Il
porto di Bari in una foto d'epoca. Nelle foto
piccole, il Palazzo delle Poste
Spalancarono le finestre del Palazzo della Posta, alle spalle dell'Università di Bari. Ed esattamente sessantadue anni fa, il 9 settembre 1943, accolsero a fucilate i tedeschi che avrebbero voluto distruggere gli uffici postali. Respingendoli. S'erano organizzati spontaneamente, senza ordini ufficiali superiori. Fu soprattutto il sindacalista Pietro Stallone, scomparso alcuni anni fa, ex dirigente delle Federazione italiana dei Postelegrafonici, a stimolare colleghi di lavoro e militari, compresi i militi fascisti delle «Milizie postelegrafoniche».
Perché com'è noto l'armistizio dell'8 settembre tra il Governo Badoglio, succeduto a quello di Mussolini, e gli alleati angloamericani non fu seguito da nessuna indicazione utile per le nostre Forze armate: abbandonate a se stesse, in Italia e fuori, di fronte all'esercito nazista infuriato per quello che considerava un tradimento.
Quel giorno a Bari gli uomini della Wermacht rimasero sorpresi dalla reazione. Così ripiegarono.
La ricorrenza della difesa della Posta e del porto sarà ricordata con due cerimonie ufficiali, presenti le autorità. Nove anni prima di quel 9 settembre, il 6 settembre 1934, c'era stata un'altra cerimonia, in pompa magna: proprio il capo del Governo fascista, Benito Mussolini, aveva inaugurato il nuovo grande Palazzo delle Poste, progettato dall'architetto Roberto Narducci. Allora c'era stato un clima di euforia, totalmente diverso da quello bellico e caotico del 9 settembre 1943.
Dopo la confusa notizia dell'armistizio, pure a Bari nessun italiano sapeva bene cosa fare. I tedeschi invece decisero: occupare e distruggere le infrastrutture portuali e le reti di comunicazione.
Un reparto della Wehrmacht penetrò nel porto, affondò alcuni piroscafi e rispose con il fuoco alle intimazioni di resa. Lo scontro contrappose alcune centinaia di soldati della Wermacht a militari e civili italiani.
Questi ultimi, prima spontaneamente poi col coordinamento del generale Nicola Bellomo, riuscirono a fermarli. Quel giorno dettero un contributo importantissimo, sul piano bellico e morale, decine e decine di ragazzini di Bari vecchia, che si armarono di bombe a mano e andarono all'assalto dei mezzi blindati germanici.
L'allora quattordicenne Michele Romito distrusse un camion corazzato da solo. Alla fine i tedeschi si ritirarono. Lo scontro costò sei morti italiani, ricordati in una lapide sul Palazzo della dogana. Ma la resistenza nel porto barese è già più conosciuta degli scontri avvenuti intorno alla Posta. Mentre si combatteva ancora sul lungomare, un'altra colonna tedesca si diresse verso quel palazzo, lungo l'odierna via Nicolai. La testimonianza di Pietro De Caprio, allora telegrafista ventenne: «Improvvisamente ci chiamano giù per armarci. L'unica arma in dotazione era il fucile modello 91.
Abbiamo prelevato i fucili dalla rastrelliera e ci siamo appostati alle finestre e sul terrazzo». «Quello stesso giorno - è il racconto di Vito Mastrogiovanni, che lavorava ai telefoni di Stato - i funzionari dell'Ovra (gli 007 fascisti, mantenuti in servizio da Badoglio, ndr) mi hanno chiesto di aiutarli a bruciare tutti i documenti delle intercettazioni telefoniche, per evitare che cadessero o in mani tedesche o alleate».
Proprio alcuni appunti del sindacalista Pietro Stallone - rintracciati dallo storico Vito Antonio Leuzzi, direttore dell'Istituto pugliese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea - offrono ulteriori particolari sul clima e gli avvenimenti di quel giorno. Stallone scrisse che dopo il 25 luglio 1943 ( giorno in cui era stato destituito Mussolini) «si era costituito alla Posta centrale un Comitato antifascista sindacale che, pur agendo ancora nella semilegalità, aveva trovato larghe simpatie e consensi». Lo presiedeva Stallone. Con lui «Tommaso Pellegrini, Emanuele Dantone, Abruzzini, Domenico Albanese, Ravagli, Francesco Avolos».
«Nel momento in cui - ricordava Stallone - si venne a sapere che i tedeschi avrebbero attaccato il porto, la stazione e gli uffici principali... negli uffici della Posta centrale si determinò subito, anziché panico, un vivissimo fermento e una rapida saldatura delle forze che, sinceramente, avevano coltivato nell'animo un'avversione decisa al fascismo e a tutte le sue forme di corruzione e di tradimento. Fu così creata quella spontanea reazione che immediatamente si manifestò appena i tedeschi spuntarono con alcuni autocarri carichi di uomini armati. Con una rapida consultazione di uomini vestiti col camice di lavoro, soldati, carabinieri e persino alcuni militi delle Milizia Postelegrafonica, che non erano più disposti a seguire quel Comandante Morabito che molto prudentemente tagliò la corda al momento opportuno, imbracciarono i fucili che avevano a disposizione e dalle finestre fecero fuoco contro i tedeschi. Il capitano dei carabinieri che comandava il reparto della censura militare al telegrafo, e il capitano Spagnolo, che comandava i militari di truppa addetti ai reparti speciali di revisione e censura della corrispondenza postale, fecero causa comune con gli impiegati antifascisti che fiancheggiavano e sostenevano l'azione di fuoco».
Ebbero la meglio. Così difesero anche gli impianti di Radio Bari, che presto sarebbe divenuta la prima vera voce democratica dell'Italia liberata. Fu proprio a Bari, scrisse Stallone, che i sindacati dei dipendenti della Pubblica amministrazione «si dettero convegno negli ultimi mesi del 1943 e nei primi mesi del 1944 per gettare le basi del sindacato unitario».
Marco
Brando
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