritto nella targa posta all'ingresso dell'edificio - nel 1837, anche se, in realtà, la sua data di nascita deve essere anticipata di qualche decennio, almeno al 1778 quando è già testimoniato un "Collegio Filarmonico". L'attuale sede - un palazzotto cinquecentesco, al numero 10 di via Giacinto Carena - venne acquistata dalla "Società Filarmonica" nel 1894. L'edificio è caratterizzato da una alta e robusta torre, di struttura compatta, ma snellita e ingentilita con l'apertura, nell'ultimo piano, di una loggia a tre ampie arcate, secondo una tipologia architettonica abbastanza diffusa in edifici nobiliari cinquecenteschi. All'interno si può ammirare la grande sala della Scuola Musicale con un bel soffitto a cassettoni del '500, e lo storico stendardo della società con il suo ricco medagliere per riconoscimenti e premi ottenuti nel corso della sua attività artistica».
http://www.comune.carmagnola.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=21683 - ...2569 - ...2562 - ...21682 -
Casalborgone (castello dei Radicati)
«La prima attestazione scritta di un insediamento nell'attuale territorio di Casalborgone risale a un diploma, redatto il 7 maggio 999, con cui il vescovo di Vercelli ottenne dall'imperatore Ottone III, oltre ai possedimenti confiscati ad Arduino d'Ivrea, la conferma di altre località, alcune situate nell'area collinare a sud del Po, già precedentemente concesse all'episcopato vercellese. Fra queste, con Radicata, Radicatella, luoghi scomparsi nei pressi di San Sebastiano Po, viene menzionata Trebledo. Sorgeva sulle rive del torrente Leona nell'odierna parte orientale del comune di Casalborgone, come conferma il nome della chiesa del cimitero (S. Maria Trebea), edificata proprio in quest'area e un tempo antica parrocchia, che ha tramandato nei secoli il toponimo dello scomparso abitato: Trebea. L'esistenza di un abitato, su un percorso stradale collegato alla città di Industria (Monteu), è testimoniata nel I secolo d.C. da alcuni ritrovamenti archeologici dei quali il più cospicuo è l'epigrafe sepolcrale dedicata dai figli al seviro Terzo Bresio, rinvenuta a cascina Gallo in Val Caramellini e registrata in una scheda manoscritta da Gian Tommaso Terraneo nel 1770. In una pergamena del 1265, conservata a Chivasso, si usa per la prima volta il toponimo Casale Bergonis. L'abitato certamente era sorto già prima dell'anno Mille, sulla sommità del colle che domina la valle, come conferma il nome dialettale rimasto al centro storico di Casalborgone "'il Leu", vocabolo derivato dal latino locus attribuito a partire dal X secolo ai piccoli villaggi rurali. Era un agglomerato di capanne circondate dai ricoveri per i raccolti e i recinti per gli animali che, proprio per queste caratteristiche, come molti altri centri delle nostre campagne prese ad essere chiamato "casale", aggiungendovi il nome proprio del suo presunto proprietario - Bergo-Bergonis - latinizzazione di un nome di origine germanica, ormai in disuso, tramandatosi dai tempi delle occupazioni gote e longobarde. Dovranno trascorrere altri secoli prima che sorgano il castrum planum, il castello e il centro incastellato. Un'errata pronuncia cittadina trasformò nei secoli la dizione "Casale di Bergone" in Casalborgone che divenne il nome ufficiale del paese.
Agli inizi del '200 a Trebea possedevano beni e diritti signorili (concessi dal marchese di Monferrato, al quale il luogo era stato confermato da Federico I nel 1164), domini che portavano il nome del luogo: signori di Tribia. Ma già erano insidiati da un altro gruppo familiare forte e agguerrito che, acquistata rapidamente potenza politica ed economica, prese il sopravvento. Erano i Cocconato, signori del luogo omonimo, anch'essi vassalli del marchese di Monferrato, documentati a partire dal 1148 in posizioni di rilievo presso il vescovo e il comune di Vercelli e il vescovo di Asti. Da un documento dell'anno 1224 è attestata l'esistenza a Trebea, (contemporaneamente ai signori di Tribia detentori di diritti giurisdizionali), di un castello - con diritti su parte del pedaggio e di "albergaria" - appartenente per metà ai comites di Cocconato che condividevano il territorio con i signori dei luoghi di Tonengo, Aramengo, Monteu da Po legati da intrecci parentali ed economici. A queste famiglie signorili e altre vicine geograficamente ove detenevano possedimenti, si unirono i signori di San Sebastiano che avevano ottenuto il titolo comitale e i beni dei signori di Radicata scomparsi dai documenti dopo il 1178. Alla metà del XIII secolo, formarono un consortile, la domus hospicium Radicate, e presero a chiamarsi signori di Radicata. Tale titolo soltanto dal XVI secolo assumerà la forma cognominiale "Radicati". Nel 1277 è documentato che i Cocconato possiedono l'intero castrum Bergonis sive Trebea e il termine "castrum", che ha soppiantato nei documenti il termine "casale," ci fa comprendere che era avvenuto l'accentramento nel "castrum planum" dei piccoli abitati rurali sparsi, per vicendevole soccorso nel ricetto sotto l'ala protettrice del castello. I minuscoli abitati di Pinerano, Placibello, Lifengo, San Siro e Monteregio, scompaiono. I signori di Tribia si sono trasferiti a Chieri, scompare anche Trebea e si perderà nell'oblio. Dal XIV secolo sarà citato unicamente il nome della sua chiesa nei documenti ecclesiastici.
Nel corso del XIII secolo l'ascesa politica degli esponenti del Consortile di Radicata è travolgente, occupano importanti cariche presso la corte dei marchesi e le curie diocesane di Ivrea e di Asti e, con Ottone di Tonengo e Uberto di Cocconato, nella curia cardinalizia di Roma. Guidone di Cocconato, figlio di Alemanno, già nominato vicario regio di Parma, fu il primo signore di Casalborgone ad essere definito comes Radicate in un documento stipulato a Casorzo nell'anno 1305 e ottenne dall'imperatore Enrico VII, il 28 dicembre 1310, il riconoscimento del titolo comitale con conferma dei diritti e beni goduti dalla famiglia in Casalborgone e venti altre località. Enrico di Cocconato, fratello di Guidone, e la moglie Isabella che finì la sua vita nel "Leu" nei primi decenni del XIV secolo, ebbero diritto di riposare nel sepolcro di famiglia, nel chiostro della canonica di Vezzolano fondata nel 1095 dagli antichi signori della scomparsa Radicata e di San Sebastiano. Per oltre quattro secoli si succedettero in Casalborgone i Cocconato del consortile di Radicata, sempre cercando di non soccombere alle mire espansionistiche dei più potenti vicini: i conti di Savoia, il marchese di Saluzzo, i Visconti, alternando ostilità e alleanze, lo stesso marchese di Monferrato tenterà di sottometterli. Già nel 1338 Bonifacio di Cocconato, signore di Casalborgone, dopo aver giurato fedeltà a Giacomo d'Acaia per cautelarsi contro le pretese del marchese di Monferrato su quanto possedeva in dicto loco Castri Bergogni, si trovò a dover fronteggiare Amedeo VI di Savoia il "conte verde" nel frattempo alleatosi con Galeazzo Visconti.
Il castello fu occupato ora dal conte di Savoia in guerra con il marchese di Monferrato (1361), ora dal marchese di Monferrato il quale, alleato con il sabaudo, nel 1431, occupò per rappresaglia il castello e le terre di Giovanni di Casalbergone. Con il Savoia che premeva e spadroneggiava ai confini e il marchese di Monferrato che voleva sottometterli, sentirono l'esigenza di porsi sotto la protezione di un potente, fu così che tutti i signori del Consortile di Radicata, nell'anno 1369, fecero aderenza ai Visconti e poi agli Sforza di Milano. Ma il conte di Casalborgone, particolarmente esposto agli attacchi e invasioni del duca di Savoia che già aveva ottenuto tutti i diritti su Chivasso e Verolengo, anziché essere sottomesso e le sue terre occupate ritenne preferibile, nell'anno 1446, stipulare con lui accordi e una convenzione con condizioni che agevolavano i commerci. Nel 1503 l'imperatore Massimiliano sottomise i signori del Consortile di Radicata al genero Filiberto II duca di Savoia, concedendogli l'investitura di tutti i feudi. Ma, alla morte di Massimiliano, tutti i signori del Consortile di Radicata, che mai smisero di lottare per la libertà, riottennero la loro indipendenza, castelli, feudi e diritti dall'imperatore Carlo V nell'anno 1530. Però il conte Ranieri di Casalborgone, unico di tutti i signori del Consortile di Radicata, aveva già nel 1504 reso omaggio di fedeltà per castello, villa, ricetto e giurisdizione su Casalborgone al duca di Savoia, il quale ne investì Giovanni e Alamanno, figli di Ranieri. ... Il castello e il titolo di conte di Casalborgone, per il prematuro decesso dell'ultimo discendente dei Broglia, Mario Carlo, morto a Villa Nueva di Lima il 17/4/1896, passarono in successione ereditaria per via materna al nipote Ferdinando Morozzo della Rocca, nominato conte di Casalborgone nell'anno 1902. Ne fu l'ultimo conte non avendo avuto discendenti. Il conte Morozzo, in occasione del matrimonio, aveva fatto integralmente restaurare gli appartamenti del castello che fu infine venduto dai suoi eredi nel 1970 ed è tuttora di proprietà privata».
http://www.comune.casalborgone.to.it/ComStoria.asp (testo di M. Grazia Maistrello Morgagni)
Casalborgone (ricetto del Leu)
«Su un poggio dominato dalla massa quadrata di un castello, le cui strutture più antiche risalgono all'XI secolo, sorge l'antico abitato di "Leu" (che significa "luogo"). Il castello, con la sua mole posta su un alto zoccolo collinare e sostenuta da muraglioni, fu edificato sui resti della Torre dei Radicati, che dominarono la zona dal Duecento alla metà del Cinquecento. Dopo vari passaggi di proprietà, il castello fu acquisito e rimodellato nel XVII secolo dai conti Morozzo della Rocca. Percorrendo il sentiero che costeggia i giardini del castello, chiamato "il sentiero della processione", la vista spazia da Castagneto Po e San Sebastiano Da Po fino ai colli monferrini, dove si scorgono cappelle campestri e antiche cascine. Intorno al maniero nel medioevo si formò un ricetto murato di forma ovale, di cui si conservano diverse strutture: i ruderi di una piccola torre (la "turiela" o torricella), la torre-porta di ingresso del XVI secolo e, a sud di questa, un'area residenziale che fu dotata di difese perimetrali nel 1471, di cui resta una torre cilindrica. Sulla piazza a forma trapezoidale si affacciano l'antica Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Maddalena, la Chiesa della Santissima Trinità e il Municipio Vecchio. La Parrocchiale, con l'incombente facciata in cemento costruita nel 1894, sorge su un impianto cinquecentesco. La struttura ha subito molteplici trasformazioni nel corso dei secoli, che ne hanno determinato l'attuale forma a tre navate. La Chiesa della Santissima Trinità, eretta nel 1711 e sede della Confraternita della Santa Croce, ha pianta ellittica e facciata in mattoni, di disegno tardo barocco con semplice sagrato di scalini. Il vecchio Municipio, risalente al Cinquecento, fu sede del Comune dal Seicento fino al 1957. Ancora oggi è possibile osservare l'antico stemma comunale sulla facciata del Municipio».
http://www.parcopotorinese.it/pun_dettaglio.php?id_pun=959
Caselette (castello dei conti Cays)
«Sorge tra i bacini della Dora Riparia e il torrente Casternone, ai piedi del monte Musinè. Le prime tracce di insediamento nella zona sono costituite dai resti di una villa romana del I secolo a.C., emersi nel corso delle campagne di scavo condotte dall’Università di Torino a partire dal 1973. Il castello di Caselette è uno dei più antichi della Valle di Susa; nel XVIII secolo divenne proprietà dei conti Cays e la sua struttura venne modificata, adattandola alla funzione residenziale. All’XI secolo risalgono il castello di Camerletto, sorto come abbazia dipendente da quella benedettina della Novalesa e riedificato nella prima metà del XVIII secolo, e la chiesa di San Giorgio, patrono del paese, primo nucleo dell’attuale parrocchiale. Una figura di spicco nella storia del paese del XIX secolo è rappresentata dal conte Carlo Cays, sindaco della città e deputato al parlamento subalpino, artefice di diversi interventi di pubblico interesse. A lui si deve, per esempio, la ristrutturazione del santuario di Sant'Abaco (1855), con la costruzione delle cappelle della Via Crucis».
http://www.piemonteitalia.eu/it/comuni/dettaglio/442/torino/caselette.html
Caselette (castello di Camerletto)
«Costruito prima del X secolo, alle falde del Monte Musiné e all'imbocco della Valle di Susa, Il castello di Camerletto, Grangia fortificata dell’Abbazia della Novalesa, è stato testimone del passaggio della storia nelle sue mura. I primi documenti risalgono a prima dell’anno Mille e confermano la proprietà del castello all’Abbazia, dopo un periodo di abbandono dovuto alle scorrerie saracene. Le fondamenta sono forse molto più antiche: il ritrovamento nel 1700 di un campo di urne durante lo scavo della bealera nelle vicinanze, fa pensare a un sito o a un castelliere gallico a guardia della strada principale della valle e il primo nome del castello “Castrum Merletum” ci rimanda a un accampamento militare romano. La grangia fortificata si occupava dello sfruttamento agricolo di un ampio territorio intorno al castello, che si estendeva sino alla collina morenica di Rivoli. Nel XVII secolo fu affidata dai Benedettini della Novalesa ai Cistercensi Riformati, chiamati Foglianti, responsabili dell’ attuale sobrietà della struttura architettonica. All’inizio del XIX secolo divenne proprietà della famiglia Ferrero Ponsiglione conti di Borgo d’Ale, di cui rimane il ricordo nello stemma gentilizio recuperato sulla volta dello scalone principale. Alienato ai Missionari della Consolata, che lo trasformarono in seminario e scuola artigiana, da metà degli anni 50 appartiene alla famiglia Paschero che con entusiasmo e passione si sta occupando del suo recupero. La lunga storia del castello, caratterizzata da periodi di ampliamenti e da momenti di distruzione nei vari conflitti, è responsabile della stratificazione architettonica dell’immobile che lo rende particolarmente originale ed interessante».
http://www.castellodicamerletto.it/storia.html
«Il castello di Castagneto è una imponente villa-castello dalla vita piuttosto travagliata, poiché venne distrutto e ricostruito più volte nei secoli, a causa dei numerosi scontri che lo videro protagonista come oggetto di conquista (la posizione strategica lo rendeva decisamente importante per i governanti) o di vendetta. Attualmente, il Castello è dimora privata della famiglia Bruni Tedeschi, che da alcuni anni lo ha reso sede di mostre ed eventi di particolare interesse artistico. è grazie ad Alberto Bruni Tedeschi, imprenditore di livello internazionale, collezionista d'opere d'arte e musicista (fu Sovrintendente del Teatro Regio di Torino per 14 anni ed è sempre grazie a lui che il teatro venne ricostruito in seguito all'incendio del 1936). La struttura dell'edificio, che presenta linee neogotiche derivate dal suo ultimo architetto, Ernesto Melano, lo pongono per bellezza e importanza al pari di altri importanti luoghi del Piemonte, come il Borgo Castello nel parco di La Mandria a Venaria (TO), il Castello di Pralormo, il Castello Reale di Racconigi, ecc. La famiglia Bruni Tedeschi è comunque la proprietaria che più ha fatto per il Castello: l'ing. Alberto Bruni Tedeschi intraprese i lavori di rinnovamento più imponenti nella storia dell'edificio, durati circa 30 anni, durante i quali fece costruire l'impianto di riscaldamento, installare ascensori, aggiungere cucine e servizi. Lo fece abbellire con boiseries, pavimenti in marqueterie, nuovo mobilio, nuovi quadri e statue. Fece anche restaurare i numerosi affreschi presenti nelle sale. Il parco del Castello, particolarmente affascinante sia per la parte più ripida sul versante della collina castagnetese che per la parte in classico stile inglese, è circondato da un parco di alberi secolari, orti, terrazze coltivate a fiori, serre e cascine.
