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in sintesi
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Acquabella (ruderi di torre Moro)
«In località Punta di Acquabella, nel comune di Ortona (Ch), sorgono i ruderi della torre Moro, collocata in una posizione un po' insolita, infossata a guardia del fiume Moro, senza alcuna possibilità di comunicazione verso nord a causa della presenza dell'alto promontorio di Acquabella. Il marchese di Celenza Carlo Gambacorta la rappresenta sulla riva sinistra del fiume in una zona pianeggiante, in realtà è sulla riva destra ed è affiancata dal monte. Comunicava a sud con la torre di S. Vito. Notizie storiche, 1563: ordine di costruzione del vicerè su relazione del governatore Marco Antonio Piscicello. ... La torre del Moro è tipica del periodo vicereale, a base quadrata, corpo troncopiramidale con tre caditoie per lato. L'interno è suddiviso in due ambienti sovrapposti, entrambi coperti da volte a botte. La muratura è costituita da un parameno in mattoni e riempimento in ciottoli di fiume e legante.. Oggi la torre si presenta in stato di rudere, rimane in piedi tutto lo spigolo mare-costa non molto inclinato verso l'interno. Le molte sorgenti del fiume ne giustificano il posizionamento, probabilmente voluto anche per non creare possibili sorprese alla città di Ortona da truppe di sbarco che potevano avvicinarsi alla città senza essere viste».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/abruzzo_moro.htm (a c. di Alessandra Mucci)
«Nell’alto medioevo i ritrovamenti archeologici più interessanti e prossimi al territorio di Altino, sono quelli rinvenuti in località Santa Lucia, tra Torricella Peligna e Roccascalegna, ed ora conservati al museo di Crecchio. Proprio in questo periodo è probabile che si siamo formati i primi insediamenti sul masso roccioso dove attualmente è collocato il centro storico. I nuovi processi di incastellamento, che iniziarono ad interessare le aree collinari e montane della fascia appenninica, nonché le forme di difesa attuate nel IX secolo dalla chiesa costruendo torri di avvistamento sui propri territori, o realizzando torri campanarie come quelle di San Pancrazio, per contenere le invasioni dei Saraceni che, risalendo il Sangro, allora navigabile, si inoltravano nell’intera vallata disseminando morte e distruzione, come più volte ebbe a verificarsi in quel tempo, accelerarono la crescita dei centri di difesa e di arroccamento. Non sappiamo con precisione quando fu realizzata la prima torre di quello che diventerà il castello di Altino, anche perché successivamente distrutto da eventi tellurici che, nel corso dei secoli, si susseguirono più volte danneggiando anche pezzi di mura costruite per la difesa del borgo.
Le prime notizie dirette,
pervenute attraverso documenti scritti, risalgono al 1140: Edrisi, geografo
incaricato direttamente dal re Ruggero II di analizzare alcune aree
geografiche italiane, cita nel suo libro scritto in arabo il castello di
Altino con il nome di “Cars Al tin”. Nel 1141 viene citato in alcune
concessioni di decime dei castelli di Gisso a Pennadomo che Roberto, vescovo
di Chieti, fa ad Alessandro priore dell’eremo di San Salvatore a Maiella.
Nel 1145 nel Catalogo dei Baroni il territorio apparteneva al conte Boamondo
di Manoppello, giustiziere d’Abruzzo per volere di Ruggero II, e forniva al
re due militi, testimoniando indirettamente la consistenza numerica della
popolazione del borgo, presumibilmente di circa 48 famiglie. Nelle decime
dei secoli XIII-XIV risultano iscritte varie chiese tra cui una dedicata a
Santa Maria, anche se non è possibile identificarla con certezza con una
delle due chiese ancor oggi dedicate a Maria. Nel 1395 re Ladislao reintegra
Napoleone Orsini nella contea di Manoppello e conferma a Pippo Ricci, della
potente famiglia di Lanciano, un feudo sul territorio di Altino che, secondo
i suggerimenti dell’Antinori, si tratterebbe di quello rustico di Scosse.
Detti territori nel 1421 risultano ancora amministrati da Tuccio Ricci per
conto dell’Abbazia di San Giovanni in Venere. Nel periodo delle guerre tra
Angioini e Aragonesi, la famiglia Ricci approfittò degli eventi favorevoli e
del beneficio della Regina Giovanna, per ampliarne e consolidarne i
possedimenti acquistando, da Nicolantonio di Letto, già “Adoa” della
nobildonna Marisa, Altino e Casacanditella. Il passaggio delle proprietà fu
formalizzato nel 1425.
Emergenze archittettoniche. Il territorio è particolarmente ricco di
emergenze architettoniche, soprattutto di quelle localizzate nel centro
storico o nei nuclei rurali che, nonostante i valori ambientali o
costruttivi per i particolari materiali impiegati, sono poco conosciute,
scarsamente valorizzate e comunque non utilizzate. Centro storico.
Conserva un notevole pregio ambientale soprattutto per la tipica
conformazione arroccata sulla rupe calcarea, interamente circondata da
estesi paesaggi che spaziano dalla Maiella al fondovalle Sangro-Aventino,
alle colline boscose di Monte Pallano, al sottostante Rio Secco. Seppure
soggetto, negli ultimi anni ad assidui interventi di recupero urbanistico e
di valorizzazione da parte dell’Amministrazione Comunale, diversi sono gli
edifici ancora da ristrutturare, alcuni dei quali conservano ancora intatti
gli originali aspetti tipologici ed architettonici. Alcuni palazzi pubblici,
come quello “Rossetti”, già recuperato, è predisposto nei locali a piano
terra, per ospitare eventuali musei o attività culturali. ...».
http://www.comune.altino.ch.it/index.php/storia-del-territorio (a cura di Giuseppe Manzo)
«Palazzo Angelucci-Cangiano. Edificio residenziale realizzato in muratura di pietrame pseudoisodoma, con mostre e cornici in laterizio. Di particolare interesse il blocco centrale dell’ingresso inquadrato da un risalto di mattoni disposti a simulare grandi bugne. Palazzo Lannutti. La eterogeneità dei materiali, le risarciture ben evidenti e la diversità tra di loro di alcuni elementi quali le mensole dei balconi lasciano intuire per il palazzo un’antica data di fondazione. Esso risulta realizzato con muratura eterogenea di ciottoli di varia pezzatura e mattoni; di particolare rilievo si segnalano il portale a tutto sesto in pietra, la cornice di coronamento in laterizi sagomati, il balconcino in pietra con relative sottomensole lapidee lavorate sul prospetto principale e i caratteristici archi di controspinta che univano la fabbrica con gli altri edifici che lo fronteggiavano sulla stradina laterale. Palazzo Pomilio. Palazzo nobiliare dalla geometria compatta e regolare, in muratura di pietrame, a tre assi di cui il centrale caratterizzato dalla presenza dell’ingresso ingentilito da un risalto in laterizio ad imitazione del bugnato. In asse con esso si apre al primo piano un balcone fiancheggiato da due finestre, una per lato, a loro volta in asse con altre due aperture al piano terra. Percorso medioevale. Si tratta del tracciato dell’antico borgo medioevale costituito da edifici ridotti allo stato di abbandono, torri e sottopassi che si snodano lungo il paese. Particolarmente interessante è la torre dell’orologio, alta e slanciata, di forma quadrangolare, che porta in alto la campana e un orologio».
«Palazzo Cieri. Tipologia: l’imponente edificio residenziale presenta una tipologia a blocco, su tre livelli. Ubicazione: l’edificio sorge lungo Via Cieri, in pieno centro storico. Addossata al corpo di fabbrica, lungo via Palazzo, si rileva la settecentesca porta urbica, che ben conserva proporzioni e caratteri costruttivi originari. Utilizzazione: attualmente l’edificio è adibito a residenza privata. Epoca di costruzione ed eventuali aggiunte/modifiche/restauri: la mancanza di iscrizioni e documenti rendono complessa la datazione dell’edificio. Tuttavia, l’analisi del tessuto urbano rende ipotizzabile la sua fondazione al XVIII secolo, tesi ulteriormente avvalorata dalla contiguità con la settecentesca porta urbica denominata “Porta Cieri”. Non si esclude, però, che il palazzo attuale sia sorto sui resti di una struttura più antica, come sembra suggerire l’attacco a terra con muri a scarpa. Stato di conservazione: l’edificio mantiene globalmente un buono stato di conservazione soprattutto per quanto riguarda le superfici esterne. Recenti restauri hanno contribuito a ben conservare i paramenti murari e le finiture. Descrizione dell’edificio con riferimento ai materiali e alle tecniche costruttive adottate: l’edificio ha le facciate caratterizzate prevalentemente da paramenti murari in pietra sbozzata e ciottoli a faccia vista. L’utilizzo del laterizio è riservato solo a mostre e paraste. La facciata principale, che si estende a cinque assi, è articolata su tre livelli. L’ingresso al palazzo è sottolineato da un portale interamente in mattoni inquadrato da due paraste con capitelli in pietra che sorreggono una trabeazione la quale funge da sostegno alla mensola del balcone sovrastante. In asse con l’ingresso, ai due piani superiori, si aprono due balconi; al primo livello si alternano finestre e balconi mentre all’ultimo livello lo stesso ritmo si direbbe essere stato modificato da rimaneggiamenti susseguitesi nel corso degli anni che hanno evidentemente determinato anche l’arretramento della parte destra del prospetto al terzo livello rispetto ai piani sottostanti».
http://www.sangroaventino.it/sezioni/-Archi/pagine.asp?idn=1743 - pagine.asp?idn=1742
Archi (ruderi del castello baronale)
redazionale
Ari (castello o palazzo baronale Ramignani-Nolli)
«Tra il VII e l'VIII secolo assistiamo, anche in Abruzzo, alla fondazione di innumerevoli centri in posizioni più sicure e lontane dalle principali vie di comunicazione. Questo è ciò che accade ad Ari che, adattandosi alle caratteristiche morfologiche del colle su cui sorge, si sviluppa secondo una tipologia abbastanza ricorrente nel Medioevo: una formazione urbana lineare, costituita da un’edilizia minore, ancora ben conservata nella sua struttura originaria, la cui spina dorsale è il corso Galilei che si snoda fin sulla sommità del crinale sfociando nella piazza; su entrambi i lati del corso si aprono strettissimi vicoli con scorci suggestivi. Per proteggere il versante sud-est del centro storico, da frane e smottamenti, all’inizio del secolo fu realizzato il suggestivo muraglione, che cinge tutto il perimetro sud dell’abitato. Sulla piazza, fino a tempi recenti, si affacciavano gli edifici più rappresentativi del nucleo urbano: il palazzo-"castello" e la chiesa parrocchiale (oggi non più esistente). Non essendoci tracce di antiche mura difensive o di torri di avvistamento pare azzardata la definizione di castello in senso stretto. La torre che affianca il portale di accesso al cortile, fu realizzata solo nel 1700 e successivamente soprelevata e coronata dagli attuali merli. Dunque l’edificio, mostra più verosimilmente i caratteri di palazzo nobiliare, che di castello difensivo. Inoltre, l'originaria dedicazione della chiesa parrocchiale al Salvatore, ci lascia supporre che il primo nucleo urbano si formò o si consolidò sotto la dominazione Longobarda, anche se il più antico documento pergamenaceo che ci informa dell'esistenza di Ari risale al 1120, anno in cui il “castello” venne donato al vescovo Gerardo di Chieti. Per quanto riguarda il nucleo originario del palazzo, dalla lettura delle tecniche costruttive utilizzate è possibile ipotizzare che i resti di un originario “castello” siano in parte inglobati nel blocco centrale, all’interno del cortile. Questo infatti, nel piano seminterrato, è costituito da un sistema di volte a crociera, testimonianza di un'epoca costruttiva tardo medievale.
A partire dal XVI secolo nel
"castello" si avvicendano alcune famiglie facoltose abruzzesi come i De
Vega, i De Palma, i Carafa, che ampliando il primitivo nucleo, danno origine
a quel processo di aggregazione di corpi che contribuirà alla formazione
dell’attuale complesso architettonico. Dal 1577 al 1918 la storia di Ari si
lega alla famiglia dei Ramignani. Questi, residenti a Chieti, dove ricoprono
la carica di Camerlengo, utilizzano il palazzo di Ari esclusivamente come
residenza estiva data la bellezza del paesaggio circostante su cui essa si
affaccia, e la salubrità del clima. Pertanto, a partire dalla seconda metà
del ‘500, vengono intrapresi una serie di radicali interventi finalizzati a
trasformare l’antico edificio medievale in palazzo baronale, di gusto tardo
rinascimentale. Nel '700 ormai il palazzo si è esteso fino a toccare la
preesistente chiesa madre di San Salvatore, tanto che la Baronessa, in
qualità di proprietaria del palazzo, fa aprire una “finestra-tribuna” nel
muro comune tra le due costruzioni, per seguire le funzioni religiose
direttamente dalle stanze della sua abitazione. Tra il 1324 ed il 1325, la
chiesa era certamente esistente, ma della sua pianta originaria non
conosciamo né dimensioni né esatta ubicazione. A cominciare dagli anni '30
del ‘700 è proprio questo edificio a subire le maggiori trasformazioni
passando dalla prima fabbrica, piuttosto piccola e quindi poco capiente ad
accogliere fedeli, ad una seconda di 22x50 palmi napoletani, per ampliarsi
nuovamente negli anni '70 raggiungendo le dimensioni definitive di 33x72
palmi. Infine l'intero complesso raggiunge, tra la seconda metà del '700 e
l'inizio dell'800, la sua forma compiuta, grazie all'addizione di un piccolo
corpo, successivamente trasformato in torre merlata, ed alla realizzazione
del portale che chiude definitivamente il cortile.
Alla fine del ‘700 una nobile famiglia di origini napoletane entra in
possesso di parte del palazzo: la famiglia Nolli. Anche i Nolli, residenti a
Roma, utilizzano il “palazzo-castello” come residenza estiva, trasformando i
loro soggiorni in eventi particolarmente importanti per la storia di Ari.
Infatti, nel primo ventennio del '900, il barone Mario Nolli, la sua nobile
consorte, la baronessa Francie Picton Walow, e l’amico D’Alessandro,
trasformeranno il paese in un piccolo cenacolo letterario capace di attrarre
non solo artisti inglesi, ma personalità di spicco della letteratura e
dell’arte italiana. Tra questi, oltre vari pittori inglesi ed olandesi, che
amavano riprodurre su tela i pittoreschi paesaggi a cui il castello faceva
da sfondo, spiccano i nomi di D'Annunzio e Pirandello. Quest'ultimo,
probabilmente ospite nel palazzo, in una sua novella cita sia il paese, sia
la cosiddetta "pensione inglese" descrivendola romanticamente come "…un
castello in cima al colle". La capacità attrattiva degli splendidi paesaggi,
soprattutto autunnali, che da sempre hanno richiamato artisti e turisti,
viene ben presto colta dalla famiglia Nolli, che utilizza la proprietà come
“Pensione Anglo Italiana”. Purtroppo, durante la seconda guerra mondiale, i
tedeschi in ritirata minano il campanile della chiesa di San Salvatore che,
crollando, distrugge l'abside e la parte centrale della navata. Negli anni
'50, il Genio Civile demolisce i resti della chiesa e tampona la facciata
del palazzo mutilata, mentre il comune sfrutta il vuoto urbano per ampliare
la piazza. Oggi, gli unici ambienti rimasti sulla piazza, testimonianza del
complesso chiesa-palazzo, sono due alte stanze voltate a crociera, adibite
un tempo a locali di servizio dell'edificio sacro e attualmente a locali
commerciali; inoltre della chiesa rimane il muro di fondazione, a cui oggi
si addossa la rampa carrabile di accesso alla piazza. Attualmente il
“castello” si articola in tre corpi di fabbrica, architettonicamente
connessi tra loro ma formalmente diversi, sia nelle altezze che nel disegno
delle aperture. Il fronte sul giardino privato è scandito da una sequenza di
finestre settecentesche le cui cornici, all’ultimo piano, riquadrano
aperture a mezzanino. Il prospetto verso la valle, presenta un ritmo meno
regolare delle finestre che denuncia una maggiore sovrapposizione di epoche
costruttive. È infatti ancora possibile leggere nella muratura, la presenza
di aperture ad arco poi murate, di tracce della copertura del “trappeto”
(frantoio) che un tempo si addossava all’edificio, di tracce delle finestre
ovali di mezzanino e i resti di una mensola lapidea scolpita. Il palazzo,
adibito oggi prevalentemente a funzione abitativa, in passato ha accolto
anche varie attività economiche; oltre alla pensione inglese, infatti, da
una minuziosa descrizione di metà ‘800 sappiamo che qui era collocata anche
una “caldara” per la macerazione del mosto, numerose cantine, ed un frantoio».
