MARCO
BRANDO
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Cattedrale:
Bari ritrova il suo cuore
restaurato e illuminato
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Il
punto sullo storico dualismo
tra sede arcivescovile e San
Nicola, una ricchezza per la
città
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Come reagirà la fazione di baresi vicina
alla basilica di San Nicola di fronte al favore che è stato riservato, con i
restauri e la presenza d’autorità civili e religiose, alla cattedrale? Un quesito
che può apparire fuori luogo nel 2005. Tuttavia ancora oggi c’è chi, più
o meno consapevolmente, simpatizza più per la basilica che per la cattedrale
(e viceversa). Quest’atteggiamento è il retaggio di antiche divisioni, non
tanto religiose quanto politiche e sociali, che affondano le radici nel Medioevo.
Ci scappò anche il morto, il cappellano di San Nicola, ucciso da
un gruppo di sicari vicini alla fazione della cattedrale; in realtà avrebbero
voluto far fuori il tesoriere della basilica, ma non ci riuscirono. Del conflitto
tra quei due centri di potere baresi, santuario e cattedrale, ci parla Raffaele
Licinio, professore di Storia medievale all’Università di Bari e direttore
del Centro Studi normanno-svevi.
Professore, dunque a Bari il confronto
provocò persino un attentato?
«È documentato. Alla fine dell'anno
1300 tre sicari - la cronaca d’allora li definì testualmente "di spirito diabolico"
- tentarono d’uccidere il tesoriere di San Nicola, il francese Pietro de
Angeriaco, che aveva ottenuto l’incarico dal re Carlo II d'Angiò. Morì il cappellano.
L’attentato fece enorme scalpore. E all'origine c'era una diatriba che
si trascinava già da oltre un secolo».
Quale diatriba?
«Prima che nel 1087 fossero portate
a Bari le reliquie di San Nicola, trafugate a
Myra, in Turchia, la cattedrale c'era già. Non c'era la basilica; e la
cattedrale non ospitava ancora le reliquie di San Sabino, che nel VI secolo
era stato vescovo di Canosa. All’epoca Ursone,
l'arcivescovo, stava soprattutto a Canosa. E il potere politico e
sociale a Bari era conteso tra un ceto di proprietari terrieri, molto legati a
Ursone e alla cattedrale, e un ceto emergente di commercianti,
soprattutto via mare. È una semplificazione ma rende l’idea».
Ma nel 1087 arrivarono a Bari, via
mare, le reliquie di San Nicola…
«Sì. Un arrivo preannunciato.
A Bari successe un fatto straordinario. I traslatori
fecero capire che le reliquie non sarebbero dovute finire nella cattedrale.
Così fu organizzato un corteo che attraversò tutta la città, toccando
ogni luogo importante, tranne uno: la cattedrale, appunto».
Le ragioni dell’affronto?
«La cattedrale era ed è il luogo in
cui c'è la cattedra dell'arcivescovo. Si trattò appunto di uno sgarro nei confronti
di Ursone. La fazione, chiamiamola così..., dei commercianti lo accusava
di non essere riuscito a sciogliere le tensioni tra i ceti sociali, di
non aver assolto al ruolo di guida che era all'epoca attribuito
all'arcivescovo».
Si riuscì a superare il clima
provocato dallo sgarro?
«I traslatori si rivolsero ad
Elia, abate del monastero benedettino di Bari, considerato
neutrale. Intanto Ursone s'era opposto alla costruzione
di un edificio alternativo alla cattedrale, ove collocare
le reliquie, che furono spostate in altre due o tre chiese,
senza che nessuno fosse soddisfatto. Fu il primo conflitto
tra la cattedrale e la basilica, sebbene non fosse ancora stata
costruita. Infine Ursone si rassegnò all'idea che dovesse sorgere un nuovo edificio. Il problema? Decidere
dove».
Perché fu un problema?
«I luoghi hanno un significato simbolico.
