MARCO
BRANDO |
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Trani
1943. L’eroismo misconosciuto dell’ex podestà Pappolla
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Salvò
dalla fucilazione da parte
tedesca di 48 concittadini,
e per questo fu decorato da
re Vittorio Emanuele
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C’era una volta un podestà per bene. Era a Trani e si chiamava Giuseppe
Pappolla: dopo il 25 luglio 1943, malgrado il fascismo ormai fosse caduto,
continuò a rappresentare i suoi cittadini, proteggendoli pure
dalle rappresaglie naziste successive all’armistizio dell’8 settembre.
Nella sua città - il 18 settembre 1943, sessantadue
anni fa - contribuì in maniera determinante a salvarne
quarantotto, già davanti al plotone d’esecuzione
tedesco: chiese, come primo cittadino, d’essere fucilato al loro posto.Quella persona per bene oggi è ricordata
poco e male: perché prima era stato dalla parte del regime; e,
successivamente, ricordare il ruolo positivo di alcuni uomini di quel
regime non corrispondeva alle esigenze politiche del Dopoguerra. Eppure
quel suo gesto, con tanti altri, non solo consentì che egli potesse ottenere
il 7 ottobre successivo, dal re in persona, la medaglia
d’argento al Valor militare, per «aver offerto la sua vita
in cambio di quella degli ostaggi». Oggi
- mentre a Trani una mostra fotografica e una conferenza
ricordano quegli avvenimenti - egli meriterebbe di veder riconosciuto il suo atto
d’eroismo e la sua generosità.
Chi era Giuseppe Pappolla, nato
nel 1883 e scomparso nel 1957? Com’è
noto, tra il 1925 e il 1928 il governo fascista istituì la figura del podestà
al posto del sindaco e altri organismi, trasformando il Comune da organo
di autogoverno, eletto dai cittadini, a ente ausiliario dello Stato.
Pappolla diventò podestà a Trani. «Era mio nonno - ci ha scritto l’avvocato
tranese Giuseppe Albrizio - e io ritengo offesa la
sua memoria dal "silenzio" nel quale il suo gesto è lasciato
nella ricostruzione dell’evento». Quello legato ai quarantotto tranesi
sul punto d’essere fucilati come rappresaglia per la morte (due giorni
prima) di un militare tedesco alle porte di Trani, durante uno scontro
con bersaglieri italiani affiancati da soldati canadesi.
Proprio Pappolla, nella relazione inviata al prefetto di Bari il 5 ottobre
1943, ricordava: «Le diverse argomentazioni da me addotte al comandante
tedesco per dimostrargli nel modo più evidente che nessuna colpa
era da addebitarsi ai cittadini tranesi, non furono sufficienti a distoglierlo
dall’insano proposito e già erano date disposizioni per compiere
l’esecuzione, quando proposi al detto comandante di sacrificare soltanto
la mia persona, quale capo della
cittadinanza, ma liberare tutti gli altri».
Di fronte alla risolutezza dell’ufficiale
tedesco, il podestà fece avvertire, affinché gli desse manforte,
l’arcivescovo Francesco Petronelli: intervenne subito confermando le
motivazioni addotte dal podestà e garantendo l’innocenza dei cittadini.
Finalmente, dopo altre trattative, gli ostaggi furono liberati. «L’arcivescovo
fu il primo a ringraziarlo il giorno successivo - continua l’avvocato Albrizio
- così io non riesco proprio a spiegarmi perché da anni si continui
a minimizzare il gesto del podestà. Fino a ignorarlo. Eppure Trani dovrebbe
essere orgogliosa di questo suo figlio, anche se podestà fascista».
«Anzi - continua il nipote - dovrebbe imporsi un’altra considerazione:
se il fascismo era caduto il 25 luglio 1943 e tutti i gerarchi erano scomparsi
perché rimossi o fuggiti, un uomo che, a distanza di due mesi dalla caduta
del regime, continuava a essere al suo posto, evidentemente aveva
qualità e meriti più grandi e più forti della camicia nera che aveva indossato
fino ad allora». L’avvocato si dice
convinto che lo stesso monsignor Petronelli, se oggi potesse intervenire,
ristabilirebbe la verità storica: «Credo che sia stato proprio il monsignore
l’artefice di una segnalazione al Vaticano che fece conferire a mio
nonno, anni dopo, l’ambitissimo collare dell’Ordine di San Silvestro a firma
dell’allora segretario di Stato, cardinale Montini».
Ampia documentazione dell’epoca
- compresa la lettera del podestà al prefetto e quella dell’arcivescovo
ai carabinieri - è compresa nel prezioso volume
L’8 Settembre 1943 in Puglia e Basilicata, realizzato nel
2003, a cura dell’Istituto pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia
contemporanea», dagli storici Vito Antonio Leuzzi (direttore
dell’Ipsaic) e Giulio Esposito (Edizioni del Sud). Tuttavia - per ragioni
poco nobili anche nell’immediato dopoguerra e del tutto fuori luogo oggi
- la figura di Pappolla è spesso stata posta dietro il paravento della storia.
D’altra parte non è solo l’avvocato Albrizio a rivendicare la tutela dell’immagine
del podestà. A sottolinearne il ruolo interviene anche un uomo
da sempre di sinistra come Franz Brunetti, tranese, professore emerito
di Filosofia morale all’università di Pavia. «Il nipote del Pappolla, ultimo
podestà ma brava persona, ha ragione: suo nonno in quei giorni si
adoperò molto, certo più dell’arcivescovo, a tutela dei cittadini; e anche,
in quel giorno della retata, a favore degli ostaggi.
Molto di più, certo, del prelato, che, per sua stessa ammissione,
riuscì solo a prendere con sé un suo prete, anch’egli ostaggio. Tant’è
che ebbero la medesima onorificenza».
«Credo - precisa Brunetti - che sulla
decisione di liberare gli ostaggi pesò molto l’ordine di sgomberare che
i tedeschi ricevettero per opportunità: temevano un’imboscata da parte
di militari italiani e alleati, com’era accaduto qualche giorno prima,
quando si scontrarono con un’autopattuglia di canadesi e bersaglieri italiani
inviati da Bari dal generale Bellomo. Questi - aggiunge il professore
- sono miei ricordi, che coincidono con quelli che mi raccontò Salvatore
Gagliardi, poi dirigente del Pci. E sull’impegno di Giuseppe Pappolla
in quei giorni concordano i giudizi e i ricordi che mio padre, antifascista,
mi esprimeva in quel tempo, sconcertato per lo scarso rilievo dato alla
sua opera rispetto a quella dell’arcivescovo».
Come suggerisce il nipote, forse
oggi sarebbe il caso di trovare anche per quel vecchio podestà «una piazza
o una via più degna del vicolo che gli è attualmente dedicato».
Marco
Brando
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