ANDREA
ZORZI |
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I
mille anni del Medioevo
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di
Gabriella
Piccinni
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Negli ultimi anni si assiste a una vera e propria proliferazione
editoriale della manualistica di livello
universitario, anche in ambito storico, e
medievistico in particolare. Anticipando le
profonde riforme dei percorsi didattici che, in
un quadro non sempre chiaro e privo di
incertezze, attendono ancora la loro attuazione,
la pubblicazione sempre più intensa di guide,
manuali, sintesi introduttive, antologie di
fonti, è un segnale del crescente disagio in
cui versa la didattica universitaria italiana, e
di quella delle discipline umanistiche in
particolare, stretta, come appare, tra la crisi
scolastica della formazione secondaria superiore
e le esigenze di periodico aggiornamento degli
strumenti di base alle più recenti acquisizioni
della ricerca. In questo panorama, il manuale
pubblicato da Gabriella Piccinni si caratterizza
per alcuni elementi di originalità.
Il "Lettore Modello" è programmaticamente individuato
nello "studente al suo primo ingresso in
un'aula universitaria dove si tiene una lezione
di storia medievale" (p. XV). Uno studente
la cui idea di Medioevo - ritiene l'A. - non
appare per nulla neutra, ma latrice di un
confuso concentrato di fantasie eroiche e di
luoghi comuni acquisiti attraverso i mezzi di
comunicazione di massa (il Medioevo della
fantasia, della letteratura, del cinema, della
televisione e ora - aggiungerei - della stessa
internet) e ormai preponderanti rispetto alle
nozioni e alle conoscenze sul passato che
dovrebbe impartire una scuola, viceversa, sempre
più sbilanciata sull'insegnamento del
Contemporaneo. Si tratta - in una significativa
convergenza tra studiosi di orientamento e di
gusti storiografici diversi - di quello stesso
Medioevo di streghe, cavalieri e orde selvagge
che anche Giuseppe Sergi, nel recente profilo su
L'idea di
Medioevo. Tra senso comune e pratica storica,
Roma, Donzelli, 1998 (e in contributi risalenti
agli anni ottanta), ha individuato come il
sempre più diffuso modello culturale con il
quale gli storici del Medioevo devono
crescentemente confrontarsi, in primo luogo
nella loro funzione di docenti.
Da qui la scelta dell'A. di puntare a sfatare quei luoghi comuni
attraverso una combinazione - felice negli esiti
- di forte attenzione alla documentazione e
all'ambiguo significato che hanno assunto oggi
parole-chiave come "libertà",
"crociata", "borghese", etc.,
e di discernimento tra le diverse posizioni
interpretative degli studiosi, il cui richiamo
si intreccia spesso all'esposizione degli
eventi. La trama è quella - ortodossa nella
manualistica - della narrazione cronologica
degli eventi, ma questi "mille anni del
Medioevo" sono assunti come un lungo
periodo dalle molte facce e interpretati nella
pluralità delle componenti, e non in una chiave
predominante - come è invece, per esempio, in
un altro recente strumento di base quale il Dizionario
enciclopedico del Medioevo, diretto
da André Vauchez e Claudio Leonardi (Roma, Città
Nuova, 1998-1999, 3 voll.), che privilegia,
nella scelta delle voci, l'Europa delle
cristianità medievali e dei popoli dell'Oriente
che vennero con esse in contatto, a scapito
degli aspetti economici e sociali e,
sostanzialmente, anche delle istituzioni
politiche.
Le aree prese a riferimento sono qui invece l'Europa e le regioni
mediterranee e orientali entrate in relazione
con i popoli del nostro continente, quelle cioè
su cui si era dispiegata la civiltà latina
antica, punto di riferimento concettuale per la
nascita stessa dell'idea di Medioevo.
L'esposizione della storia dei mille anni
"segnati dall'appannarsi degli antichi
splendori" (p. 3) è articolata in cinque
partizioni cronologiche che rispecchiano, con un
certo equilibrio, i vari periodi presi in esame.