«Nel periodo carolingio, quando in Italia si fece strada il feudalesimo, Arielli fu racchiuso entro mura più sicure dalla costruzione di un castello che per stile, architettura ed uso si può riferire al periodo fra l’800 e il 1000. Non sappiamo chi l’abbia costruito. Abbiamo notizie affidabili solo sul suo possessore nel 1145, il conte Boamondo di Manoppello che per la sovvenzione delle Crociate per il suo feudo di Argello fu tassato di un soldato a cavallo. Dopo che la proprietà del feudo di Arielli fu tolta nel 1528 alla città di Lanciano, il barone Luca Andrea Arcuzio Resio nel 1561 fece restaurare il castello e lo rinforzò. Nel 1904 il castello dopo circa due secoli di abbandono crollò e ne furono rimossi i ruderi per la realizzazione dell’odierna Piazza Crognali».
http://www.provincia.chieti.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php...
Atessa (casa De Marco, castellum de Atissa)
«Subito dopo [il convento delle Monache di San Giacinto] sulla destra, si nota la massiccia mole del Palazzo De Marco. L’edificio, di notevole importanza storica, è la più antica costruzione civile esistente in Atessa. La severa facciata è ingentilita da una finestra che si fa risalire al 1488 di cui si ammira il ricco arco ogivale con capitelli e leoni. Pur nelle forme gotiche essa ricorda le finestre absidali delle cattedrali pugliesi. Sfortunatamente la testa di uno dei leoni consumata dalle intemperie, si staccò e cadde in una giornata di forte vento e non fu più rinvenuta. L’interno dell’edificio è costituito da un ampio atrio e da una bella scalinata in pietra serena ornata da una elegante balaustra in ferro battuto che immette nelle ariose stanze con volte a cielo di carrozza, alcune delle quali conservano affreschi eseguiti da Pietro Cascella. Ma la parte più interessante del Palazzo De Marco è costituito da ciò che non può essere visitato. Infatti l’edificio che poggia su possenti fondamenta, si estende al di sotto della strada formando un enorme scantinato usato come tale dagli abitanti della dimora fino all’anno 1860 quando Luzio De Marco, capitano della Guardia Nazionale, vi fece riporre numerose armi confiscate ai briganti. Per evitare che qualcuno si appropriasse di dette armi, il capitano De Marco fece murare l’enorme scantinato che da quegli anni non è stato più riaperto custodendo così una interessante raccolta di armi.
Sulla sinistra, dirimpetto al Palazzo De Marco, sempre seguendo l’andamento stradale si nota il Palazzo Marcolongo costruito nel 1724 e caratterizzato da una sobria facciata barocca con un bel portale ed un atrio che presenta particolari pregi architettonici. La strada in salita ormai percorsa nella sua interezza si apre su un piazzetta di forma allungata: Largo Castello definito da una cortina di edifici, ove è interessante notare come anche gli interventi più recenti si siano inseriti con continuità nel disegno complessivo. ... La Piazza è chiusa sul fondo dal Palazzo Flocco. Dai documenti custoditi nell’archivio comunale risulta che l’edificio già esisteva nel 1560, fu quindi ampliato nel corso degli anni e portato alle forme attuali nel 1850 da Giacomantonio Flocco. è un blocco di forma regolare, con una facciata intonacata, essenzialmente piena, su cui si aprono finestre e balconi con una precisa scansione modulare. La parte alta è movimentata dalla presenza di una torretta che rappresenta il punto più alto del panorama urbano. L’interno è formato da una serie di ambienti interessantissimi. I locali usati nel passato come stalle,con archi e volte a botte, danno carattere alla dimora. Parte dell’edificio ospita attualmente un ostello della gioventù. Altro elemento di spicco del Largo Castello è il Palazzo Giannico che ospita il Centro Sociale per Anziani. L’ampio portale si apre sullo spazio del cortile con cisterna centrale. Rimaneggiata per poterla adattare alle nuove esigenze, conserva tuttavia specialmente nel piano nobile l’originale struttura. Di particolare pregio è l’ampia sala la cui volta è ornata da leggiadri medaglioni raffiguranti scene di vita campestre. L’edificio nasconde al suo interno i resti di un’antica torre che faceva parte di una costruzione fortificata di cui rimangono le robuste strutture in parte modificate da vari rimaneggiamenti subiti nel corso degli anni, ma ancora individuabili. La presenza del castello ormai scomparso, con molta probabilità ha dato al quartiere il nome di Castello e ad esso si riferisce il castellum de Atissa menzionato nel Regesto di Farfa risalente al IX secolo».
http://www.leviedelmondo.it/ilcastello/Quarto_itinerario.htm
«Le mura sono site nel
centro storico, nel quartiere di San Michele. La Torretta viene utilizzata
come residenza. La torretta è sita nel punto più alto del colle di San
Michele. L'edificio è in pietra. Oltre le porte e la torretta urbane sono
visibili dei beccatelli e dei ruderi delle mura siti tra la porta di San
Giuseppe e Santa Margherita. I beccatelli sono realizzati in laterizio
inglobati in un edificio. Mancano dati certi sull'edificazione delle mura.
Fonti attestano l'esistenza della porta di San Giuseppe nel 1240. Altre
notizie si hanno nello statuto comunale del 1616 quando vengono effettuate
una ristrutturazione, delle aggiunge e delle approvazioni del precedente
statuto del 1300. Nel XVIII secolo rimanevano solamente otto delle
preesistenti dieci porte come risulta dagli annali di Bartoletti. Sempre il
Bartoletti accenna che la porta di Santa Croce, presso l'omonima chiesa, è
stata distrutta. Delle porte di San Lorenzo, San Giovanni e San Nicola non
rimangono resti visibili. La porta di San Nicola fu demolita per pubblica
sicurezza nel 1761 circa quando fu fatta una petizione per costruire una
nuova porta. Nel 1781 venne così eretto l'arco 'Ndriano. Nel 1861 fu
deliberato di abbattere la porta di Sant'Antonio per motivi di staticità e
di agevolazione del traffico di carrozze. L'abbattimento della porta avvenne
nel 1872. Mancano documenti sulla demolizione di altre porte, tra cui: la
porta di San Giovanni, San Gaetano e dell'arco Pistilli, comunque esistenti
nel 1702.
Porta di San Michele o Porticella. Era l'antica porta di accesso al
quartiere San Michele e fu costruita nel VII secolo. Altri nomi con cui è
nota la porta sono Porticella o porta di Santa Giusta, poiché in passato era
affiancata da una chiesa che portava quel nome. Oggi si presenta con linee
piuttosto semplici e presenta un prospetto che da un lato è più stretto
dell'altro. È edificata in pietrame misto a mattoni.
Porta Santa Margherita. Si trova in Via Menotti De Francesco nel
quartiere Santa Croce ed è un notevole esempio di architettura pre-angioina.
La datazione della porta è incerta, secondo alcuni risalente al VI secolo
mentre per altri al XI secolo. Certo è che esisteva già nel XIV secolo
quando fuori dalle mura e adiacente alla porta venne costruita la chiesa di
Santa Margherita da cui prende il nome e che ora non esiste più. Agli inizi
del XV secolo la porta ed il relativo sito divennero presidio militare per
il controllo dei banditi. Venne restaurata infine nel XX secolo. Era la
porta nord per l'accesso alla città, molto importante per i traffici
commerciali con Lanciano, Chieti ed in generale con le coste. L'arco della
porta, in pietra è a tutto sesto mentre la balaustra superiore è in
laterizio.
Arco 'Ndriano. L'Arco 'Ndriano di trova lungo Corso Vittorio Emanuele
a pochi metri da Piazza Garibaldi. La prima costruzione esisteva già intorno
all'anno 1000 e nel 1268 venne costruito nei pressi della porta l'ospedale
San Nicola. Intorno alla metà del Settecento la porta venne abbattuta ma già
nel 1768 venne inoltrata la richiesta di costruirne una nuova con la
funzione di rappresentanza con il nome di Arco 'Ndriano. Presenta uno stile
neoclassico dopo la ricostruzione, è costruita in laterizio ed è sovrastato
da un loggiato chiuso, costruito nel 1780.
Porta di San Giuseppe. È sita in via Fontane vecchie. Fu costruita
nel 1240, ad ogni modo già esisteva nel 1261 quando fu edificato un ospedale
presso questa porta. La successiva documentazione dell'esistenza di questa
porta risale a quando è citata la compagnia di Maria Santissima dei
Raccomandati che assisteva i girovaghi ed i malati in un ospedale sito sopra
la porta di San Giuseppe. Nel XIX secolo è l'apertura di fue finestre al
secondo livello e di un balcone nel primo livello. Nel 1936 risulta in un
cattivo stato di conservazione. Un documento del 1942 il primo livello della
porta viene descritto come un piccolo corridoio largo 2 metri e lungo 6
metri versanti in cattivo stato e senza intonaco. La costruzione è a fornice
centrale ad arco acuto. Dei beccatelli sono posti su entrambi i versanti
della porta. I beccatelli sono composti da archetti a sesto acuto composti
da mattoni che sporgono dai muri e poggianti su delle mensole in pietra. La
costruzione è in muratura di mattoni e pietre. La pietra viene utilizzata
per il lato a valle del fornice. Sulla facciata poggiano delle costruzioni
più recenti rispetto alla porta. Su ambo i lati vi sono le buche pontaie».
http://it.wikipedia.org/wiki/Atessa#Resti_di_mura_e_porte
BOMBA (mura, porte, palazzo baronale)
«Mura urbane e porte, forse risalenti al XII secolo alla prima formazione dell'abitato. Una delle porte fu rimaneggiata nel XVIII secolo, mentre altre sono danneggiate dal passare del tempo (porta di Pian della Torre) o scomparse lasciando solo tracce (porte su via Pistreola). Supportico e porta Pian Due Torri: il supportico, corridoio coperto, conduce dalla piazza centrale al centro storico. Vi si accede tramite un arco a tutto sesto sui cui stipiti è scritto VB che indicherebbe Universitas Bumbae. La porta Pian due Torri presenta una strombatura verso l'interno. All'esterno vi è un arco con trabeazione, coronata dallo stemma degli Adimari, feudatari di Bomba. ... Palazzo baronale, sito nel punto più alto del borgo antico. Di origine forse cinquecentesca XVI secolo, il lato valle ha delle finestre con stipiti e cornice superiore in pietra. Alcuni interni lignei erano a cassettoni».
http://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_%28Italia%29#Musei_ed_architettura_civile
«Tipologia: edificio a tre piani. Ubicazione: a monte del centro storico, in via Roma. Dati catastali: foglio 6, particella 337. Utilizzazione: l’edifico attualmente ospita la sede del municipio Epoca di costruzione ed eventuali aggiunte/modifiche/restauri: nel documento sull’apprezzo di Civitas Burreli del 1754, redatto dall’ingegner Juliani, viene descritto il “Castello della Baronal Camera”, come una torre con mura a scarapa, che confinava con altri beni della camera baronale: il cosiddetto giardino ortolizio e la cantina attigua alla chiesa di S. Onofrio. Nel documento si descrivono le varie stanze e il loro stato di conservazione. Nel 1913 il Comune acquistò il palazzo dalla famiglia Mascitelli di Atessa, ultimi baroni di Borrello, per destinarlo a sede municipale e si dette inizio ai lavori di ristrutturazione e di adeguamento. Nel 1943, a causa di un bombardamento, crollarono il tetto e i solai. Con la ricostruzione da parte del Genio Civile il palazzo subì nuove modifiche interne ed esterne che ce lo hanno consegnato allo stato attuale Stato di conservazione: l’edificio presenta un buono stato di conservazione dal punto di vista strutturale ma nel complesso la nuova veste non lasciano vedere nulla della struttura originaria. Gli intonaci esterni sono lesionati e deteriorati. Descrizione dell’edificio con riferimento ai materiali e alle tecniche costruttive adottate: l’edificio si eleva stretto e alto, con tre lati liberi ed il quarto addossato alle costruzioni vicine, ha la parte basamentale che presenta su due lati una muratura a scarpa su cui si aprono dei balconi. La facciata sul centro storico presenta coppie di apertura in asse su ciascun livello e una serie di scalinate e terrazzi che raggiungono l’ultimo piano attraverso un ponte costruito nel punto in cui era ubicato l’antico ponte levatoio, dove oggi si alza la torre dell’orologio. Le murature sono rivestite di intonaco dipinto di rosa, mentre le fasce marcapiano, il cornicione, gli stipiti e gli architravi delle finestre sono dipinte di grigio. Il coronamento è ottenuto con un cornicione piuttosto alto che segue il profilo dell’intero edificio, nascondendo il tetto a padiglione».
«In un'ansa del fiume Mesima emerge una collina, da sempre, detta di Borrello. Qui sorgeva un piccolo, importante centro, recintato da mura, che proteggevano il castello del visconte, la chiesa parrocchia della SS.Trinità e le abitazioni di pochi personaggi influenti. Al di fuori della cerchia muraria vi erano le abitazioni degli operai, alcuni conventi, ancora imponente quello dei Minori Francescani su una collina adiacente. Fra le rovine rimaste dopo terremoti e abbandoni si possono ancora identificare il castello (abitazione, magazzino, caserma, sede giudiziaria e di registrazioni), la chiesa Madre, della quale rimangono in piedi frammenti di muri perimetrali. Fra la vegetazione spontanea, anche di grandi dimensioni, si possono scorgere spuntoni delle fondazioni di altre costruzioni. In migliori condizioni si trova quanto rimane del grande convento dei Minori Francescani, trasformato in abitazione, magazzini e depositi dall'antico proprietario. Nelle carte topografiche la zona è definita "terreno agrario", con qualche rovina affiorante. In tempi diversi e per ragioni diverse la zona fu abbandonata dai contadini e dai "signori", trasferitisi in Laureana e in paesi vicini; gli ultimi, dopo il terremoto del 1783. Il sigillo visconteo, gli uffici, i registri, i funzionari governativi, trasferiti a Laureana, continuarono in questa sede a svolgere le loro funzioni: da qui il diritto, da decreto regale, di appellare Laureana con l'aggiunta di Borrello».
http://www.laureanadiborrello.altervista.org/storia-di-borrello
Carpineto Sinello (castello o palazzo Bassi)
redazionale
Casalanguida (borgo fortificato, torri)
«Casalanguida, Carpineto Sinello e Guilmi furono i capisaldi della difesa meridionale del Ducato e quindi del Regno prima dell’invasione normanna. Il centro storico di Casalanguida è individuato dalle strade via delle Ripe, via G. Marconi e via Umberto I. In pianta è facilmente individuabile la forma originaria. Il centro abitato, posto su un crinale, conserva nel nucleo centrale l’antico assetto difensivo. Le torri ancora esistenti dell’antico “castellum” sono due: quella in via Marconi (sec. XV) purtroppo rivestita con un intonaco in cemento che nasconde la muratura originaria; l’altra in via Umberto I (sec. XV) rimaneggiata nel corso dei secoli. In entrambi i casi si tratta di torri risalenti al XV sec. circa e annesse (almeno quella di Furci e la torre di Via Marconi a Casalanguida) a palazzotti nobiliari. “A Furci, Scerni e Casalanguida troviamo dei palazzi 'fortificati' con torri che forse, a Scerni molto più che negli altri due paesi, hanno più una funzione rappresentativa che realmente difensiva”. Nelle torri di Casalanguida, per quanto pesantemente intonacate, sono ancora presenti numerose partiture architettoniche in pietra scolpita ed altri elementi lapidei quali: mensole, stipiti, architravi, davanzali delle varie finestre, probabili archibugiere realizzate con un unico elemento lapideo forato, redendone e doccioni. Il paramento murario, per quanto visibile nelle lacune degli intonaci, presenta un apparecchio murario misto con ciottoli di fiume. L’unico utilizzo di cortina laterizia è visibile nel cornicione della Torre di Via Umberto I».
