Da tempo mi riprometto di sollevare l'attenzione del pubblico su
una classe di Beni culturali e ambientali che connota la nostra regione, e in
particolare la Terra di Bari, in modo esclusivo. Intendo quei Centri storici
che, a vederli dall'aereo, sembravano ancora vent'anni fa tanti
mucchietti di sassi bianchi, tanti, disseminati lungo la costa o sulle
ondulazioni della fascia premurgiana sino a raggiungere l'Alta Murgia. Da
quei nuclei partivano le sottili raggiere di fili di ragno delle strade che
collegavano i mucchietti di sassi tra loro e con altri sassolini sparsi sul terreno: masserie, ville, antichi casali. Un insieme veramente unico al
mondo. Poi, anno dopo anno, dai sottili fili di ragno si sono sviluppate
enormi ragnatele che hanno inghiottito tutto, dilagando fino a
raggiungere e scavalcare le grandi arterie di comunicazione.
Abbandonando il punto di vista degli uccelli caro anche agli urbanisti per un approccio a livello più umano, chi intenda raggiungere uno o l'altro di quei centri, da qualsiasi direzione provenga, deve assoggettarsi ad
imboccare ogni volta un «tunnel degli orrori», da percorrere coi nervi tesi a captare le rare indicazioni stradali, senza alzare mai gli occhi al di sopra della fascia segnata dalle insegne dei negozi. E sperare di uscirne al più presto, se non decide di rinunciare prima di avere raggiunto la
meta.
Eppure, questo era, e potrebbe essere ancora, uno dei più rilevanti
punti di forza per un turismo di qualità: una terra che offre, sì, castelli e
cattedrali, ma inseriti ancora in un contesto urbano e ambientale che conferisce a quelle emergenze monumentali il massimo del loro senso: riferimenti spaziali, dimensione del quotidiano dal quale l'evento eccezionale si distacca improvviso, tessuto umano e sociale capace ancora di produrre odori, suoni, gesti, silenzi che accompagnano come
una colonna sonora - e perché no, olfattiva - le percezioni visive. Ma al centro storico si può chiedere di più, perché di più è in grado di offrire. Una pausa nel ritmo dissennato che la vita ormai impone a tutti, la possibilità di sedersi a un caffè, di conversare con gli altri, amici o
sconosciuti, a un livello di voce naturale. Il gusto di guardarsi attorno
mentre i passi risuonano sulle basole - dove ci sono ancora -
di respirare l'aria del mare o della campagna vicina mentre al tramonto le
pietre delle pareti e quelle rese lucide dai passi, da bianche si fanno rosate, luminescenti come in nessun altro posto che io conosca.
è
quello che si prova a Conversano, dove il centro arroccato attorno al Castello è tutto amorevolmente abitato; a Polignano, con le case che
voltano le spalle al mare, strette in un abbraccio che le difende dai venti freddi e le mantiene fresche anche sotto il sole rovente. E poi a Ostuni, a Cisternino, a Martina, dove ho sperimentato felicemente l'ospitalità in piccoli appartamenti ricavati con molto garbo nelle case stesse del centro. Succede anche nella piccolissima Giovinazzo; e a Trani, celebrata per una cattedrale che vede esaltato il suo valore dall'essere sospesa tra la scogliera e il porto, con gli speroni che lo chiudono e i palazzi affacciati sul ciglio; ma è stretta alle spalle da una
ragnatela in continua espansione che tende a congiungersi con quelle
che soffocano i centri vicini, Molfetta, Terlizzi, Bisceglie.
Vorrei
indugiare su questo argomento che mi è particolarmente caro fornendo altri esempi, non sempre di segno positivo. Ma a parte i malumori che scatenerebbero le inevitabili omissioni, prima vorrei avere il tempo di ripercorrere gli itinerari tracciati dai fili di ragno per rivisitare tanti luoghi amati che forse, nel frattempo, sono cambiati. E di quanto appreso, informare adeguatamente le agenzie turistiche, che non si limitino a offrire pacchetti viziati da mancanza di aggiornamento, pigrizie mentali, luoghi comuni e pressioni clientelari... Ma intanto nuove
inattese emergenze incombono sulle stesse città reclamando
attenzione.
Abbiamo detto che anche per quanto riguarda gli antichi abitati la nostra regione costituisce un caso eccezionale. Altrove, e non solo in Italia, situazioni analoghe sono rarissime e limitate a centri di limitate
dimensioni, per lo più nelle zone appenniniche e prealpine. In tutte le grandi città la attuazione delle cosiddette zone di rispetto ha da tempo isolato le emergenze monumentali privandole del rapporto con il tessuto urbano originario: trasformato, questo, a più riprese e reso a sua volta monumentale per adeguarlo alle funzioni di cuore delle rispettive città. Da noi, si è scelta un'altra via.
Tra il Cinquecento e l'Ottocento, accanto ai centri urbani cosiddetti «medievali», frutto in realtà di una lenta stratificazione durata secoli, all'interno di uno stesso perimetro
delimitato da una o più cinte murarie, si sono fondati e realizzati
altrettanti «borghi», per lo più con impianto a scacchiera, programmati come estensione delle primitive città. E a fungere da cerniere tra i due blocchi, piazze con giardini e fontane, e ville comunali, quali le antiche città non avevano mai avuto, in risposta alle esigenze di una diversa società prevalentemente borghese che le ha affollate con entusiasmo. Città antica e borgo vennero pertanto a formare una nuova unità nella quale il rapporto tra le due anime era altrettanto stretto e significativo quale era stato un tempo quello tra le emergenze e l'abitato.
è
una situazione ben nota agli storici, ma non altrettanto alla maggior parte dei cittadini, che vive la città in una dimensione limitata da strade e negozi, senza alzare quasi mai lo sguardo al di là della fascia luminosa delle insegne, o con gli occhi fissi sui fanalini rossi delle macchine che li precedono e sulla porzione di asfalto che entra nella visuale dei
parabrezza. Nasce così la tentazione di rimodellare la città a misura non
di cittadino ma di automobilista, nella quale le piazze e i giardini si
trasformino in voragini capaci di inghiottire oggi alberi e isole pedonali,
domani migliaia di macchine da rivomitare con scansione periodica sulle
strade. Come è stato per la rimozione delle chianche, evitata solo dove
l'opinione pubblica era più sensibile e attenta nei confronti del proprio
patrimonio storico e urbanistico, il fenomeno rischia di dilagare di città
in città, come un contagio che per essere fermato richiede prima di
tutto la partecipazione attiva dei destinatari, i cittadini. Ma di cittadini
correttamente informati di ciò che li aspetta, e di quanto ne possono
guadagnare ma anche, e soprattutto, perdere
irrimediabilmente.
Questo è quanto, in coscienza, mi è sembrato giusto, e urgente, comunicare prima che inizi il diluvio. Ma tant'è, nessuno può difendere una casa a dispetto di chi la abita. Dei bei centri storici di Puglia e di ciò che ancora li circonda, per quello che ne rimarrà, potremo riparlare un'altra
volta.
Pina
Belli D'Elia
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