La prima parte (pp. 1-57) - Alle
origini del Medioevo (III-VIII secolo)
- prende l'avvio dall'età tardo antica per
illustrare in cinque capitoli la crisi del mondo
romano (III-V secolo), l'enuclearsi di un'Europa
multietnica dei romani e dei barbari (V-VI
secolo), la propagazione del cristianesimo e
delle prime Chiese, la continuità imperiale
latina nelle fogge orientali di Bisanzio (V-VII
secolo), e la nascita di due Italie, longobarda
e bizantina (VI-VIII secolo), e si conclude
sulla scelta della Chiesa di Roma di legare il
proprio destino all'Europa dei franchi. I
riferimenti ai perduranti dibattiti
storiografici sulla crisi tardo antica e sulla
periodizzazione, sono parchi e risolti, semmai,
nell'attenzione alle differenti cronologie e in
una trama di continui richiami alle acquisizioni
che vengono ora, crescentemente,
dall'archeologia.
La seconda parte (pp. 59-138) - L'Islam
in espansione e l'Europa feudale -
si articola invece in tre capitoli cronologici e
due tematici. Nei primi, la sintesi muove dal
sopraggiungimento degli arabi nelle aree dei
grandi imperi bizantino e sassanide, e dalla
ridefinizione politica e religiosa dell'Oriente
fra Bisanzio e l'Islam (VI e X secolo), per poi
analizzare la svolta romano-germanica
dell'Europa carolingia (VIII-IX secolo) e le
ultime invasioni fino alla rinascita germanica
dell'Impero degli Ottoni (IX-X). Qui il richiamo
storiografico centrale è alla nota tesi di
Henri Pirenne nel suo Maometto
e Carlomagno, e alla rivisitazione
interpretativa che ne ha dato Giovanni Tabacco,
sottolineando la libertà d'azione di cui
godettero i franchi nel vuoto politico generato
dal ritirarsi di Bisanzio di fronte
all'invasione musulmana. Il capitolo successivo
è dedicato alla società feudale, ed è uno dei
più riusciti nell'intento dell'A. di
intersecare ai temi classici di ogni manuale
argomenti emersi nella ricerca più recente:
espliciti sono pertanto i riferimenti alle
questioni storiografiche relative al concetto di
nobiltà (muovendo dalla discussione della nota
tesi di Marc Bloch), alla costruzione del
sistema feudale (nella teoria della società che
Georges Duby ha definito come "specchio del
feudalesimo"), alla pluralità delle
esperienze feudali (dalle aree mediterranee a
quelle dell'Europa del nord), alla diffusione
dell'incastellamento (col richiamo del modello
elaborato da Pierre Toubert e poi vagliato dalle
ricerche archeologiche degli ultimi anni),
all'attenzione a distinguere il sistema feudale
da quello dei poteri signorili. L'ultimo
capitolo è invece dedicato alle continuità e
alle sperimentazioni dell'Occidente europeo:
l'Europa delle curtes,
e quella delle grandi aziende e delle piccole
proprietà, ma anche l'Europa "senza città",
dalla contrazione del commercio ai primi segni
di ripresa.
La terza parte (pp. 139-248) - La
crescita dell'Occidente (XI-XII secolo)
- è la più ampia dell'intera sintesi, e quella
in cui emergono con nettezza gli interessi
storiografici e le scelte interpretative dell'A.
Degli otto capitoli che la compongono, ben
quattro sono dedicati alle "svolte"
che si produssero intorno al Mille: la crescita
demografica (di cui si richiamano le difficoltà
a individuarne le cause); l'espansione agraria e
i diffusi miglioramenti delle tecniche agricole
(in paragrafi in cui si dispiegano le competenze
specialistiche dell'A.); i nuovi rapporti di
proprietà e di potere nelle campagne (con
un'efficace esemplificazione, anche grafica,
sulle ricerche archeologiche e storiche condotte
in anni recenti sul castello di Rocca San
Silvestro nella Maremma pisana dei Della
Gherardesca); la rinascita della vita urbana
(con una ricognizione delle discussioni del
concetto di città e del termine
"borghese"); il rilanciarsi dei
commerci, per vie d'acqua e di terra, nel
Mediterraneo e nel nord dell'Europa, attraverso
lo snodo delle fiere di Champagne (che assume
con sicurezza la convenzionalità della dizione
di "rivoluzione commerciale" coniata
da Roberto S. Lopez). Alle evoluzioni politiche
sono invece dedicati due asciutti capitoli:
l'uno alle autonomie cittadine, e alla nascita
dei comuni in area Provenzale e nell'Italia del
nord e del centro; l'altro ai regni e agli
imperi, a partire dalla scansione introdotta dai
normanni, a mezzo il secolo XI, in Inghilterra e
nel Mezzogiorno d'Italia, per finire con il
generale rafforzamento delle istituzioni
monarchiche.