Casalbordino (borgo fortificato, torrione)
«Fu abitata dai monaci fino al 1380. Nel XV fu saccheggiata prima dai partigiani della regina Giovanna e poi dai Turchi del famoso anno 1566. Dopo questa data la decadenza del monastero di S. Stefano continua incessantemente sino alla distruzione completa per opera del tempo e delle vicende belliche. Qui nel 1975/76 dagli scavi archeologici effettuati dalla Sovrintendenza ai beni archeologici di Chieti, è affiorato tantissimo materiale d'indubbia pregevolezza tra cui colonne romane e mosaici del IV secolo d.C. Nel centro storico e nelle sua immediate vicinanze troviamo un'architettura prevalentemente neoclassica, con alcune pregevoli espressioni tardo barocche. A fine Ottocento, a Casalbordino, si ebbe una dinamica espansione dell'antico insediamento medievale con una precisa unitarietà stilistica. La Via Mattonata e la via Castello, infatti, conservano l'impianto originale. La prima era la strada principale del paese, luogo dove si allineavano gli edifici più prestigiosi dell' antico borgo. II selciato e la carreggiata in pietra contribuivano a darle una suggestione di antichità. L'attuale Piazza Umberto I sorse in quel periodo, quando furono accorpati all'antico centro i sobborghi di San Sebastiano e Sant'Antonio Abate. La sua funzione era quella di rispetto del vecchio Castrum e come area di sbocco della porta sita alla fine di Via Mattonata. ... Nel nucleo medievale troviamo alcuni palazzi degni di nota, che conservano le caratteristiche neoclassiche e barocche originarie. Tra questi spicca il neoclassico Palazzo Furiì Teresa, in cui prossimamente sarà ospitato il Museo Civico con reperti autentici sulla storia e le tradizioni di Casalbordino, palazzo De Januario, sede dell’antica camera baronale del marchese D'Avalos, con le sobrie cornici barocche dei balconi, palazzo Galante in Via Cisterna, dove troviamo anche un arco medievale di stile durazzesco. Poi ancora c’è la casa Sanese Lemme, con gli eleganti balconcini e Palazzo Lanza. Nel nucleo medievale fa ancora bella mostra la Torre di Via Porta Nuova; essa era una delle sei torri angolari, unica superstite, dell'antica cinta muraria. Risale all'inizio del XIII secolo».
http://www.comune.casalbordino.ch.it/Il_Territorio/Arte_e_cultura2.htm
«La torre civica di Casalbordino ha oltre cento anni di storia. Il campanile fu terminato nel 1901, su progetto iniziale dell'ingegner Tito Zimarino di Casalbordino e successivamente fu affidato per il completamento all'ingegnere Antonino Liberi di Pescara, cognato di Gabriele D'Annunzio. La torre civica fu finalmente collaudata ed inaugurata nel 1901 con grande soddisfazione del Sindaco Luigi Molisani e della popolazione tutta. La torre, con il suo slancio verticale, raggiunge la considerevole altezza di 45 metri con tutto il pennone, per la sua armonia e unicità di stile neoclassica si integra con gusto e comodità con la chiesa madre di San Salvatore e la antistante piazza Umberto primo. La torre, destinata principalmente a contenere le campane e l'orologio pubblico è divenuta un utile strumento misuratore del tempo. Grandiosa ed imponente, la splendida torre, come allora nel 1901, ancora oggi rappresenta l'orgoglio dei casalesi. Non è solo un edificio, ma quasi una presenza che racconta le vicissitudini della città. ...».
http://www.casalbordinovacanze.it/citta/citta_torre.htm
Casalincontrada (palazzo Baronale, porta Urbica)
«Palazzo baronale. Il palazzo è situato in piazza De Lollis ed è attualmente sede del Municipio. I locali del piano terra invece sono adibiti a sede del Centro di Documentazione Permanente sulle case di Terra Cruda. Tale centro ha lo scopo di conservare e valorizzare gli interessanti esemplari di case in terra cruda presenti sul territorio. Porta urbica. La porta, già “Porta da Capo”, risale al XIV secolo e presenta un arco a sesto acuto realizzato in mattoni. Oltre ad essa si ricordano gli altri accessi urbici di sud-est e di sud-ovest, denominati rispettivamente “Cerretane” e “Pizzoli”».
Casoli (castello Masciantonio)
redazionale
Castel Frentano (palazzo marchesale Crognale e altri palazzi)
«Palazzo Vergilij. Il palazzo Vergilij si trova nella parte terminale di un isolato sito a sua volta tra due piazze (il Largo Vergilij e e Piazza Raffaele Caporali) oltre che da una stradina. Utilizzato come residenza attualmente, in parte è disabitato. Il palazzo fu costruito verosimilmente nel XVII secolo per il barone Vergilij sopra una preesistente costruzione. Dal catasto onciario risulta già costruito nel 1752 formato da più quarti. L´edificio si compone di tre livelli. La facciata principale è caratterizzata dall´elevato pian terreno con muri a scarpa. Il portale è caratterizzato da un arco a tutto sesto. Un´altra apertura, sempre sul pian terreno, presenta un arco a sesto ribassato. Al primo piano, sopra l´ingresso, vi è un balcone poggiante su mensole su cui si accede tramite delle finestre architravate, al piano superiore si ripete lo stesso tipo di finestre, di cui l´ultima mostra un interasse superiore alle altre. Il prospetto su Piazza Raffaele Caporali presenta una cornice marcapiano che suddivide il pianterreno dai piani superiori. Sulla piazza vi sono quattro ingressi e due finestrelle, di cui quella inferiore è ad arco ribassato ed all´ultimo piano vi è un balconcino poggiante su mensole. L´ingresso principale immette in un piccolo cortile in cui vi sono un loggiato con due arcate sovrapposte e un pozzo.
Palazzo Crognale. Il Palazzo Crognale è il palazzo marchesale di Castelfrentano. È sito in piazza Giuliano Crognale. Creato per essere la residenza della famiglia dei marchesi Crognali, oggi è in parte abitato. La costruzione risale tra la fine del XVIII e l´inizio del XIX secolo. Negli anni sessanta fu abbattuto in parte dello scalone d´onore. La facciata è a tredici assi. Il palazzo si compone di due piani più seminterrato e soffitta. È completamente realizzato in laterizio intonacato. Il piano terra è realizzato con delle bugne in cui si aprono delle finestre. Il piano superiore è composto di una cornice modanata sorretta da mensole e delle paraste con capitelli decorati con volute e motivi floreali, inoltre tre aperture sono inquadrate da paraste. La facciata e l´interno del palazzo sono in stile Vanvitelliano.
Palazzo Cavacini. Trattasi di un palazzo signorile composto da due corpi di fabbrica disposti a forma di "L". È sito nel centro storico tra Corso Garibaldi e Corso Torrione. La costruzione risale al XVIII secolo; fu ristrutturato dopo la frana del 1881. Agli inizi del 1900 fu realizzato il corpo di fabbrica su Corso Torrione. Attualmente versa in cattivo stato di conservazione. Il lato su Corso Torrione è caratterizzato da un giardino pensile. Il lato di Corso Garibaldi è composto di tre livelli. Una cornice marcapiano suddivide il pianterreno dai piani superiori. Le aperture ai piani superiori sono maggiori delle sottostanti. All´ultimo piano vi sono due vani con finestre che si affacciano sullo stesso balcone sostenuto da varie mensole modanate. All´interno vi sono il salone di rappresentanza con soffitto tripartito a volte a padiglione poggianti su travi di legno (la volta centrale consta di un affresco raffigurante il sorgere del sole) e la cappella di famiglia che anticamente custodiva la statua di san Giuseppe entro una nicchia e gli stemmi dei Crognale (un leone rampante appoggiato sull´albero Crognale, una specie di quercia) e dei Vergilij (tre stelle e tre gigli), rappresentante, forse, un legame di parentela fra le due casate, e un affresco rappresentante l´assunzione della Madonna».
http://www.abruzzofood.it/Castel-Frentano.htm
Castel Frentano (resti delle mura, bastione)
«Ubicate in piazza Crognale, le mura, costruite con funzione difensiva presumibilmente nel XIV secolo, sono state nei secoli inglobate in edifici d’abitazione. Si tratta in particolare di un tratto di muratura in pietra e mattoni a ricorsi irregolari, in cui si aprono due aperture ad arco a tutto sesto. Il palazzo soprastante ingloba inoltre uno dei bastioni appartenenti alle antiche mura, la cui parte superiore è dominata da merlature, ricostruzione di epoca successiva».
http://www.sangroaventino.it/sezioni/-CastelFrentano/pagine.asp?idn=1802
Castiglione Messer Marino (borgo fortificato)
«Di questo centro, di cui abbiamo notizie nel Libro di Re Ruggero del geografo arabo al-Idrīsī della metà del XII secolo, risultano rare le testimonianze, anche perché non è stata mai effettuata un’ indagine archeologica con lettura degli alzati in ambito urbano. A Castiglione, che aveva sofferto dei danni del terremoto del 1706 e della frana del 1901 con le relative ricostruzioni, E. Abbate notava i resti delle antiche mura e forse della cerchia urbana. Nella sommità dell’abitato a “strapiombo protettivo” verso Nord sorgeva il castello e verso la chiesa di San Michele Arcangelo (secoli XV-XVIII) era ubicata la Porta Sant’Angelo o da Capo. La parte più arcaica del borgo fortificato può essere rintracciabile nel dedalo di scalinate che collegano l’abitato secondo le curve di livello e le varie direttrici. Il collegamento principale di questo percorso lastricato (forse Salita della Posta) con selciato a cunei di pietra di fiume, era quello che portava alla sottostante Porta da Piedi all’altezza, presumibilmente, della chiesetta della Congrega, definita nel 1727 in mezzo alla terra. Nel nucleo antico del borgo si possono vedere alcuni reperti lapidei erratici medievali, sia nella facciata della chiesa parrocchiale (non il portale qui rimontato) che nelle case a torre, alte fino a cinque piani, riconducibili alle società pastorali (V. Furlani, Studio e progetto di fattibilità). Tra i materiali impiegati, a differenza dei centri del medio vastese, qui si faceva ricorso alla pietra spugna o alla pietra di Castiglione, detta liscia. Tra le chiavi di portali presenti si ricorda anche il valore di testimonianza delle antiche tecniche edilizie dove nella “Casa Salvatore” c’è la figura di un muratore con “una mazzola nella mano sinistra”».
Castiglione Messer Marino (resti di Castelfraiano)
«La rocca d’altura di Castelfraiano dominava le sorgenti dei fiumi Sinello e Treste e l'accesso da Monteferrante verso la valle del Sangro. Da un rilievo effettuato in situ (V. Furlani, Studio e progetto di fattibilità) risulta avere un recinto con pianta a trapezio scaleno dove, nei due lati corti, sono presenti i resti di una torre di pianta rettangolare, quasi addossata alle mura esterne, e, nel lato opposto, una sporgenza in posizione mediana, sempre di forma rettangolare. Questa importante struttura fortificata presenta una larghezza di circa venticinque metri e una profondità di dieci metri, per un totale di circa duecentocinquanta metri quadrati. Aveva probabilmente aggregato ad esso un piccolo casale. Ancor oggi, quindi, sono visibili consistenti resti che attendono un recupero e una fruizione».
Celenza sul Trigno (torre della Fara)
a cura di Sergio Ialacci
Chieti (palazzo arcivescovile, torre di Colantonio Valignani)
«L’elegante palazzo sede dell’arcivescovado conserva, su di un fianco, una torre merlata in laterizio risalente al 1470, decorata da archetti pensili impreziositi da coppelle in maiolica policroma. La torre fu fatta erigere dal vescovo Colantonio Valignani. L’odierna struttura dell’edificio è frutto dei lavori di ampliamento e restauro susseguitisi dal Seicento fino agli anni ’30 del Novecento. Da notare la scala marmorea di accesso fatta realizzare tra il 1792 e il 1795 dal vescovo Ambrogio Mirelli. La corte interna ospita i locali sede dell’Archivio Arcivescovile dove sono custoditi preziosi ed antichi documenti».
http://www.comune.chieti.gov.it/index.php/luoghi-da-visitare/115-palazzo-arcivescovile.html
Chieti (palazzo e torre dei Toppi)
«Il palazzo, di raffinata fattura è composto da più fronti realizzati in epoche diverse e conserva una torre merlata del XIV sec. Le forme attuali dell’edificio si devono agli interventi realizzati nel XVIII sec. su committenza di Diodato ed Agatopo Toppi. Nella volta dell’androne si conserva un affresco riproducente lo stemma della famiglia. Da notare, prospiciente sul piccolo cortile interno, lo scalone a doppia rampa ornato da colonne doriche e decorazioni in stucco» - «La storia di questo complesso è legata all’episodio della “vendita della città” al duca di Castel di Sangro (Ferdinando Caracciolo) nell’anno 1644. La storia del palazzo e della torre è legata all’agente dell’operazione di acquisto del duca, il signorotto Nicolò Toppi, avvocato e storico nato a Chieti nel 1607 e morto a Napoli nel 1681. Fu autore di numerose opere giuridiche e storiche, oltre che ad essere stato un bravo archivista. Durante questo atto di “infeudamento” della Civita Teatina, la popolazione si mostrò decisamente contraria a questa manovra e reagì con una vera e propria sommossa, bruciando lo stabile della residenza Toppi e la torre, mettendo fuoco a numerosi manoscritti la conservati. Solo alcune parti dell’edificio si salvarono dall’incendio e sono fortunatamente ancora oggi visibili. Stiamo parlando di alcuni elementi interni del palazzo e la stessa torre, che ancora oggi si erge sulla storica strada di Porta Pescara, ma veniamo brevemente ad illustrare il complesso. Il palazzo. Il palazzo fu realizzato in due momenti: prima furono costruiti l’androne e lo scalone “a doppia rampa” ornato da colonne doriche, con un bell’affresco di famiglia. La seconda fase invece riguarda la facciata che si affaccia su via degli Agostiniani, tutt'ora visibile sul fronte strada. La torre. Sicuramente realizzata in età angioina, rappresenta un chiaro segno di potere laico sul rione Trivigliano, venutosi a creare dall’accorpamento del nuovo circuito murario sul preesistente nucleo demico del castrum Tribuliani. La torre, che è comunque stata rimaneggiata nel corso del tempo, come si nota dalla balconata in ferro in contrasto con l'architettura tardo medievale, ha due particolarità: la merlatura(che non è guelfa, né ghibellina) “a giglio”, simbolo degli angioini e l’apertura tonda della parete più alta è contornata da pietre a punta di diamante. Il complesso è stato restaurato negli anni 80’ del 1900, con un operazione di pulizia dello stabile» (M. Davide).
http://www.comune.chieti.gov.it/index.php/luoghi-da-visitare/123-palazzo-toppi.html - http://wavetour.it/page/punto/id/40
«La Porta venne eretta nel periodo Angioino intorno al 1250. La struttura si snoda intorno ad un arco ogivale. La semplicità della sagoma è impreziosita e resa più elegante da piccole mensole scolpite a foglia che rivestono l’interno dell’arco. L’esterno della Porta è stata rimaneggiata in uno stile neoclassico molto asciutto. In essa spunta la fascia che incorona la facciata con decorazione di metope e triglifi. Porta Pescara rappresenta un importante simbolo della struttura urbana dell’epoca angioina prima che la città entrasse a far parte del Regno d’Italia. Successivamente l’opera di allargamento urbano, fece abbattere tutte le altre otto Porte della città» - «È l’unica superstite delle otto porte che si aprivano nelle mura perimetrali della città. Costruita sotto gli Angioini nella seconda metà del duecento si compone di un semplice arco ogivale decorato, al suo interno, da mensoline scolpite a fogliame; all’esterno si nota un rifacimento neoclassico assai lineare in cui spicca la fascia di coronamento con motivo a metope e triglifi. La porta in basso, di recente restauro ad opera del Lions Club Chieti Host, è di fattura settecentesca e veniva utilizzata per il pagamento del dazio».
http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia... - http://www.comune.chieti.gov.it/index.php/luoghi-da-visitare/122-porta-pescara.html
Civitaluparella (ruderi del castello Caldora)
«Dell’antico Castello Caldora sono rimasti solo pochi ruderi ancora visibili. Le rovine sorgono sulla parte alta del paese, su di uno sperone roccioso che dominando la valle si presentava anche come posizione privilegiata. Della storia del castello non ci sono pervenuti documenti. Si può comunque affermare che vanta origini molto antiche, confermate anche da una citazione di Papa Alessandro III risalente al 1173. Si presentava certamente con un notevole nucleo fortificato dato che venne scelto come rifugio da Antonio Caldora durante le sue spedizioni militari contro Ferdinando d’Aragona».
http://turismo.sangroaventino.it/sezioni/Civitaluparella/pagine.asp?idn=109
Civitella Messer Raimondo (castello dei conti Baglioni o dei Caracciolo)
«Tipologia: l’originario castello a pianta quadrangolare, con annesso bastione posizionato in corrispondenza del fronte orientale, si sviluppa su due livelli intorno ad una vasta corte centrale, di forma pressoché rettangolare. Ubicazione: il palazzo è ubicato in Piazza Roma, nella parte più elevata del centro storico. Utilizzazione: l’edificio è attualmente utilizzato come residenza. Epoca di costruzione ed eventuali aggiunte/modifiche/restauri: l’insediamento di Civitella Messer Raimondo è menzionato dalle fonti sin dal XII secolo ma non esistono documenti che attestano la data della prima realizzazione del castello, anche se la presenza delle possenti mura bastionate lascia supporre una sua probabile datazione al periodo medioevale. Tuttavia, l’edificio ha subito numerosi rimaneggiamenti per cui si può affermare che l’attuale conformazione pare essere probabilmente risalente al XVIII secolo, quando si insediarono in Civitella la nobile famiglia Baglioni. Stato di conservazione: l’edificio, seppure strutturalmente in buone condizioni, è in gran parte alterato dalle stratificazioni e superfetazioni sopraggiunte nel tempo. Le due facciate sulla piazza sono intonacate e prive di colore come pure gran parte delle facciate sulla corte interna. Un’apertura verticale squarcia uno dei prospetti, attraversando due piani.
