Restauri, interventi di ammodernamento,
riedificazioni e ripristini accompagnano la storia della Cattedrale
sin dalla sua edificazione nel 1034, ad opera del vescovo
Bisanzio, facendone di fatto un maestoso e millenario work in progress.
Sorta su un’area che per secoli costituì uno dei nodi più importanti
dello sviluppo urbano, la Cattedrale fu impiantata sul precedente
episcopio di Santa Maria a cui era annesso un battistero identificabile
con l’attuale Trulla, sebbene a riguardo non tutte le interpretazioni
convergano.
Si concorda invece sulla
sua natura di palinsesto, sul fatto cioè che la chiesa sia il prodotto
della sovrapposizione di più strutture architettoniche che in epoche
diverse hanno contribuito ad esprimere strategie artistiche di segno
difforme. Tant’è che anche la più
antica cattedrale di Santa Maria aveva sulla coscienza la rimozione
di un ulteriore e precedente episcopio, a cui verosimilmente appartengono
gli avanzi di muratura e un mosaico pavimentale dell’VIII secolo,
ritrovati al di sotto della pavimentazione dell’attuale edifico durante
i lavori di consolidamento degli anni Settanta. Pertanto nella Cattedrale sono
numerosi i materiali di reintegro, come per esempio il colonnato della
navata centrale, godibile ora dopo le ripuliture nella pienezza della
varietà cromatica dei suoi marmi di provenienza eterogenea,
probabilmente orientale o romana, come suggerisce l’equipe di
storici dell’arte e di restauratori (coordinati dalla direttrice
del cantiere, l’architetto Emilia Pellegrini della
soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio
delle province di Bari e Foggia) anche alla luce
di un’iscrizione in latino rinvenuta sulla seconda colonna
e ancora in corso di studio.
Sta di fatto che nemmeno
l’edificio dell’XI secolo, voluto dal vescovo
Bisanzio, fu mai terminato secondo il modello previsto, considerato
che fu in parte distrutto insieme alla città dal
normanno Guglielmo ilMalo (1156) e venne allora adeguato
tipologicamente alla Basilica di San Nicola per volere del vescovo Rainaldo
alla fine del XIII secolo. Ne sono un’eloquente dimostrazione
il transetto allargato per accogliere la cupola,
racchiusa all’esterno nelle schiette geometrie del tiburio,
l’apertura dei matronei nella navata centrale e, all’esterno, i grandi
arconi che serrano le fiancate Sud e Nord e il motivo degli esaforati,
oggi fruibili nella versione riedita con zelo filologico intorno al 1930.
Non
mancano, naturalmente intromissioni di epoca sveva, quando si decise
per esempio di inserire il grande rosone di gusto gotico circondato
da un nutrito bestiario (poi rifatto nel
Novecento) e aggiuntive campagne di lavori dettate da emergenze
e crolli o dal mutare dei linguaggi stilistici.
Altra tappa è il Settecento, quando
la Cattedrale cambia definitivamente aspetto e cede
la sua facies romanica alla prorompente ridondanza
decorativa del barocco, accolta nei portali ad arco
spezzato, nei soffitti, nel nuovo interno ligneo della
Trulla e nell’aggiornato maquillage della cripta: un
restyling completo firmato dall’architetto napoletano
Domenico Antonio Vaccaro su commissione dell’arcivescovo
Muzio Gaeta II (1735-1757). Dunque suppellettile
varia, con stuccature e dorature a profusione, di cui la chiesa comincerà
a disfarsi solo a partire dai primi anni del Novecento,
quando il crollo del soffitto settecentesco costituirà
il pretesto per rimuoverne la veste barocca.
Allora, in nome di un integralismo
stilistico che le avrebbe restituito le sue «autentiche» sembianze romaniche,
la Cattedrale diviene oggetto di demolizioni e delle conseguenti
reintegrazioni di quanto era andato perduto. Un furor riabilitativo
dell’identità medievale che non ha risparmiato, qualche anno
più tardi, nemmeno l’arredo interno (ciborio, trono vescovile, ambone
e recinzione presbiteriale), ricomposto in un discutibile romanico,
ancora oggi accertabile nel fantasioso assemblaggio di pezzi scultorei
più o meno compatibili tra loro.
A imperitura memoria delle numerose
manomissioni rimane la cripta, rivestita di morbide e intonse
stuccature tardobarocche dalle quali è possibile sbirciare la sottostante
struttura romanica e da cui sono ora emerse, dopo la rimozione
degli strati di ridipinture, anche le decorazioni
a foglia d’oro di epoca settecentesca che esaltano luministicamente
l’intero impianto.
Tutto sommato, nel suo restaurato
look il monumento ci facilita ora una sorta d’istantaneo viaggio
spazio-temporale all’indietro, pilotato dallo storico e dal restauratore,
in cui un organismo di quasi dieci secoli mostra efficacemente il
suo incessante adattamento alle epoche umane.
Mailena
Di Tursi; foto centrale di Arcieri
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