Gli ultimi due capitoli sono invece i più originali, per il taglio
che li caratterizza, e meritano una riflessione
specifica. Nel primo, l'A. interpreta nella
chiave culturale delle "grandi idee
universali", sia le inquietudini spirituali
che portarono al rinnovamento dell'esperienza
monastica e alla riforma gerarchica della
Chiesa, sia il progetto di restaurazione
dell'autorità imperiale avviato dal Barbarossa.
Non può non colpire, la scelta - senz'altro
originale in ambito manualistico - di non
dedicare un capitolo specifico ma di risolvere
in non più di una dozzina di pagine
l'illustrazione della riforma della Chiesa nel
contesto più ampio della rinascita culturale
che nel secolo XII avrebbe visto ritrovare un
ruolo agli intellettuali. Non, dunque, un
capitolo intero, a fronte invece, nelle parti
successive della sintesi, di capitoli dedicati
alla Chiesa teocratica di Innocenzo III, al
cristianesimo evangelico degli ordini
duecenteschi, ai fermenti della cristianità tra
Tre e Quattrocento. È questo il segno più
evidente non solo della laicità di visione che
caratterizza questa sintesi - in cui al
cristianesimo è riconosciuto il ruolo di
strumento tra i principali della costruzione
dell'identità politica e culturale delle società
medievali in cui si diffuse, mentre la Chiesa e
le chiese sono analizzate innanzitutto in quanto
istituzioni di potere -, ma anche della
gerarchia di importanza che l'A. ha inteso
riconoscere agli eventi e ai fenomeni del
millennio. Lo scarto, anche rispetto alla
manualistica più recente, è evidente. Basti
pensare - per restare nel campo dell'editoria
laica - al capitolo riservato a Il
papato: riforma, primato e tentativi di egemonia
nel manuale a più voci di Storia
medievale della Donzelli (Roma,
1998: l'autore della 'lezione' è Glauco M.
Cantarella).
Elementi di originalità caratterizzano anche il taglio assunto
nell'ultimo capitolo della terza parte -
significativamente titolato: In
partibus infidelium -, che è
attento a riprendere i risultati delle ricerche
più recenti. Il tema delle crociate non vi è
risolto quale aspetto dell'espansione della
cristianità, come in altri manuali - per tutti,
in Giovanni Tabacco e Grado G. Merlo, Medioevo,
V-XV secolo, Bologna, Il Mulino,
1981, pp. 366-379 -, ma ricondotto a un campo più
ampio di relazioni culturali tra le religioni
monoteistiche che riconoscono in Gerusalemme la
città santa. Ecco allora affiancati, sul piano
espositivo, l'Occidente percorso da incessanti
fenomeni di pellegrinaggio e da fiammate di
antigiudaismo, e l'Oriente musulmano in
sommovimento, al cui interno si venne
rapidamente formando l'Impero selgiuchide, come
fenomeno di acculturazione islamica da parte
delle tribù turche. L'A. affronta così la
questione storiografica dell'idea di crociata e
delle interpretazioni datene dagli storici,
sottolineando l'attualità del tema. Un bel
paragrafo, dedicato all'antigiudaismo e alla
storia degli ebrei riconduce - in fine, e
improvviso - il percorso del sapere dal passato
medievale alle atrocità del Novecento.
La quarta parte (pp. 249-357) - "L'età
d'oro": il Duecento e il primo Trecento
- è invece la più articolata (dieci capitoli)
quanto anche la più concentrata temporalmente.
Lo spazio dedicato a poco più di cento anni di
storia, e il titolo stesso conferito alla loro
trattazione, esprimono anch'essi una valutazione
interpretativa: è questo secolo lungo a
segnare, secondo l'A., l'apice dello sviluppo
della storia medievale. Sono così ripresi gli
aspetti della crescita delle città (una
crescita anche culturale, come segnala un
paragrafo dedicato allo sviluppo delle università),
delle campagne (con la stagione dei nuovi
contratti agrari) e dei commerci (è l'età del
banchiere mercante e del primato italiano, oltre
che della nuova cosmologia dell'aldilà, con la
comparsa del Purgatorio studiata da Jacques Le
Goff), che giungono al loro massimo sviluppo.