Descrizione dell’edificio con riferimento a forme, materiali e tecniche costruttive: l’edificio fortificato, presenta un imponente impianto planimetrico e risulta essere ancora oggi ben leggibile la sua volumetria originaria. La facciata principale del palazzo, inquadrata da cantonali in pietra, è articolata su tre livelli e si presenta scandita da sette assi, con un leggero scatto in avanti del blocco d’ingresso. In alto, sullo spigolo destro del prospetto principale è posta una torretta angolare, realizzata in laterizio su mensole in pietra, utilizzata per scopi difensivi. I due restanti prospetti con bastioni sono in muratura di pietrame. L’entrata al palazzo avviene mediante un imponente portale realizzato in pietra della Maiella che abbraccia i primi due piani dell’edificio, entrambi compromessi nella disposizione delle aperture, che tuttavia è ancora parzialmente leggibile all’ultimo livello, l’unico che oggi appare separato dagli altri due mediante una cornice in pietra. In asse con il portale, in corrispondenza del piano nobile, si sviluppa un balcone continuo su mensole in pietra su cui affacciano tre aperture; i n asse con esse, più in alto si aprono piccole bucature che danno luce al sottotetto, elementi di recente realizzazione. Il balcone è fiancheggiato ai lati da aperture di diversa fattura e finitura, frutto di rimaneggiamenti verificatisi nel corso dei secoli. Passando per l’androne, attraverso una volta a botte affrescata che riporta lo stemma araldico della famiglia Baglioni, si entra nella corte del palazzo dove, in asse con l’ingresso, si eleva una torre fortemente rimaneggiata, probabile elemento di avvistamento dell’intero manufatto, così come ben poco resta dell’originario disegno dei prospetti ch e si rivolgono verso la corte».
http://www.sangroaventino.it/immagini/news/Palazzo%20dei%20Conti%20Baglioni%20.pdf
Colledimacine (palazzo dei baroni Barbolani)
«Nella parte più alta della cittadina sorge il Palazzo Barbolani, che prospetta con la sua facciata principale sulla piazza del centro storico. Fu costruito alla fine del Settecento con l’utilizzo di quello che restava del castello medioevale, dove si erano succedute nei secoli varie famiglie feudali; oggi si presenta conglobato in un complesso di edifici: la Chiesa Parrocchiale di San Nicola, che un tempo fungeva da cappella gentilizia del Castello, i resti di una delle porte del borgo, la cosiddetta “Casa dell’Arciprete”, che in realtà era la Chiesa sconsacrata di San Rocco. Un bombardamento subìto nel corso della seconda guerra mondiale e il degrado determinato dall’abbandono degli ultimi anni hanno reso il Palazzo pressoché inagibile; di recente ne è stata restaurata una piccola parte, mentre altre costruzioni aggiuntive ne hanno sostanzialmente modificato l’aspetto complessivo. L’attuale denominazione del Palazzo deriva dai suoi proprietari di fine Ottocento, i fratelli Achille e Raffaele Ulisse Barbolani, appartenenti ad una antica famiglia di origine toscana. La struttura dell’edificio consiste nell’unione ad Elle di due blocchi edilizi, la cui facciata principale è posta su un lato della piazza adiacente. I tre piani sono definiti all’esterno da cornici marcapiano; le finestre sono provviste di architravi; il cornicione che in alto chiude la facciata reca tracce di una decorazione, forse a triglifi. Accanto al Palazzo sono visibili i resti di un portale che anticamente dava accesso al Castello. Inoltre si notano alcune tracce di un muro di difesa, certamente di antica età, da cui è possibile supporre che si trattasse di una fortificazione destinata a proteggere da assalti nemici sia lo stesso Castello, sia il borgo che lo circondava».
http://www.abruzzomontanochieti.it/points/226-Palazzo_Barbolani/111-Palazzi
«...Nel periodo normanno (1160-1165) il paese, chiamato Colle de Menso, è possesso di Rainaldo figlio di Aniba ed è abitato da circa 24 famiglie. Durante il periodo angioino-aragonese (XIII-XV secolo) diviene preda di parecchi signorotti di cui è rimasta scarsa traccia nella documentazione superstite, fino al momento in cui nel 1462 rientra con altri 12 feudi nella Contea di Monteodorisio proprietà della famiglia D´Avalos, in cui rimane fino all´eversione della feudalità (1806). è ancora viva a Colledimezzo la tradizione secondo cui l´edificio presso la chiesa di S. Giovanni, denominato il Castello sia appartenuto alla celebre famiglia. Ma, in occasione dei restauri subiti, questo palazzo adibito in epoca fascista ad uso scolastico, ha restituito tre arcate in pietra a tutto sesto che farebbero ipotizzare un suo precedente utilizzo più come abbazia che come abitazione castellana o meglio palazzo fortificato. Del centro storico vero e proprio rimangono poche tracce visibili di mura, porte o torrioni di guardia; di notevole in particolare la porta d´ingresso a sesto acuto, che dava accesso alla "corte" (L.go C. Battisti) del castello e una buona quantità di epigrafi su pietra, in parte leggibili, situate sotto il Castello e sotto il sagrato della Chiesa Parrocchiale. ...».
http://www.colledimezzo.net/il-paese-e-il-territorio/la-storia (a cura di L. Cuomo)
a cura di Sergio Ialacci
«Tipologia: residenza extraurbana a pianta rettangolare con gradinata frontale di accesso al piano nobile e seminterrato. Ubicazione: l’edifico è ubicato lungo la strada che collega Fossacesia all’abbazia di San Giovanni in Venere. Utilizzazione: realizzato come residenza suburbana, l’edificio è attualmente inutilizzato. Epoca di costruzione ed eventuali aggiunte/modifiche/restauri: costruito come luogo di villeggiatura tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XIX secolo. Stato di conservazione: l’edificio è ormai ridotto allo stato di rudere. Descrizione dell’edificio con riferimento ai materiali e alle tecniche costruttive adottate: l’edificio è collocato alla fine di un lungo viale alberato, che si diparte dalla strada carrabile e che in origine era chiuso da un cancello in ferro battuto. Il casino, a pianta rettangolare con i lati in rapporto 1:2 circa, ha un piano nobile cui si accede da una scalinata che termina in un terrazzo rettangolare su cui si aprono due porte ed una finestra (in origine le porte erano tre ed erano centinate come delle serliana; poi una di esse è stata in parte tamponata per ricavare una finestra ed entrambe sono state architravate). L’intera costruzione è inquadrata negli angoli da paraste specchiate che reggono un’aggettante trabeazione che funge da cornicione; al di sopra si imposta la copertura in coppi, interrotta da un blocco rettangolare in mattoni, intonacato, alla cui base si aprono piccole finestrelle quadrate, probabilmente un’aggiunta successiva al primo nucleo. Nella parte posteriore, il degradare del pendio su cui l’edificio è costruito, permette l’accesso al seminterrato da due ingressi sormontati da archi policentrici. Sopra tali ingressi si sviluppa una terrazza su cui si aprono i due balconi del salone al piano nobile. Internamente si conserva ancora un soffitto affrescato».
http://www.sangroaventino.it/sezioni/-Fossacesia/pagine.asp?idn=1559
«Palazzo con impianto rettangolare sviluppato su due livelli orizzontali con corte interna. Ubicazione: piazza del Popolo. Utilizzazione: l’edificio è adibito a residenza. Epoca di costruzione ed eventuali aggiunte/modifiche/restauri: l’edificio fu fatto costruire dalla famiglia Contini, giunta a Fossacesia verso la fine del XVII secolo, sul finire del XVIII secolo e secondo alcuni storici locali il progetto fu affidato a Carlo Vanvitelli. Nel 1870, in seguito a divisioni ereditarie, la metà del palazzo diviene di proprietà della famiglia Mayer. Stato di conservazione: l’edificio è in discrete condizioni strutturali ma avrebbe bisogno di un’attenta opera di manutenzione. Descrizione dell’edificio con riferimento ai materiali e alle tecniche costruttive adottate: il palazzo sembra risultare dall’accorpamento di due edifici distinti. Il primo blocco, presumibilmente l’originario, corrispondente al numero civico 31, presenta la facciata principale ripartita in cinque campate di cui le due estreme più strette, e simmetrica rispetto all’asse centrale, articolata su due livelli scanditi da una cornice marcapiano che corre all’altezza dei balconi superiori. Al primo livello, nella fascia basamentale sono inserite due aperture quadrate con grate in ferro, cui corrispondono altrettante finestre architravate superiormente, per ciascun lato dell’ingresso principale, inquadrate da una specchiatura di un colore biancastro su fondo rosa. Al secondo livello, alle finestre corrispondono balconi su mensole, inquadrati da lesene e sormontati da un timpano alternativamente triangolare e curvo. Quest’ultimo elemento, insieme alle mensole che sostengono il balcone, alla fascia basamentale, al cornicione superiore ed alle specchiature del primo livello, sono stati ricoperti con un colore biancastro ad imitazione della pietra. Il prospetto è concluso superiormente da un basso attico, in cui si aprono piccoli oculi per dar luce ed aria al sottotetto, e da un cornicione aggettante. Il blocco centrale d’ingresso si caratterizza per un diverso impaginato: il portone ligneo, con ghiera in ferro battuto, è inserito in un arco a tutto sesto su piedritti, inquadrato da coppie di lesene doriche sovrapposte la cui trabeazione funge da sostegno per il balcone superiore, mentre l’apertura è sormontata da un timpano mistilineo.
Il secondo blocco, corrispondente ai numeri civici 32 e 33, risulta leggermente arretrato rispetto al primo. Anch’esso è suddiviso in due livelli orizzontalmente, di cui quello inferiore è nella lettura d’insieme analogo al primo livello dell’edificio contiguo già descritto, eccetto che per le finestrelle basamentali che, seppur di forma quadrata hanno una terminazione ad arco ribassato, e per la presenza di un ampio portone nella terza campata e un portone largo la metà del precedente nella quarta; inoltre le aperture alla base della cornice marcapiano, che nelle prime due campate sono rettangolari, qui sono quadrate per lasciar spazio ai portoni. Al secondo livello sono presenti delle aperture ad arco a tutto sesto inserite tra diversi riquadri che finiscono per appesantire la lettura d’insieme, mentre un unico balcone, sorretto da mensole serve due aperture. Il cornicione aggettante risulta leggermente più basso del precedente e presenta una serie di mensole nella fascia in cui si trovano le piccole aperture quadrate del sottotetto. Tutto il prospetto è comunque unificato da un uguale trattamento delle superfici (rosa quelle di fondo, biancastre quelle in risalto) e dall’utilizzo di ringhiere, infissi, persiane e portoni di un unico tipo. L’altro prospetto laterale presenta la stessa fascia basamentale e lo stesso cornicione del prospetto principale ed una serie di aperture, tra loro differenti e distribuite apparentemente senza un criterio, probabilmente a causa di ripetuti rimaneggiamenti. La copertura è in manto di coppi».
http://www.sangroaventino.it/sezioni/-Fossacesia/pagine.asp?idn=1565
Francavilla al Mare (torri, mura)
«Nella “civitella”, la parte alta del paese, è situata anche la Torre Ciarrapico, costruita alla fine del ‘600, oggi ribattezzata Torre del Gusto, sede di Cittaslow e Slow Food. Da Francavilla al Mare si raggiungono in breve tempo l’entroterra chetino con il Parco nazionale della Maiella e le piste da sci di Passolanciano e la Majelletta e, verso sud, la Costa dei Trabocchi. ... Il primo vero centro abitativo risale al periodo longobardo e fu creato su una prominenza della collina da una comunità di pescatori e contadini Liberi da vincoli feudali (da qui il nome di Francavilla per indicare la condizione dei suoi cittadini che erano affrancati dalla condizione feudale), secondo un tracciato urbanistico “a spina di pesce”, tipico del Medioevo, che si sviluppava dal punto più alto del paese, la “Civitella”, quasi fino al mare, lungo l’odierno corso Roma; anticamente il borgo era circondato da mura perimetrali con tre porte d’accesso (Porta Ripa e Porta San Franco, che davano verso la campagna e Porta della Marina, verso il mare) ed era inoltre provvisto di circa dodici torri difensive» - «Evidenti tracce delle antiche mura e torri si trovano ancora visibili. Ci sono resti di torri a base quadrata, in mattoni e pietra, ma anche alcune semicircolari legate a tratti della cinta muraria. Una torre cilindrica in mattoni, oggi isolata, faceva parte del secondo recinto esterno progettato per la difesa costiera. In località Foro si trova una torre di avvistamento costiero di cui resta la sola base, in parte coperta della vegetazione. Faceva parte del sistema di torri costiere contro i pirati mussulmani costruito attorno al 1560. La fattoria fortificata con torre in mattoni che si trova in località Torre Montanara. L’altra fattoria fortificata, anch’essa con torre in mattoni, vicino al cimitero» - «Durante la Seconda guerra mondiale il centro storico di Francavilla al Mare fu raso al suolo e oggi non rimangono che sei torri medievali, di cui solo la Torre d’Argento è integra. In origine le torri erano dodici ed erano poste a difesa della cinta muraria. Le altre torri sono Torre di Giovanni, oggi un rudere, Torre Masci, una torrione del 1570 di forma cilindrica e le Torri De Monte e Rapinesi poste all’interno di due fabbricati. Dietro Torre Masci, nel 1660 fu innalzata la Torre Ciarrapico adibita ad abitazione civile».
http://www.calalenta.com/francavilla-al-mare - http://www.inabruzzo.it/francavilla-al-mare.html - http://turismo.egov.regione.abruzzo.it...
Frisa (palazzo baronale Caccianini, torre)
«Palazzo baronale Caccianini, sito in Piazza Principe di Piemonte. Il palazzo fu fatto costruire dalla famiglia Caccanini a partire dal XVII secolo come propria residenza inglobando varie strutture della cinta muraria nel proprio palazzo. Alla metà del Settecento risulta una sopraelevazione dell'edificio, mentre è degli inizi del XIX secolo l'aggiunta di un'ala trasversale dell'edificio precedente. È suddiviso in tre livelli. Solo il primo ed il terzo livello sono imbiancati, il piano centrale presenta una muratura a vista per via dello scrostamento della vernice. Al pian terreno vi sono vari ingressi per le abitazioni e i luoghi di deposito, aperti forse di recente. Le aperture al primo piano sono state murate per via dell'abbandono. Le aperture al secondo piano si affacciano su dei balconcini e incorniciate da rilievi in stucco. Nella parte del cortile il palazzo presenta due livelli anziché tre. ... Torre, sita in Piazza principe di Piemonte. Attualmente è inglobata nel palazzo Caccianini e risulta abitata (sede del Gruppo volontari comunale di protezione civile Frisa). Fu costruita nel XIV secolo, mentre fu accorpata al XVII secolo al palazzo baronale. La base è circolare ed è costruito in pietre miste a mattoni in cui si aprono varie finestre».
http://it.wikipedia.org/wiki/Frisa#Architetture_civili
a cura di Sergio Ialacci
«Tipologia: impianto a due livelli, con porticato d’ingresso e torre addossata alla facciata. Ubicazione: l’edificio si trova alla sommità del borgo, nella cosiddetta piazza Castello. Utilizzazione: attualmente ospita una sala riunioni di proprietà del Comune. Epoca di costruzione ed eventuali aggiunte/ modifiche: l’impianto è medievale e si ritiene insistente su una più antica fabbrica religiosa. Come attestato dall’iscrizione presente sul prospetto principale, la fabbrica è stata restaurata nel 1881, per volontà di tale Pasquale Bucci. Rimaneggiamenti ci sono stati dopo i danni portati dall’ultima guerra, ed anche dopo il terremoto del 1984, quando né è stata definita l’attuale configurazione, caratterizzata da elementi falso-medievali misti ad altri chiaramente moderni. Stato di conservazione: le condizioni sono discrete sia riguardo alle strutture che alle superdici. Tracce di umidità sono presenti sulle parti intonacate, per effetto del dilavamento dovuto all’assenza di sporto di gronda. Descrizione dell’edificio con riferimento a forme materiali e alle tecniche costruttive adottate: i prospetti sono intonacati di bianco e fanno da contrappunto ad un ordine di contrafforti e parti di coronamento in pietra. La copertura è piana e definita da un profilo orizzontale a filo di facciata. Il prospetto laterale più a monte presenta un portico al pian terreno. La torre è in parte aggettante rispetto alla facciata principale, e conclusa da una merlatura in pietra».
http://www.sangroaventino.it/immagini/news/Castello%20.pdf
«Il Castello si trova a Giuliopoli, un paese dell'Abruzzo Citeriore (Chieti). Fu dimora del nobile don Vincenzo Pellegrini che all'anagrafe risultava "di professione Conte di Timbriade". Nel 1917, il 18 marzo vi nacque Odilio Domenico Pellegrini, conte di Timbriade e di Rosello. Nel 1943, a seguito degli eventi bellici, venne parzialmente distrutto congiuntamente a molta parte degli edifici del paese. Fu ricostruito ed ampliato per volontà del Conte Odilio negli anni 70. Il Castello che conserva le pareti originali in pietra del salone seminterrato e della facciata principale, rappresenta un felice esempio di armonioso mescolarsi di stili ed epoche. Gli arredi sono opera sia di artigiani del passato che dei giorni nostri. Molti pezzi sono stati acquistati personalmente dal Conte Odilio durante i suoi numerosissimi viaggi in Italia e all'estero, altri sono opera di artigiani locali o della vicina Agnone, altri ancora splendide opere della Mo.Ar s.r.l. di Roma, un'azienda che ha arredato case di principi e sultani d'oltremare. Pur nella sua preziosità, il Castello mantiene un'atmosfera di semplice familiarità e di calore. Dai suoi terrazzi e balconi si ammirano panorami fantastici: il Massiccio della Majella e la vista del Lago di Bomba ed oltre fino alla costa dell'Adriatico che risulta visibile nelle giornate in cui l'aria è limpida. Completa il complesso un ampio giardino su più livelli ed una piccola piscina che consentono piacevoli momenti di relax all'aria aperta. ...».
http://www.castellogiuliopoli.it/
GUARDIABRUNA (borgo fortificato, palazzo baronale Piccirilli)
«Il Borgo fortificato di Guardiabruna è arroccato su un ripido rilievo dove il Palazzo baronale Piccirilli domina da uno sperone di roccia a strapiombo il nucleo più antico del villaggio. Da qui si aveva un diretto controllo del territorio verso la valle del Trigno e le mulattiere che risalivano in direzione del Tratturo Ateleta-Biferno. La struttura di Palazzo Piccirilli si presenta con la sua imponenza nel lato Sud, con murature e contrafforti costruiti direttamente sulla roccia e punti d’affaccio che mal si prestavano a funzioni abitative e che testimoniano la funzione di controllo o di difesa dell’edificio. In questo lato, spicca per la sua possanza l’angolo Sud-Ovest, che si configura come una vera e propria torre a base quadrata. Nel lato opposto di Nord-Ovest si possono osservare ancora oggi le fuciliere per la difesa. La parte nobile conserva delle pregevoli volte con cornici in stucco, l’antica cucina in muratura ed interessanti dipinti murali con motivi vegetali. Nei sotterranei, alcune stanze erano adibite a luoghi di detenzione. Le case, disposte in circolo di fianco al Palazzo e nel lato Nord-Ovest, completano il perimetro del borgo fortificato dove l’ex chiesa benedettina di Santa Vittoria doveva svolgere un ruolo di primo piano quale avamposto».