Nell'876 Bari era tornata sotto i Bizantini, diventando la capitale del Thema di Longobardia. Nel 975 vi
era
stato insediato il catapano, funzionario dell'imperatore. E Basilio
Mesardonite nel 1011 aveva fatto costruire una fortificazione a presidio
del porto.
Si volle costruire la basilica proprio lì, per significare un
collegamento
con l'Oriente e con Bisanzio».
Un altro sgarro. Questa volta nei
confronti dei normanni, cui Bari era
sottomessa. O no?
«Esatto. L'abate Elia fu il motore
della costruzione. Nel frattempo Ursone morì. Era il 1089. Alla sua morte
Elia, rettore di San Nicola, fu eletto arcivescovo
dai cittadini e dal clero. Risultato: la conflittualità tra i ceti si
spense. Elia divenne insomma il primo elemento di unità: costruttore della
basilica e pure arcivescovo. San Nicola fu definito "il catapano celeste".
Non solo. L'1 ottobre 1089 anche il
papa Urbano II consacrò la cripta di San Nicola, sebbene la basilica non fosse
stata terminata. Insomma, il santo era così forte che persino la Chiesa ufficiale
gli rendeva omaggio. Peraltro Elia, diplomaticamente, nel 1089 fece trovare
le reliquie di San Sabino nella cattedrale. Fu un
escamotage per riportare equilibrio tra le fazioni».
Quando Elia morì cosa successe?
«Si ripropose il problema dei due
centri d'egemonia. Ciò pose in difficoltà la cattedrale. San Nicola era noto già in tutta Europa. Iniziò un flusso di
donazioni e pellegrini, diretti in Terra Santa o di ritorno, che arricchì
la basilica».
I normanni che ruolo svolsero?
«Il castello non c'era ancora.
Ruggero II, primo re normanno, lo fece costruire nel
1132. Allora la basilica aveva anche una funzione di fortificazione
nei pressi del porto. Ma il porto fu spostato e il re
vi fece costruire di fronte, da maestranze saracene, il nuovo
castello. Tanto per far sapere: "Ora qui comando io".
Bisogna ricordare che nei quindici anni precedenti Bari
s’era mantenuta autonoma dai Normanni, sebbene in teoria
rientrasse sotto il loro dominio. In quegli anni si parlava di
Principato di Grimoaldo Alferanita, che non era normanno ed era appoggiato
dal vescovo; mentre i normanni erano più favorevoli alla basilica. Poi
il castello diventò un terzo polo. Nel frattempo cattedrale e basilica erano
entrate in conflitto per questioni di privilegi e proprietà terriere».
Perché tra i due litiganti ci rimise
il castello, distrutto dai baresi nel
1156?
«Fu la fazione antinormanna, legata
alla cattedrale, ad aizzare la popolazione contro il castello. Così Guglielmo
I, detto il Malo, reagì. Dette tre giorni di tempo alla gente per abbandonare
Bari e poi ne distrusse gran parte. Ma colpì soprattutto i simboli
antinormanni. E non sfiorò affatto la basilica di San Nicola. Insomma, il
Santo diventò sempre più famoso. Tanto che Beniamino di Tudela,
ebreo spagnolo, nel suo Libro di viaggi disse che trovò distrutta "la città di Colo
di Bari". Colo sta per Nicola».
Poi la corona passò a Federico II di
Svevia. Che atteggiamento assunse?
«D'equilibrio, sebbene preferisse la
cattedrale perché legata di più alla tradizione
locale, piuttosto che a radici orientali. Invece, dopo, gli Angioini si
mostrarono politicamente più vicini alla basilica. E forse fu questa la ragione
per cui sicari vicini alla fazione della cattedrale nell'anno 1300 cercarono
di assassinare il tesoriere di San Nicola».
Settecento anni dopo cos’è rimasto
di questa rivalità?
«Direi che alla fine la presenza di
queste due entità è stata una ricchezza per la città. Ora, semmai, c'è bisogno
di tutelare gli abitanti di Bari vecchia. I monumenti sono belli. Ma senza
la loro umanità attorno rischiano di essere
solo involucri vuoti.
Marco
Brando; foto centrale di Arcieri
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