Le prime testimonianze della sua edificazione si hanno nel 1019, in un documento nel quale il figlio del marchese Adalberto II re d’Italia, Ottone Guglielmo, dona ai monaci dell'abbazia di Fruttuaria il castello, i territori circostanti e metà del vicino paese di Chivasso. Nel 1277 la proprietà del castello è data ai Marchesi del Monferrato dal Vescovado di Ivrea, insieme alle città di Casalborgone e Chivasso, a titolo di investitura. Dal momento che la regione era però sotto il controllo dei Principi d'Acaja, il castello assiste a sanguinosi scontri tra i due eserciti, fino, nel 1397, a soccombere sotto le fiamme appiccate dalle armate di Facino Cane, condottiero piemontese conosciuto per la sua ferocia, che combatté contro i principi d'Acaja sotto la bandiera di Teodoro II del Monferrato. Il Castello venne successivamente ricostruito e continuò a cambiare proprietario fino a quando, nel 1620, Vittorio Emanuele I duca di Savoia lo diede in feudo al conte Giovanni Antonio Trabucco, potente generale delle finanze del Re; ciò nonostante, nei primi anni del 1700, il castello ed il suo borgo vennero nuovamente distrutti, a causa della guerra di successione spagnola e ad opera del maresciallo La Feuillade. Quarant'anni dopo, cominciò un periodo di tranquillità per il Castello: i conti Trabucco chiamarono l'architetto Nicolis de Robilant per ridisegnare il progetto e ricostruirlo; i lavori vennero terminati nel 1835 da Ernesto Melano, architetto disegnatore di Sua Maestà Carlo Alberto ed esponente di spicco del neogotico italiano. Il Castello venne maggiormente abbellito dai conti Ceriana, cui la sua proprietà passò verso la fine del XIX secolo. Venne aggiunta una galleria disegnata nello stile del '500, decorata finemente con marmi e pietre scolpite, inoltre Gonin e Sereno, due grandi artisti piemontesi, decorarono alcune sale. Anche i successivi proprietari, i conti Fè d'Ostiani, ebbero cura del maniero, fino a quando, nel 1952 la proprietà del Castello passò all'ing. Alberto Bruno Tedeschi».
http://www.localport.it/canavese/castelli/castelli_risultato.asp?luogoCAS=Castagneto+Po
«In accordo con la sua fisionomia di borgo medioevale, Castellamonte si sviluppa a semicerchio intorno al colle, ove sorgono le rovine del Castello dei Conti San Martino, probabili discendenti del famoso Re Arduino. Anticamente il maniero era circondato da una cinta muraria provvista di sette porte. Oggi, invece, restano originali solo alcuni tratti delle mura e la porta di accesso al cortile, mentre le due grandi costruzioni che si innalzano in cima al colle e che sono ancora oggi abitate, risalgono ad epoche più recenti e sono state restaurate in numerose occasioni. Risale al 1842 l’avvio dei lavori di costruzione della Chiesa Parrocchiale, affidati all’architetto Alessandro Antonelli, famoso per la Mole di Torino e la cupola di S. Gaudenzio a Novara, col compito di progettare una struttura che doveva coprire un’area di poco inferiore a quella di S. Pietro a Roma. Del progetto iniziale rimangono le mura esterne realizzate con pietre provenienti dal torrente Orco alternate a mattoni rossi che, per la loro forma circolare sono conosciute con il nome di Rotonda Antonelliana e che ogni anno costituiscono il suggestivo scenario della Mostra della Ceramica e di altre manifestazioni. La Chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, fu realizzata nel 1875 dall’architetto Formento e nella Piazza principale della Chiesa si erge solitario il campanile romanico del XII sec. che nel 1762 è stato sopraelevato in stile barocco per realizzare una cella campanaria. ... Il Castello si può raggiungere a piedi in circa 10/15 minuti percorrendo la caratteristica via Conti di S. Martino, selciata a ciottoli e fiancheggiata da antichi palazzi nobiliari,oppure in auto (ma ci sono difficoltà di parcheggio) per la strada che porta a Castelnuovo Nigra. Il Castello e’ preceduto da due imponenti porte in pietra, unici resti del primitivo edificio medioevale, in gran parte distrutto nella rivolta popolare dei Tuchini (1380- 1393). L’intero complesso fu poi rimaneggiato dai vari proprietari in particolare dai Conti Carlo e Amedeo Cognengo, nella prima meta’ del ‘600. Ad essi viene attribuita la chiesetta vicino al piazzale. Verso la fine dell’800, su progetto dell’architetto Formento, autore della chiesa parrocchiale, fu aggiunta la parte orientale in mattoni rossi, con merlatura ghibellina, seguendo la moda medioevaleggiante del tempo. Nella parte più antica, verso nord, sopra la porta d’ingresso, recentemente restaurata con molta cura, sono venuti alla luce interessanti affreschi dei secoli XV e XVI. Dal piazzale antistante, cinto da una bella balaustra in terracotta, si gode uno dei più bei panorami sul Canavese. ...».
http://www.comune.castellamonte.to.it/cennistorici.asp
«Ancora oggi l’imponente
mole del maniero di Cesnola ispira un profondo rispetto, sebbene ormai si
trovi nella più completa rovina; possiamo dunque immaginare il timore che
poteva suscitare in un viandante oppure un pellegrino medievale che,
superato l’abitato di Settimo Vittone, procedeva verso Aosta.
Purtroppo le informazioni relative al castello di Cesnola, noto anche come
Castelletto, sono davvero frammentarie. ... Quanto rimane di questa
struttura che fu certo un tempo davvero ragguardevole vista la dimensione
raggiunta attraverso trasformazioni ed ampliamenti successivi, è segnato da
secoli di oblio; amaro destino comune a quasi tutti gli edifici fortificati
più antichi che non vennero ampliati e riedificati nel XIV e XV secolo o che
non beneficiarono dei restauri “hollywoodiani” del D'Andrade, come ad
esempio le non lontane costruzioni di Pavone e Montalto Dora ed anche la
valdostana Fenis. Troviamo i primi riferimenti alla località di Cisnolis, in
un documento datato 1042, nella dote dell'abbazia di Santo Stefano di Ivrea,
si fa menzione di: “massaritium unum cum sedimine, casis, cascinis,
campis, vineis, pratis, boschis, buscaleis, cum omne onore et integritate in
Cisnolis”. Il territorio venne assegnato ai signori di Settimo Vittone.
Vi è poi una citazione datata 1180, quando Vercelli infeuda Roberto di San
Martino del cosiddetto Castelletto, descritto come piccolo maniero vicino a
Carema, con l'obiettivo di evitare la tassa imposta dal comune di Ivrea
sulle macine da mulino realizzate in Valle d’Aosta; l’idea era di far
transitare quelle destinate al vercellese attraverso questo castello per poi
trasferirle direttamente a Bollengo, dove si trovava un altro struttura
equivalente sempre di proprietà dei vercellesi. Ma il trucco non riuscì per
molto tempo, la rocca venne distrutta e la questione delle “molarie” riprese
a pesare negativamente sui rapporti tra i due comuni.
Certamente la parte più antica della struttura è il grande torrione di pietra (definito maschio o dongione), risalente all'XI secolo circa; presenta pianta quadrata di cinque metri di lato e mura di spessore superiore al metro, la cui porta d'accesso, con volta a tutto sesto, si trova a parecchi metri dal suolo per gli ovvi scopi difensivi (la scala in legno veniva calata solo quando non v’era pericolo). Attorno a questa torre si formò il primo nucleo del castello, che poi venne ampliato e fortificato durante i tre secoli successivi, sino a raggiungere il non trascurabile perimetro di 175 metri. Curiosa è la riconversione della merlatura da ghibellina a guelfa, mediante il riempimento delle “code di rondine” con massi che appaiono inseriti in un secondo tempo e con minor cura, se paragonati al resto della struttura. Un evento nella storia del castello fornisce un'ipotesi per tale trasformazione. I feudatari avevano diritto di esigere il pedaggio da chi transitava sulle loro terre, diritto che venne revocato da un editto imperiale nel XIII secolo. Questo “sopruso” dell’imperatore potrebbe aver causato un repentino passaggio di fazione, e costretto i signori del luogo ad estorcere denaro in modo meno elegante e legale, anche se altrettanto efficace. La rapina divenne poi nuovamente diritto, quando nel 1313 una commissione inviata dai Savoia - che avevano esteso il loro dominio fino alla Marca d'Ivrea - appurò lo stato di bisogno del feudo e la conseguente necessità di esigere pedaggio. In epoche più recenti Carlo III di Savoia nel XVI secolo, provvide allo smantellamento del castello per motivi militari, ma perse la causa intentatagli dai proprietari di allora e dovette procedere alla ricostruzione. Gli ultimi signori di Cesnola furono i Palma che ottennero il feudo a fine ‘700; vale la pena accennare alcuni membri di tale casata: il conte Luigi, che fu console statunitense a Cipro, archeologo e direttore del Metropolitan Museum of Art di New York. Giulio Palma di Cesnola, ufficiale di cavalleria ed asso della prima guerra mondiale oltre che grande amico e compagno di volo di Gabriele d’Annunzio. Il conte Alerino fu scrittore magistrato ed implicato nei moti rivoluzionari italiani. Le rovine passarono quindi di proprietà del beneficio parrocchiale della pievania di Settimo Vittone».
http://www.viaromeacanavesana.it/eventi1_scheda.asp?id=133
Chianocco (casaforte, castello)
«Casaforte. La costruzione risale al XII secolo ed è citata nei primi documenti come “Domus fortis”, posta sulla via che ripercorreva l’antica strada romana delle “Gallie”. L’interesse storico artistico del monumento è quello di avere delle forme romaniche: gli edifici civili medievali sono, per la quasi totalità, posteriori alla metà del 1200 e sono in stile gotico, caratterizzato dalla presenza dell’arco a sesto acuto. In questo invece si è conservato un esempio integro e completo di architettura civile romanica che ne fa un edificio assai raro e di grande interesse, unico, perlomeno in area piemontese, valdostana. È una solida torre merlata dotata di poche e strette aperture, circondata da una cinta fortificata e protetta da una torre costruita a cavallo dell’ingresso, un piccolo complesso fortificato, costruito non tanto per la difesa degli abitanti ma per lasciare un forte segno sul territorio. È stata oggetto a più riprese, di un restauro conservativo da parte della proprietà e si trova in eccellente stato di conservazione. Castello. Il Castello di Chianocco, conosciuto anche come Casaforte Superiore, è un edificio risalente al XIII secolo, costruito sulla destra orografica del Torrente Prébec; si presenta come una solida costruzione medievale con funzioni abitative, logistiche e militari. Esso è definito “castello” impropriamente, perché in realtà è una domus munita, ovvero una residenza fortificata. Questo castello è stato residenza estiva della marchesa Adelaide di Susa e del casato dei Biancamano, dai quali ebbe origine casa Savoia, tale circostanza è documentabile anche dai resti degli affreschi ancora visibili. In un’ala del Castello vi è il Museo dei Vecchi Mestieri, fedele riproduzione animata in miniatura dei mestieri esercitati in Valle di Susa nei primi del ’900 ed altri manufatti di interesse culturale e locale. L’ala stessa è oggetto di un lavoro di restauro conservativo, finanziato in parte dalla Regione Piemonte, dal Comune di Chianocco e da Enti Locali».
http://www.comune.chianocco.to.it/turismo-e-sport/cosa-visitare/
Chiaverano (castello di San Giuseppe)
«è il 1640. Un veterano del reggimento delle milizie Sabaude, tale Tomaso Barberio da Guarene, deluso e amareggiato dalle violenze vissute in anni di vita militare, si ritira in eremitaggio sulla cima di questo monte. Religioso egli stesso e guidato dalla spiritualità del luogo, costruisce in poco tempo una cappella dedicata a S. Giuseppe, traendo spunto da un ancor più antico pilone votivo. La Curia Romana concede ufficialmente la veste e il titolo di “eremita“ a Tomaso. Nell’aprile del 1661, il vescovo di Ivrea autorizza la costituzione di una confraternita che già ospita 150 frati ecc. Alla sua morte, Tomaso, sia per i molteplici episodi miracolosi segnalati, sia per l’importanza spirituale acquisita dal luogo, viene considerato Santo. Il suo romitorio viene dapprima preso in consegna dai Padri Teresiani, e successivamente dai Padri Carmelitani. Questi ultimi ottengono da Roma l’autorizzazione a costruire un convento. Il luogo per molto tempo diviene uno dei santuari più frequentati della zona. Dopo la prima occupazione del Piemonte da parte dei Francesi, che lo devono abbandonare per l’intervento degli Austro-Russi, segue la seconda riconquista da parte dell'imperatore Napoleone, che confisca il convento di San Giuseppe per scopi militari. Non considerando l’ultimo tentativo di pacifica resistenza dei frati, l’imperatore fortifica il convento che diventa a tutti gli effetti un castello e viene utilizzato come punto di osservazione. Passa poi di proprietà in proprietà, annoverando tra i proprietari la famiglia di Napoleone, Beauharnais, e giunge fra gli altri al poeta Giuseppe Bianchi, che ospiterà alla fine dell’Ottocento la celebre attrice Eleonora Duse ed il compositore Arrigo Boito, i quali vissero qui un’appassionante storia d’amore, testimoniata dalle lettere sia del Boito che della Duse. Intorno al 1930, il proprietario, l’italo-americano Giovanni Perona, ospita diversi importanti attori in auge in quell’epoca, come ad esempio Ginger Rogers. Il territorio di proprietà del Castello è circondato da piccoli laghi, fra cui il Lago Sirio, o Lago di San Giuseppe. In seguito, dopo anni di incuria e abbandono, il Castello viene acquistato dagli attuali proprietari che restaurano e riaprono le antiche sale e celle ad ospiti ed a manifestazioni artistiche e culturali, nell’ambito delle quali si respira ancora l’atmosfera di pace e serenità di un tempo, riportando con passione il luogo all’antico splendore».
http://www.castellosangiuseppe.it/storia.php
Chieri (fortificazioni e palazzi)
a c. di Federica Sesia
Chiusa di San Michele (chiuse longobarde)
«Tra fine IV e inizi V secolo l’Impero romano potenziò la difesa alpina mediante un sistema di “chiuse”, ovvero di fortificazioni a sbarramento delle valli nei punti di passaggio obbligati delle principali vie di comunicazione verso i valichi. Esse furono poi utilizzate anche da Goti e Bizantini e divennero oggetto di ripetuti interventi di restauro da parte dei re Longobardi, ancora interessati a mantenere in funzione le fortificazioni e a controllare i transiti lungo le aree di frontiera. Tra le opere difensive dell’arco alpino, le clausurae della Val di Susa ebbero una notevole importanza in età altomedievale: nel 773 d.C. infatti furono teatro del celebre scontro fra Desiderio, re dei Longobardi, e le truppe di Carlo Magno. Dopo la conquista franca mutarono le funzioni della chiusa, ma le strutture materiali delle fortificazioni furono ancora usate per alcuni secoli a difesa della strettoia della valle. La cronaca dell’abbazia di Novalesa, redatta intorno alla metà dell’XI secolo, ne ricordava ancora le vestigia ben visibili e localizzate tra il monte Pirchiriano e Caprie, dove cita anche un Palatium dei Longobardi. è proprio in questa zona, tra Caprie e Chiusa San Michele, che bisogna perciò immaginare la localizzazione dell’antico sistema difensivo, laddove la valle si fa più stretta a causa della presenza dei due speroni naturali dei monti Pirchiriano e Caprasio. Dell’antica fortificazione non restano oggi sicure tracce materiali ma è probabile che sia stata realizzata attraverso un sistema di cortine murarie con funzione di sbarramento della valle, più che da un’unica possente struttura, descritta nella cronaca di Novalesa come un muro a calce esteso “da monte a monte”. La tradizione storica locale identifica i resti delle clusae langobardorum in una poderosa struttura muraria che fiancheggia il rio Pracchio, nel territorio comunale di Chiusa S. Michele, ma ad oggi l’attribuzione di questa muratura alla celebre fortificazione resta ancora fortemente dubbia e non ha mai trovato riscontri archeologici».
«Le clusae (cioè le chiuse, termine che indica in questo caso una struttura difensiva approntata sfruttando la naturale conformazione delle vallate alpine) della Valle di Susa hanno alimentato una longeva varietà di miti storiografici che i recenti studi hanno contribuito a sfatare. Anzitutto, le chiuse della Val Susa non erano un caso unico, anzi: le chiuse erano distribuite lungo tutto l’arco alpino ed erano preesistenti all’arrivo dei Longobardi, che però furono sempre attenti a curarne la manutenzione. Un altro punto su cui è stato necessario apportare delle correzioni rispetto alla tradizione erudita è la realtà materiale delle chiuse. Difficilmente presero la forma di muraglioni invalicabili, di complicata costruzione e spesso superflui, data la conformazione del terreno alpino. Inoltre, le chiuse non erano centrali nello schema delle fortificazioni difensive, tant’è vero che la loro efficacia si rivelò spesso molto limitata. Un’ulteriore tradizione da sfatare è quella legata ai resti della chiusa che vengono indicati in alcuni punti della Val Susa. È assai improbabile che questi resti murari, visibili per esempio presso il paese di Chiusa di San Michele, costituiscano realmente le vestigia dell’antica chiusa. Dopo la caduta del regno longobardo, la chiusa rimase un punto di riferimento geografico e liminale, per perdere infine anche questa funzione nel corso del XII secolo. La grande notorietà delle chiuse si deve al fatto di essere state teatro dello scontro tra Longobardi e Franchi nel 773 e a due diverse ricostruzioni dell’evento, elaborate a secoli di distanza. La prima è la versione dell’anonimo autore della Cronaca di Novalesa, che scrive nell’avanzato XI secolo e fornisce un racconto arricchito di molti particolari suggestivi, rispetto ai resoconti piuttosto asciutti delle fonti più vicine ai fatti, introducendo l’elemento del giullare traditore per spiegare la facilità con cui i Franchi di Carlo Magno superarono l’ostacolo delle chiuse. Questa versione è rifiutata da Alessandro Manzoni, che nell’Adelchi – tragedia pubblicata nel 1822 – introduce la figura del diacono Martino (atto II, scena III). Queste due opere, molto diverse tra loro, hanno contribuito a fare delle chiuse un punto di grande interesse e una fonte di leggende erudite radicate nell’immaginario comune, soprattutto a livello locale».
http://www.vallesusa-tesori.it/it/luoghi/chiusa-san-michele/chiusa-san-michele-le-chiuse - http://www.museotorino.it...