«Porta San Giovanni. Nota originariamente come Porta della Fiera, fu ricostruita nel 1841 nelle forme attuali. La struttura, articolata intorno ad un arco a tutto sesto, presenta un paramento regolare in pietra solo sulla facciata esterna. Sulla sommità è collocato un fastigio con uno stemma e un'iscrizione che ricorda la data di inaugurazione della strada. Porta San Pietro. La struttura, fiancheggiata da una torre e un portale, consiste nei resti del convento di San Pietro Celestino. La porta ogivale, lapidea e con sesto ribassato in mattoni, conduce ad un cortile dove è locata un'altra porta che conduce ad un ambiente esterno in cui sono visibili tratti di mura superstiti e dove si denotano i conci di altri due archi, oggi scomparsi. Porta del Vento o di Grele. Si trova sul lato destro di Largo Garibaldi, sotto la chiesa della Madonna del Rosario. Assunse l'attuale aspetto dopo i rifacimenti posteriori all'anno 1000, perdendo l'antico aspetto di età longobarda. È costituita da un arco a tutto sesto in conci di pietra squadrati che delimitano una volta a botte in laterizio, che imposta su una muratura in pietrame. Nel corso dei secoli vari edifici si sono addossati alla porta, nascondendola quasi interamente. Porta San Giacomo. Distrutta per consentire il transito veicolare, si trovava dove ora resta solo il toponimo, via Porta San Giacomo».
https://it.wikipedia.org/wiki/Porte_e_torri_di_Guardiagrele#Porte
Guardiagrele (torri Adriana, del Guastaldo, San Pietro, Stella)
«Torre Adriana. Posta all'angolo settentrionale delle mura della città, vicino alle botteghe artigiane, presenta una forma cilindrica e una muratura in pietrame regolare di piccolo taglio. Torre Stella. Gemella della Torre Adriana, è insieme ad essa l'unica torre perimetrale di forma circolare giunta fino ai giorni nostri. Il prospetto è alterato dalla costruzione di due balconi. Nella muratura è posto lo stemma gentilizio della famiglia Stella. Torre San Pietro. Adiacente all'omonima porta, in via Modesto Della Porta, risulta essere la parte bassa del campanile del monastero celestiniano di San Pietro confessore. A base quadrata, la torre presenta una monofora e un'iscrizione sul lato esterno. Alla sua base si trova un portale tardogotico, piuttosto deteriorato. Sulla facciata si trova un'epigrafe che riporta la data 1438, quando il complesso monastico venne rinnovato da un certo Frater Angelus Miscei de Guardia Grelis. Torre del Gastaldo. È situata in via San Francesco, di fronte all'edificio delle Poste e fu, secondo la tradizione, la dimora del gastaldo longobardo. L'edificio, a pianta quadrata, non sembra risalire ad un periodo così lontano da confermare la tradizione e non ha mai fatto parte della cinta muraria. Sembra essere più che altro una casa-torre fortificata di epoca medievale. Il paramento murario è composto da conci di pietra squadrata agli angoli, pietrame misto a laterizio nel resto della struttura. Il terzo e il quarto livello del palazzo sono delimitati da una cornice marcapiano a denti di lupo».
https://it.wikipedia.org/wiki/Porte_e_torri_di_Guardiagrele#Torri
Guardiagrele (torrione Orsini o torre longobarda)
redazionale
Lanciano (borgo, torri montanare, porte)
redazionale
LENTELLA (ruderi del castello Manno)
«La grangia di Castello Manno, centro abitato che sorgeva alla confluenza del Treste nel Trigno sul colle della Coccetta, figurava tra le proprietà dell’abbazia cistercense di Santa Maria di Casanova. Gli homines de CasteI1o Manno compaiono per la prima volta in un documento nel 994 come comunità di uomini liberi che misero assieme i propri possessi fondiari per creare l’abitato (castellum) ed il relativo territorio di pertinenza. Verso la fine del sec. XII la metà del castello fu concessa a Casanova da Berardo conte di Loreto e Conversano, mentre l’altra metà venne donata all’abbazia nel 1217 dalla moglie e dall’omonimo figlio dell’ormai defunto conte. Nella metà del sec. XIII i Cistercensi vi organizzarono un ricovero per i monaci anziani o malati, ma le attività principali della grangia erano quelle legate al controllo del tratturo Centurelle-Montesecco. che attraversava il Trigno proprio ai piedi dell’abitato, e alla produzione agraria da esportare tramite lo scalo esistente alla foce del Trigno. Verso la fine del Duecento ai Cistercensi si affiancarono i Templari, ai quali furono concessi dal re Carlo II d’Angiò due boschi nel territorio dell’insediamento, probabilmente per fornire la legna agli abitanti delle loro masserie locali e le ghiande per i maiali. Le scelte patrimoniali dei Cavalieri del Tempio erano legate alla necessità di imbarcare, attraverso gli scali marittimi, non solo i pellegrini e i Crociati, ma anche i prodotti delle masserie da destinare alla Terrasanta. In tale contesto si spiega forse l’alta densità delle loro proprietà nella zona costiera del Chietino meridionale, dove vantavano ospedali (veri e propri centri assistenziali per i pellegrini ed i viandanti), masserie e proprietà fondiarie nelle zone di Atessa, Monteodorisio, Gissi, Vasto e Pennaluce. Dell’abitato, scomparso come tanti altri nel corso del sec. XV, sono attualmente visibili i resti di una struttura a pianta quadrangolare (probabilmente una torre fortificata) sulla sommità della collina della Coccetta e nella zona sono sparsi spezzoni di muri e materiale ceramico».
Marina di San Vito (torre di guardia o torre San Vito)
«L'ingegnere militare Carlo Gambacorta, Marchese di Celenza, ricevette l'ordine di censire, nel 1598, le torri costiere dell'Abruzzo. In una lettera indirizzata al Conte de Olivares, vicerè del Regno di Napoli illustra il lavoro da lui svolto. Il suddetto manoscritto è oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi e presenta i disegni sia delle torri esistenti e nuove piante di Torri che secondo il Gambacorta dovrebbero essere costruite. Il Gambacorta così la descriveva: "Questa quinta Torre quadrangolare detta di Santo Vito con quattro torricelle intorno in territorio di Lanciano, ch'è di detta città, sta distante dalla retta Torre del Cavalluccio miglia tre e quella non la vede verso Puglia, e verso Abruzzo dalla Torre del Moro miglia due. è ben collocata di buona fabrica all'antica con rivelini e quattro torricelle sotto con fossi guarda il fiume Feltrino vicina detta torre trepassi venti. Ha corrispondenza con la retta Torre del Sangro verso Puglia, e con la Torre del Moro verso Abruzzo. Vi sono tre pezzi d'artillaria grossi e cinque piccioli un mortale e tre mascoli e tre arcabuggi del caporale". La Torre del Porto di S. Vito era gestita dalla città di Lanciano che provvedeva alla nomina del Castellano per 4 anni. Il Castellano percepiva uno stipendio di 40 ducati l'anno, 20 ducati li riceveva al termine della Fiera di maggio e 20 in quella di agosto. Il Castellano aveva in custodia tutto l'armamentario della Torre, ben inventariato, composto da tutti i pezzi di artiglieria, munizioni e tutto l'occorrente per la gestione della stessa ed era obbligato a riconsegnare il tutto alla fine dei quattro anni.
Dalla relazione del Gambacorta apprendiamo inoltre che il governo della Torre di Guardia non sempre seguiva un andamento molto disciplinato. Egli suggeriva che gli addetti, compresi i Cavallari adibiti a perlustrare la spiaggia in lungo ed in largo fossero preferibilmente spagnoli: accadeva spesso che, sia per necessità sia per "amor di patria", i Cavallari italiani ricevessero in consegna i cavalli in tarda serata quando gli stessi cavalli erano sfiniti per essere stati impiegati nei lavori dei campi o nei mulini. Questa torre edificata nel 1395 fu ricostruita nel 1427 e nel 1842 era ancora utilizzata come posto doganale. Vittorio Faglia, nel suo lavoro Visita alle Torri Costiere d'Abruzzo si sorprese nel constatare la totale assenza di tracce di una così imponente costruzione. La Torre, infatti, alla base misurava oltre 21 di lato. Egli venendo a San Vito, ne cercò i resti sulla sinistra della foce del Feltrino, nei pressi del sito archeologico ma sia dalla pianta del 1805 del Rizzi-Zanoni sia da quella del 1854 la Torre è identificata chiaramente sulla destra della foce del fiume, in prossimità di alcuni magazzini. Se ciò non bastasse alcuni anni fa il compianto Francesco Maria Borga, assiduo ricercatore mi fece avere una foto di fine secolo XIX dove, pur se diroccata, l'antica Torre di Guardia, era ancora presente sulla nostra spiaggia con tutta la sua imponenza e dove è facilmente individuabile la sua collocazione nei pressi della Chiesa della Madonna del Porto e quindi sulla destra della foce del Feltrino. Negli ultimi decenni de 1800 sappiamo che la Torre era utilizzata come ufficio doganale e di proprietà della città di Lanciano. Agli inizi del 1900 fu acquistata dalla famiglia Scogna di Ortona che la ristrutturò cambiandone, però, completamente la struttura originaria. Distrutta durante l'ultima guerra mondiale al suo posto sorse l'attuale stabilimento balneare».
http://www.comune.sanvitochietino.ch.it/cenni-storici/la-torre-di-guardia
«Il castello fu costruito nel 1150 e, dopo numerosi attacchi, andò quasi totalmente distrutto per essere più tardi ricostruito; ebbe funzione di presidio militare fino al XV secolo quando passò alla famiglia Orsini, proprietaria del feudo. Nel XVIII secolo vi abitò la famiglia Valignani» - «...L'edificio venne eretto con pianta quadrata che si sviluppa su due piani intorno ad un ampio cortile interno. Al pian terreno vi erano, in origine, i locali per la conservazione delle provviste, il nevaio ancor oggi esistente, la rimessa e l'abitazione dello stalliere. Al piano superiore vi erano gli appartamenti nobili con ampi saloni e soggiorni. Nel 1492 i Turchi ... distrussero Miglianico e il Castello fu l'unico rifugio per i pochi superstiti. Il Castello rimase di proprietà dei Valignani fino ai primi anni del 1800, quando l'allora Barone diede in sposa la figlia al nobiluomo Croce Ciavatta di San Salvo. Questi nuovi proprietari vendettero poi il Castello alla Famiglia Masci tra il 1937 e il 1939. L'intero edificio durante la seconda guerra mondiale fu sede del comando tedesco e venne profondamente stravolto, nonché gravemente danneggiato dai bombardamenti. Venne in seguito ricostruito dall'attuale proprietà che lo trasformò in civile abitazione».
http://turismo.egov.regione.abruzzo.it... - http://chietitourism.com/?luogo=castello-di-miglianico
Montazzoli (castello baronale Franceschelli)
redazionale
Monteferrante (castello dei Sangro e resti del circuito murario)
«Monteferrante sorge su uno sperone a destra della media valle del Sangro. Il paese presenta sporadici resti del circuito murario. Il borgo vien e menzionato nel sec. XII, come feudo di Robertus de Monteferrante, feudatario di Symon conte di Sangro e nel sec. XIV, fu infeudata ai Caracciolo. Praticamente inesistente qualsiasi traccia del castello, che rimane come memoria nel toponimo “castello” insistente nel punto più alto ed arroccato del paese. Mentre tracce si hanno dell’ex circuito murario come una piccola porta urbica, con fornice a tutto sesto, collegata alla struttura della chiesa di S. Giovanni Battista ed un breve tracciato del circuito murario. Le strutture superstiti sono realizzate con un’apparecchiatura muraria irregolare a ricorsi sub-orizzonatali, con una prevalente presenza di bozze di pietra».
http://www.sangroaventino.it/immagini/news/Ruderi%20.pdf
a cura di Grazia Valentini e Sergio Ialacci
a cura di Grazia Valentini e Sergio Ialacci
«Si presume sia stata ricostruita nel fine secolo XIX, dal proprietario Di Bene, un signorotto, sui resti di una torre medioevale, danneggiata dalla guerra. Fu soggiorno del D'Annunzio e del Michetti, la presenza di quest'ultimo è testimoniata dal suo quadro "LA FIGLIA DI JORIO" del 1895, in cui è rappresentata la Maiella vista proprio da quest'angolazione. ... Di recente è stata restaurata (1994) ed è sede di diverse mostre d'arte organizzate dal Circolo Artistico».
http://www.orsogna.net/carta_identita.asp?ID=11&titolo=La+torre+Di+Bene%3A+la+storia
a cura di Grazia Valentini e Sergio Ialacci
Ortona (mura caldoriane, porte)
«Se fin dai tempi più antichi Ortona ebbe la caratteristica di città fortificata, è successivamente al 1435 che si avvia il rinforzo delle mura esistenti e il loro ampliamento per opera del condottiero Giacomo Caldora, al quale la città era stata data in feudo da Renato I d’Angiò. Caldora non soltanto provvide a rinforzare la cinta, ma anche ad ampliarla verso sud-est, permettendo uno sviluppo urbanistico nuovo all’interno delle mura, oltre la vecchia cinta originaria di Terravecchia. La mappa “agostiniana” del 1583 (Pacichelli, 1703), mostra come l’opera muraria definisca l’urbs, e Terravecchia ne sia il vertice nord addossata al castello. Le mura erano provviste di sei porte, delle quali interessano direttamente il quartiere due della Marina ai lati del Castello, e porta della Bucciaria, anche del Carmine come verrà chiamata nel secolo successivo con la costruzione del Convento dei Carmelitani. Questa porta è ancora presente nel 1799, come attesta un disegno pubblicato nel volume di G. Bonanni, Ortona resiste ai francesi, 1900, dove si attestano alcuni elementi ancora presenti in quel periodo. Le mura furono per larga parte abbattute nel 1868, dopo l’Unità d’Italia, quando Ortona fu dichiarata “comune aperto”. Attualmente delle mura sono visibili alcuni spezzoni tra via Marina e Via d’Annunzio, dove a circa sei metri d’altezza è presente una Madonna acefala in posizione seduta con il bambino in braccio.» - «Furono edificate dal Capitano di ventura Giacomo Caldora quando nel 1425 ricevette in feudo la città del re Carlo III d’Angiò. La cinta muraria che, partendo dal Castello Aragonese, costeggiava approssimativamente le vie Gabriele D’Annunzio, Monte Maiella, Luigi Dommarco, Pantaleone Rapino e il Belvedere Orientale per ricongiungersi al Castello, era provvista di porte di accesso alla città: le due della Marina, quella della Bucciaria (successivamente del Carmine), di S. Giacomo, di Caldari e di Santa Caterina. Della vecchia cinta muraria, abbattuta nella seconda metà del XIX secolo, restano attualmente due brevi tratti: il primo all’inizio di via G. D’Annunzio e il secondo lungo via L. Dommarco».
http://www.eas28.it/ortona/terravecchia/relazione/pag2.asp - http://www.eas28.it/ortona/biblioteca/progetti/ortarte.asp#tit24
«Il Palazzo Farnese a Ortona fu costruito su commissione di Margherita d'Austria, su progetto di Giacomo della Porta. Nei secoli XVII e XVIII il palazzo fu dimora del sovrintendente abruzzese ai beni farnesiani. Attualmente ospita il Museo d'Arte contemporanea e la Pinacoteca Cascella. Arrivata ad Ortona, Margherita d’Austria, che nel frattempo abitava nella casa di Camillo De Santis, pensò subito di costruire un grande palazzo residenziale. Il luogo prescelto fu il sito sul colle di fronte all’Adriatico: un’area in parte donata dalla comunità e in parte presa ai frati conventuali di San Francesco che lì avevano un bellissimo orto con vista sul mare. Questi ultimi ne furono tanto offesi da lasciare qualche tempo dopo Ortona e almeno fino al 1591 non vi sono tracce del loro ritorno. Con molta probabilità il progetto del palazzo iniziò sin dall’inverno 1583-84 e fu affidato, per invito del potente cardinale Alessandro Farnese, a sua volta sollecitato dalla cognata Margherita, a Giacomo Della Porta, famoso architetto rinascimentale. Il 12 marzo 1584, con una solenne cerimonia e con la benedizione del vescovo Giovan Domenico di Rebiba, furono gettate le fondamenta. A ricordo dell’opera, la duchessa imperiale pose sotto ciascun angolo tre medaglie di bronzo coniate per l’occasione. Quando nel 1882 venne aperta via Umberto I (l’attuale Orientale), furono abbattute alcune case rovinate e, nel minare il terreno, si ruppe un masso che era stato il basamento dell’angolo nord-est del palazzo. Il masso, con l’intera facciata che dava sul mare, franò. In questo modo furono rinvenute le tre medaglie: una inviata all’imperatore d’Austria, una presa dalla famiglia Cespa, la terza dalla famiglia Bonanni. Attualmente non ne rimane alcuna traccia, come per il ricco archivio farnesiano, perduto o distrutto, specialmente durante l’invasione francese del 1798.