Due capitoli giustappongono poi l'apogeo del
potere monarchico del papa (che si nutrì anche
dell'estensione del concetto di crociata,
dell'avvio della repressione sistematica del
dissenso ereticale, e delle persecuzioni degli
ebrei), alle inquietudini, agli ideali di povertà
e ai fermenti di rinnovamento che continuavano
ad attraversare la società cristiana, e che si
incanalarono nel cristianesimo evangelico di
Domenico di Guzmán e di Francesco e di Chiara
di Assisi, e nell'attività degli ordini
mendicanti. Al tramonto dell'Impero, incarnato
dall'ultima grande figura di Federico II,
logorato dal conflitto col papato e con i comuni
italiani, fa invece da contraltare l'ascesa
delle monarchie europee, che ora assumono un
carattere nazionale (un'altra parola di cui l'A.
richiama le ambiguità). Un ampio capitolo è
poi dedicato alle "tante Italie" che
fiorirono nel corso del Duecento (a cominciare
dal pluralismo politico dei comuni, delle
signorie e dei regni), con pagine, non usuali
nella manualistica, dedicate anche alle attività
di servizio in città, e al lavoro delle donne
(che conobbe proprio allora un primo
riconoscimento). Completano la sezione -
intessuta quasi in ogni capitolo da una trama di
richiami alle interpretazioni storiografiche
classiche e alle ricerche più recenti (il cui
sviluppo impetuoso negli ultimi decenni ha
caratterizzato la storiografia medievistica) -
una ricognizione evenemenziale dei grandi
mutamenti politici di fine secolo, una finestra
sui mondi esterni (l'agonia di Bisanzio,
l'ascesa dei turchi ottomani, e l'unificazione
dei popoli asiatici per opera dei mongoli, che
favorì i contatti con l'Occidente cristiano),
con un bel paragrafo dedicato alla scoperta
dell'Asia da parte dei primi mercanti italiani,
e le pagine che annunciano la "crisi"
demografica, economica e sociale del secolo XIV.
La quinta e ultima parte (pp. 359-434) - La
"fine" del Medioevo: il Tre e
Quattrocento - accompagna in sei
brevi capitoli il lettore verso la
"fine" del Medioevo, che l'A.
individua nella generale ripresa (demografica,
agricola, urbana) che dalla metà del secolo XV
invertì le tendenze negative avviate nella
prima metà del XIV. Riemergono anche in questa
sezione, nella gerarchia espositiva e
nell'approfondimento storiografico, le opzioni
interpretative dell'A. Alla crisi demografica
del Trecento, e alle tensioni sociali che si
aprirono nelle città e nelle campagne, è
dedicato il capitolo d'apertura, che si chiude
con un ricco bilancio delle discussioni
storiografiche che hanno interpretato il tema
sin dagli anni trenta del Novecento. I fermenti
della cristianità che caratterizzarono il
passaggio tra Tre e Quattrocento, dalle eresie
costitutive delle nuove identità nazionali (Wyclif
e Hus) allo scisma della Chiesa d'Occidente,
fino all'avvio della caccia alle streghe (un
tema che l'A. enuclea a dignità di paragrafo,
ponendo la questione della misoginia), sono poi
anteposti al capitolo dedicato al consolidamento
delle istituzioni politiche europee in senso
monarchico e statale (e in cui la dibattuta
questione della genesi dello Stato moderno, che
pure ha dato luogo a posizioni storiografiche
spesso contrapposte, con importanti riflessi sul
presente, è sostanzialmente taciuta).
All'Italia alla fine del Medioevo è infine
dedicato - prima dell'ultima finestra sulle aree
orientali e asiatiche e le pagine di congedo
sulla fine del periodo - un capitolo forse tra i
meno riusciti, che alterna una succinta
descrizione delle evoluzioni politiche a una
dettagliata descrizione del processo di
produzione di tessuti di lana a Firenze, un
richiamo al "sistema dell'equilibrio"
a un esiguo paragrafo sull'Umanesimo e il
Rinascimento.
