La vicenda dell’abbazia di Kàlena sta diventando
sempre più coinvolgente. Questo perché il
comitato pro-Kàlena, capeggiato dalla
Presidente del Centro Studi “ Martella” di
Peschici, insieme ad alcuni esponenti del mondo
della cultura e dell’associazionismo pugliese,
ha aperto da qualche anno la discussione sul
degrado in cui versa l’abbazia. In varie
occasioni è intervenuto l’attuale arcivescovo
di Manfredonia, mons. Domenico D’Ambrosio,
peschiciano che, durante il convegno tenuto a
Peschici nel 2001, ha ribadito l’importanza
che assume per il popolo il culto della Madonna
delle Grazie custodita nell’Abbazia, risalente
agli albori del secondo millennio. Recentemente
è stato dato alle stampe un volume che riporta
gli atti di quel convegno, dal titolo Salviamo
Kàlena. Un’agonia di pietra,
a cura
della prof.ssa Liana Bertoldi Lenoci, edizioni
del Parco, Foggia 2003.
Il
libro, ricco di interventi interessanti e di un
ricco corredo iconografico sulle peculiarità
del monumento, è firmato oltre che dalla
curatrice, da autori di chiara fama nazionale,
studiosi di microstoria, politici locali.
Persone tutte interessate alla risoluzione del
problema. In particolare, ognuno ha dato il
proprio contributo secondo le distinte
competenze professionali.
Adriana Pepe illustra le peculiarità del complesso architettonico dell’Abbazia di Kàlena, evidenziandone il degrado e sollecitando chi di competenza al recupero di questo importante monumento.
Pasquale Corsi
parla della presenza benedettina a Kàlena nel contesto del Medioevo garganico,
Anna Maria Tripputi Malagrinò intitola il suo
contributo C’era una volta la festa della Madonna di Kàlena, tema ripreso dai ricordi di
Nicola
Pupillo, che nel suo saggio parla di ricordi di festa, pellegrinaggi e processioni a Santa Maria delle Grazie di Kàlena.
Enzo
D’Amato, con il suo dossier sull’abbazia, tratteggia con un lavoro di costante e certosina ricerca d’archivio durata anni, il suo degrado fornendo anche qualche idea per l’avvio al recupero. Le relazioni conclusive sono quelle dell’arcivescovo
D’Ambrosio e della prof.ssa
Bertoldi
Lenoci, che, raccogliendo il consenso di tutti i presenti, si propongono di coinvolgere maggiormente nella questione gli organi istituzionali,
in primis la Sovrintendenza ai Beni Architettonici della Puglia.
Le
origini del complesso monumentale di Peschici
risalgono all’XI secolo. Già nei manoscritti
di autori noti, come il Chocorella ed il
Mainardi, si parla dell’Abbazia di Kàlena…ed
è proprio il Mainardi che nel Regesto del 1592
parla delle «raggioni di Santa Maria di Kàlena».
Il testo è commentato, nella parte introduttiva
degli atti del convegno, dalla prof.ssa Teresa Maria Rauzino.
Ella
scrive che i due autori succitati, nel
Cinquecento ebbero modo di visionare alcuni
documenti redatti da «scrivani e notai pubblici, le cosiddette ”Tavole antiche”, sottoscritte da nobili, principi e re, che vennero conservate con la massima cura negli archivi di Kàlena e Tremiti. Grazie a questi documenti si è potuta conoscere la storia dell’Abbazia. Il Chocorella ed il Mainardi facevano parte dell’Ordine dei Canonoci Regolari di Sant’Agostino, detti Lateranensi del Salvatore. Questi monaci erano subentrati ai Cistercensi alla guida del monastero di Tremiti nel 1445. Dopo alterne vicende nel 1446 i Canonici Regolari presero l’effettivo possesso dell’abbazia».
Agli
inizi del ‘500, Kàlena conservava ancora le
vestigia del suo glorioso passato: possedeva
diversi terreni, ampi boschi, vari campi, molte
vigne ed oliveti qua e là: «sul monte Sant’Angelo
si trovava un’estensione così lunga ed ampia
di terre soggette alla sua amministrazione che
superava i 40.000 passi sia in larghezza che in
lunghezza.[…]. Nel corso del tempo, molti dei
favori e dei benefici ecclesiastici erano venuti
a mancare, per l’avidità di certi principi e
per colpa dei monaci predecessori dei Canonici,
che non avevano adeguatamente vigilato affinché
le proprietà di Tremiti e di Kàlena non
venissero usurpate oppure non cadessero in
rovina». Il Mainardi, quindi, essendo responsabile della biblioteca
dell’abbazia di Tremiti effettuò un minuzioso
riordino dell’archivio, procedendo ad
un’esatta ricognizione degli antichi diritti
goduti dai Benedettini e dai Cistercensi.
Le
alterne vicende, che hanno caratterizzato la
vita dell’abbazia attraverso i secoli,
riportate nel volume curato dalla prof.ssa Bertoldi Lenoci, rendono interessante ed avvincente la
storia di questo luogo sacro che, attraverso le
testimonianze rappresenta per i residenti e non,
un valore aggiunto da recuperare e da tramandare
ai posteri.
Naturalmente,
l’opinione pubblica ed i residenti sono
coinvolti emotivamente nel recupero di quello
che rappresenta il patrimonio storico-artistico
per eccellenza della cittadina garganica,
patrimonio ricco di testimonianze di vita e di
tradizioni del passato, che in tempi recenti,
per l’incuria ed il disinteresse sta andando
in rovina. Gli attuali proprietari dovrebbero
unirsi e cooperare con i promotori
dell’iniziativa per il recupero dell’abbazia
invece di adire le vie legali contro tutti
coloro che si sono mossi, denunciando
l’evidente degrado. Le querele contro i
giornalisti, che hanno richiamato l’attenzione
del pubblico con i loro articoli-denuncia (in
fin dei conti hanno fatto il loro lavoro di
cronisti!), la presidente del Centro Studi
Martella, nella persona di Teresa Maria Rauzino,
le proteste rivolte alla prof.ssa curatrice del
volume di cui sopra, a Enzo
D'Amato e, per non nominarli tutti,
possiamo affermare che c’è una lista infinita
di persone che si sono impegnate per la causa
pro-Kàlena. Tutti sono stati bersagliati dalle
accuse dei proprietari, tutti, tranne
l’arcivescovo D'Ambrosio
che però, per amore di giustizia, si
autodenuncia con una bella lettera aperta
inviata alle principali testate locali.
A noi, che seguiamo
la vicenda dal suo inizio, non resta che
augurare ai nostri protagonisti la migliore
riuscita nell’impresa, nel trionfo della verità
e della giustizia. Ma soprattutto per il bene di
Kàlena.
Lucia
Lopriore
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