MARCO
BRANDO
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Niente di nuovo in quel
libro
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Luciano
Canfora contesta Ledeen. A
trent'anni
dall'Intervista sul
fascismo. lo storico
barese risponde allo
studioso americano che la
raccolse
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Renzo
De Felice e Adrian Lyttleton
Dunque
De Felice, sul fronte dell'interpretazione del
fenomeno fascista, alla fine ha vinto? In altre
parole: fu lo storico Renzo De Felice (1929-1996)
a sottolineare per primo dagli anni Sessanta in
poi che il fascismo ebbe un consenso popolare
ben radicato?
«Io
semmai mi chiedo quali saranno mai stati i
concetti veramente suoi e veramente nuovi»,
commenta Luciano Canfora, storico, ordinario di
Filologia greca e latina all'Università di
Bari, intellettuale marxista. E aggiunge: «Sarebbe
piuttosto utile ricordare che il primo a parlare
del fascismo come, cito testualmente,
"regime reazionario di massa" fu,
guarda un po'..., Palmiro Togliatti; accadde nei
primi mesi del 1935, quando tenne a Mosca le Lezioni
sul fascismo, dove espose questa sua
interpretazione».
Il
professor Canfora citando il segretario del Pci,
dal 1927 al 1964, e dirigente
dell'Internazionale comunista, entra così nel
merito delle risposte che lo storico
statunitense Michael Ledeen ha dato domenica
scorsa al Corriere del Mezzogiorno, a trent'anni
dal 1975, quando venne pubblicata, da Vito
Laterza, l'Intervista sul fascismo: fu
proprio Ledeen, allora "visiting professor"
alla Sapienza di Roma, l'intervistatore di De
Felice. All'epoca quest'ultimo fu tacciato di
voler riabilitare il Ventennio o accusato di
revisionismo o sospettato di filofascismo. Già
con l'uscita del libro Mussolini il
rivoluzionario nel 1965, primo di una serie
di volumi biografici sul Duce, De Felice aveva
suscitato dibattito tra gli storici. Nell'Intervista
introdusse la distinzione tra «Fascismo regime»
e «Fascismo movimento»: il primo con funzioni
conservatrici, il secondo con forti aspirazioni
di modernizzazione. E il volumetto pubblicato da
Laterza catalizzò e ingigantì le critiche,
facendole debordare, in quegli anni Settanta
politicamente assai particolari, oltre i confini
del dibattito accademico.
Michael
Ledeen è oggi uno degli animatori dell' «American
Enterprise Institute» (AEI), il laboratorio dei
neoconservatori washingtoniani vicinissimi a
Bush, nonché consulente negli Usa del Consiglio
di sicurezza nazionale e del Dipartimento di
Stato per la difesa. Al «Corriere del
Mezzogiorno» ha ribadito che De Felice «fu il
primo storico ad affrontare la questione
fascista partendo dal materiale raccolto negli
archivi». Ha aggiunto: «Nell'Intervista
disse, per la prima volta, che comunismo e
fascismo in un certo senso avevano lo stesso
codice genetico: erano figli della rivoluzione
francese. E questa che oggi tutti riconoscono
una banale verità era un'affermazione tremenda
per la sinistra. Indigeribile». Inoltre Ledeen
ha ribadito che fu giusta e originale la
valutazione di De Felice sulla straordinaria
partecipazione popolare che il fenomeno fascista
ebbe tra gli italiani. E alla domanda «Quale fu
la più grande differenza tra fascismo e
nazismo?», ha replicato: «L'immagine
dell'uomo: razzista per i nazisti, ma molto più
tradizionale per i fascisti, i quali erano
convinti che un nuovo tipo umano era venuto
fuori dalle trincee della Grande Guerra».
«Sul
fronte del consenso avuto dal fascismo -
commenta ora Canfora - non posso che ricordare
le Lezioni di Togliatti, risalenti a
settant'anni fa. Così come potrei citare le
valutazioni di Gramsci. Ma voglio anche
ricordare Arthur Rosenberg (1889-1943, ndr),
prima comunista e poi socialista, che nel 1934,
prima di Togliatti e senza aver potuto conoscere
Gramsci, pubblicò Der Faschismus als
Massenbewegung (Fascismo come movimento
di massa, ndr). È chiaro dunque, e
da tempo, che il fascismo prima fece leva sul
consenso e sulla violenza, per poi gestire il
potere contando su alcuni strati sociali».
