VITO
ANTONIO LEUZZI |
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Un Gigante pugliese della Resistenza ucciso nella Risiera
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Antonio
Vincenzo Gigante fu fra le quattromila vittime dell’unico campo di annientamento nazista in Italia, nei pressi di Trieste. Una figura di combattente perla libertà elogiato da Marchesi e Terracini. Medaglia d’oro al valore militare, si formò «alla scuola del carcere»
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Tra il cospicuo materiale documentario che
costella il «Il treno della memoria» - l'iniziativa di diverse istituzioni della
Regione Puglia per ricordare il genocidio degli
ebrei e lo sterminio di oppositori politici,
zingari, omosessuali, testimoni di Geova - balza
all'attenzione lo spazio dedicato alle vittime
pugliesi della deportazione ed in particolare
alla figura di Antonio Gigante, operaio ed
organizzatore sindacale, originario di Brindisi,
finito nell'unico campo di annientamento
esistente in Italia,
la
Risiera
di San Sabba (Trieste), dove furono circa 4000
le vittime dei nazisti, fra ebrei, slavi e
oppositori politici. La sua storia di vita è
attentamente ricostruita anche in un
recentissimo volume di Vittorio Stamerra,
Antonio Maglio e Patrizia Miano, Antonio
Vincenzo Gigante detto Ugo, un eroe pugliese
(Hobos ed., Brindisi 2006).
Sulla figura di
questo di questo irriducibile combattente per la
libertà avevano richiamato l'attenzione nel
1952 Concetto Marchesi, che dettò l'epigrafe
voluta dal Comune di Brindisi, e dieci anni dopo
Umberto Terracini che ne aveva tracciato, in
occasione del conferimento della medaglia d'oro
al valore militare, un breve profilo biografico.
La sua vita politico-sindacale, prima come
militante socialista e poi comunista, ha molti
tratti in comune con quella di Giuseppe Di
Vittorio, al quale era legato da un intimo
sodalizio. Di umili origini, Gigante è un
autodidatta che si forma «alla scuola del
carcere». Fu costretto a lasciare Brindisi nel
1922 per trasferirsi a Roma, dopo essere stato
protagonista, nella sua città natale delle
lotte antimilitariste del 1919 (scioperi contro
l'invio di soldati in Libia). S'impose come uno
dei più attivi esponenti dell'emigrazione
politica (a Mosca, a Parigi e Basilea) e della
organizzazione della CGL e del partito
comunista clandestini. Inviato in Italia nel
1933 fu arrestato e condannato a venti anni di
carcere. Assieme a Gigante furono condannati,
dal Tribunale Speciale, molti antifascisti della
provincia di Brindisi e in particolare un folto
gruppo di comunisti e socialisti di Ceglie
Messapica. Dopo la scarcerazione venne inviato
al confino ad Ustica e poi nel campo di
concentramento di Anghiari (Arezzo) dove fu
sottoposto ad una strettissima vigilanza.
Caduto
il fascismo, Gigante definito «oppositore
irriducibile» dal responsabile del campo di
concentramento della città toscana, non fu
scarcerato e condivise la sorte di molti
internati sloveni, croati e montenegrini tra cui
diversi ebrei che, dopo l'8 settembre, non
potendo attraversare le linee e mettersi in
salvo al Sud, assunsero la decisione di
combattere il nazifascismo nella difficile realtà
delle zone di confine tra l'Italia e
la Jugoslavia. L'antifascista
brindisino divenne tra il 1943 ed il 1944 il
principale organizzatore della resistenza nella
Venezia Giulia e convinto sostenitore
dell'autonomia organizzativa e politica dei
comunisti e del Cln di Trieste, opponendosi alla
fusione con le strutture organizzative dei
comunisti sloveni.
Una testimonianza di Giorgio
Amendola, contenuta nelle Lettere a Milano
(Roma, 1973) può far comprendere questa
difficile fase dell'impegno di Gigante. Amendola,
dirigente del Pci Alta Italia, si oppose al
trasferimento di Gigante ad Udine non
approvandone lo spostamento né la resa della
città. L'antifascista brindisino rimase al suo
posto, ma nel novembre 1944 fu arrestato.
Torturato, finì nella Risiera. Gli autori di
questa ben documentata ricostruzione
politico-biografica sollevano inquietanti
interrogativi sulla delazione che determinò il
suo arresto e più in generale sulla nuova
situazione politica che si apriva nelle
relazioni tra i comunisti italiani e quelli
della Jugoslavia di Tito. L'autonomia di
giudizio di Gigante anche rispetto alle scelte
dei comunisti sloveni è uno degli elementi di
rilievo che non era stato sufficientemente
evidenziato. Il ritardo con cui venne istruito
il processo della Risiera di San Sabba e la sua
conclusione, limitato solo alle «vittime
innocenti» e non agli omicidi nei confronti dei
resistenti, non ha consentito di approfondire le
complesse implicazioni ideologico-politiche
relative alle vicende di Gigante ed al suo ruolo
nell'organizzazione della Resistenza a Trieste e
nella Venezia-Giulia. Tuttavia non è
trascurabile l'importanza di quel processo, al
di là dei risultati, perché ha permesso di
acquisire una importante documentazione
sull'universo concentrazionario della Risiera.
In quest'ambito le parole di Simon Wiesental
(scomparso recentemente dopo aver impegnato
tutta la sua vita per la ricerca dei criminali
nazisti, tra cui i responsabili del campo di
annientamento triestino) appaiono molto
significative: «Non è solo un'esigenza di
giustizia, ma anche un problema educativo. Tutti
devono sapere che delitti come questi non cadono
sul fondo della memoria, non vengono prescritti.
Chiunque pensasse ad un nuovo fascismo deve
sapere che, alla fine, sarà sempre la giustizia
a vincere. Anche se i mulini della giustizia
macinano lentamente».
Vito
Antonio Leuzzi
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