«L’Antica Tenuta Cerello sorge, solitaria e maestosa, nelle campagne del Basso Canavese. I suoi ambienti sono utilizzabili per l’attività: didattica, culturale, sportiva, per matrimoni, convegni, mostre e la presentazione dei Prodotti del Territorio. Il ricavato è indispensabile per il mantenimento dell’antica struttura. Dalle memorie storiche della Città di Chivasso, raccolte dal patrizio Don Giuseppe Borla verso il 1780 compare questa testimonianza: “Diverse piccole chiese o cappelle oltre alla già descritte si videro alzare sopra il territorio di Chivasso, parte rovinate e parte ancora sussistenti a comodo dei vicini particolari, cioè quella eretta nella regione detta del Cerello (così detta dalla nobile famiglia Cerello che molti effetti possedeva in essa regione, già propri del pubblico di Chivasso, dal quale passarono a titolo di permuta al Marchese del Monferrato (trasferimento del Cerello 1305) e da questi alla oggidì Real Casa di Savoia, concessi poi da essa in perpetua enfiteusi dai quali n’è al presente investita la Contessa San Martino di Marsaglia) sotto il titolo di San Grato”. In seguito la proprietà appartenne ai diversi Casati Nobiliari, ed in ultimo alla moglie del conte Stefano Gallina, Ministro delle Finanze di Re Carlo Alberto, Presidente Onorario della Associazione Agraria Subalpina e Socio Onorario dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, per successione passò al figlio Giovanni Gallina distintosi come diplomatico. Nell’interno l’antica cappella è ancora funzionante. ... Il Cerello fa parte delle Fattorie Didattiche della Regione Piemonte e del Parco del Po».
«Questa torre è quel che resta del poderoso castello eretto nel 1178 ca. da Guglielmo IV Aleramico marchese di Monferrato. Dopo il tredicesimo secolo la torre fu innalzata di diversi metri, con la costruzione di una parte in mattoni. Questa aggiunta fu demolita nel secolo scorso, quando anche alcune strutture residue del castello, ormai rovinato dai numerosi assedi, vennero abbattute e fu aperta l’attuale via Po. La parte della torre che si è conservata fino a noi, e che è attualmente coperta da un tetto frutto di un recente restauro, è alta circa venti metri. Presenta all’esterno un rivestimento in blocchi di pietra calcarea e ciottoli e all’interno un paramento murario in mattoni che termina in una volta a padiglione a otto spicchi. Sui lati nord e sud, a circa otto metri d’altezza sopra l’attuale piano di calpestio, due porte immettono nell’interno della torre: anticamente vi si accedeva con scale di legno che all’occorrenza potevano essere rimosse. Il vano era un tempo suddiviso in almeno tre piani pavimentati in legno, come testimoniano i livelli delle mensole. La struttura della torre non comprende soltanto i venti metri che si innalzano da terra, ma anche la sottostante poderosa fondazione in massi e ciottoloni che affonda nel suolo e che ha garantito stabilità all’edificio per molti secoli. ... Quest’antica costruzione sorge all’inizio dell’attuale via Po, ed è anche visibile sul lato sud di piazza della Repubblica. Non si sa con certezza quando fu eretta: da alcuni studiosi è stata addirittura datata all’ottavo secolo e attribuita a maestranze longobarde, ma per tipologia architettonica può essere collocata in epoca posteriore, nell’undicesimo o nel dodicesimo secolo. Lo storico settecentesco Giuseppe Borla (1773) scrive che la torre sarebbe più antica del 1019, anno in cui metà di Chivasso divenne feudo della vicina abbazia benedettina della Fruttuaria. Lo stesso Borla annota inoltre che la costruzione venne a far parte del poderoso castello eretto nel 1178 da Guglielmo IV Aleramico detto il Vecchio - marchese di Monferrato, nonché feudatario di Chivasso dal 1164».
http://www.comune.chivasso.to.it/sezioni-tematiche/storia-cultura... - ...la-torre-ottagonale/torre_a.pdf
«Il castello, insieme al parco e agli edifici che costituivano le pertinenze, e la chiesa parrocchiale costituiscono oggi un nucleo separato dal resto dell’abitato di Cinzano. Questa immagine è frutto di trasformazioni iniziate intorno 1666, quando il marchese Carlo Renato Della Chiesa decise di ampliare e abbellire il castello e di circondarlo da giardini. Parallelamente ai lavori di sistemazione del castello, che fu dotato di una nuova facciata in simmetria con l´antica torre e di un grande salone ricavato dalla copertura dell´antico cortile interno, iniziò l´acquisto delle case del ricetto per demolirle e ricavare spazio per i nuovi giardini. All´inizio dell´Ottocento il ramo primogenito della famiglia della Chiesa si estinse e il castello fu venduto con tutti i possedimenti che furono frazionati. Solo nel 1872 il marchese Ludovico Della Chiesa riacquistò il castello, lo restaurò in stile neomedievale, ornandolo con una nuova merlatura copiata da quella della torre più antica, e lo dotò di un nuovo ingresso a levante e di una dependance per il giardiniere. Per decorare gli interni e per sistemare i giardini intervenne il conte di Ernesto di Sambuy, che in quel periodo era nel comitato promotore per la costruzione del borgo medievale del Valentino. Mentre i lavori del Seicento avevano cercato di mascherare la struttura medievale del castello per trasformarlo il più possibile in residenza di villeggiatura, con i lavori dell´Ottocento il castello riacquistò un aspetto da antica fortificazione che lo caratterizza ancora oggi. Le uniche strutture originali che ancora oggi si conservano sono la grande torre centrale a base quadrata , detta “torre del sale” e parti delle due torri laterali. Nel 1951 alla morte dell´ultimo Marchese, il castello, che era stato danneggiato durante la guerra e da anni di incuria, fu venduto e restaurato nel 1968 per utilizzo residenziale».
http://www.piemonteitalia.eu/gestoredati/dettaglio/445/architecture/873/castello-di-cinzano.html
«La costruzione attuale utilizza le strutture del precedente palazzo cinquecentesco di proprietà dei Provana. Acquistato dai D'Oria, venne trasformato nel corso del XVII secolo secondo il modello delle residenze di rango principesco nell'ambito delle "delizie" di caccia reali. Fu dotato perciò di un territorio attinente, destinato a quest'uso; una parte di questo fu reso feudale e cintato, in seguito a disposizioni reali, nella seconda metà del '600. Nel corso del '700 fu aggiunto un piano alla manica est verso il parco e intonacata la muratura esterna. In particolare l'appartamento a sud, detto di Carlo Emanuele e riservato ai soggiorni dei Savoia, che durante i loro itinerari venatori dimoravano nel palazzo, conserva una decorazione plastica e pittorica particolarmente ricca, eseguita da quegli artisti luganesi che lavorarono alle residenze reali. Nel 1909 il complesso fu acquistato dalla famiglia Remmert. Il parco venne in seguito lottizzato e il Palazzo fu trasformato e adattato ad uso dell'Amministrazione Comunale».
http://www.cirieturismo.it/cosa_vedere/palazzo_d_oria.htm
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La "torre di San Rocco" è la testimonianza di un passato antico ed è il simbolo del Borgo di san Rocco. Posta a nord-ovest della città, all'estremità di Corso Nazioni Unite, è ciò che rimane delle fortificazioni medievali della città e del suo famoso castello, andati irrimediabilmente distrutti nel lontano '500» - «Al di fuori della zona pedonale del centro storico, ormai circondata da alti palazzi, sorge una torre cilindrica, la sola superstite dell’antica cinta muraria: costruita in pietra e laterizi, presenta sulla cima aperture con arco a tutto sesto ed e conclusa da decorazioni in mattoni».
http://www.cirieturismo.it/cosa_vedere/torre.htm - http://archeocarta.org/cirie-to-edifici-medievali
Collegno (castello dei Provana)
«Questa imponente opera, attorno a cui sorse il nucleo abitativo di Collegno, fu fatto costruire da Umberto III Conte di Savoia detto "Beato" nel 1171. Cinque erano le torri rotonde e a difesa esisteva un ponte levatoio e il dirupo sulla Dora. Il Castello fu in gran parte distrutto nel Duecento dai Torinesi in lotta contro Tommaso di Savoia, e poi ricostruito da Guglielmo VII del Monferrato alla fine del secolo. ... La facciata, attribuita al Guarini, fu completata nel 1700 ed il castello rimane di proprietà dei Provana fino al 1878. Quando Luisa, ultima discendente dei Provana sposò Alessandro Guidobono Garofoli, Barone di S. Marzanotto, Conte di Sciolze e Signore di Carbonara, di antica famiglia Tortonese, il Castello passò a questa famiglia che ne è tuttora proprietaria» - «Splendida costruzione fortificata, il castello Provana di Collegno si trova nel cuore della cittadina piemontese. Eretto per volontà di Umberto III di Savoia nel 1171, il castello divenne il fulcro intorno al quale si sviluppò l’odierno centro storico. Di struttura a cinque torri rotonde con ponte levatoio a difesa, la roccaforte venne abbattuta nelle battaglie con i Torinesi nel corso del XIII secolo e poi riedificato da Guglielmo VII del Monferrato. Il suo appellativo deriva dall’antica casata nobiliare dei Conti di Provana a cui fu assegnato il feudo di Collegno dal 1599. Si deve, infatti, a Francesco Provana la ricostruzione seicentesca dell’area prospiciente mentre il prospetto risulta ultimato nel 1700 dal Guarini. All’interno del complesso è inserita anche la chiesa, di pianta trapezoidale, dedicata alla Beata Vergine Maria e ai Santi Felice e Calogero. L’antico maniero rimarrà di proprietà della famiglia aristocratica di Collegno fino al 1915 quando Luisa, ultima erede del casato Provana, andrà in nozze ad Alessandro Guidobono Cavalchini Garofoli, barone di S. Marzanotto, della famiglia nobiliare Tortonese che ne è ancor oggi proprietaria. Da ricordare il caratteristico Rastel del Cunt ovvero l’entrata principale del castello aperta soltanto in circostanze speciali. Il castello è circondato da un ampio parco contraddistinto da piante secolari di maestose dimensioni».
http://web.tiscali.it/collegno/monumenti/castello.htm - http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-torino/cartina...
Condove (ruderi del castello del Conte Verde o castellazzo o castello di Caprie)
«Situato in territorio di Condove a ridosso del confine con il comune di Caprie, il cosiddetto castello del Conte Verde sorge su un dosso roccioso che si innalza a 387 metri sul livello del mare. Di quell´importante presidio fortificato rimangono oggi solo i ruderi, costituiti da un poderoso recinto dove si riconoscono ancora i segni di un coronamento merlato con torri angolari e lunghi tratti di una sottile cornice a dentelli in corrispondenza del cammino di ronda. Una costruzione a più piani, rivelata dall´intonacatura interna di due porzioni murarie e dalle tracce di aggancio dai solai che dividevano i diversi livelli, era affacciata sul dirupo meridionale, mentre un´altro fabbricato sorgeva nel luogo dove oggi si trova la piccola cappella dedicata all´Assunta, nata nel Settecento e conosciuta come cappella del castello. Il presidio difensivo è inserito nella rete di comunicazione delle strutture fortificate della valle. La tradizione ne assegna la costruzione ad Amedeo VI, il Conte Verde, vissuto nel XIV secolo, ma diverse testimonianze storiche rivelano l´esistenza in loco di una fortificazione molto più antica. L´area era infatti interessata dal gigantesco sbarramento delle "Chiuse", costruito dai Longobardi nel VI secolo nel punto più stretto della valle per impedire la discesa di eserciti nemici verso le loro terre. Si dice che le mura, che si estendevano dalle pendici del monte Pirchiriano al borgo di Caprie, fossero alte da sei ad otto metri e larghe da due a quattro metri; è molto probabile che toccassero anche il "castellazzo", che offriva un punto di vista privilegiato, prima di arrivare fino al "Truc le mura". Tale toponimo ne conferma la memoria, come del resto anche il nome di Chiusa San Michele, dove esistono ancora alcuni resti di quella potente barriera. I Longobardi furono vinti da Carlo Magno che, nel 773, riuscì ad aggirare le Chiuse ma le mura continuarono a svolgere anche in seguito per secoli la loro funzione difensiva.
All´interno dei ruderi del castello l´andamento irregolare del terreno pare suggerire l´esistenza di strutture sotterranee ancora inesplorate; tra gli alberi cresciuti spontaneamente, la facciata chiara della cappella ed un grande masso erratico, che pare semplicemente posato a terra, si differenziano dal severo contesto delle rovine. Le murature sono costruite in pietra di pezzatura diversa - scapoli, ciotoli, detriti di falda - tenuti insieme da malta molto resistente, con zone dove l´apparecchiatura a spina di pesce denuncia una certa accuratezza costruttiva. Le mura sono aggredite dai fenomeni di degrado tipici della condizione di rudere: grandi varchi dovuti a crolli progressivi ne separano i settori rimasti; le aperture originali hanno perso ogni regolarità a causa di vistose cadute di materiale; la parte sommitale, erosa dall´azione dell´acqua e del vento, ha un profilo molto frastagliato ed irregolare; nelle compagini murarie sono evidenti alcune fessurazioni. Il luogo è minacciato gravemente dalla presenza di una grande cava che è arrivata tanto vicina da compromettere la morfologia dell´immediato intorno interrompendo la continuità del paesaggio montano. Indicatore di conservazione: stato di conservazione rudere. Considerazioni circa gli interventi prioritari. Gli auspicabili interventi di consolidamento e di restauro dovrebbero essere limitati a proteggere le parti troppo esposte ed a suturare le fessurazioni, evitando di "regolarizzare" i profili discontinui disegnati dal tempo che fanno ormai parte della fisionomia storicizzata, di forte impatto visivo, del "castellazzo". Il luogo, per la posizione paesistica e per le quinte scenografiche dei ruderi, sarebbe adatto, quando ne fossero accertate le condizioni di sicurezza, anche ad ospitare rappresentazioni teatrali in periodo estivo. Esiste un programma integrato di valorizzazione turistica che interessa i territori dei comuni di Condove, Caprie e Chiusa San Michele e che prevede una serie di interventi tesi a collegare la presenza della barriera costruita dai longobardi con il castello "del Conte Verde" e con le vicine presenze monumentali. Tale condizione non può che favorire una sinergia con l´ipotizzato percorso delle strutture fortificate in Valle di Susa».
«Una ricostruzione [prima foto], in base ai dati in nostro possesso, di quale potrebbe essere stato l'aspetto del nucleo antico del Borgo di Cuorgnè in un certo momento del Medioevo, con porte, mura merlate, fossati e ponti levatoi. In primo piano la cortina di mura ed il fossato "Piè del Borgo". Ai lati si scorgono la porta di Fontana verso l'Orco e quella che in tempi più tardi verrà chiamata " porta della Madonna", verso la regione Villa. Le case, il castello e la chiesa della Villa sono ancora al di fuori delle mura del Borgo, nella campagna. La via principale, porticata, non è ancora diritta come nella sistemazione definitiva dell'abitato, ma serpeggia fra le case. Numerosi documenti dell'archivio comunale di Cuorgnè ci parlano delle mura dell'abitato con le loro torri-porte, i merli, le torrette e le sovrastrutture in legno per proteggere i difensori. Documenti relativi a ispezioni e a lavori fatti per mantenere efficiente la cinta muraria, particolarmente nel 1400 e nel 1500, periodi in cui la credenza cuorgnatese dedicò una speciale attenzione a queste opere di difesa. Nel municipio di Cuorgnè esiste una mappa del paese, stesa per il catasto piemontese nel 1778, da "misuratori' venuti appositamente da Torino, ai quali il comune fornì locali di abitazione e di studio .Questa mappa è preziosa perché ci dà i nomi di allora di vie e località cuorgnatesi ed il tracciato completo delle mura, a quel tempo ancora esistenti nella loro interezza. è a disposizione di tutti coloro che volessero consultarla o ricopiarla. Appoggiandoci a questa testimonianza preziosa abbiamo compilato, nel 1977, le varie mappe dell'abitato allegate al volume Appunti per una storia di Cuorgnè di Mario Bertotti. Queste mappe sono state utilizzate, negli anni successivi, per vari lavori di ricercatori e di studiosi. Ne presentiamo una [seconda foto], nella quale sono messe in evidenza strutture e punti nevralgici delle mura medioevali del paese, come risultano dai documenti. Realizzata nel 1977, è stata pubblicata nel 1983. Sono state retinate le costruzioni del Borgo per distinguerlo dall'abitato della Villa, pure facente parte della "comunitas Corgnati" e da esso separato, alle origini, addirittura da una cortina di mura. Delle costruzioni antiche evidenziamo:
Nella Villa: 1 La casa forte
detta Casa del Diavolo.
