Non è certo la più bella, né la più antica tra le porte bronzee medievali conservate in Puglia. Ma è senza dubbio la più misteriosa. Le ante che chiudono il Mausoleo di Boemondo, adiacente alla cattedrale di Canosa, furono forgiate - probabilmente - dopo la morte del principe normanno, duca di Puglia e principe di Antiochia, avvenuta nel 1111. Quindi circa quarant'anni dopo quelle del santuario micaelico a Monte Sant'Angelo. E non mostrano la ricchezza e l'articolazione di altre porte come quella di Troia, o quella di Trani. Eppure pongono ancora quesiti intriganti. Il recente restauro, cui è stata sottoposta la porta di Boemondo - c'è da aspettarselo
- risolverà alcuni dubbi sollevati negli ultimi anni dagli studiosi; ma ne germinerà altri. Ora i due bellissimi battenti si esibiscono ai visitatori e ai fedeli in una cappella della cattedrale di Canosa, dove sono tornati, dopo una itineranza nel mondo, che li ha portati a Tokyo e a Palermo.
Il restauro è durato sei anni circa, curato nella sede della Soprintendenza di Bari da Osvaldo Cantore e Vito N. Iacobellis, sotto la direzione di Fabrizio Vona
...: a loro è toccato il compito di obbedire - pur dopo tanti secoli - alla raccomandazione iscritta sui battenti della porta di San Michele a Monte S. Angelo, di tenere puliti i bronzi, «affinché siano sempre lucidi e splendenti».
I due battenti mancavano da Canosa dal 1999 (anno in cui fu presentato un altro eccellente restauro di porta bronzea medievale, quella della cattedrale di Trani). La porta di Canosa è firmata da «Rogerius Melfie campanarum», Rogerio - o Ruggero - maestro campanario di Melfi, il quale forgiò anche un candelabro. Il che potrebbe far supporre che nella città del Vulture, o nel territorio apulo-lucano, ci fosse nel XII secolo un atelier accorsato, in cui maestranze di una certa bravura riuscivano ad unire varie specializzazioni: quella del plasmare e quella del fondere. Ma su questo potrebbero dire una definitiva parola l'analisi delle polveri di fusione, risultate dal restauro. Quel che si può evincere, anche dalle incrostazioni di argento e di altro materiale rosso e nero, è che Rogerio era capace di applicare la tecnica dell'«agemina» e quella del «niello»: la prima fondendo parti d'argento (a figurare mani e piedi delle immagini), la seconda riempendo i solchi incisi con amalgama di metalli colorati (evidenti le tracce di roso minio).
Tuttavia i due battenti presentano innegabili diversità di stile e di manifattura. Per ovviare a questa discrepanza il maestro Rogerio, campanario, elaborò una cornice vegetale similare per ambedue, tipica
ornamentazione da bordo di campana. La prima valva, quella di sinistra, è un blocco unico a fusione piena, con tre identici rosoni nel cui centro furono applicati una protome di leone, un emblema floreale e, sopra, una figura, ora scomparsa. Su quest'anta è incisa una versatile iscrizione che inneggia a Boemondo, il figlio primogenito, ma non prediletto di Roberto il Guiscardo degli Altavilla, capostipite della casta normanna che regnò nel Sud d'Italia dalla metà dell'XI secolo alla metà del XIII, con l'innesto degli Svevi, fino a Manfredi, figlio di Federico II.
Boemondo era infatti figlio di Alberada, che nel suo sepolcro venosino rimanda a quel suo
genitum «trattenuto dal Canosino». L'affascinante duca di Puglia, notorio avventuriero e libertino circondato dalla leggenda, passò alla storia per le sue imprese durante la prima crociata, gli amori con le principesse bizantine e islamiche, il suo cinismo politico. Era l'unico uomo al mondo - assicurano le fonti, e racconta Cesare Brandi - che potesse permettersi in quel tempo di radersi il volto, senza pericolo di apparire un castrato. L'anta di destra lo raffigura, nella seconda formella, insieme al fratellastro Ruggero, preferito dal padre nella successione del ducato pugliese: sono inginocchiati davanti a una immagine santa, che non sapremo mai cosa raffigurasse, perché perduta.
La concordia tra i rampolli della famiglia degli Altavilla dovette costituire un costante assillo per quei primi decenni del XII secolo, se è vero che nella formella sottostante i due cugini Boemondo II e Ruggero II sono tenuti per mano dallo zio Tancredi, in un gesto di colleganza. Non è casuale questa iconografia dinastica. Mentre le restanti porte bronzee giunteci dal Medioevo, apposte a ingressi delle chiese, assumono valenze simboliche da «ianua coeli», di passaggio in luoghi sacri, e quindi raffigurano presumibili «itinerari di salvezza» (con immagini di santi e di angeli, di scene bibliche e simboli fauno-floreali attinenti), questa del Mausoleo di Boemondo si caratterizza per il suo àmbito privato. E propone, necessariamente, «messaggi politici».
La seconda e più dinamica anta della porta fu ottenuta assemblando quattro formelle, che si incastravano una nell'altra. Le due centrali presentano le scene di corte su descritte; e le altre due, la superiore e la inferiore, si connotano per la presenza di due dischi arabescati, che inglobano meravigliosi e compositi «nodi di labirinto». Evocazioni islamiche, tecniche bizantine, proclami normanni inseriti sulla stabile base dell'antichità romana, richiamata dai marmi riutilizzati per il Mausoleo: a Canosa più che altrove si fusero le diverse voci mediterranee con i nuovi fermenti di guerrieri venuti dal
Nord.
Giacomo
Annibaldis
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