Il palazzo aveva forma quadrangolare e misurava 49 metri e 70 centimetri mentre le finestre, undici per ogni lato, erano alte 4 metri e larghe 2,20. Il portone era alto circa 7 metri e largo 3,34 misure previste e calibrate sul tipo di carrozza usata da Margherita. Un cantiere di quelle proporzioni ha rappresentato una rivoluzione per la vita cittadina poiché occorsero, tra gli altri, scalpellini, artigiani del ferro, intagliatori, carrettieri nonché decoratori. Della Porta era impegnatissimo e i lavori vennero affidati a Piermaria di Lioni Aranci, capomastro lombardo. Occorse circa un anno per scoprire che i lavori non procedevano bene e per convincere Della Porta ad inviare ad Ortona un suo allievo Gregorio Caronica che prese atto che le istruzioni non erano state eseguite. ... Fino alla metà del ‘700, l’incompiuto Palazzo Farnese fu sede dell’amministrazione dei beni farnesiani dell’Abruzzo e vi alloggiarono i vari governatori di Ortona. Quando il Regno di Napoli incamerò i possedimenti dei Farnese, il Palazzo nel 1795 venne venduto alla famiglia Berardi che nel 1840 innalzò, secondo disegni originali, il lato su Largo Farnese (gli attuali secondo e terzo piano) e adibì l’intero isolato prima a prigione, poi sede della Pretura, albergo, arena di spettacoli e infine ad abitazione privata. La proprietà comunale è del secolo scorso. Negli anni 70 ci fu un restauro che fece discutere per l’abbattimento di una parte del palazzo, salvatosi da una frana, per la costruzione di un condominio. Oggi al suo interno sono ospitati: Emeroteca comunale, il Museo di Arte Contemporanea, la Pinacoteca Cascella (opere di Basilio, Tommaso e Michele Cascella) e una raccolta di opere degli artisti Costanzo e Massari».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Farnese_%28Ortona%29
Ortona (Terravecchia, Terranova)
«Terravecchia. Costituisce il nucleo originario della città. Sorge sul perimetro dell'Urbs romana, allungamento del villaggio illirico-frentano, ed è- identificata da viuzze strette, arricchite da archi caratteristici, che si aprono improvvisamente su scorci di mare. Centro propulsore delle attività marinare, Terravecchia si è sviluppata nel Medio Evo (XII-XV sec.) tra la Cattedrale (riedificata nel 1127), il Castello Aragonese (1450~70) e il Palazzo Farnese (iniziato nel 1584), che con quello comunale (anticamente dell'Università e della Colle) fungono da cerniera con il rione di Terranova. La parte più antica è individuabile nella zona compresa tra il Parco Ciavocco (polmone verde al cospetto del mare) e Corso Matteotti, con il caratteristico Vico Bonelli e la Torre Baglioni (XIII sec.), già dei Bernardi. Tardomedievale, invece, è la zona compresa tra Corso Matteotti e la Passeggiata Orientale (aperta sulla Rípa Grande nel 1882) da cui si gode uno splendido panorama- essa presenta un impianto viario a maglie leggermente più ampie attorno a via Leone Acciaiuoli su cui si affaccia il secentesco Palazzetto de Benedictis, già dei Vesij-Castiglione (belli il portale e la cisterna con un magnifico anello) e da dove inizia la scalinata dei Pescatori. L'arteria principale, l'antica strada grande oggi Corso Matteotti, si è arricchita, durante i secoli di numerosi palazzi: Corvo (XVI-XVII sec.), pervenutoci pressocchè integro e con un bel soffitto ligneo a cassettoni; Menè (XVII-XVIII sec.) già dei Fonzi Cruciani; Colangelo, con il suo caratteristico cortiletto tardo rinascimentale; Mignotti (XVII sec.) dall'interessante facciata con mattoni a vista; Grilli-de Sanctis (XVII sec.) dai bei balconi con ringhiere in ferro battuto e un ampio salone con affreschi settecenteschi); Pugliesi (metà XVII sec.) e de Sanctis (con elementi architettonici quattrocenteschi). Si affacciano, invece, sul piano antistante la Cattedrale i palazzi Rosica-de Sanctis (XVII-XVIII sec.) dal bel portale in pietra e Mancini-de Sanctis (XVI sec.) dove nel 1586 cessò i suoi giorni Margarita d'Austria. Sono ancora da segnalare il Convento Agostiniano (poi Seminario Diocesano) con il portale in arenaria del XV-XVl sec.; l'ex-Palazzo Vescovile (1770), la Torre dei Riccardi (XIV-XV sec.); il duecentesco campanile di S. Francesco unica testimonianza pervenutaci della presenza dei Padri Conventuali in Ortona con un'ala del convento divenuto nel secolo scorso Palazzo de Benedictis, dove nacque Luisa madre di Gabriele d'Annunzio, che conserva nel cortile, l'antico chiostro, l'anello in pietra della cisterna; i palazzi Quatrari (con il portale della prima metà del XVI sec.), Gervasoni (XVII sec.) e diversi altri con i portali in bugnato rustico e gli anelli da cisterna.
Terranova. è l'altro rione sorto all'interno dell'antica cinta muraria, dove già dal XII secolo sorgevano edifici religiosi attorno ai quali si svilupparono successivamente piccoli borghi e contrade. Si è ampliato maggiormente tra il XV ed il XVII secolo assumendo un impianto viario ortogonale a maglie larghe tipico del Rinascimento spagnolo. Sul Corso Vittorio Emanuele (l'antica strada grande) e -nelle strade interne si affacciano diversi palazzi (anch'essi con portali in pietra ed interessanti anelli da cisterna) espressione di quella borghesia mercantile e professionista che dal X-VI sec. soppiantò economicamente l'antica nobiltà terriera (relegata a Terravecchia). Si segnalano i palazzi appartenuti ai Verratti (XVII sec.) con il grande balcone dalla ringhiera in ferro battuto), ai Licini, ai de Lectis, ai Berardi (1702), ai Petroni (XVIII sec.) ai Lavalle-Castiglio,ne (XVIII sec.) ai de Fabritiis, ai Mazzoccone (1870), ai baroni Bernardi (XVI sec.) e la facciata della ex Chiesetta di S. Biagio (XV-XVII sec.). Gli edifici più imponenti del rione restano comunque la chiesa di S. Maria delle Grazie, il più recente Teatro Vittoria (1927) ma sopratutto il complesso architettonico, realizzato tra il XII ed il XVII secolo, e composto dall’Oratorio del Crocefisso, dalla Chiesa di Santa Caterina e dal monastero delle Cistercensi. Solo nell’ultimo dopoguerra si sono sviluppati in maniera consistente gli altri quartieri all’esterno dell’antica cinta muraria: quello del Carmine a nord, in corrispondenza dell'antica porta della Buccíaria, verso gli antichi conventi dei Carmelitani e dei Cappuccini. di Costantinopoli, sull'omonimo colle che domina il mare, in direzione sud, verso l'ex convento dei Celestini, ora Chiesa dedicata a Santa Maria di Costantinopoli; San Giuseppe sorto su un'ampia area pianeggiante, ad ovest del nucleo storico, individuata per la realizzazione dei primi insediamenti abitativi post bellici, si contraddistingue per la regolarità dell'impianto viario geometricamente lineare. Negli anni settanta le nuove esigenze urbanistiche ed abitative hanno imposto la scelta di una nuova zona di espansione per l'edilizia civile al di là delle vallate che cingono il promontorio Ortonese. E nato, così, il nuovo quartiere Fontegrande, caratterizzato da una moderna edilizia prevalentemente residenziale, che conta oggi circa quattromila abitanti. Ai margini della nuova realtà urbana è stato edificato il nuovo ospedale civile ed individuata, a ridosso della strada statale di circonvallazione urbana, un’area destinata all’insediamento di attività commerciali e terziarie, sia pubbliche che private».
http://www.eas28.it/ortona/biblioteca/progetti/ortarte.asp#tit37
«Appartenne dapprima alla famiglia Bernardi, poi al Salzano De Luna e, agli inizi dell’Ottocento, alla famiglia Baglioni che dopo l’Unità d’Italia si trasferì a Chieti. La sua struttura, a forma quadrangolare, si ergeva ai margini della cinta muraria nei pressi della Porta della Marina. Proprietario attuale: Antonio Valentinetti».
http://www.eas28.it/ortona/biblioteca/progetti/ortarte.asp#tit39
«In località Torre Mucchia, nel comune di Ortona (Ch), sorge la torre Mucchia, collocata in una zona pianeggiante, attorniata da alcune abitazioni. Risulta collocata in una zona ben individuabile dal mare, anche se un po' distante da esso. Il marchese di Celenza Carlo Gambacorta invece la colloca al di sopra di un fantasioso promontorio, che non esiste nella realtà. Comunicava a nord con torre Foro e con nessuna torre verso sud. ... La torre Mucchia, indicata da tutta la cartografia e dai documenti antichi, è tipica del periodo vicereale, a base quadrata, corpo troncopiramidale con tre caditoie per lato. L'interno è suddiviso in due ambienti sovrapposti; il piano terra è coperto da una volta a botte in direzione mare-monte; il primo piano è anch'esso coperto da una volta a botte, ma in direzione costa-costa. La muratura è interamente in mattoni. Il lato nord presenta due aperture, mentre il lato sud ha una finestrella. Lo stato di conservazione della torre risulta un po' compromesso. La struttura in mattoni si presenta corrosa dal tempo; inoltre, durante la seconda guerra mondiale, è stata bombardata dagli Inglesi perché ritenuta centro di residenza tedesco. Sul lato sud, meglio conservato perché protetto dalle abitazioni circostanti, possiamo notare ancora l'attacco originale dei barbacani centrali».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/abruzzo_mucchia.htm (a c. di Alessandra Mucci)
«Torre Ricciardi, sita in Corso Matteotti. Risale all’incirca al XV secolo. È l’unica parte del Palazzo Ricciardi dell’omonima famiglia che fu cacciata da Ortona nei primi anni del XVI secolo. L’aspetto originario del palazzo lo si può ammirare in un disegno della città del 1590».
http://www.alvecchioteatro.com/?page_id=48
«L'edificio venne costruito nel XVIII secolo con la soprelevazione di una struttura medievale che comprendeva una delle porte di accesso alla città, con l'aggiunta della torre campanaria e successivamente anche dell'orologio. La torretta terminale di supporto in ferro per le campane venne realizzata agli inizi del Novecento. Negli anni '60 venne effettuato un intervento al paramento di mattoni per cui adesso la struttura non mostra segni di degrado. La porta è interamente realizzata in mattone ed è orizzontalmente suddivisa in tre parti. Il primo e il secondo settore sono divisi da un beccatello sporgente con caditoie; il secondo e il terzo da una cornice. É inquadrata sulla faccia esterna al borgo antico da un arco ogivale, su quella interna invece da un arco a tutto sesto, secondo uno stile molto ricorrente in tutta la regione. Nella parte centrale vi è un'apertura rettangolare verso l'esterno ed un vano con scala d'accesso verso l'interno, a ridosso della torre. Nella parte superiore vi sono invece aperture a tutto sesto, sormontate dall'attico con le campane».
http://www.comune.paglieta.ch.it/index.php?option=com_content&view=article&id=72&Itemid=61
«Il Torrione faceva parte dell’antica cerchia muraria e attualmente viene utilizzato come abitazione; l’edificio risale al XIV secolo, periodo di costruzione della cerchia muraria. Nel corso del Settecento risulta interessato da un intervento di sopraelevazione ed inglobamento nelle nuove costruzioni ricavate lungo il circuito delle mura. La torre partecipa oggi di un contesto ambientale molto degradato, segnato dalla presenza sulle sue murature di aperture incongrue che ne offendono l’immagine. Nella zona basamentale sono evidenti segni di usura dei mattoni, in più parti mancanti o erosi e sfaldati. Nella parte alta l’intonaco si è parzialmente distaccato. La zona basamentale è in mattoni a vista, con archi di scarico a sostegno dell’antico coronamento. Il corpo superiore, relativo alla sopraelevazione settecentesca, si presenta invece intonacato, con aperture intervallate da coppie di lesene rosse, a reggere un ampio cornicione modanato. Questo corpo è diviso da quello sottostante a mezzo di un balcone che cinge l’intero perimetro libero della torre».
http://www.comune.paglieta.ch.it/index.php?option=com_content&view=article&id=72&Itemid=61
Palena (castello ducale, torre dell'Orologio)
redazionale
a cura di Grazia Valentini e Sergio Ialacci
Pennadomo (Palazzo De Ritiis, Palazzo Troilo-Valignani)
«Palazzo De Ritiis. È sito in Via Peligna. L'edificio è pianta ad "L" ed è a due piani. Non si conosce l'epoca della costruzione mancando documenti che ne attestano l'anno di costruzione. La facciata principale è in pietra smussata. Il portale è affiancato da due piedritti in pietra con capitelli che sorreggoo un arco a tutto sesto. Su di un lato poggia una logga ad archi. Palazzo Troilo-Valignani. È sito in Via Orientale. L'edificio è a pianta rettangolare. Attualmente è adibito ad abitazione. Verosimilmente è del XIV secolo come appare studiando il torrione circolare ma mancano documenti che datano precisamente il palazzo, tuttavia un restauro ha interessato gran parte delle mura esterne, l'unico lato non restaurato è quasi totalmente privo dell'intonaco che lo ricopriva ed il relativo cornicione è lesionato. Due tiranti sono posti al balcone dell'ultimo piano, mentre alcune arcate sono rafforzate da mattonatura, mentre le ringhiere di ferro del III piano sono state sostituite da ringhiere in alluminio. Sul lato di Via Orientale il palazzo si sviluppa in due piani, mentre nel retro su quattro. Anteriormente, la facciata è ornata in pietra smussata tenuta insieme con abbondante malta. Il portale di sinistra sormontato da arco a tutto sesto con chiave di volta scolpita, ai lati vi sono due piedritti con capitelli. Le finestre del piano superiore sono di dimensione diversa. Le due facciate laterali sono percorse da altrettante rampe di scale. La facciata posteriore è suddivisa da due lesene, mentre delle finestre sono sbarrate da grate di ferro».
http://it.wikipedia.org/wiki/Pennadomo#Monumenti_e_luoghi_d.27interesse
Pietraferrazzana (ruderi del castello)
«Il borgo, di origine Medievale, figurò per la prima volta a metà del XII secolo nel Catalogo dei Baroni, col nome di Petra Garanzana. Nel 1498 Federico d’Aragona decise di cedere il paese al nobile lancianese Dino Ricci. Quest’ultimo, dopo la morte del suo ultimo erede nel 1503, donò i propri beni e possedimenti ai Canonici Lateranensi di Tremiti. Il suo nome mutò in Petraguaranzana nel ‘500 e solo in seguito divenne Pietraferrazzana. Più tardi passò sotto il dominio dei signori Caraccioli, dei Niccolò e degli Ariani. Nell’epoca moderna fu frazione di Colledimezzo, e solo dal 1963 divenne comune autonomo. ... Meritevoli di nota sono anche i ruderi dell’antico castello del XVI secolo, sorto sulla sommità della rupe. Durante il Risorgimento fu utilizzato come rifugio da alcuni patrioti».
http://turismo.sangroaventino.it/sezioni/Pietraferrazzana/default.asp?Pag_ID=44 - ...Pietraferrazzana/pagine.asp?idn=192
Pizzoferrato (resti del castello baronale)
«Posto in corrispondenza del quartiere Pizzo o Terra Vecchia, sul lato settentrionale del colle roccioso su cui sorge l’originario centro storico, del palazzo baronale non vi sono più elementi che attestino l’originaria posizione ed estensione. Le cronache parrocchiali descrivono comunque un edificio di molti piani sorretti da preziosi solai in legno di rovere. Un palazzo in buono stato di conservazione, oggi denominato palazzo ducale, occupa parte dell’antico sito. Attualmente di proprietà comunale, l’edificio è costituito da due piani fuori terra e da due torrioni cilindrici all’estremità del fronte principale».