2 Parrocchia di San Dalmazzo.
Nel Borgo: 3 Torre Rotonda o di
Carlevato.
4 Chiesa della parte più antica, affacciata sulle mura.
5 Torre Quadra o Torre dell'Orologio, acquistata dal comune nel 1469-1470.
6 Casa tre-quattrocentesca detta "del Re Arduino".
Sul confine: 7 Probabile torre-porta fra la Villa e il Borgo.
8 Piazza della Chiovera, nata dalla demolizione delle mura del Borgo. Le
abitazioni della Villa, disposte su una superficie ben più estesa di quelle
del Borgo, sono raggruppate in determinate aree separate da sedimi non
edificati, ognuna facente capo ad una delle porte principali. Sono i
terzieri della Villa citati dai documenti del 1400, ed i rispettivi abitanti
sono chiamati a contribuire a restauro e manutenzione della loro porta e del
loro tratto di mura.
Sottolineiamo i puliti salienti
della cinta di mura che circonda il paese:
9 Porta di Pié del Borgo, con torre e ponte levatoio.
è la più importante del
paese, l'ultima a venire chiusa in caso di pericolo, e durante le pestilenze
vi si richiedono i bollettini di sanità a chi vuole entrare in paese. La via
porticata che parte da questa porta e risale tutto il paese è detta "via del
Borgo" e talora anche piazza del Borgo.
10 Porta delle Fontane, con torre e ponte levatoio. Da essa parte, risalendo
verso la via del Borgo, la "via delle Fontane". Proseguendo lungo le mura,
dove terminano le difese del Borgo ed iniziano quelle della Villa, vi sono
torri ed un posto di guardia.
11 Porta di Rivassola, con torre e ponte levatoio. E' la più importante dopo
quella del Borgo. Vi fa capo la via di Rivassola, che attraversa la contrada
omonima ed è difesa dal terziere di Rivassola. Tutto il traffico proveniente
dalla pianura e diretto alle alte valli entrava in Cuorgné dalla porta del
Borgo, percorreva la via del Borgo e la via di Rivassola ed usciva da questa
porta, verso Campore e Pont.
12 Porta Salacie con balfredo (torre in legno). Di importanza secondaria. Vi
erano un terziere e una contrada di questo nome.
13 Porta Carrere, con torre-porta e probabile ponte levatoio, essendo
nominati più volte i fossati. Vi fanno capo la via ed il terziere che la
difende.
14 Porta di Pasquarolo, con torre e ponte levatoio. Dà il nome, come al
solito, alla contrada ed al terziere che la difende.
15 Porta di Quaressina, di importanza secondaria.
16 Presso la porta di Rivassola notiamo ancora la cappella della Vergine di
Rivassola, ove nel 1498 è trasportata l'immagine miracolosa.
17 Fuori le mura, sulla via per Valperga, la cappella di San Grato,
costruita nel 1472, sul luogo ove sorgerà poi il convento dei Cappuccini».
http://www.regionepiemonte.info/Citt%C3%A0/Cuorgne/Le%20mura%20Medioevali.htm
CUORGNè (torre Quadrata, torre Rotonda)
«...In piazza Boetto, a sinistra sul fondo, si vede la facciata del Teatro Comunale, sul cui fianco si trova un’antica torre-porta, detta di “San Giovanni” appartenente alla più antica cinta muraria che separava i due rioni del Borgo e della Villa. Sulla destra parte invece via Gorizia, stretta e tortuosa che in origine conduceva all’antico ponte sull’Orco. Proseguendo invece per la via porticata, sempre sul lato sinistro dopo un altro bel soffitto a cassettoni si trova la casa al n° 27, impropriamente detta “del Re Arduino”, caratterizzata da arcate gotiche di tipologia tre-quattrocentesca con capitelli in pietra a motivi floreali; le porte e le finestre sono decorate da fregi in cotto a motivi floreali. Fu ricostruita nel Borgo Medievale di Torino. Sorge al numero 26 l’alta torre Quadrata, uno dei simboli di Cuorgnè, eretta dai Valperga. Dall’altro lato della strada si innalza, al n° 37 di Via Arduino, la torre Rotonda ben visibile dall’angolo della piazzetta di fronte alla chiesa seicentesca della Confraternita di San Giovanni. La robusta struttura è costruita in ciottoli di fiume posti a spina di pesce. La Torre rotonda è detta localmente anche Torre di Carlevato: una leggenda, frutto della fantasia popolare, racconta che intorno all’anno 1000 un giovane molto povero, ma con sogni di grandezza, veniva deriso dai suoi concittadini; andò all’estero, fece fortuna, ma ritornò vestito da mendicante e solo la famiglia di un vecchio amico lo accolse, mentre gli altri lo prendevano in giro col ritornello “Carlevato, Carlevato, povero partito, povero tornato”. Ma rapidamente un’alta torre venne costruita nel centro dell’abitato a mostrare la ricchezza del concittadino fortunato e deriso».
http://archeocarta.org/cuorgne-to-borgo-torre-rotonda-quadrata
« Il primo nucleo fortificato, sulla roccia alla destra idrografica della Dora, è già documentato a partire dal 1155, quando i conti d'Albon esercitavano il controllo strategico, militare e mercantile, sulla strada del Monginevro, ed Exilles rappresentava il confine estremo orientale del principato. Nel 1339 il castello presenta ormai una struttura complessa: è un raro esempio di "castello di strada". Durante la seconda metà del XVI secolo il castello è a lungo conteso dalle opposte fazioni cattoliche e riformate che ambivano al controllo del Delfinato al di qua delle Alpi. Dalla pace di Lione del 1601, per lungo tempo, la Fortezza non è più oggetto di contese interne o tentativi di occupazione da parte dei duchi di Savoia, ormai politicamente legati alla corte francese. Solo nel 1708, nell'ambito della Guerra di Successione di Spagna, le armate di Vittorio Amedeo II di Savoia riescono ad impadronirsi della Valle di Bardonecchia e, scendendo a valle, a prendere la Fortezza. La conquista piemontese delle valli alpine della Dora e del Chisone con il conseguente passaggio sotto la sovranità dei Savoia, sancito dal Trattato di Utrecht del 1713, determina una nuova posizione strategica dello Stato sabaudo. La rocca fortificata di Exilles subisce imp.onenti lavori di ristrutturazione e ammodernamento tra cui il ribaltamento del fronte difensivo verso la Francia. Nella seconda metà del Settecento ulteriori trasformazioni vengono attuate secondo le indicazioni del Pinto di Barri, il Forte viene così ricostruito operando una notevole sintesi tra assetti difensivi e logistici, con formazione di corpi indipendenti, autosufficienti ed in progressione difensiva.
Fatto radere al suolo dai francesi in seguito al trattato di Parigi del 26 floreale Anno IV (15 maggio 1796), il Forte viene ricostruito nell'assetto odierno tra il 1818 e 1829 dal re di Sardegna tornato in possesso dei suoi territori. L'attuale opera, realizzata su disegno dei capitani del Genio G.A. Rana e A. Oliviero, ricalca l'assetto formale e difensivo della Fortezza settecentesca, aggiornata secondo la tecnologia militare dell'Ottocento. Dopo l'8 settembre 1943 il Forte viene abbandonato; non più presidiato da truppe militari subisce per anni il saccheggio di tutto ciò che è asportabile: dai serramenti lignei alle tubazioni, dai cavi elettrici ai pavimenti. È l'anticipazione dei successivi guasti dovuti all'abbandono e alla totale mancanza di manutenzione. Nel 1978 la Regione Piemonte acquisisce il bene dal Demanio Militare con comodato, con l'impegno di provvedere al restauro e recupero funzionale del monumento. Viene quindi sviluppato il progetto di restauro conservativo, interno ed esterno, finalizzato alla definizione di un assetto complessivo del Forte tale da costituire il riferimento globale per tutti i successivi interventi. Nell'aprile del 1996 viene stipulata una Convenzione tra la Regione Piemonte e il Museo Nazionale della Montagna di Torino per la valorizzazione e promozione del Forte di Exilles. Si tratta di un passo importante, all'interno di una collaborazione nata nel 1995 tra i due enti, che sancisce l'impegno congiunto di mettere a punto una linea di immagine generale e un piano di gestione culturale del monumento valsusino. Il monumento e le aree museali sono state aperte al pubblico l'8 luglio 2000».
http://www.fortediexilles.it/it/storia.php
«Mentre Bibiana ha origini romane (fondata forse da un tal Bubius), di origini molto più antiche è la sua frazione di Famolasco (“asco” suffisso di origini liguri). Nel 1037 la prima carta in cui si trova il nome di “Famolasco” è un documento denominato Cartario di Cavour, per un atto segnato in “Ville Bibiana”. Nel 1064 “Adalasia, Magnifredi filia, Oddonis uxor” (la Marchesa Adelaide di Susa) donò all’ordine dei Benedettini (“Benedettini neri”, dall’abito nero che indossavano) dell’abbazia di Santa Maria Pinerolo, da lei stessa fondata, le terre di Famolasco. A quel tempo la fortificazione era solo una casa-torre, probabilmente edificata nel X secolo, di forma quadrilatera di circa 9 m di lato, con scarpa e muri spessi 2 m. Aveva quattro piani ed un pozzo. I Benedettini abitarono la torre fino al XIII secolo, quando infeudarono consignori di Famolasco i Rorenghi. Nel 1272 era già presente un ampliamento dell’edificio: la torre era stata inglobata in una costruzione di circa 9 x 13 m, di tre piani, con un ponte levatoio di cui restano ancor oggi i segni. L’originario quarto piano della torre resta come sottotetto. A questa costruzione venne addossata una torre quadrata sul lato sud. Sino al 1561 il castello fu baluardo contro i Valdesi, poi continuò la sua funzione difensiva in appoggio alla vicina Rocca di Cavour. Fu residenza della Famiglia Ferrero di Buriasco, Famolasco e Piobesi, della quale l’ultimo erede era noto col soprannome di Conte Codino. Modifiche di lieve entità vennero fatte, soprattutto nel cortile e negli edifici attorno al castello (stalle ecc.) nel XIX e XX secolo. Nel 1960, acquistato da privati, venne accuratamente ristrutturato ed adibito a Bed & Breakfast. Accanto al castello vi era la coeva chiesa dedicata a San Biagio, trasformata in stile barocco nel XIX secolo. Dell’edificio originario resta solo l’ingresso sul lato a monte, ora tamponato. L’edificio, posto in posizione panoramica, ha conservato le sue caratteristiche originali. Costruito in pietra, ha tre saloni in ciascuno dei tre piani, cui si accede con una scala a chiocciola all’interno della torre. Vi è un bel caminetto del ‘500. La torre quadrata presenta muratura in pietra sino ai beccatelli, con 54 feritoie. La parte aggettante è in mattoni pieni e presenta caditoie, cornice a dentelli sottogrondaia e quattro aperture ogivali da cui era possibile controllare a 360° il territorio circostante».
http://archeocarta.org/bibiana-to-castello-di-famolasco/
«Considerando la mappa comunale del 1762 si ha motivo di ritenere che in epoca medioevale (nella zona a nord dell'attuale piazza principale) esistesse un borgo fortificato e non è da escludere si trattasse di un vero e proprio ricetto. La zona che era così recintata era la più antica e comprendeva anche il Torrione quadrato, isolato a sud, che alcuni anni orsono incorporava anche gli uffici municipali. Di questo massiccio edificio non si conosce la data di costruzione, ma certamente esisteva nel 1455, quando si trattava di borgo fortificato con la Fruttuaria di San Benigno. Nel corso dei secoli subì alcune manomissioni, però risulta ancora ben conservato» - «Torrione: sorge nelle vicinanze della chiesa parrocchiale. Si tratta forse di quanto resta dell'antico castello medioevale. Adattato prima a torre campanaria (funzione che mantiene tutt'oggi), dopo è diventato sede del Municipio. Adesso ospita nelle sue sale la sede della Pro Loco felettese e una banca».
http://digilander.libero.it/gi46bo/torrione.html - http://www.360gradi.info/luoghi/informazioni-turistiche-citta-feletto-0000005327.html
FIORANO CANAVESE (resti del ricetto)
«Nel centro storico di Fiorano si distinguono molte case con portali, finestre ad arco e motivi decorativi in cotto ed una torre-porta con un androne carraio ed una pusterla; è quanto si è conservato del ricetto medievale, costruito nel 1407 su licenza del Comune d'Ivrea. Nei pressi dell’antico ricetto sorge, sulla via principale, la cappella di S. Marta. A nord dell'abitato in posizione elevata presso la Chiesa parrocchiale il nucleo aulico comprende l’antico edificio medioevale (la cosiddetta “domus“ del ricetto), coerente alla Parrocchia, ed il Palazzo Galleani, detto il Castello, già citato. Più a Nord su un rilievo isolato, in un ambito che faceva ancora parte delle pertinenze del castello, sorge un tempietto circolare ottastilo, ora in stato di manutenzione precario, al centro del quale era posta una statua denominata “la venere”. Ad Ovest sul colle del Fiorentino nei pressi dell’antico cimitero abbandonato, di fronte alla chiesa parrocchiale, si erge la piccola Cappella di San Grato, di epoca barocca. Più ad ovest sul colle di Cordola sono ancora visibili i resti del primitivo castello di Fiorano distrutto durante le guerre nei secoli XVI e XVII».
http://www.comune.fioranocanavese.to.it. ...pdf
Foglizzo (castello dei Biandrate)
«Il nome di Foglizzo deriva da Silva Fullicia, nome che identificava l’estesa foresta che ricopriva la zona in epoca tardo romana e alto medievale, dove sorgeva già una fortificazione, nel medioevo si caratterizzò come luogo di difesa collocato su un poggio collinare che si incunea all’interno del paese, un fortilizio a dominio del paese. Anticamente pare venisse denominato Fulgitilim. Ne parla un diploma imperiale dell’anno 882. Altre testimonianze storiche dichiarano che Foglizzo deriva da Fulgidium cioè dal latino fidgere, che significa risplendere. Pare infatti che un tempo il paese fosse circondato da foltissimi pioppi bianchi che davano un aspetto “bello e fulgido” all’insieme. Esistono altre interpretazioni circa l’origine del nome, ma praticamente sono delle ipotesi, nessuna è certa. Sull’area più alta rispetto al frastagliato altopiano su cui e adagiato il resto dell’abitato. Innumerevoli reperti archeologici, rinvenuti nei dintorni sia nel passato che in epoca recente, provano le antiche origini di Foglizzo. Il primo insediamento dei Biandrate in questa parte del Canavese pare risalga al 1140, quando Guido, signore di Biandrate, fu investito dall’imperatore Corrado III di Svevia sul territorio di San Giorgio, già allora un cospicuo villaggio fortificato, che divideva uno dei suoi confini con il vicino paese di Foglizzo. Gli storici concordano che il castello di Foglizzo venne costruito subito dopo il 1234, in seguito all’investitura, da parte dei marchese di Monferrato Bonifacio, di Pietro (o Petrino) Biandrate su Foglizzo, Balangero e Mathi. Ma forse, più che di costruzione, allora si trattò di un adattamento delle strutture già esistenti alle esigenze dei nuovi padroni. All’inizio della loro signoria su questa porzione dell’odierno Piemonte, i Biandrate non dedicarono grandi attenzioni ai sistemi di difesa del territorio. D’altra parte i loro interessi erano assorbiti altrove; erano i tempi delle guerre tra i liberi comuni e l’imperatore del Sacro Romano Impero di Federico Barbarossa, successore di Corrado III, e i Biandrate si erano apertamente schierati per Vùnpero. All’inizio il castello non doveva essere una costruzione di grandi dimensioni, anche se mancano elementi per definire con maggiore esattezza le caratteristiche e la forma. Forse e per non molto tempo, il maniero e l’antico villaggio condivisero l’angusto spazio dello sperone morenico. L’abitato, per ovvie esigenze di spazio, si dilatava un poco verso il sito dove ora sorge la chiesa di S. Giovanni Decollato. Al castello si accenna esplicitamente, per la prima volta, nella relazione seguita alla visita pastorale, compiuta in diocesi l’anno 1329 dal vescovo di Ivrea Palejno Avogadro. Il curato, un certo padre Giacomo, canonico regolare del convento di S. Egidio di Verrès, ad una precisa domanda dei vescovo rispose che i vasi sacri della chiesa parrocchiale erano stati asportati dal “signore del castello”. Non ci interessa particolarmente il nome dell’ignoto sacrilego, forse Francesco Biandrate San Giorgio, ma la notizia che agli inizi del 1300, a Foglizzo, i Biandrate avevano già costruito un castello e vi risiedevano stabilmente, al punto da potersi permettere di non essere troppo teneri con gli abitanti del luogo.