E
per quel che riguarda la distizione tra «
fascismo regime » e « fascismo movimento»?
Canfora ha molte perplessità: «Quella di De
Felice fu un'impostazione formale e non molto
produttiva. Che vuole dire? Che ci fu un
fascismo di destra e uno di sinistra? Io penso
che all'inizio fu un movimento, certo, ma
eversivo e di ultradestra, che provocò una
guerra civile strisciante. E comunque un
movimento non dura indefinitamente». Poi: «C'è
chi ha definito “fascismo di sinistra”
quello sostenuto da un certo ceto intellettuale
e generazionale. Ma è una definizione vaga, che
spazia da Arpinati a Bottai. Forse c'entrano i
Littoriali, intesi come crogiuolo di bisogni
cresciuti all'epoca tra le nuove generazioni del
fascismo? Oppure ci si riferisce al cosiddetto
fascismo rivoluzionario? Fu anche teorizzato, ma
come fulcro del nuovo ordine europeo: tutto
basato sul modello nazista e antisemita».
Insomma,
la distinzione di De Felice non trova
assolutamente d'accordo Canfora. Così come sul
fronte del razzismo il professore barese
ricorda: «De Felice ha sicuramente avuto torto
quando scrisse, nella prefazione alla nuova
edizione della Storia degli ebrei italiani
sotto il fascismo, che Mussolini non fu mai
né razzista né antisemita. È assurdo». Perché?
«Basti osservare che il 6 agosto 1938 l'intera
prima pagina del quotidiano "Il Popolo
d'Italia" era sovrastata dal titolo a nove
colonne “Il fascismo è stato sempre razzista,
sin dal 1919”. Il resto della pagina dimostra
egregiamente questa tesi».
Il
professore consiglia come lettura il
recentissimo libro di Giorgio Fabre Mussolini
razzista (Garzanti): «Un volume
documentatissimo, ove si dimostra che la genesi
del razzismo e dell'antisemitismo nel pensiero
di Mussolini risale addirittura ai tempi in cui
egli era ancora socialista. L'antisemitismo era
un tema centrale dell'ideologia mussoliniana».
Né secondo Canfora si può richiamare una
comune radice culturale di fascismo e socialismo
nella rivoluzione francese: «Bobbio già nel
1975 scrisse che il principale avversario del
fascismo non è stato il socialismo ma la
democrazia. Dire che il fascismo ha radici nella
rivoluzione francese è una fesseria».
Ma
un merito De Felice lo avrà? Canfora, che ebbe
anche occasione di confrontarsi con lo storico a
livello accademico, replica: «Ha avuto il
grande merito di voler usare per la prima volta,
come documenti di ricerca scientifica sul
fascismo, le carte di polizia e d'apparato. Fece
da battistrada in questo campo di ricerca, anche
grazie all'amicizia con il presidente Saragat,
che lo favorì nell'accesso ad archivi ancora
riservati, la cui consultazione era negata agli
studiosi. Però credo che De Felice abbia poi
trascurato di comparare quella carte con altre
fonti: perché i documenti di polizia sono
ovviamente viziati in origine, essendo stati
scritti da funzionari predisposti a dare
informazioni gradite al regime. Insomma, fece un
uso non critico di una documentazione preziosa».
Aggiunge
Canfora: «Bisogna comunque ricordare che il
dibattito serio intorno alla tesi di De Felice
c'è stato. E non va confuso con quello
suscitato da alcuni commentatori, che non lo
imbastirono in maniera corretta e scientifica,
ma basandosi su informazioni di seconda mano».
Poi la sua nota vis polemica non
risparmia neppure i tanti storici formatisi alla
scuola di De Felice: «Li scelse lui come
docenti di Storia contemporanea nelle nostre Università».
A questo punto qualcuno s'aspetta forse un
frecciata nei confronti di Vito Laterza, che
chiese a De Felice di realizzare nel 1975 la
famosa Intervista? Speranza mal riposta:
«Con la collana delle interviste creò un nuovo
tipo di libro, che ebbe un grande successo. Vito
fu bravo, come sempre».
Marco
Brando
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