http://www.sangroaventino.it/immagini/news/Resti%20del%20Castello%20Baronale-Palazzo%20Ducale%20.pdf
Pretoro (resti del castello dei Cantelmi)
«Il castello dei conti Cantelmi, all’interno del borgo antico di Pretoro, fu costruito intorno al Mille, ma venne distrutto qualche secolo dopo. Riedificato nel XV secolo, tutt’intorno si sviluppò l’attuale borgo. L’edificio fu definitivamente raso al suolo durante l’ultima guerra e oggi non rimangono che i ruderi» - «...il centro storico del paese conserva intatto il sistema stradale e di arroccamento del borgo nel periodo medioevale, in particolare sono conservati e visibili alcuni esempi dell’antica fortificazione il “Castello dei Cantelmo”, come le tre torri della cinta muraria e nella sommità del paese le antiche mura della fortificazione».
http://turismo.egov.regione.abruzzo.it/web... - http://demon417.tripod.com/a/pretoro.htm
a cura di Sergio Ialacci
«Tipologia: edificio fortificato a pianta non più identificabile. Ubicazione: via del Colle presso il centro storico. Utilizzazione: in stato di abbandono. Epoca di costruzione ed eventuali aggiunte/modifiche/restauri: edificato con tutta probabilità nel periodo dell’incastellamento (X-XII secolo), quando il pericolo dell’attacco di vari invasori indusse la popolazione locale a spostarsi dall’antico sito di Tremula, ove era stata edificata l’abbazia di S. Maria dello Spineto, nella zona più a monte dove sarebbe sorto, attorno al castello, il borgo fortificato. Descrizione dell’edificio con riferimento ai materiali e alle tecniche costruttive adottate: del castello rimane ora unicamente un imponente paramento murario situato nell’area più a monte del centro abitato. Il paramento, a scarpa, è formato in prevalenza da pietra calcarea; nella parte sommitale, corrispondente al piano nobile del fabbricato, compaiono, accanto a bozze di pietra calcarea, elementi in laterizio e ciottoli di fiume, di cui è ricca la valle sottostante».
http://www.sangroaventino.it/sezioni/-Quadri/pagine.asp?idn=2093
Ripa Teatina (Castello d'Abruzzo)
«Non lontano dal mare, incastonato nella campagna teatina [in contrada Santo Stefano], vicinissimo alla maestosità del Monte Maiella, sorge il Castello d‘Abruzzo, una delle rocche più belle della nostra regione. Splendida struttura costruita tra il '500 e il '600, le sue antiche e spesse mura merlate oggi ospitano banchetti sontuosi e romantiche cene. ...».
http://www.overplace.com/castello-d-abruzzo-ristorante
«L'origine di Ripa Teatina risale ad uno dei primi insediamenti abitativi dei Marruccini, antico popolo italico. Dai Longobardi viene assegnata al Ducato di Benevento e, dopo la distruzione di questo da parte dei Franche di Pipino (802), viene incorporata dai normanni nel Ducato di Puglia (1076). Con gli Svevi, Ripa è città demaniale, ma molto deve soffrire sotto la dominazione Angioina. Nella sanguinosa guerra dinastica, si schiera dalla parte di R.Ladislao che, dopo la vittoria sul suo rivale Luigi II di Francia, gratifica Ripa del titolo di Baronessa con la donazione di un grossissimo feudo denominato "Casa S.Felice" (Diploma del 2 febbraio 1413). Nel 1484 Alfonso II D'Aragona, a ringraziamento dell'aiuto a lui dato nella guerra contro la "Lega Veneta", fa costruire a sue spese, a protezione del paese, grosse cinta con torri di difesa ancora oggi esistenti. L'importanza delle torri è testimoniata dal fatto che l'antico torrione in grossa muratura è stato preso a simbolo del Comune ed è rappresentato nei timbri e nel Gonfalone del Municipio di Ripa teatina.... Le Mura e le Torri. Nel XV secolo il paese si presentava come un consistente gruppo di case, dominato da due torri quadrate di diversa altezza, cinto da robuste mura, con due porte di entrata ciascuna affianca da una torre cilindrica. Un camminamento sotterraneo univa le due torri. Agli inizi del XVII secolo le mura, non più servibili a difesa, venivano smantellate per lasciar posto alla costruzione di grossi palazzi ancora oggi esistenti. Appena fuori dal centro storico, dalla parte Nord-Ovest vi è poi ancor ben conservata una grossa torre, di forma cilindrica, con merli ghibellini, attualmente in corso di ristrutturazione. Altra torre meritevole di citazione è quella di antica proprietà della nobile famiglia dei De Lollis di Bucchianico, in Contrada Arenile, ora trasformata in un lussuoso e suggestivo ristorante».
http://www.comuneripateatina.gov.it/oc/oc_p_elenco_nofoto.php?x=
Rocca San Giovanni (casino Murri)
«Esemplare tra i più pregevoli di edilizia rurale, Casino Murri era un’antica residenza colonica, egregiamente ristrutturata di recente. Costruito tra la seconda metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, successivamente sono stati aggiunti i due successivi livelli che ne hanno alterato il primitivo aspetto. A pianta rettangolare, l’edificio è distribuito su due livelli e presenta una cappella privata adiacente il suo lato occidentale, verosimilmente aggiunta successivamente alla costruzione originaria. La gradonata a due rampe del fronte anteriore dà accesso al primo piano, dove al portale d’ingresso in asse si affiancano tre aperture di tipologia e grandezze diverse, ulteriore conferma dei rimaneggiamenti subiti nel tempo dal casino. Recenti superfetazioni sono rilevabili nell’aggiunta di due livelli in corrispondenza del corpo settentrionale della fabbrica. L’intero corpo di fabbrica originario è realizzato con muratura di laterizi intonacati, a vista nella sola gradonata esterna».
http://www.comuneroccasangiovanni.gov.it/casino-murri
Rocca San Giovanni (resti della cinta muraria, torrione dei Filippini)
«Rocca San Giovanni venne
fondata nel 1076 dall’abate Oderisio I a difesa del territorio dell’abbazia
di San Giovanni in Venere di Fossacesia durante le invasioni da parte dei
Normanni di Puglia e dei Turchi. Tre secoli dopo furono erette altre tre
torri massicce e una cerchia muraria più robusta. Il tutto venne abbellito
da Oderisio II con edifici e monumenti. Nel 1346 numerosi soldati armati
occuparono i territori di Rocca San Giovanni, ma non riuscendo a penetrare
nel Castello, dove avevano preso rifugio l’abate e tutti i suoi sostenitori,
incendiarono molti edifici e portarono via tutto il frumento ammassato.
L’azione bellica si ripeté intorno alla fine del 1300 da parte di Ugone
degli Orsini, che con i suoi attacchi provocò notevoli danni alle
costruzioni del paese. Infatti gli abati dei primi anni del XV secolo furono
occupati in dispendiosi interventi di restauro. Nel 1456 si abbatté sul
paese e su gran parte dei paesi frentani, un forte terremoto che provocò
numerosi morti oltre che la distruzione di tante abitazioni. Nonostante ciò
il paese visse un periodo prosperoso fino al 1627, quando un altro terribile
terremoto danneggiò le mura orientali, i cui abitanti s’impegnarono
personalmente a ricostruire anche perché fungono tuttora da sostegno
dell’abitato. I danni visibili ancora oggi sono quelli procurati, nel
novembre del 1943, dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. ...
Delle imponenti mura costruite dai Normanni intorno al 1061, non restano che
dei ruderi. Resta comunque ben visibile il Torrino dei Filippini.
Le mura a scarpa, che un tempo circondavano l’intero borgo di Rocca San
Giovanni, furono realizzate con ciottoli di pietra. Lo scopo principale era
quella di offrire riparo alle popolazioni della zone in caso di assedio».
http://turismo.sangroaventino.it/sezioni/Rocca%20San%20Giovanni - sezioni/Rocca%20San%20Giovanni/pagine.asp?idn=218
a cura di Sergio Ialacci
Rosello (palazzo Caracciolo-Fornari, ruderi della torre circolare)
«Secondo alcune fonti documentarie il paese di Rosello nel XVIII secolo fu dominato dalla famiglia Caracciolo dei principi della Villa. Con molta probabilità a questo periodo risale la costruzione del palazzo, ipotesi che troverebbe conferma dall’analisi stilistica di alcuni elementi architettonici quali portale e balconi. L’edificio è attualmente interessato da lavori di restauro che non interessano però la parte strutturale. Con buona probabilità la cortina muraria di pietra del primo livello, ad apparecchiatura irregolare, verrà intonacata ad imitazione del piano superiore. In epoca recente, molti infissi originari sono stati sostituiti con serramenti in metallo e alluminio di disturbo alla vetustà della fabbrica. L’edificio, a pianta pressoché quadrata, ha due lati liberi di cui uno rivolto alla piazza. Il fronte principale, simmetrico rispetto all’asse centrale, è diviso orizzontalmente in due settori da una cornice marcapiano che si pone all’altezza del parapetto della finestre. Dei cinque portali al piano terra, i quattro laterali presentano semplici stipiti e architravi in pietra; quello centrale, con piedritti e archivolto in pietra, è sormontato al piano superiore da un balcone poggiante su mensole. La cortina muraria, in pietra appena sbozzata e ciottoli spaccati ad apparecchiatura irregolare, è visibile al solo livello inferiore, mentre quello superiore è intonacato per intero. mostra un’attenta tecnica costruttiva. Sopra ciascuna apertura del piano terreno è presente un arco di scarico a sesto ribassato. Le aperture del piano superiore, che ripetono il passo delle inferiori, sono realizzate con stipiti e architrave in pietra e delimitate superiormente da una cornice aggettante. Il coronamento dell’edificio è realizzato con un triplice ordine di romanelle annegate nella muratura» - «La torre circolare. Trattasi di ruderi. Sovrastava il nucleo originario del paese. Viene nominata in un documento del 1541. Alcune parti della roccaforte non sono del tutto esplorate: ne restano solo poche tracce di una muratura in struttura semicircolare forse appartenenti ad una torre cilindrica e di un recinto di un forte».
http://www.comunerosello.it/territorio/item/3-palazzo-caracciolo-fornari.html - http://www.borghiautenticiditalia.it/bai/comune-di-rosello-ch
San Martino sulla Marrucina (resti del castello)
«Nell’800 d.c. San Martino è già censita tra i castelli del teatino prima delle conquiste longobarde, nel 900 d.c. venne scelta come dimora per gli ultimi anni di vita da Aldamario da Capua, successivamente proclamato santo e che, conquistato dalla quiete del luogo e dalla natura vi edificò il suo eremo. A questo periodo risale la fondazione dell’abazia benedettina di San Martino, dalla lunga e ancora misteriosa storia e che nel 1030 è già censita in numerosi documenti. Nel 1151, Maestro Nicodemo nativo del luogo edificò qui la sua unica chiesa e scolpì il primo dei suoi meravigliosi cibori. A San Martino venne fondato uno dei primi conventi campestri francescani d'Abruzzo, nella seconda metà del XII secolo. Nel 1330 il centro storico del borgo contava già 6 chiese, a certificare la forte religiosità della popolazione, rimasta nei secoli sempre fedele alla Chiesa. In questo periodo il primitivo "castrum" si è già ampliato con la costruzione del borgo fortificato, caratterizzato dalla presenza di case-mura e di tre porte. ... Con l’unità d’Italia viene aggiunto il toponimo “sulla Marrucina”, ispirato all’antica strada preromana che passa proprio sotto la collina del borgo. Nella prima metà del 1900 termina l’era dei polverieri, e con la seconda guerra mondiale l’abitato subisce danni notevolissimi, perdendo l’antico castello e buona parte della cinta di case mura».
http://www.sanmartinosm.it/oc/oc_p_elenco_nofoto.php?x=
«Il centro storico della città ha il suo fulcro nella Piazza San Vitale che, fino al 1950, era chiusa da numerosi caratteristici edifici (delle famiglie Fabrizio, Cilli, Napolitano, Russo) e in particolar modo da quello della Porta della Terra, la porta d’ingresso al Borgo medievale abbattuta nel 1968 e diversamente ricostruita nel 1997. Nel nuovo edificio si trova oggi l'ingresso al Museo civico archeologico, originale in quanto interamente ipogeo, che conserva murature e reperti di età romana unitamente a reperti di età italica e medievale. ... Sul lato di settentrione di San Giuseppe ha inizio strada della Chiesa, su cui insistono il Palazzo Di Iorio-Bruno (dal portale rinascimentale) e il Palazzo Cirese (con conci angolari romani di riuso). Scendendo ancora su strada della Chiesa si incontra poi la Casa Di Falco (un tempo edificio monastico) quindi si passa sotto un piccolo arco, detto "La Cavuta", una piccola uscita ottocentesca dalla città storica. L'abside della Chiesa di San Giuseppe, interamente dritta, insiste invece su via Portanuova, cosiddetta perché al suo termine in Età moderna (verso la fine del Settecento) era stata eretta una seconda porta per l'uscita dal Borgo. Da qui, sulla destra si può osservare il muraglione di Via Fontana Vecchia, realizzato all'esterno dell’abitato murato per ripianare un terreno sensibilmente scosceso. Oltre la strada Fontana Vecchia si trova la caratteristica omonima Fontana che costituisce lo sbocco di un importante acquedotto romano ipogeo di età imperiale, tuttora integro e funzionante. Salendo lungo il muraglione si raggiunge l'incrocio tra via Fontana e via Savoia, con di fronte un altro muraglione su cui si affacciano due palazzi storici settecenteschi (uno della famiglia Artese) e l'ottocentesco palazzo Ciavatta, appartenenti alla prima fase di espansione dell'abitato fuori le mura che poi avrebbe prodotto l'edificazione del quartiere ottocentesco tra via Savoia e corso Garibaldi, con i caratteristici vicoli di collegamento.
Risalendo a destra via Fontana, si ritorna alla nuova "Porta della Terra", sul lato ovest, all'incrocio tra corso Garibaldi (l'antico decumano romano, oggi strada commerciale al cui termine si trovano popolosi quartieri residenziali) e Corso Umberto I. Su quest'ultima strada, prima che immetta nella Piazza del Comune (Piazza Giovanni XXIII) s'incontrano i palazzi Sabatini e De Vito e, ai numeri civici 20A e 24, l'edificio che ospita "La Giostra della Memoria", un interessante museo demoantropologico privato, le cui stanze sono ognuna dedicata a custodire oggetti appartenuti ad una specifica tradizione (transumanza, medicina popolare, magia, ceramiche da mensa, corredo da sposa ecc.). Oltre la piazza Papa Giovanni XXIII corso Umberto incrocia via Roma, creando lo spazio triangolare del Giardinetto con il monumento ai Caduti e poi scende verso la Fontana Nuova e la chiesetta di San Rocco. Via Roma, strada commerciale della città, in parte pedonalizzata, giunge invece fino alla Villa Comunale consentendo lo struscio, cioè il passeggio di cittadini e turisti. Tra le altre chiese presenti in città ricordiamo: la Chiesa Vecchia di San Nicola, risalente al XVII secolo (il cui nuovo edificio templare è sorto - nei pressi - negli anni Settanta del ’900, con dedica a San Nicola Vescovo); la chiesa cinquecentesca della Madonna delle Grazie e la già citata chiesa di San Rocco, un tempo tutte fuori le mura, le ultime due sul percorso dell'importante tratturello di collegamento fra il tratturo costiero L'Aquila-Foggia a quello più interno Centurelle-Montesecco».
http://www.comune.sansalvo.gov.it/pagine/14_portale-del-turista/39_cenni-storici
San Salvo (resti della torre del Trigno)
«La torre, detta del Trigno, posta in un’importante posizione di controllo in primo luogo della foce del fiume, costituiva un tipico presidio d’avvistamento e di difesa del viceregno spagnolo (XVI sec.). Apparteneva, infatti, ad un piano organico di difesa della costa che prevedeva una serie di torri isolate, ma in stretto rapporto visivo tra loro, con la doppia funzione di avvistamento e di eventuale primo arresto. La torre “Trigno” era in collegamento visivo con quella di Punta Penna e con quella molisana di Petacciato (CB), altre torri isolate che punteggiavano il territorio (G. Chiarizia). In un disegno settecentesco allegato all’opera di L. A. Antinori, la torre di San Salvo compare in una posizione più a Nord, su un corso d’acqua derivato dal fiume Trigno, detto “forma o formale del mulino”. Viene inoltre raffigurata, rispetto ad altri disegni antichi sulle torri costiere, più grande del normale, con un ulteriore piano merlato. A tal proposito lo storico L. Marino precisa che alcune torri di sbarramento, poste alle foci dei fiumi o in quelle località in cui era più probabile uno sbarco di “vascelli d’infedeli”, si differenziavano dalle altre per la mole o venivano comunque potenziate per esigenze di difesa e per poter meglio fronteggiare gli attacchi. Nel disegno antinoriano, inoltre, la torre è collegata ad un piccolo edificio che sormontava il vicino corso d’acqua. G. Artese ci informa anche che la torre era detta “di Pantanella” e spiega la funzione della costruzione adiacente quale mulino ad acqua. Le torri abruzzesi erano state completate nel 1569, un anno dopo l’ultimazione di quelle della Capitanata».