Si parla ancora del castello di Foglizzo in un documento dell’Archivio Comunale di Moncalieri. Il 9 settembre suddetto (1338), poco dopo il levar del sole, gli eserciti combinati di Acaia e di Angiò arrivarono con felice marcia notturna a Foglizzo, di cui arsero tutta la villa fino alle porte del castello. Successivamente, nel 1363, nell’introduzione alla sua opera De bello Canepiciano, Pietro Azario. enumera tra i “Soggetti ai conti Biandrate” il Castello di Foglizzo. ... In sintesi: l’unica notizia certa che si desume da tutti questi documenti è che, già dalla fine del XIV secolo, e più sicuramente, agli inizi del XIV, in Foglizzo esisteva un castello di proprietà della famiglia Biandrate signori di San Giorgio. Nel 1355 Foglizzo diventò feudo dei conti di Biandrate, provenienti dal novarese e che fissarono nella vicina San Giorgio Canavese il loro nuovo centro di potere e governo. L’esistenza di un “castrum” (ossia castello di difesa e rifugio) è già citata negli statuti comunali concessi ai foglizzesi dai Biandrate nel 1387. Le prime modifiche al maniero difensivo medievale furono apportate nel Cinquecento, seguendo canoni rinascimentali, e tra Seicento e Settecento il castello subì ulteriori radicali modifiche, In particolare venne aggiunto un ampio salone attualmente adibito a sede delle riunioni del consiglio comunale, per essere trasformato in residenza signorile estiva dai conti Biandrate di San Giorgio Canavese, che avevano fissato la loro dimora nel vicino castello di San Giorgio Canavese, assumendo l’aspetto che ancora oggi si osserva. Al fine di abbellire ulteriormente l’edificio, il ricetto medievale annesso al castello venne demolito per lasciare spazio al giardino. A partire dal 1811 la proprietà terriera dei Biandrate a Foglizzo fu smembrata e venduta alle famiglie contadine della zona, fino a quando nel 1885 il castello fu acquistato dal Comune stesso, per istituirvi la sua sede. Nel 1885 il castello di Foglizzo fu acquistato dal Comune, che lo utilizza ancora oggi come sede del municipio. L’interno del castello è dotato di numerose sale, abbellite da affreschi, emblemi e blasoni, soffitti a cassettoni e volte a vela anch’esse decorate con affreschi, impreziositi da fregi e abbellimenti. Anche all’esterno il castello presenta alcuni elementi decorativi e con un tratto di fregio in cotto. Il cortile asimmetrico, che ha al centro un pozzo, presenta un notevole aspetto scenografico grazie al loggiato degli atrii a colonne, con portali barocchi e fregi alle pareti».
http://castlesintheworld.wordpress.com/2013/06/05/castello-dei-biandrate-a-foglizzo
FROSSASCO (mura, porte, torre)
«La caratteristica forma quadrangolare della pianta del centro storico di Frossasco, fa risalire le sue origini al tipico "castrum" di epoca romana. Nel secolo XIII, la ricostruzione del comune avvenne sullo schema urbanistico del precedente abitato, ed era racchiuso tra mura antiche che in alcuni punti conservano tracce di antichi bastioni. Nella piazza principale è possibile ammirare due case quattrocentesche, che ricordano la casa dei Roletti di Bricherasio e quella del Vicario di Pinerolo, con ornamenti in cotto alle finestre gotiche e affreschi risalenti al XIV secolo rappresentanti motivi geometrici a losanghe e lunette con nome di Gesù e con Padre Eterno su un fabbricato e due angeli che sostengono uno scudo crociato sull’altro edificio. ... Torre, cinta muraria e porte: voluta da Filippo d’Acaja alla fine del secolo XIV. Le quattro porte: Porta Torino, Porta San Donato, Porta di Pinerolo e Porta di San Giusto, la torre medioevale e il particolare assetto urbanistico costituiscono le principali caratteristiche del centro storico di Frossasco, oltre a due edifici quattrocenteschi e alle chiese di San Donato e San Bernardino. Delle quattro porte poste lungo la cinta muraria del XIV secolo se ne conservano integralmente due, quella di San Giusto (lato nord del quadrilatero) e quella di Pinerolo (lato sud), mentre quella di Torino (lato est), seriamente danneggiata nell’aprile 1977, è stata restaurata e quella di San Donato (lato ovest), semidistrutta da un atto vandalico nel 1965, è stata appena ricostruita. In una nota si segnala che nell’anno 1586 venne chiamato il famoso pittore Bernardino Lanino di Vercelli a dipingere gli stucchi ducali sui quattro archi delle porte di accesso al paese. La torre medievale fa parte della cinta muraria del borgo voluta da Filippo d’Acaia alla fine del secolo XIV, prima dell’occupazione francese durata dal 1536 al 1539».
http://www.comune.frossasco.to.it/?p=13
«Nella prima metà del Trecento Ël Gamnari era un castello sito nel territorio di Santena (San-na), località della Repubblica di Chieri ... La fortezza di Gamenario sarebbe un luogo importantissimo per l’identità del Piemonte… se esistesse ancora. La Domus Gamenaria della carta topografica di Chieri del 1366, riportata anche nel Theatrum Pedemontii et Sabaudiae del 1726, sopravvisse, guarda caso, fino alla metà dell’Ottocento. Poi sparì, non siamo ancora riusciti a capire come e il perché» - «La fortezza chierese che oggi sarebbe situata a circa 1 chilometro ad ovest dell'abitato di Santena, esisteva ancora verso la metà del XIX secolo, ne è prova il disegno di Clemente Rovere pubblicato nel Piemonte antico e moderno delineato e descritto[4]. Secondo l'illustrazione, la costruzione era situata sopra una collinetta e dominava la pianura chierese. In seguito, il Casalis la identificò come la Domus Gamenaria, presente in una carta topografica del comune di Chieri del 26 ottobre 1366. Questa località è presente anche nella carta Theatrum Pedemontii et Sabaudiae stampata a L'Aia nel 1726. La carta d'Italia dell'Istituto Geografico Militare al foglio 68 riporta ancora oggi un loco identificato come cascina Gamenario, senza però alcuna traccia delle vestigia di un tempo».
http://www.gioventurapiemonteisa.net/?p=13954 - http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Gamenario#Gamenario_oggi
Giaglione (casaforte o stello di Menate)
«La denominazione di "castrum vetus" nei dati di archivio dimostra l'esistenza di un castello da tempi remoti di guardia ad una delle prime vie per le Gallie. Abbandonato per secoli fu recuperato dalla famiglia degli Auruzi. Spodestati gli Auruzi per amicizia con il Delfino il castello passa agli Aschieri de Jalliono. Con l'estinzione degli Aschieri il castello è assegnato alla famiglia Ripa. La mancanza di sorgente lo rendeva scarsamente difendibile e sono note le diverse traversie e difficoltà per superare il dislivello dal paese al castello con condotte e tubazioni» - «L'attuale palazzo storico nasce anticamente come castello fortificato in posizione strategicamente dominante, con veduta a piena valle; fu eretto dagli Aurici: è passato poi agli Aschieri De Jallonio, la famiglia più importante che ha governato il paese per conto dei Savoia, ed infine dei Conti Ripa di Meana. La struttura si presenta oggi nelle forme seicentesche: si compone di tre strutture quadrangolari, una principale e due ali di servizio laterali più piccole. Al piano terra troneggia un bel portico eptastilo a forma di "T" coronato da una sontuosa balaustra; al piano nobile il terrazzo che offre la vista delle albe e dei tramonti sul suggestivo parco, caratterizzato da un meraviglioso intreccio creato dai colori degli alberi secolari, delle ortensie e degli agrifogli, e sulla vallata».
http://www.comune.giaglione.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=6324 - http://www.esserci.com/IT/castelli/castellodigiaglione.htm
Giaglione (resti del castello Superiore Aschieri de Jalliono)
a c. di Roberto Ronsil
Giaveno (castello degli Albezi)
«Il castello degli Albezi, situato accanto alla chiesa della Sala, è un bel esempio di costruzione medioevale. Fatto costruire dagli Albezi intorno al secolo XIII, conserva tutt'ora il nome della nobile famiglia. è una delle attrazioni turistiche piemontesi presenti nel comune di Giaveno in località Borgata Sala. è un monumento medievale risalente al secolo XIII, distante circa 30 km da Torino; conserva il nome della nobile famiglia che lo fece costruire, e che per tanti anni lo tenne come sua dimora. Inserito in un giardino ben piantumato di circa 12000 mq, la proprietà si sviluppa su 3 livelli, per complessivi 750 mq. Completano la proprietà taverna, magazzini e cantine con soffitte a volta. L'immobile è parzialmente da ristrutturare, mentre l'esterno è stato completamente recuperato. Nel corso degli anni la proprietà ha avviato progetti volti a restauri conservativi, su precisa indicazione e supervisione delle Belle Arti, interventi volti non a modificare i locali, ma a riportarli agli antichi splendori con particolare attenzione a camini, soffitti, travi e pavimentazioni e torri originali. Attualmente risulta proprietà privata».
Giaveno (torri urbane, delle Streghe, Garola)
«Torre delle antiche mura. Dall'antico maniero, fatto costruire dall'abate Pietro di San Michele della Chiusa nel 1369, non si hanno più tracce, rimangono solo tre torri della fortificazione che cingeva il castello» - « Casa forte situata in Località Villa è stata realizzata (con portico) nel 1290 per controllare la strada che conduceva dal villaggio a Cumiana, tramite la Colletta omonima. è denominata "Arco [o torre] delle Streghe" a causa di urla e lamenti che, secondo un'antica leggenda, i valligiani avrebbero sentito provenire dalla torre nelle notti buie. ... Torre Garola: sita in località Buffa è una torre quadrata del XVII secolo edificata con funzione di osservatorio e di difesa».
http://www.invalsangone.it/index... - http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Giaveno/Castelli_e_Fortificazioni
«Tra l’XI e il XII secolo il nome di Gorra identificava una vasta area rurale ricca di corsi d’acqua e stagni, tra il Po, il torrente Banna e il rio Stellone (da cui il nome di Villastellone). La zona era posseduta dai Templari (i Cavalieri del Tempio), che avevano sede in S. Martino di Gorra, un toponimo oggi perduto. Fin lì si spinse l’influenza del comune di Chieri dal 1203, con l’acquisto di parte del territorio e con la fondazione della “villanova” di S. Martino dello Stellone (1228-1236), oggi Villastellone, cinta da mura e fossati, che fu poi totalmente distrutta da un incendio nel 1325. L’attuale casaforte di La Gorra fu edificata nel 1300 dai Provana di Carignano, una delle casate feudali più antiche del Piemonte, a quel tempo vassalli di Filippo d’Acaja e consignori di Carignano insieme ai marchesi di Romagnano. Dal XIV secolo uno dei numerosi rami della famiglia Provana assunse il titolo di signori (o castellani) della Gorra. La massiccia struttura ha il paramento in laterizio. Alcune finestre sono state modificate. Alla sommità si notano tracce di merlatura a coda di rondine, inserita nella sopraelevazione. L’edificio è di proprietà privata».
http://archeocarta.org/carignano-to-casaforte-gorra
GROSSO (castello o palazzo Armano)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«II castello di Grosso, situato sulla piazza principale del paese, è un monumento notevolissimo dell'architettura barocca piemontese del Seicento. Il fabbricato, di proprietà privata, si compone essenzialmente di un grande braccio di fabbrica a tre piani, che prospetta verso la piazza principale del paese. A sinistra dell'edifìcio principale si innalza un braccio di soli due piani, terminato da una cappella gentilizia la cui facciata, sobria e corretta, prospetta anch'essa la piazza. Il profilo della facciata, interrotta dalle torricelle pensili e dal torrione centrale, è variato e interessante; la giudiziosa distribuzione delle masse, costante preoccupazione dei vari architetti, risulta movimentata dai grandi avancorpi, che, per la cornice sporgente, contribuiscono a segnare strisce e pezze di ombra sul prospetto dell'imponente edificio. A sinistra dell'androne è disposta la scala a quattro rampe, sostenute da volte a collo d'oca, mentre i pianerottoli poggiano su colonnette. Le pareti della gabbia in molti tratti presentavano forse delle pitture; rimane ancora vicino alla porta che, al piano nobile, da accesso al salone d'onore la figura di un alabardiere riccamente vestito, interessante saggio di costume secentesco. L'interno del castello, contrastante con la sobrietà esteriore, è fastoso e ricorda il lusso e lo splendore della vita seicentesca. Gli ambienti del pian terreno sono coperti da volte dipinte con motivi del Rinascimento e seicenteschi.
Il grandioso salone al piano nobile, in posizione non centrale, impressiona per la sua fastosa decorazione. Esso è coperto da un soffitto in legno a cassettoni, adornati da rosoni. Il tono dell'ornamentazione è molto chiaro: travi, travicelli, rosoni in grigio con esili filetti oscuri che ne sottolineano le membrature, ciò avvantaggia la sala nell'effetto della sua altezza. La composizione e il disegno caratteristico del Seicento per la ricchezza delle cornici, medaglioni e per gli atteggiamenti contorti delle figure, appaiono talvolta non certo perfetti. La pittura però in complesso è assai commendevole e adempie perfettamente al suo scopo decorativo, di cui nel Seicento ancora si preoccupava l'artista. Il salone adiacente è pure mirabile per il suo bellissimo soffitto a cassettoni e rosoni in chiaro e per un altro fregio dipinto che corre sotto di esso. Entro medaglioni bronzei sono effigiate varie figure di putti e cariatidi. Le cornici e i cartocci che li circondano, trattati con fare largo e disinvolto in tinta chiara, sono pure molto belli. Sono rappresentate le quattro età auree. Molti altri locali del castello sono adornati di pitture. Una lapide marmorea, conservata e murata nella cappella gentilizia dedicata alla S. Sindone, ci ricorda gli autori e la data della ricostruzione del castello: "I fratelli Giovanni, Giacomo e Bernardino Armano conti di Grosso e Villanova nel 1655 ricostruirono dalle fondamenta il Castello medioevale che era cadente per vetustà, rivendicando la potestà su Grosso che da tre secoli apparteneva ai loro maggiori e costrussero la Cappella intitolata alla S. Sindone"».
http://www.comune.grosso.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=2157
Ivrea (castello dalle rosse torri)
a c. di Glenda Bollone e Federica Sesia
«...Nel medioevo la città era cinta da mura e divisa in terzieri; quello della città comprendeva la parte alta dove si trovavano il Palazzo del Vescovo, la Cattedrale, il Chiostro, il Palazzo del Comune e il Castello; a sua volta anche la Città alta era attorniata da mura. La zona occidentale, ossia il terziere di San Maurizio, comprendeva la zona ove si trovava il castello dei Marchesi di Monferrato, conosciuto come Castellazzo. La parte bassa verso est faceva parte del terziere di Borgo, mentre oltre il ponte Vecchio, fuori dalle mura si trovava il Borghetto di ponte. Degli edifici medievali sono rimasti alcuni palazzi, più o meno rimaneggiati in epoche successive.
PALAZZO DELLA CREDENZA. Si trova nel lato sud della piazza principale ed è una modesta costruzione in stile gotico, in mattoni: al pianterreno c’è un porticato con archi ogivali e con piccole finestre a sesto acuto, presenti anche al primo e secondo piano. Una semplice decorazione di coronamento sottolinea l’ultimo piano e il sottotetto. Fu eretta, probabilmente, intorno al 1313 insieme alla piazza attigua del mercato, per dare una sede al Consiglio del Comune, che nel Medioevo era detto Credenza. Si ritiene che fin dal XVI secolo questo palazzo non sia più stato usato come sede dei Credenzieri, ma per altri scopi, di cui non si hanno notizie. Sul lato destro del palazzo della Credenza, affacciati sulla piazza, vennero costruiti portici bui e scuri che venivano affittati nei giorni di mercato. Con soffitti formati da grossi travi in legno, vennero demoliti nel 1700 a causa del degrado e dell’abbandono. L’unica testimonianza di essi sono i resti della “PORTA TOUPE” cioè un antro piuttosto basso e buio, allo sbocco di via Marsala (nel Medioevo “rua delle ova”).
CASA DEGLI STRIA. L’edificio si trova in via Siccardi, poco distante dal Palazzo di Giustizia ed attualmente ospita una scuola secondaria superiore. In questa casa nel 1391, Amedeo VII, il Conte Rosso, firmò, insieme ai nobili Canavesani e ai rappresentanti dei Turchini, un accordo che pose fine al Tuchinaggio, il movimento popolare che aveva più volte combattuto contro i feudatari del Canavese. La casa era dell’importante famiglia eporediese degli Stria e presenta una interessante cornice decorativa in cotto che riproduce ornamenti tipici del periodo: archi trilobati, fogliame e fune intrecciata. Questi fregi, testimonianza di una casa signorile del medioevo, vennero riprodotti nel 1884 dal D’Andrade nel borgo medioevale del Valentino a Torino.