Corredano il volume, un'appendice bibliografica, l'indice dei nomi,
e un corredo cartografico. La Bibliografia
(pp. 435-454), condotta in forma ragionata e
aggiornata alle pubblicazioni anche
recentissime, è ben equilibrata tra esigenze di
informazione e suggerimenti per approfondimenti.
Un neo vistoso è costituito invece dalla carte
(19, molto schematiche, alcune approssimative),
che non appaiono all'altezza del testo. È
questa, d'altra parte, una delle caratteristiche
della nostra editoria (come riflesso, per altro,
della stessa storiografia), che sottovaluta
spesso l'importanza euristica della cartografia
storica e dell'analisi spaziale dei territori.
Il contrasto è particolarmente evidente, per
esempio, al confronto tra le accurate carte
della rete urbana italiana, tratte dal volume di
Maria Ginatempo e Lucia Sandri (L'Italia
delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo
e Rinascimento, secoli XIII-XVI,
Firenze, Le Lettere, 1990), e qui riportate alle
pp. 428-430, e la sostanziale inutilità di
carte redatte invece al modo della n° 19 (L'Italia
nel XIV secolo). L'indice dei nomi
rivela infine l'ambizione di sguardo e la
poliedricità di interessi dell'A.: accanto ad
Artù si trova anche Bob Dylan, accanto a
Giovanna d'Arco ecco Roberto Rossellini e Carl
Theodor Dreyer, mentre Carlo Collodi è
richiamato nella stessa pagina di Giovanni
Boccaccio, insieme a Pinocchio e Calandrino. Una
curiosità: il primo personaggio citato nella
sintesi è Romolo Augustolo (p. 8), l'ultimo
Topolino (p. 434). Solo una coincidenza, o un
allusione alla statura dei personaggi che
sembrano incorniciare l'epopea medievale?
I mille anni del Medioevo
di Gabriella Piccinni è dunque una sintesi che
ha il pregio della non neutralità
interpretativa, esplicita nelle scelte e sicura
nell'esposizione. Vi traspaiono gli interessi
storiografici dell'A. per la storia demografica,
economica e sociale, per quella delle campagne e
delle città, per gli aspetti materiali della
vita quotidianità, e per la storia della
mentalità e delle donne - per la storia, vale a
dire, della "gente viva e concreta che ha
popolato le città, i castelli, i villaggi e i
campi dell'Europa medievale" (p. XVI).
Aspetti, questi ultimi, che, in un manuale,
assumono ancora caratteristiche di originalità.
Ma le predilezioni dell'A. non vanno a scapito
dell'esposizione degli altri temi. La materia,
come si è cercato di illustrare, è organizzata
con sistematicità e coerenza cronologica, la
sua presentazione segue un'impostazione
problematica. È questa, dunque, una sintesi
destinata a sicuro successo - anche per il
linguaggio piano e diretto con cui è scritta -
per un approccio iniziale, chiaro e criticamente
fondato, allo studio del millennio medievale. E
che si candida autorevolmente a diventare uno
dei manuali di riferimento per la didattica di
base nei percorsi riformati della futura
formazione universitaria.
Andrea
Zorzi
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LA
CASA EDITRICE |
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Nuova
edizione del volume: Il Medioevo, Bruno Mondadori
editore, Milano 2004. |
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Il manuale non è sempre simpatico agli studenti che lo devono studiare. Questo testo, sufficientemente agile e per questo adeguato alla nuova didattica universitaria, insegna la storia medievale con un linguaggio piano, diretto e piacevole, portando all’interno della narrazione donne e uomini, anziani e bambini, dotti e ignoranti, signori e contadini, re e sudditi, santi ed eretici. Vale a dire la gente viva e concreta che ha popolato le città, i castelli, i villaggi e le campagne dell’Europa medievale. Il Medioevo ha molte facce e questo manuale insegna anche a districarsi in mezzo alle opinioni di storici che illustrano diversamente medesimi fenomeni, a distinguere il Medioevo della fantasia, della letteratura e quello proposto dai mezzi della comunicazione di massa da quello della realtà, a prendere coscienza che passato e presente non sempre si
somigliano. |
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