San Vito Chietino (cinta muraria, resti del castello)
«L’impervia collocazione del borgo medioevale, tra i più suggestivi dei paesi collinari della provincia di Chieti, ha permesso la conservazione di alcuni tratti della cinta muraria che circonda il piccolo nucleo abitato di San Vito Chetino. Oltre a rappresentare la sua funzione originaria di difesa, la cinta è stata anche struttura di supporto per l’intero nucleo abitato; prevalentemente realizzata in laterizio, presenta parti del tracciato difensivo ancora leggibili, con paramenti di imponente fattura. Le parti ora celate sono state occupate dal recente sviluppo edilizio, utilizzate come base o sostegno per l’edificazione di tipo residenziale» - «Dopo la chiesa fu edificato un castello che conservò il nome del santo. Prima dell’anno 1000 non abbiamo notizie certe del castello di San Vito, di cui restano ancora tratti delle mura esterne nella zona del centro storico. Dal 1385 esistono invece diversi documenti che comprovano l’appartenenza del castello e del porto all’abbazia di San Giovanni in Venere».
http://www.sangroaventino.it/sezioni/-S.%20Vito%20Chietino/pagine.asp?idn=2122 - http://www.provincia.chieti.it/flex...
San Vito Chietino (palazzo D'Onofrio)
«È sito nel lato occidentale del poggio fortificato di Sant'Apollinare. Attualmente viene utilizzato come casa colonica della famiglia d'Onofrio. Numerosi documenti citano l'esistenza dell'edificio dal Medioevo, in alcuni viene addirittura citato come castello tipo: una bolla del papa Alessandro III del 1176, alcune carte geografiche dei Musei Vaticani del 1581 e una pianta del geometra Donato Forlani del 1873. Il fabbricato versa in uno stato di degrado per via di essere una residenza occasionale. L'accesso all'edificio è consentito per via di un portale in laterizio e coronamento ad arco. Il corpo di fabbrica è intonacato e circondato da un porticato con archi di dubbia collocazione storica. Inoltre vi sono un cortile ed una serie di fabbricati usati come rimesse. Nella facciata principale è visibile la struttura originaria ove due dei tre livelli sono caratterizzati da contrafforti a scarpa e costituiti di pietra sbozzata».
http://it.wikipedia.org/wiki/San_Vito_Chietino#Edifici_civili
«Qualificato come 'palazzo fortificato' (ma chiamato localmente anche 'castello' perché nel Medioevo al suo posto c’era probabilmente un castello feudale), fu costruito nel XVI secolo dai marchesi d'Avalos su un impianto preesistente. L’edificio è una ponderosa opera di fortificazione, simile al castello di Monteodorisio ma molto più vasta. In origine doveva presentare numerosi torri con feritoie. Nel corpo di fabbrica si osservano pietrame e mattoni risalenti a epoche diverse. Il lato settentrionale presenta pareti con muratura faccia a vista, capitelli ionici, con all'angolo una torre quadrangolare in muratura con mattoni faccia a vista. Il complesso edilizio aveva l’ingresso principale sul piano denominato ancora oggi 'Piano Palazzo' ed era dotato di alte mura di protezione, interrotte lungo il perimetro da una serie di torrette, che racchiudevano, oltre al palazzo, l'intero nucleo antico dell'attuale cittadina. Oltre a servire come residenza temporanea del marchese d'Avalos, fu verosimilmente la residenza permanente di un suo amministratore, dei servitori, dei soldati, insomma dei suoi dipendenti. Nel fabbricato esistente sono stati oggi ricavati dei mini-appartamenti da affittare. I d'Avalos, signori di Scerni, erano un importante famiglia spagnola, un ramo della quale si trasferì nell’Italia meridionale alla metà del XV secolo, acquistando grande rinomanza e fortuna e diventando una delle più importanti famiglie del Regno di Napoli. Già in possesso del marchesato del Pescara, ottennero nel 1496 anche quello del Vasto e, nel XVI sec., il principato di Montesarchio. Il palazzo è situato nel centro storico del paese. Raggiunta piazza De Riseis, proseguire verso la chiesa di San Panfilo e dirigersi verso via Roma, zona Piano Palazzo. Il palazzo è alla destra dell’area giochi ivi situata».
http://www.camminideuropa.eu/default.asp?s=140&o=1744&c=0
Scerni (resti di fortificazioni, palazzi nobiliari)
«Mura e torri. Resti di mura laterizie e di due torri a scarpa con sopraelevazioni in torre quadra laterizia più tarde. Il primitivo circuito è di epoca medievale. Nelle mura di cinta del paese si aprivano delle porte. La porta principale presenta una volta; nel passato, attraverso questa porta, che conduceva a palazzo Raimondi, arrivavano a Scerni, nei giorni di festa e per le fiere, i contadini che abitavano nelle contrade. Palazzo Raimondi. Ex municipio, al suo interno saloni con soffitti affrescati. Sulla facciata delle lesene che separano porte e finestre. è qualificata come "casa palaziata" (nobiliare). Fu acquistata nel 1810 da don Ferdinando Raimondi o dal marchese Don Ferdinando D'Avalos. La sua costruzione risale al XVIII secolo. La pianta dell'edificio è a blocco appartato, il tetto è a padiglione, la muratura è a secco con mattoni faccia a vista. Presenta una cisternacilindrica, resti di torretta e un sotterraneo. Ristrutturata nel 2000, è oggi, sede della casa canonica e di varie associazioni. Palazzetti. Diversi edifici con facciata in parametro laterizio, classicheggianti, del XVIII-XIX secolo. Sulle facciate si possono notare finti capitelli in stile ionico con decorazioni di foglie, fiori, amorini e ghirlande che servivano sui portoni sia per abbellimento sia per riparo dalla pioggia. Alcuni edifici presentano porte ad arco a tutto sesto. I balconi centrali mostrano decorazioni a fiori, a conchiglia e stemmi nobiliari. Palazzo De Riseis. è qualificato come palazzo baronale, costruito nel XVIII secolo, su resti del castello di Scerni e al posto di casette demolite. Pianta a blocco rettangolare, tetto a padiglione, muratura a secco, mista intonacata. Un tempo ospitava una biblioteca privata».
http://www.metropolis.it/comuni/storia.asp?LUNG=3000&pag=1&ID=69087
«Il suo maestoso profilo si erge dal punto più elevato di Semivicoli dominandone la visuale. Eretto in varie fasi tra ‘600 e ‘700, il palazzo appartenuto al Barone Perticone e alla sua famiglia per generazioni, è stato acquistato e restaurato da Gianni Masciarelli e Marina Cvetic per farne punto di turismo alto e raffinato, un hotel de charme, con una forte attenzione all’ecosostenibilità. Il progetto di restauro ha conservato le antiche forme, le cromie e i materiali originari, con lo scopo di liberare tutto il potenziale evocativo di ambienti così affascinanti. Ove necessario si è operata una reintegrazione con materiali compatibili per caratteristiche, origine e datazione. A ciò si è affiancato l’impiego di impianti elettrici e di climatizzazione che offrono un elevato standard prestazionale restando praticamente invisibili. Il design degli interni a cui si è dedicata Marina Cvetic è una melodica composizione di elementi tradizionali e contemporanei firmati da Driade, Poltrone Frau, Philip Stark ed Antonio Lupi, per citarne alcuni. Il primo nucleo costruttivo risale al ‘600, l’insieme degli ambienti testimonia un modo di vivere ed una cultura del quotidiano che appartiene ad altri tempi. Il piano terra era infatti destinato alle attività produttive, vi troviamo l’antico frantoio, la cantina, i magazzini e l’affascinante bottaia. Saliamo verso il piano nobile accompagnati da un bellissimo profumo di sandalo. Anticamente caratterizzato da stanze private e di rappresentanza, nonché da cucine e dispense, è oggi composto da spazi conviviali, da sale relax, lettura, conversazione e degustazione, oltre che di accoglienza degli ospiti. Nel sottotetto trovIAMo le stanze una volta destinate alla servitù ed il granaio, riconvertito in una superior suite di 120mq con 18 finestre e vista a 360° sulla Majella, sui giardini, i boschi, gli uliveti ed i vigneti. Il castello ha una pagina dedicata su Facebook: https://www.facebook.com/castellodisemivicoli».
http://castelliere.blogspot.it/2016/03/il-castello-di-lunedi-7-marzo.html
Tornareccio (borgo fortificato, porte, mura)
«Il cronista Gregorio di Catino (1062-1133) narra nel suo Chronicon farfense che “nella contea teatina c’è il castello di Tornareccio”. Ebbene, chiunque arrivi per la prima volta nel paese non si troverà di fronte il classico castello medievale, alla stregua di quelli più famosi come Crecchio o Celano, ma avrà la possibilità, al limite, di vedere un paio di torri e qualche spezzone di mura di cinta. In effetti, il castellum Tornariciae, citato per la prima volta nel 1118, altro non è che un recinto fortificato che si snoda attorno al centro storico, il cui scopo era essenzialmente quello di difendere la popolazione radunata attorno ai laboriosi monaci del monastero di Santo Stefano in Lucania, terrorizzata dalle sempre più frequenti incursioni dei Saraceni e dei Normanni. Più che di castello, dunque, si tratta di una fortezza o borgo fortificato, anche se il termine “castellum” o “castrum” viene utilizzato in età medievale senza troppe sfumature tecniche. Edificato in una periodo che oscilla tra il 1060 e il 1118, il recinto di Tornareccio era composto da mura di pietra alte all’incirca 20 metri, ed era inframmezzato da un numero variabile di torri quadrate e circolari. Tre porte consentivano l’accesso alla fortezza, all’interno della quale si stagliavano i palazzi signorili e la chiesa di Santa Vittoria, vero fulcro di tutto il complesso. A parte i palazzi e la chiesa, di tutto il resto purtroppo è rimasto poco o nulla.
L’unica torre visibile è quella circolare in via Spataro, ben conservata e tuttora abitata, mentre un altro torrione circolare si intravede a fatica affianco alla fontana monumentale di Piazza Fontana. Le torri quadrate, demolite non meno di cinquant’anni da scellerate scelte urbanistiche, erano situate una sul versante del paese che domina la vallata, un’altra dalla parte opposta, quasi a copertura verso la montagna, e la terza al centro del borgo fortificato. Quest’ultima era probabilmente la torre più alta, quella che dominava tutto l’abitato, ed è stata “riconvertita” nel XIX secolo nel campanile della chiesa di Santa Vittoria. Delle mura fortificate sono visibili alcuni spezzoni, il più cospicuo dei quali è quello che viene normalmente chiamato “muro rotto” a ridosso di Piazza Fontana, mentre il resto è ben mimetizzato nell’abitato urbano. Per quanto riguarda le porte, infine, una è visibile nello spiazzo denominato “dietro le mura”, dove adesso c’è il belvedere, ed è quella che conduce all’interno del centro storico. Verosimilmente questo è l’ingresso più recente, dato che la strada che da qui inizia è denominata via Porta Nuova. Un’altra apertura è visibile una volta entrati nella “fortezza”, nelle vicinanze della scuola materna: quando il castello funzionava a pieno regime questo ingresso, sovrastato dalla torre quadrata di avvistamento, doveva essere quello principale. Di una terza porta si conserva solo la memoria: doveva essere situata alla fine del “muro rotto” nella Piazza Fontana che tutti i tornarecciani chiamano “Piano La Porta”. La fortezza di Tornareccio ha smesso di funzionare solamente nel XIX secolo. Quelli che attualmente sono comuni e liberi passaggi, infatti, durante il periodo del brigantaggio ricoprivano ancora una funzione di sicurezza: ogni sera venivano serrati, mentre l’”usciere” avvisava con il suo tamburo tutti quelli che si trovavano fuori che di lì a poco nessuno più avrebbe avuto accesso al castello di Tornareccio».
redazionale
TORREBRUNA (borgo fortificato)
«Come Carunchio e Castiglione Messer Marino, Torrebruna presenta un impianto ad anelli concentrici sfalsati secondo le curve di livello a partire dal punto più elevato ove è ubicata la parrocchiale (ante secolo XVII) e degradanti verso Sud-Est secondo una consuetudine diffusa. Questo centro posto a controllo del tratturo Ateleta-Biferno e del Passo Forca delli Colli doveva avere sin dall’inizio una torre di avvistamento recintata che poi con il tempo può avere assunto la forma urbana di un primo nucleo primitivo compreso tra via Orientale e Largo della Torre per poi includere la restante area a Sud del fianco della chiesa parrocchiale. Oltre al toponimo significativo Largo o Piano della Torre, a Torrebruna si conserva la porta urbica “da Piedi” detta Porta Murella e le case-mura di via Orientale con torre urbica. Questa torre circolare con mura a scarpa, tipologicamente affine a quelle di Casalbordino, Tornareccio e Vasto, secondo V. Furlani, databile dopo il 1320 in realtà per l’assenza del redendone torico, è avvicinabile a quelle di Monteodorisio di Porta Carbonara e Via Muro Rotto, probabilmente più antiche di quelle di Monteodorisio e di Casalbordino (il castello di Monteodorisio dagli scavi archeologici risulta essere dei primi anni del cinquecento). Il borgo fortificato di Torrebruna, nonostante i numerosi vuoti causati dai vari dissesti geologici documentati nell’Ottocento che hanno portato a decisioni semplificative di demolizioni (come la ventilata opportunità di demolire la chiesa, se necessario, nel 1951 che ricorda i casi estremi di Vasto per la Chiesa di San Pietro o di Castelguidone per la Chiesa di Santa Maria della Stella), presenta ancora una sua compattezza e una sua integrità negli isolati, nei vicoli e nei sottoportici, al di là della facies esterna rinnovata per lo più dopo il XVIII secolo».
Torrevecchia Teatina (palazzo ducale Valignani)
«Nel 1505 i fratelli Valignani governarono sul feudo di Torrevecchia. Fu Federico Valignani marchese e signore di Cepagatti che volle la costruzione del palazzo nel 1743, come residenza estiva, contro il volere dei familiari per motivi legati a maligne ("maligni" o "malignani" una delle probabili origini del cognome Valignani) destinazioni pregresse (luogo degli appestati). Il palazzo Valignani, tipica villa dell'epoca, sorgeva lungo un tratturo secondario che dalla montagna seguiva il percorso legato alle sorgenti ed agli invasi. Palazzo a due piani con cortile interno, voluta dal Valignani su modello della villa d'Este in Tivoli. Sul lato sinistro della facciata si erge una torre d'angolo, costruita successivamente all'impianto originario per equilibrare la facciata. Torre erroneamente concepita come torre d'avvistamento (abnormi ed evidenti gli errori di costruzione della torre che taglia la cornice della finestra e la visuale sul lato corto del balcone) internamente non vi sono tracce su questa destinazione d'uso. Sul lato destro vi era una piccola cappella dotata di due ingressi: uno sul laterale ovvero la prima porta della cappella originaria costruita su un vecchio tempio italico e dedicato forse al Dio Esculapio (?) o più probabilmente Ercole (?) per via di alcune statuette ritrovate proprio in loco ed in mostra al Museo La Civitella di Chieti. Cappella ampliata successivamente con la modifica dell'ingresso sulla piazza anch'essa dedicata a San Rocco. Frequentata dal popolo fino al 1960, quando subì danni in circostanze misteriose. Danni che provocarono il crollò del campanile e successivamente del tetto. Fu costruita così una nuova chiesa parrocchiale proprio sul lato corto della piazza. Il palazzo, proprietà comunale, fino ad aprile 2010 era sede della Fondazione G. D'Annunzio, ma all'epoca era destinato al pian terreno a deposito e magazzino per la conservazione del grano, dell'olio e delle altre provviste mentre al piano superiore a locali abitativi. Vi era la rimessa per le carrozze, l'abitazione dello stalliere e quella del gobbo (triste figura presente in tutti i palazzi). La sua presenza nei campi era di buon auspicio per i raccolti, mentre la sua vera funzione era di spionaggio e controllo da parte del signore)».
https://it.wikipedia.org/wiki/Torrevecchia_Teatina#Monumenti_e_luoghi_d.27interesse
«Non si conosce con esattezza la data di costruzione del Palazzo Baronale, comunque dall’analisi dei caratteri costruttivi e stilistici, si pensa possa essere stata eretta fra la prima e la seconda metà del Settecento. L’edificio presenta una pianta rettangolare con un corpo basso annesso al lato meridionale della facciata principale. Qui spicca una caratteristica torretta di guardia realizzata interamente in laterizio a vista. In asse con l’ingresso principale, al centro della facciata, si staglia la torre con pianta rettangolare, sviluppata su due livelli e con una copertura a tetto a quattro falde. Attualmente, causa una serie di aggiunte, non presenta più il suo carattere originario. Il palazzo risulta essere l’unico esempio di architettura civile del passato, in quanto il paese è di recente fondazione».
http://treglio.weebly.com/treglio.html
Vasto (castello caldoresco) - 1
a cura di Sergio Ialacci
Vasto (castello caldoresco) - 2
redazionale
redazionale
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