PALAZZO E TORRE DEI TALLIANTI. Il palazzo si trova in Via Bertinatti. Fu costruito tra il XII e il XIII secolo dalla famiglia Tallianti, antico casato eporediese estintosi nel 1740. Nel cortile interno è possibile vedere la possente torre a pianta quadrata che è stata denominata “Turris Alba” (torre bianca) da A. D’Andrade. Non si sa però con esattezza da dove provenga il nome; si pensa derivi dall’intonacatura di calce che un tempo la ricopriva e di cui sono state ritrovate tracce in alcuni punti. La torre si innalza di due piani rispetto al tetto dell’edificio; su ogni lato si aprono delle finestrelle ad arco ogivale. I materiali usati per la costruzione sono pietra e laterizi a vista. Una ricca fascia composta da tre file di archetti pensili abbellisce la torre e una decorazione simile è presente in alcuni punti della facciata esterna.
TORRIONE E PALAZZO VESCOVILE. Il palazzo si trova in piazza Duomo, nei pressi della Cattedrale, è un complesso di edifici di diverse altezze e dimensioni formatosi nel corso del tempo con molte aggiunte e rifacimenti. Caratteristiche architettoniche medievali originarie restano nella torre, detta il “Torrione del Vescovo”, risalente al XV secolo, che si innalza alcuni metri oltre il tetto e che conserva il coronamento con decorazioni in cotto, i merli a coda di rondine e alcune aperture basse e strette, che, insieme allo spessore dei muri, testimoniano l’origine di casaforte. All’interno del vescovado vi è un cortile dove sono conservate lapidi con iscrizioni romane e cristiane ritrovate in canavese e un giardino, l’antico “pomarium”, formato da alcuni terrazzamenti».
http://archeocarta.org/ivrea-to-palazzi-medievali/
IVREA (torre di Santo Stefano)
«Il campanile medioevale di Santo Stefano, con i suoi quasi mille anni di esistenza, è l’unica testimonianza rimasta di uno dei più antichi luoghi di culto eporediesi. La torre campanaria sorgeva a fianco di una chiesa romanica e apparteneva al complesso abbaziale dei monaci benedettini, fondato nel 1044. La titolazione del medesimo complesso monastico deriva da una chiesa preesistente consacrata al protomartire Stefano e al Santissimo Salvatore. Questo antico edificio sacro, situato inizialmente in un’area suburbana, venne donato, forse verso il 1042 ai monaci benedettini. La fondazione dell’insediamento cenobitico a Ivrea, per iniziativa del vescovo Enrico, appartiene ad un periodo di grande sviluppo dei centri monastici; il monastero era inoltre legato al filone fondato da Guglielmo da Volpiano e dipendeva dall’abbazia di Fruttuaria presso San Benigno Canavese. Nel corso del secolo XI i benedettini si avvantaggiarono di altre donazioni accordate dalle autorità (come ad esempio i beni offerti dal vescovo Oggerio nel 1076, i privilegi dell’imperatore Enrico II nel 1050 e di papa Nicolò II nel 1063). In questo favorevole periodo per i monaci benedettini, ascrivibile alla metà del secolo XI e durante il quale hanno ormai giurisdizione sull’intera area fuori le mura, si colloca l’edificazione del campanile di Santo Stefano e del complesso abbaziale. La sequenza dei sei piani della torre campanaria, culminante in origine con una copertura a cuspide e contraddistinta da archetti pensili di raffinata fattura, rimane tuttora un chiaro emblema dell’allora potere abbaziale; nella sequenza dei piani della torre si noti inoltre l’alternarsi progressivamente in altezza delle aperture da monofora fino a trifora. All’inizio del Duecento scemano le attenzioni dimostrate nei secoli precedenti dalle autorità verso i benedettini in quanto non sono più l’unico ordine monastico presente nella città. Fin dall’età moderna il campanile è risparmiato dalle demolizioni -ad eccezione di quella apportata alla cuspide nel 1854- eseguite in momenti diversi agli altri edifici del complesso abbaziale; nel 1558 il maresciallo Brissac, per ragioni di difesa della città, ordina l’abbattimento della chiesa (ricostruita poi dai benedettini); nel 1757 è la volta degli edifici abbaziali, i quali, ormai abbandonati dai monaci, sono demoliti per ampliare il giardino di Palazzo Perrone. In quel medesimo periodo, essendo ancora in vita l’abbazia - soppressa nel 1802- l’abate Gaspare Amedeo San Martino della Torre, decise di trasformare il superstite granaio addossato al campanile in chiesa, successivamente demolita nel 1898 per ingrandire i giardini pubblici. Il riconoscimento del valore storico-artistico assegnato alla torre campanaria si rintraccia nei documenti d’archivio fin dalla metà Ottocento; da allora la torre, ormai incamerata nei beni comunali, è divenuta una delle più importanti testimonianze, simbolo, un tempo, dell’importante ruolo rivestito in campo religioso e sociale dal centro monastico e ora romanico emblema della città».
Lanzo Torinese (torre di Aymone di Challant)
«Anche se non quella attuale, una torre sembra già esistesse nel 1272 ed era la porta di accesso alla Contrada del Borgo (attualmente via San Giovanni Bosco) che conduceva al Castello posto sulla sommità del Monte Buriasco. Lungo questa via, a partire dal 1219, il martedì si teneva il mercato settimanale. Dalla contrada si dipartiva, trasversalmente, una serie di strette viuzze chiamate chintane (alcune ancor oggi esistenti), talvolta sormontate da archi e lunghi voltoni che le fanno somigliare a gallerie pedonali. Parallelamente alla Contrada, sia verso Torino sia verso Germagnano, si snodavano due strade strette che correvano sulla sommità delle mura di difesa (per questo erano dette "Strade di Corserio"). La Torre attuale (1329-1357) porta il nome di Aymone di Challant, suo costruttore e castellano di Lanzo nel Trecento, giunto a Lanzo al servizio di Margherita di Savoia. In epoca medievale la Torre era fornita di ponte levatoio e non aveva il tetto di copertura, che venne aggiunto nell'Ottocento per proteggerla dalle intemperie. Sulla sommità è posta la campana del comune e sulla facciata erano raffigurati gli stemmi dei Savoia e degli Estensi, signori della città. ... La torre è alta 20,50 metri ed è una tipica fortificazione Trecentesca: ciò è evidenziabile dall'arco in cotto del fornice con doppia armilla acuta, dai capitelli su cui quest'ultima poggia e dal motivo decorativo delle caditoie e dei merli (col contrasto tra il rosso dei mattoni e il grigio chiaro della pietra dei beccatelli). All'interno della Torre vi erano le nicchie e le guardiole di difesa e l'intera struttura era chiusa, oltre che dal ponte levatoio, da un robusto portone di cui si vedono ancor oggi i cardini e le tracce della saracinesca che serviva per la chiusura».
http://www.comune.lanzotorinese.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=29890
LAURIANO (resti del castrum, palazzo dei conti Morra)
«Il sito di Lauriano, dal cui territorio sono segnalati generici ritrovamenti di età romana, si colloca nell’ambito di quel fitto popolamento sparso di età romana, focalizzato intorno ai centri maggiori di Industria, Quadratula (Brusasco) e Vardacate (Casale) e organizzato lungo le vie di comunicazione di terra e fluviali (asse del Po). In tutta l’area si riscontra la continuità della medesima struttura insediativa, fortemente condizionata dagli assi viari, anche in età medievale, potenziata dalla formazione di una rete di strutture fortificate d’altura. ... In corrispondenza della cappella del Romitorio, di età medievale (XII secolo) e connessa alla cosiddetta “casa del Romito”, si segnalano anche resti di strutture, probabilmente afferenti ad un impianto castellare di età medievale. Si ipotizza che tali resti possano corrispondere al castrum testimoniato nel XII secolo: le strutture sono riferibili alle rovine di una torre, forse torre d’accesso ad un ricetto» - «...Gran parte del territorio del paese fu proprietà dei Morra, divenuti conti di Lauriano con il tenente di fanteria Gian Battista di Bernardino (nato a Torino nel 1730 e morto il 25 agosto 1794). Nell’ottobre del 1776 egli acquistò il feudo con il palazzo e beni da Bonaventura Ferrero, precedente conte di Lauriano che morì a Torino nel 1777 senza lasciare eredi. Gian Battista Morra venne nobilitato il 27 dicembre 1776 e infeudato di Lauriano l’anno successivo. Sposò Teresa dei conti Rebuffo di S. Michele. Il palazzo di Lauriano fu la residenza estiva dei conti Morra. Per il resto dell’anno essi vissero a Torino in Via della Rocca 23. Successore a Gian Battista Morra fu il figlio Bernardino (nato a Villafranca Piemonte nel 1769 e morto a Lauriano nel 1851). Durante il periodo in cui il Piemonte era assoggettato alla Francia, Bernardino Morra si trovò a guidare il Comune. ...».
http://www.provincia.torino.gov.it/attiweb/giunta/2013/20131203/2013_43467_25.pdf - http://www.itinerandoper.it...
«È l'edificio più imponente e caratteristico di Leini. È detta "dell'Ammiraglio", anche se è certamente preesistente alla nascita di Andrea Provana. Sorge nella sua piazza principale ed è il resto più appariscente dell'antico castello trecentesco. È alta 33 metri, a pianta quadrata, in mattoni, massiccia e coronata di merli. Il resto dell'antico complesso è occupato dagli uffici del Comune».
http://leiniacum.altervista.org/luoghi-di-interesse.html
«Lessolo viene citato per la prima volta in un documento del 1044. Nella zona sono stati però rinvenuti indizi che fanno pensare alla presenza di insediamenti salassi, romani e poi longobardi. La parrocchia di San Giorgio fu istituita nel 1305. La chiesa di San Giorgio nella sua attuale struttura risale principalmente al XVIII secolo. Un ramo dei signori di Castellamonte, che comprendeva le famiglie Cagnis, Cognenco, Magnis, Capris, ebbe a lungo giurisdizione sul paese. Il Castello, ancora abitabile e di proprietà dei Cagnis, è situato su un’altura e conta due torri massicce, una quadrata e l’altra cilindrica, sopravvissute alla storica rivolta dei tuchini. La primitiva fortificazione, già citata in documenti del XIII secolo, venne infatti incendiata e distrutta. Ricostruita successivamente, nel corso dei secoli subì rimaneggiamenti fino ad essere trasformata in palazzo baronale».
http://castelliere.blogspot.it/2015/06/il-castello-di-lunedi-1-giugno.html
LOMBARDONE (resti del ricetto e del castello)
«Il comune era un antico castrum longobardorum, importante centro in cui, difatti, fu seppellito anche re Rotario. Il borgo, in epoca medievale, apparteneva alla Marca di Ivrea; era un centro fortificato (il castello, purtroppo, è andato perso) lungo il torrente Malone, al confine con la Marca di Torino. Il comune fu sottoposto nel 1014 per volontà dell'imperatore Enrico II alla giurisdizione dell'abbazia benedettina di Fruttuaria a cui Lombardore farà capo fino al 1714, quando accordi di incameramento del demanio ecclesiastico fra il pontefice Benedetto XIV e i Savoia consentiranno a questi ultimi di governare effettivamente sul paese. Nel Novecento, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, si è sviluppata un discreto settore industriale legato alla produzione di tubi, profilati e allo stampaggio dei metalli. Da vedere: parrocchiale di Sant'Agapito. Costruita sui resti dell'antico ricetto medievale nel 1740, fu sottoposta ad ulteriori interventi nel 1820 ad opera i Luigi Benedetto Bossi. ... In via Ripa Fisca sopravvive la Torre-porta dell'antico ricetto».
http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Lombardore
«Il castello di Macello nasce come costruzione fortificata a carattere militare nel XIII secolo, a fianco del ricetto, primitivo nucleo dell'attuale paese. Lo confermano i Conti della Castellania (1303-1323), che parlano di "castrum" e di "recetum". Alle dirette dipendenze del Principe Filippo d'Acaja, il feudo e il castello di Macello vengono ceduti ad alberto Savio nel 1323 in cambio della quarta parte di Bricherasio. Dopo brevi parentesi dei Bersatore (1360-63) e dei Romagnano (1364-73), subentrano nel 1396 i Solaro, famiglia guelfa di origine astigiana, i quali posseggono e abitano il castello fino agli inizi del 1800. Si succedono poi varie famiglie fino ai giorni nostri: Balbo Bertone di Sambuy, Garelli, Trotti-Bentivoglio, Rogeri di Villanova-De Ferrari, Società "Le 5 Torri". La tipologia della fabbrica presenta una pianta pressoché quadrata con torrione centrale (mastio), quattro torrette d'angolo (bertesche), cortile interno piccolo e raccolto, tracce dell'antico ponte levatoio e del fossato perimetrale. Viene rimaneggiato nel '700 con trasformazioni barocche inserite nel primitivo tessuto medievale e adibito a residenza signorile. Il Castello, restaurato integralmente tra il 1980 e il 1982, presenta un parco di 12.000 mq. ricco di piante secolari, e una serie di saloni adibiti a convegni, mostre, concerti, incontri scientifico-culturali. Il cortile presenta a destra un porticato con archi a sesto acuto e una loggia con tonde colonne in mattoni al primo piano. Al centro il pozzo, ricostruito su di uno precedente, di cui resta l'antica pietra rotonda. Il cammino di ronda, punteggiato di feritoie, corre lungo tutto il perimetro del castello, con evidente funzione di avvistamento, di guardia e di difesa del maniero. I muri esterni, spessi in alcuni punti m.1,80 presentano fregi a doppio dente di sega, archi intermerlari con il profilo del merlo disegnato sulla muratura e numerose bifore. Il Casalis nella sua opera storico-geografica sugli stati di S.M. Re di Sardegna afferma che "nel 1629 nel luogo di Macello imperversò una crudele pestilenza. Si fu in tale occasione che nel castello di questo luogo morì una persona avente ben oltre 103 anni di età". Gli assedi e i saccheggi portati al castello, di cui esiste una certezza storica, sono quattro. Uno risale al 1373, l'altro al 1391 e il terzo è del maggio 1595 ad opera del Duca di Lesdighieres e l'ultimo, portato dai giacobini francesi, del 1798».
http://www.comune.macello.to.it/viewobj.asp?id=4104
« Il torrione, unica struttura superstite dell´antico castello di "Maticem", si erge su un dosso roccioso che domina la parte pianeggiante e il centro abitato. La sua costruzione si fa risalire al Trecento, ma l´insediamento di una prima struttura fortificata sul poggio pare da assegnarsi agli Aschieri, vassalli dei Savoia, che sarebbero giunti in valle al seguito dei primi signori sabaudi. In seguito il luogo passò sotto la giurisdizione dell´Abbazia di San Giusto di Susa che lo avrebbe infeudato ad una potente famiglia nobile locale. Alla fine del Duecento il castello fu acquistato dai Bartolomei, cui si sostituirono altri signori, fino a passare agli Agnes-des-Geneys di Fenils che ne detennero la proprietà fino alla fine dell´Ottocento. Da un documento del 1607 si apprende che il castello era già a quel tempo in condizioni di avanzata rovina; tuttavia, fino a non molti anni addietro, vi si notavano ancora resti di stemmi gentilizi dipinti, con alcuni simboli vescovili. La comunicazione diretta avveniva con i presidi di Meana e Traduerivi. Il torrione superstite, poggiato direttamente sulla roccia, ha la forma massiccia di un parallelepipedo costruito interamente in pietra di piccola pezzatura. Si possono ancora apprezzare tratti del coronamento merlato, alcune aperture ed una bertesca su mensole degradanti in pietra posta a difesa della zona di ingresso. L´interno presenta segni di avanzato degrado, mentre le murature esterne, grazie anche alla robustezza della struttura lapidea, non hanno segni di lesioni importanti. Attualmente la costruzione non è utilizzata ma esiste un programma di restauro e di ridestinazione a struttura ricettiva. Indicatore di conservazione: stato di conservazione cattivo. La possente costruzione, in passato considerata simbolo del comune di Mattie, è stata oggetto di interessamento da parte della Comunità Montana e del comune di Mattie. Attualmente l´edificio è stato acquistato da un privato con l´intenzione di restaurarlo e destinarlo ad uso ricettivo. A tal proposito è prevista una variante al vigente P.R.G. nel quale si modificherebbe la destinazione d´uso dell´area da pubblica a servizi. Inoltre data la favorevole posizione panoramica, il luogo ha le caratteristiche di belvedere naturale e merita di essere inserito nel circuito delle strutture fortificate minori. La presenza della torre potrebbe essere valorizzata da un´illuminazione che ne segnalasse la presenza nelle ore notturne anche da visuali lontane».
«Il complesso del castello di Mazzè è situato sulla sommità della collina morenica su cui si adagia l'omonimo paese, quasi al centro del Canavese, a dominio sia della forra entro cui scorre la Dora Baltea, sia delle piane di Ivrea, a nord, e di Chivasso, a sud. Il sito su cui sorge il castello fu occupato già in epoca celtica, come attestano il menhir e l'ara riportati da poco alla luce. Di epoca romana sono invece i resti (visibili nei sotterranei del castello) del "Fortem Copacium", eretto nel 175 a.C. dal Console Appio Claudio, quale presidio romano contro i Salassi, bellicoso e fiero popolo celtico che abitava nel Canavese ed in Valle d'Aosta e che cercava di contrastare, con poco successo, l'avanzata romana nelle proprie terre. Nel 1141 l'imperatore Enrico IV di Sassonia investì del feudo di Mazzè la famiglia ghibellina dei Valperga, che in seguito si dividerà in ramo Valperga di Valperga e ramo Valperga di Mazzè. Risale a questo periodo la trasformazione del forte romano (il "Fortem Copacium") in prigione, trasformazione voluta dai conti di Valperga. Nel 1316 i Valperga elevarono sui ruderi romani, da due secoli trasformati in prigione, un castello, al quale fu affiancata, poco dopo, una casa-forte, oggi trasformata in dimora (il cosiddetto "castello grande"), adiacente al più antico "castello piccolo". A partire dal Quattrocento il feudo ed il castello di Mazzè seguì le sorti dello stato sabaudo. Nel 1515 il castello fu temporaneamente occupato dal re di Francia Francesco I. In questo periodo la struttura era ormai diventata un maniero di campagna, senza altra utilità militare se non quella di ospitare una piccola guarnigione sabauda.
Il castello fu proprietà dei conti Valperga, ramo di Mazzè, dal 1141 fino al 1840. In seguito la proprietà passò ai conti Brunetta d'Usseaux, antica famiglia nobile francese originaria dell'Alvernia, dal XVII secolo passata al servizio dei Savoia. Eugenio Brunetta d'Usseaux, che abitò nel castello dal 1850 al 1919, fece eseguire profondi lavori di restauro e rifacimento, sia nella parte più antica posta verso la Dora, edificata nel 1317 sulle rovine della preesistente prigione, sia nella casaforte posta a ovest, col tempo divenuta pertinenza agricola, conferendo in tal modo al complesso l'aspetto attuale. Sotto la direzione dell'architetto Giuseppe Velati-Bellini, modificando le strutture preesistenti, dal 1897 al 1907 furono realizzati due manieri di fattura squisitamente neo-gotica, con un cortile ed un parco, esteso sino al fiume, che conservano ancora oggi tutta la loro bellezza. Dopo la morte di Eugenio Brunetta d'Usseaux (1919), primo e finora unico italiano ad essere stato segretario del Comitato Olimpico Internazionale (dal 1908 al 1919), i due castelli furono abbandonati e l'archivio del C.I.O., qui conservato, andò disperso. Nel 1859 la struttura ospitò il re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, che qui si era recato per studiare come contenere l'offensiva austriaca durante la seconda guerra d'indipendenza. Nel castello soggiornò anche lo zar Nicola II, in viaggio in Piemonte. Durante la seconda guerra mondiale il castello fu sede del comando tedesco di zona e qui, nel maggio 1945, fu firmata la resa delle truppe tedesche al comando delle forze alleate, che avevano nel frattempo occupato anche il Piemonte ed il Canavese. Dopo anni di abbandono, da alcuni decenni il castello è passato in proprietà alla famiglia Salino di Cavaglia, che ha recuperato e restaurato il castello e il grande parco.
Il complesso del castello di Mazzè è suddivisibile in due parti: il "castello piccolo", ad oriente e risalente al Trecento, ed il "castello grande", a occidente e risalente al Quattrocento, ma con rifacimenti neogotici eseguiti nell'Ottocento. All'interno del castello grande sono da vedere gli affreschi di stile neogotico, opera di Romolo Bernardi, dipinti nel portale d'onore, nelle pareti dello scalone e nella sala del trono. Notevoli gli intarsi eseguiti, sempre nella sala del trono, da Carlo Arboletti, ed il camino in pietra costruito dai fratelli Catella. Degni di nota infine i soffitti della sala da musica e nel salone gotico, eseguiti dal pittore Giovanni Beroggio. A pochi metri dal Salone delle Armi si trova il Rivellino, primario bastione difensivo posto sull'ingresso principale del Castello e che offre una notevole vista su Monferrato, Canavese, Vercellese, Dora Baltea, Torino, Superga, Monviso, Gran Paradiso e gran parte dell'arco alpino occidentale. Nei sotterranei sono visibili le prigioni e la ghiacciaia, del XIV sec., i resti romani con la cisterna d'assedio del II sec. a.C., la "cripta celtica" del X sec. a.C., e la cappella funeraria del XV sec. Da alcuni anni nei sotterranei del castello è stato inoltre allestito il Museo della Tortura, che ospita oggetti provenienti in gran parte dalla Spagna, ma anche da altri paesi europei. La collezione si sviluppa su circa 500 mq. sotterranei, dotati di un suggestivo sistema di illuminazione e diffusione sonora e controllati da telecamere a circuito chiuso. Il castello è dotato di un grande parco, che dalla sommità della collina scende quasi fino alla riva della Dora Baltea. Anche il parco, come il castello, è posto sotto tutela, in base alla legge n. 1497 del 1939, quale monumento paesaggistico naturale. All'interno del parco si trova un percorso segnalato, che si sviluppa per più di 5 km e con inizio in discesa, ideale per escursioni tra boschi di querce, faggi e frassini, splendidi scorci panoramici sul sottostante fiume Dora Baltea, ruderi romanici e aree d'interesse botanico. Oltre al vasto parco, all'interno delle mura di recinzione del castello si trovano anche la grande piazza d'armi, i giardini interni con piante pregiate e un'ampia terrazza, da cui si gode uno splendido panorama».
http://www.parcopotorinese.it/pun_dettaglio.php?id_pun=973
«Il Castello di Miradolo è un edificio situato all’imbocco della Val Chisone, costituito da una parte nobiliare e da una parte rustica, il cui impianto risale al XVII e XVIII secolo e fu successivamente ridisegnato e ampliato nella seconda metà dell’Ottocento. Al fine di valorizzare il complesso architettonico, è stata intrapresa un’approfondita ricerca storica finalizzata alla ricostruzione della memoria del luogo, sia attraverso le fonti archivistiche, che attraverso le più recenti testimonianze orali. Le prime notizie certe legano la storia del Castello, inizialmente ricordato come una semplice “cassina”, alla famiglia dei Macello i quali, pur non possedendo alcun feudo, erano i maggiori proprietari del territorio. Giovanni Battista Macello cambiò il nome della propria famiglia da Macello in Massel e successivamente ampliò i propri possedimenti, acquistando il Marchesato di Caresana. Nel 1866 la marchesa Teresa Massel si sposò con Luigi dei Conti Cacherano di Bricherasio, il quale come dono di nozze alla sposa, fece ristrutturare l’antica e rustica “cassina” di campagna, trasformandola in residenza nobiliare di gusto neogotico, quella che ancor oggi possiamo vedere. Dall’unione tra i due nacquero Sofia ed Emanuele. Quest’ultimo, morto prematuramente nel 1904, fu tra i soci fondatori della FIAT, prima grande azienda automobilistica italiana. Sofia, ricordata per il suo impegno intellettuale e sociale, fu allieva del pittore Lorenzo Delleani, ospite abituale nel cenacolo culturale sorto attorno alla contessa stessa. Questa, ultima erede della famiglia, morì nel 1950 lasciando il Castello di Miradolo alla Provincia religiosa di San Marzano di don Orione, che rese il palazzo una casa per esercizi spirituali. Negli anni a seguire furono effettuati una serie di interventi non sempre rispettosi dell’impianto originario e infine la proprietà fu abbandonata. Nel 2007 l’intero complesso è stato acquistato da un gruppo di privati. Gli interventi di recupero ne hanno permesso la riapertura al pubblico nell’ottobre del 2008 e proseguono con lo scopo di riproporre l’edificio come sede di quel “cenacolo culturale” che ne animava gli spazi nella prima metà del Novecento.
LA SERRA. Lungo la facciata sud ovest del Castello trovava posto la serra. Questo ampio e luminoso locale, trascurato nel corso dei decenni, ha ripreso oggi il suo antico splendore grazie al recente intervento di recupero. L’impianto è ottocentesco e si inserisce nel disegno globale, armonico ed elegantemente equilibrato, che caratterizza l’intero Castello. A seguito di una accurata indagine stratigrafica della muratura di facciata è comparso lo strato originario, ricostituito con cura da sapienti restauratori. Il restauro, ripristinando i volumi e i materiali originari, ha permesso di restituire al Castello uno spazio straordinario, nel quale le arcate neogotiche e le ampie finestre permettono alla luce di diventare protagonista. La serra è attualmente uno spazio adatto ad accogliere concerti, convegni, installazioni, piccole esposizioni e vari momenti di incontro e spettacolo.
IL PARCO. Il parco che circonda il Castello di Miradolo ha un’estensione di circa 6 ettari e ancora oggi lascia trasparire gli orientamenti progettuali e il gusto di chi iniziò a delinearlo, probabilmente a fine Settecento, e di chi poi ne proseguì la creazione, nella seconda metà dell’Ottocento, espandendone la superficie. In quel periodo il parco cambia il suo assetto e assume sembianze paesaggistiche di carattere romantico. Ispirato al giardino informale di gusto inglese, questo parco paesaggistico si caratterizza per avere una forma vagamente ovale, la cui regolarità è variata e resa piacevole da anse di vegetazione intorno al vasto prato centrale. Vi si trovano esemplari di notevole bellezza e importanza storica e botanica e il patrimonio arboreo presente è rappresentato da oltre 1740 alberi di diversa dimensione e pregio, appartenenti a 70 specie botaniche, che si ritrovano in gruppi più o meno densi, piccoli boschetti e singoli alberi isolati che sottolineano e delimitano ampie radure prative. L’intero parco è attraversato da un interessante sistema di canali irrigui e, in una planimetria del 1834, si riconosce addirittura un laghetto, di forma irregolare, sotto gli alberi del lato sud. La presenza nell’area di numerosi corsi d’acqua, la vicinanza stessa del torrente Chisone e la posizione particolarmente felice da un punto di vista climatico, al crocevia fra valli, pianura e montagna, fanno del luogo un sito notevole anche da un punto di vista ecologico, rendendolo habitat ideale per molte specie animali oltre che vegetali. Il microclima adatto permette, tra le altre cose, l’esistenza di un piccolo boschetto di bambù giganti che, favoriti dai corsi d’acqua del sottobosco, hanno trovato il loro ambiente ideale. Nel 1950, alla morte della contessa Sofia, tutta la proprietà venne lasciata a se stessa con progressivo degrado dell’intera area. Dal 2007 sono in corso numerosi interventi di recupero e valorizzazione, con l’obiettivo di confermare il Castello come luogo di attrazione e interesse tanto per gli abitanti del territorio quanto per i turisti. Oggi, allo sguardo dei visitatori, il parco si offre con i suoi alberi, il suo spontaneo boschetto di bambù, i suoi giochi di luce e acqua e la suggestione di una natura libera di esprimersi».
http://www.fondazionecosso.com/il-castello-di-miradolo/il-castello-e-il-parco
a c. di Federica Sesia
MONCALIERI (castello della Rotta)
«Il castello della Rotta, costruito nel IV secolo, fu possedimento prima dei Longobardi e poi dei Cavalieri di Malta che lo mantennero per tre secoli fino al 1500 quando divenne proprietà della famiglia dei Savoia. Fu in seguito trasformato in deposito di polvere da sparo nel 1706, quando i francesi attaccarono la città di Torino. Tra queste mura venne imprigionato dallo stesso figlio, Vittorio Amedeo II di Savoia, Re di Sardegna, che impazzì e morì completamente folle. La rocca aveva il compito di difendere il ponte sul fiume Banna, l’unico passaggio della strada romana proveniente da Pollenzo. Nel primo dopoguerra cadde in rovina ma per fortuna fu acquistato negli anni ’70 dal proprietario odierno, Augusto Oliviero, che lo restaurò e lo allontanò definitivamente dal degrado che lo stava distruggendo, quando era in completo stato di abbandono, chiunque vi aveva accesso e anche una semplice visita con tutte le buone intenzioni poteva diventare pericolosa. Il castello fu scenografia di molte battaglie, una delle quali gli avrebbe persino attribuito il nome, "Rotta" che significa per l'appunto “sconfitta”. Una leggenda vuole che questa disfatta sia stata quella subita da Tommaso di Savoia dai francesi nel 1639. Questo castello che già porterebbe un infausto nome di sventura mostra agli occhi del visitatore anche un aspetto macabro e oscuro. Il nome potrebbe provenire anche da altri significati, tra cui rotha ovvero roggia, che significa anche "luogo aperto", dopotutto si trovava proprio su un'ampia e vasta pianura. Ha una struttura possente prettamente finalizzata alla difesa, con torre di vedetta, ponte levatoio e grande cortile interno. Possiede molte sale e una cappella, tutte in fase di restauro da parte del proprietario che ha saputo riportare la rocca all'antico splendore. Il castello della Rotta è divenuto famoso soprattutto per una grande quantità di foto di presunti spettri che hanno colorato la cronaca degli ultimi tempi. Nel 1196 il castello fu donato dal vescovo Arduino di Valperga, insieme ad altre proprietà, ad Alberto, maestro della milizia del Tempio, divenendo possedimento dei Cavalieri di Malta. Poco distante vi è il paesino della Gorra, presumibilmente magione Templare. è facile trovare documenti che comprovano questa cessione, inoltre sui pilastri d’entrata vi sono scolpite croci patenti a firma dell’appartenenza del luogo all’Ordine. Anche l’interno riporta immagini e scritte correlate alle crociate. Le leggende del fantasma del cavaliere e del suo cavallo ...».
http://www.luoghimisteriosi.it/piemonte/moncalieri.html
a c. di Federica Sesia
MONTEU DA PO (ruderi delle torri)
«...Per ciò che riguarda il Castello di Monteu da Po esso non pare costruito prima del Mille, perché nel 996 l’imperatore concesse la Plebem Monticuli ai Canonici di Vercelli; in questo periodo quindi il Castello non era ancora stato costruito, altrimenti il diploma avrebbe riportato la scritta “Castrum”. La sua esistenza è invece evidente dato che nel 1186 Federico Barbarossa, con il suo diploma del 5 marzo, diede a Ottobono, conte Radicati, l’investitura di varie terre, villaggi e castelli, fra i quali vi era annoverato anche quello di Monteacuto (Monteu da Po). ... Inizialmente Monte Acuto (Monteu da Po) faceva parte del cosiddetto “Comitato di Monferrato”. In seguito passò ai signori di Brozzolo. Il 16 aprile 1300 Giovanni Marchese di Monferrato ne acquistò un quarto e lo infeudò il 17 maggio 1304, ad Antonio, conte di Biandrate. Nel 1306 la proprietà passò ai Paleologi che lo ridiedero ai Biandrate. Da costoro passò il 21 febbraio 1376 a Emanuele Gambarana; l’8 marzo del 1402 venne acquistato da Giovanni Paleologo di Monferrato; il 21 aprile 1419 passò a Pietro de Spagnolio. Il 6 dicembre 1422 passò a Delfino Derosso e il 18 gennaio 1464 ai signori Gaspare e Baldassarre Provana, che ne vendettero la metà. La lista è lunghissima, fino ai giorni nostri. Le torri sono poste sulla collina più alta che sovrasta il tratto della valle che comprende Lauriano Po e Monteu da Po sino a Brusasco e Cavagnolo. Ovviamente la collina domina anche il tratto del fiume Po che è compreso tra i territori suddetti. Attualmente sono visibili le strutture murarie di due torri quadrate».
http://archeocarta.org/monteu-po-to-torri-castello/
«Il nome di None si trova attestato per la prima volta, come ‘castrum nono’, in un documento del 1021. ... Sicuramente dalla fine del XII secolo entrò a far parte dei domini dei conti di Piossasco, un ramo dei quali assunse il titolo di conti di None: il loro capostipite fu Rubeo, da cui il nome ‘de Rossi’ di questo ramo dei Piossasco; uno di essi, Thomas de Nono castellanus et D. imperatoris legatus, è rammentato in un atto di convenzione del 1193 tra il vescovo di Torino e i detti signori di Piossasco. Nel 1295 Filippo di Savoia reinvestì ai signori di Piossasco castello, villa, uomini, giurisdizione e ragioni feudali di None in feudo nobile e gentile sia in linea maschile che femminile. Altri due consegnamenti rispettivamente del 1481 e del 1502, confermano l’indiscusso predominio dei Piossasco su queste terre. Nel medioevo None fu piazza forte e tutto il tratto di paese verso nord era cinto di mura e di fosso. Oggi non vi è più alcuna traccia di questo periodo storico, tutto fu abbattuto per opera del tempo e degli uomini, anche se i terreni adibiti a coltivazione ancora oggi si chiamano “orti delle mura”. Nel luogo ove sorgeva il castello che avevano fatto costruire e dove vivevano i Conti di Piossasco, nel 1728 il Conte Gian Michele Asinari Derossi Piossasco di None, già Viceré di Sardegna, decise di abbattere il vecchio e costruire un nuovo castello, ma l’opera non fu mai terminata a causa della morte prematura del Feudatario. La parte del castello già costruita fu demolita dal 1808 al 1815 per ordine del conte Adami Bergolo, che ne divenne proprietario, e vi edificò un castello di proporzioni più modeste che tutt’ora si erge fra ombrosi platani ed alti pini, noto anche come Castello Quaranta, dal nome della famiglia che ne divenne successivamente proprietaria».
http://archeocarta.org/none-to-castrum-nono
«Il ricetto, il cui termine deriva dal latino receptum è una struttura urbanistica di modesta entità; considerevolmente diffusi in Piemonte, i ricetti trovano una interessante concentrazione nel territorio compreso tra la Dora Riparia e la Dora Baltea e con esempi particolarmente conservati sino alle rive del Sesia. Il ricetto di Oglianico si conserva pressoché integro nel suo impianto urbanistico mentre è stato sensibilmente rimaneggiato e alterato nella tipologia edilizia delle cellule quasi tutte trasformate per usi abitativi. Il ricetto ha un unico ingresso difeso dalla torre-porta. Oglianico rappresenta il caso tipico di organizzazione territoriale di un centro urbano destinato ad abitazione stabile, privo di castello e mura: è ubicato a sud-est del borgo, e assolve alla funzione di ricovero permanente dei prodotti della terra e di ricovero per persone e animali in caso di pericolo, e di necessità di difesa da scorrerie o da attacchi esterni da parte delle popolazioni limitrofe. L’impianto del ricetto ha una conformazione planimetrica tendente al quadrato di 70 metri di lato. Il nucleo del ricetto è costituito da otto isole. Al centro due isole rettangolari costituite da una doppia fila di cellule edilizie, parallele con orientamento est-ovest. Le sei isole esterne sono disposte parallelamente alle mura e si affacciano sulle strade interne. La strada principale, risulta in asse alla torre-porta d’accesso e collega il doppio anello di strade. L’anello secondario interno delimita i due isolati centrali, quello esterno il perimetro delle mura.
La dimensione delle strade doveva essere tale da permettere la possibilità del passaggio agevole di due carri in senso opposto. Nell’organizzazione del ricetto non è presente la piazza, ma esistevano solamente slarghi per la ricezione e lo smistamento del traffico interno e in caso di bisogno di raccolta degli animali. Nel suo complesso il ricetto di Oglianico ha una superficie “intra muros” di 4900 mq; al suo interno si contano 62 cellule edilizie, alcune delle quali ancora ben leggibili. La struttura del ricetto di Oglianico, ancora ben presente nella cartografia ottocentesca e identificabile oggi ad un occhio attento alla lettura della cartografia urbana, è stata completamente inglobata nel borgo attuale; le cellule sono state trasformate in abitazioni. Si conservano intatte nel loro impianto planimetrico le due isole centrali, il decumano e d il primo anello viario. Le cinque isole perimetrali ad un’unica serie di cellule, si sono raddoppiate nel tempo utilizzando come muratura esterna la cortina difensiva e inglobando la via “di lizza”. L’isola nord risulta infine essere l’unica ad aver conservato “archi in mattoni di antiche aperture, ora murate” e basamenti murari grossi in ciotoli di fiume. Su questi muri si rilevano ancora oggi tratti di tessitura in ciottoli a spina di pesce, tratti di stilatura, ampie aperture ad arco al piano terra con ghiera in mattoni, strette aperture ad arco al primo piano; elementi di modiglioni in legno testimoniano l’esistenza delle lobie».
http://www.prolocooglianico.it/?page_id=15
«La torre-porta di Oglianico rappresenta un tipico esempio di torre medievale a tre lati, con il quarto lato aperto verso l’interno. La struttura muraria misura m 6,65 x 5,30, è realizzata in ciottoli di fiume, in parte a spacco, di piccola pezzatura, il paramento è lavorato a ricorsi irregolari dai quali emerge la tessitura a spina di pesce, tipica dell’architettura medievale. La torre è verticalmente suddivisa in quattro piani da tre impalcati lignei, collegati tra loro a mezzo di scale-porta. L’accesso carraio, chiuso da ponte levatoio, ha apertura ad arco a tutto sesto, con ghiera in mattoni non originale, l’apertura è posizionata in modo asimmetrico, per la presenza laterale di una pusterla pedonale come nel caso del ricetto di Candelo, ora scomparsa. Al secondo piano due alte feritoie permettono il movimento dei bilanceri che regolavano l’apertura del ponte, su tutta la superficie esterna è diffusa la presenza di buche pontaie, tra il terzo e il quarto piano si conserva un coronamento a dentelli in pietra. La muratura delle parti alte è stata ampiamente riplasmata e integrata con materiale laterizio in parte intonacato. L’ultimo piano presenta nel lato nord una doppia apertura ad arco, i lati sud e ovest conservano un’unica apertura, a causa dell’innalzamento, sull’angolo sud – ovest, di un campaniletto in mattoni, a pianta triangolare. In corrispondenza della finestra del terzo piano, era posizionato il quadrante di un orologio; un secondo quadrante di orologio, più piccolo, era a livello del quarto piano con l’asse verticale corrispondente allo spigolo interno del campaniletto triangolare. La torre-porta del ricetto, di proprietà comunale, cessata la sua funzione difensiva, assunse il ruolo di torre civica e di richiamo per la popolazione, ebbe funzione di torre campanaria e di orologio sino alla costruzione del nuovo campanile dove nel 1928 furono trasferite le campane. L’orologio pubblico rimase nella torre sino al 1942 quando fu smantellato nel corso di un intervento di restauro e di consolidamento».
http://www.prolocooglianico.it/?page_id=19
«Il borgo di Onzino è stato costruito su rocce polite dai ghiacciai del Quaternario che portano incisioni rupestri alpine di culto pagano dei Celto-Salassi ed ulteriori risalenti al tardo medioevo. Si riconoscono varie incisioni, fra cui un balestriforme, vari canaletti, un centinaio di coppelle, delle croci celtiche e latinizzanti, filetti ed altri segni. Il portale della casaforte di OnzinoL'area era in origine un luogo di culto, dove si svolgevano antichi riti di culto, come palesano le incisioni di carattere apotropaico. Fu in epoca tardo-medievale che su queste rocce incise fu costruito il primo nucleo abitativo. Tra le costruzioni degne di attenzione è la "casaforte", esempio di una tipizzazione costruttiva medievale. La casaforte è una "costruzione protetta", in cui venivano conservati i prodotti agricoli, per impedire furti di viandanti o masnadieri. La casaforte di Onzino è un edificio a tre piani di dimensioni significative (le misure interne del vano sono di circa 550x485 cm.), congiunti internamente da scale in legno. L'unico ingresso è composto da un robusto portale trilitico di dimensioni notevoli (cm. 180x115); un secondo portale trilitico, simile al primo è al secondo livello, tamponato. È ben identificabile la struttura muraria medievale, con maglia portante a massi squadrati e tamponamento di ciottoli lavorati a spina di pesce. Attualmente l'edificio, prezioso esempio di casaforte medievale tipica delle nostre Valli, è in stato di degrado».
http://www.comune.sparone.to.it/?p=1000&page=21
Orio Canavese (castello, resti del Castel Vecchio)
«Costruito nel XVII secolo, è stata la residenza dei marchesi de la Tour a partire dal 1833. L’attuale palazzo, detto anche il Castello, fu iniziato sotto la reggenza di Madama Reale verso la metà del ‘600, e divenne signoria dei marchesi Birago, cui succedettero. Lesiona, Granari di Mercenasco, Compans di Brichanteau, conti di Ala, distinta famiglia di origine francese, la quale nel 1833 cedette il feudo a quello savoiarda Sallier de la Tour. Il maresciallo d’armata conte Vittorio Sallier, marchese di Cordon, affidò all’architetto Ernesto Melano di Pinerolo l’incarico di aggiungere un’ala del palazzo. Successivamente la contessa Marta Sallier de la Tour fece costruire una galleria al piano terreno, apportando ulteriori abbellimenti all’interno del castello, già ben decorato. Nel 1928 passò all’INPS; ed alla bella costruzione 6-7centesca venne aggiunta, secondo lo stile dell’epoca, un’ala moderna in netto contrasto con il classicismo della preesistente architettura. Il grandioso complesso, che dall’alto del colle a quota 430 m domina l’abitato di Orio e le vallette sottostanti di Barone, Candia e Mercenasco, è immerso in uno splendido parco con alberi secolari e conifere stupende. Anni fa lungo la strada di accesso al colle, verdeggiavano i vigneti che con infinita cura vi aveva impiantato il barone De la Tour, traendo dai ceppi di Borgogna, e della Spagna quei vini divenuti famosi in Europa ed anche negli altri continenti; ora invece troviamo una folta pineta. Nel 1949 il castello fu trasformato in “Preventorio per convalescenza da malattie polmonari” e dotato di 160 posti letto per ospitare altrettanti bambini di età compresa fra gli 1 e 14 anni. Venne anche dotato di moderne attrezzature, ma nel 1979, essendo diminuito fortemente il numero dei ricoverati, l’Amministrazione decise di cessare l’attività, mentre il personale veniva assunto in carico all’USL di Caluso. Il parco che circonda il castello è piuttosto ampio; una parte è costituita dalla pineta che corre lungo il viale d’accesso, dove anni fa il conte Sallier de la Tour aveva impiantato il vigneto, un tempo chiamata “Regione delle Vigne”. Nella parte di parco subito vicino al castello, possiamo trovare piante piuttosto ricercate come due enormi faggi rossi unici nel circondario, un cedro del Libano, una sequoia, un pino strobus, dei carpini, diversi larici, tigli, pini secolari, un pino marittimo, dei bagolari, oltre tre cespugli di calicanto che fiorisce nel mese di gennaio con un intenso profumo. ... Dell’antico castello, già esistente intorno al 1200 come possesso di Ivrea, non restano che alcuni ruderi avvolti dalla vegetazione sull’estremità del colle in direzione Sud-Est rispetto al grandioso edificio Preventorio. L’antico maniero subì gli assalti di Federico Barbarossa durante la sua scalata in Italia, quindi fu possesso dei San Martino. Nel 1339 resistette all’assedio del Malerba, capitano di ventura assoldato dai Valperga, ma subì gravi danni. Le imprese guerresche e l’usura nei secoli compirono la distruzione del Castel Vecchio.Non si può fare a meno di ammirare anche il bellissimo Parco che circonda sia il Castello che il Castello Vecchio».
https://www.halleyweb.com/c001172/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/141 - ...idtesto/140
«Intorno al 1400 i Principi d'Acaja, signori in Pinerolo e strettamente imparentati con i Savoia, fecero costruire il Castello di Osasco a rinforzo dei loro confini spesso minacciati dagli staterelli vicini e soprattutto dai confinanti francesi. Il Castello era stato realizzato con le caratteristiche della fortezza: possenti mura, quattro torri per gli avvistamenti, cammini di ronda e fossato con ponte levatoio. Guerre e assedi si susseguirono nei secoli fino a che, riunito e rappacificatosi il Piemonte sotto i duchi di Savoia, il Castello assunse l'aspetto di una dimora signorile: ne venne affrescata la facciata e il lato ovest, vennero ricavati al suo interno nuovi locali con saloni, loggiati e porticato e si pose mano, con il progetto dell'architetto sabaudo Benedetto Alfieri, alla realizzazione di un parco con la costruzione di un imponente arco d'accesso e la messa a dimora di alberi oggi maestosamente secolari. La nobile famiglia astigiana dei Cacherano fu infeudata nel Castello per opera del Duca Amedeo VIII di Savoia anche detto il Conte Verde. Da allora i Cacherano, provenienti da una ricca famiglia di banchieri astigiani, e infeudati anche nei limitrofi Castelli di Bricherasio ed Envie, conservarono fino ad oggi le proprietà di questo medioevale castello salvo un breve intervallo nel 1500 e recentemente all'inizio del Novecento, in cui fu venduto e poi riacquistato dai monaci cistercensi dell'isola di Lerins in Francia, quando i monaci stessi, temendo la confisca del loro antico monastero da parte dello stato francese, trovarono nel Castello di Osasco ampie capacità ricettive per le loro numerose comunità».
http://agriturismocastellolequattrotorri.it/castello/castello_storia.php
Oulx (torre delfinale o saracena)
«La Torre delfinale di Oulx fu eretta probabilmente tra il 1350 e il 1377, documenti lasciano pensare che avesse un ruolo più legato alla presenza di funzionari regi sul territorio che a veri e propri scopi militari. Non si hanno notizie sul periodo storico in cui l'importanza della torre ha incominciato a venir meno, né sull'epoca in cui essa è stata definitivamente abbandonata; era comunque già registrata come rudere in un consegnamento del 1735. Lo stato precario dell'edificio indusse il cav. Luigi Des Ambrois di Nevache, ministro di Carlo Alberto nativo di Oulx, a richiedere la torre in enfiteusi perpetua, al fine di provvedere ad un intervento di restauro utile a preservarne i resti, senza alterarne le caratteristiche. La richiesta fu accettata dal Comune. Successivamente alla morte del Des Ambrois la torre passò agli eredi, che solo in anni recenti hanno presentato formale rinuncia ai loro diritti restituendo il manufatto al Comune; dal 1978 è stata sottoposta a vincolo dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali del Piemonte. Oggi l'edificio è recuperato e restaurato ed è affascinante spazio espositivo per mostre ed eventi.».
http://www.vallesusa-tesori.it/it/luoghi/oulx/torre-delfinale
«Il castello di Ozegna viene citato per la prima volta nel 1363 da Pietro Avario nel “De Bello Canepiciano”. In quel periodo Ozegna è soggetta ai conti di Biandrate di San Giorgio che hanno giurisdizione su Ozegna a seguito di infeudazione dei Marchesi di Monferrato dal 1244 al 1366. La costruzione del castello di Ozegna, uno dei più significativi nell’area sotto l’aspetto architettonico ed urbanistico, si fa risalire alla seconda metà del 1300 quando gli abitanti di Ozegna si rivolgono, per avere protezione, ai Conti Biandrate di San Giorgio. Questi accettano l’atto di devozione a condizione che la gente di Ozegna costruisca una struttura fortificata ad uso dei Biandrate stessi. Il castello viene costruito a danno del parziale ricetto: la pianta a “L”, con tre torri quadrangolari a nord e una torre tonda nel lato meridionale. L’interno del cortile del castello presenta una bella loggia rinascimentale. La costruzione che doveva avere pianta quadrangolare non viene terminata sui lati sud e ovest. Questa struttura fortificata incompleta viene espugnata nel 1433 dalle milizie sabaude con a capo Teobaldo D’Avanchy (che viene poi infeudato dai Savoia). Il borgo fu distrutto e le mura vennero abbattute. Tutte le strutture del ricetto pervenuteci sono dunque attribuibili alla fase di ricostruzione successiva, infatti con gli statuti del 1433 viene concesso un indulto da parte di Amedeo di Savoia permettendo agli uomini di Ozegna di poter ricostruire l’abitato nel luogo della sua origine ripristinando case, aree ed abitazioni. L’atto viene sottoscritto nel ricetto di Ozegna, nella Casa Nuova del Signore» - «Il castello che si erge nel centro di Ozegna, nel Canavese, ha origini medievali. Nelle forme attuali esso risale alla metà del XV secolo, quando il conte Gottifredo di Biandrate, impose alla popolazione di ampliarlo per poter beneficiare della sua protezione contro un’altra importante famiglia feudale canavesana: i Valperga. Il castello passò poi ai Savoia e infine ai conti di San Martino d’Agliè. Conobbe tra XVI e XVII secolo ulteriori ampliamenti che portarono all’aspetto attuale, con tre torri quadrangolari sul lato nord e una torre tonda nel lato meridionale. Nel cortile interno del castello è presente un elegante loggiato rinascimentale con quattro colonne, sopra il quale è posta una balconata lignea. Il castello – oggi di proprietà privata – conserva all’interno affreschi del XVI secolo. La struttura del loggiato e parti delle decorazioni in cotto ivi presenti sono state riprodotte nella così detta “Casa di Ozegna” al Borgo Medioevale di Torino realizzato da Alfredo d’Andrade».
http://www.comune.ozegna.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=6425 - http://12alle12.it/castello-di-ozegna-7272
«Già nella prima metà del secolo XIV la comunità locale, infeudata ai conti Valperga-Rivara, possedeva un ricetto circondato da mura e munito di torre. Il Ricetto di Ozegna viene costruito con probabilità nel XIII secolo e viene ampliato e restaurato nel XIV secolo. Viene menzionato negli ordinamenti del 1451 e begli statuti comunali locali del 1458. Il ricetto viene costruito come centro fortificato per la popolazione della villa di Ozegna e per difendere le granaglie e gli animali nei casi di guerra. Consisteva originariamente in un’area rettangolare chiusa con porte d’accesso al lato sud, all’interno un asse distributore longitudinale (larghezza 4,40 - 5,00 m) e uno trasversale minore. Gli edifici consistevano in piccole costruzioni su due piani fuori terra. La via “assiale” è tuttora denominata “via Recetto”, il breve tratto parallelo nel quadrante nord-est “via Coperta”».
http://www.comune.ozegna.to.it/ComSchedaTem.asp?Id=6424
©2015