Pina
Belli D'Elia
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Aiuto, abbiamo perso l'arte del Medioevo
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Discipline «sparite» nell'Università
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Mentre a Bari si celebrano i cinquant'anni della Facoltà di Scienze
della Formazione, una facoltà alla quale spetta - tra l'altro - il
compito di formare i futuri insegnanti della scuola primaria, a
guastare la festa è arrivata dal ministero della Pubblica istruzione
la nuova bozza di programma di riforma del corso di studi. E da quel
programma la disciplina di Storia dell'Arte medievale è sparita.
Respinta già dalle Scienze della Formazione e poi sempre più stretta
nell'angoletto dell'ultimo semestre dell'ultimo anno della Formazione
primaria.
Allora ditelo, che ce l'avete col Medioevo! Forse perché
qualcuno, a Roma o a Milano, è ancora convinto, come certi studenti
il primo giorno del corso, che il Medioevo sia un posto buio dove si
inciampava a ogni passo? O forse perché si pensa che le opere d'arte
medievali siano più vecchie e polverose di quelle del periodo
moderno - lo dice la parola! - e chi insegna Storia dell'Arte
medievale sia un «artista» (sic!) decisamente sorpassato, che
rallenta la marcia verso l'Europa tecnologica alla quale la scuola,
anche quella primaria, deve preparare le nuove generazioni? Insegno
Storia dell'Arte medievale, ma non parlo per interesse personale.
Per ora, nessuno mi caccia, anche perché me ne andrò prima, con le
mie gambe, in pensione. E di insegnare «medievale» anziché «moderna»
l'ho scelto spontaneamente. E l'ho scelto perché mi trovavo qui,
al Sud, in Puglia, in Terra di Bari, dove ogni giorno, negli studi come
nella vita quotidiana, non puoi fare a meno di fare i conti non col
Medioevo, per carità, che non è mai esistito se non come categoria
storiografica, e che è finito, cancellato come ogni altro passato,
se non ne conserviamo la memoria. Devi fare i conti con i segni che
ci sono stati lasciati in eredità, insieme con tutti gli altri segni
della storia, tangibili ma sovrapposti gli uni agli altri, che è in
nostro potere rendere vivi e presenti, come è presente tutto ciò di
cui ci appropriamo con la lettura, con la percezione attiva, con la
conoscenza. Oppure li possiamo lasciar cadere nella indifferenza,
nell'abbandono, nella negazione di significato. Come è già accaduto
e potrebbe accadere ancora.
Il modesto fine dello storico dell'arte
è di offrire a molti, se non a tutti, le chiavi per leggere e
interpretare quei segni. Il suo compito, se è anche docente, è
quello di fornire gli strumenti ai più giovani, anche ai futuri
insegnanti di scuola primaria, per la indispensabile
alfabetizzazione nei confronti del linguaggio degli oggetti e delle
immagini, che li metta in grado di leggere da soli, senza
interprete, quanto di significante è disseminato sul territorio o
stratificato all'interno dei centri urbani e degli edifici
monumentali. Perché non scivoli davanti ai loro occhi indifferenti,
ma giunga a captarne la attenzione: il meccanismo indispensabile
perché qualsiasi messaggio possa essere captato. Il fenomeno è
analogo per i segni che rivengono dalla esperienza quotidiana o per
quelli, privilegiati per la quantità di informazioni che possono
trasmettere a chi le sappia cogliere, che chiamiamo opere d'arte, in
qualsiasi epoca prodotte e giunte sino a noi attraverso traversie e
trasformazioni. Ma tutte, ormai, nostre, per appropriazione da parte
del presente.
E allora, perché privilegiare il Medioevo? O meglio,
perché respingere proprio quelle rivenienti dal cosiddetto Medioevo?
Forse perché rimandano l'immagine di un Mezzogiorno meno depresso e
subalterno di quanto si vorrebbe oggi accreditare? Un Mezzogiorno
nel quale mancavano i Comuni come li conosciamo nel Nord, ma c'erano
le città, indocili e rissose ma capaci all'occorrenza di stringersi
attorno ai loro vescovi e di lottare anche contro i poteri dello
Stato per difendere la propria libertà. Cosa rimane, tangibilmente,
di tutto questo se non l'impronta costituita da edifici, oggetti,
immagini, che neppure l'onda montante del cemento è riuscita ancora
a cancellare, ma che rimane muta e inerte se non siamo capaci di
risvegliarla? Per farlo, è indispensabile possederne innanzitutto la
coscienza e la memoria. Ma basta abbassare la guardia, che l'una e
l'altra possono affievolirsi sino a scomparire. Lo verifico ogni
giorno nel rapporto con gli studenti. E non solo.
A metà del secolo
scorso, S. Nicola era ridotto in tali condizioni che il pavimento di
marmo poteva essere scambiato con terra battuta. La bella chiesa di
S. Leonardo presso Siponto rischiò, subito dopo l'ultima guerra, di
essere fatta saltare con le mine previo trasferimento del portale
scolpito nei musei di Berlino. La Puglia e in genere il Sud
medievale sono stati scoperti e «lanciati» da tedeschi, francesi,
assai più tardi inglesi e americani, ben prima che da italiani. Arte
medievale significa per noi Bari bizantina e poi normanna, Trani,
Troia, Castel del Monte, quando non era solo l'etichetta di un vino,
Ognissanti di Cuti a due passi da Valenzano, le piccole chiese
rurali voltate in pietra, disseminate nelle campagne tra la costa e
le Murge, alcune sopravvissute persino, ma per quanto ancora, alla
periferia di Bari.
Significa un gruppo di magistri, scultori,
progettisti, pittori, che ebbero la precoce coscienza della propria
dignità di artefici e ne lasciarono testimonianza nelle firme
apposte alle loro opere. Ma di tutti loro, l'unico menzionato a
livello nazionale è Nicola da Puglia, perché di qui mosse per
divenire Pisano e dare inizio alla scultura italiana. Non è un caso
che i libri di testo, i manuali ai quali siamo costretti a rinviare
i nostri studenti disorientati, di tutto questo riportino al massimo
qualche luogo comune, insieme a rari cenni magari anche sbagliati
sui fatti meridionali. Non meraviglia che si possano permettere di
illustrare edifici come S. Nicola di Bari, non di rado scambiato con
la cattedrale, con rilievi aggiornati al 1880. La colpa è nostra, se
non siamo in grado di ribattere alle altrui «non argomentazioni»,
con la forza di una verità che ci limitiamo ad ignorare. Ma non
adeguiamoci agli altrui comportamenti scorretti o disinformati nella
formazione dei nostri giovani.
I fatti che ci riguardano devono
confrontarsi con realtà di respiro nazionale ed europeo. Nel grande
contenitore del Medioevo, si trovano l'Italia tutta, l'Europa e il
Mediterraneo, S. Francesco di Assisi, S. Marco di Venezia, la Milano
di S. Ambrogio, Giotto e Simone accanto a Dante e Petrarca, Napoli
angioina teatro del Boccaccio. E Modena, che del suo Duomo ha fatto
una bandiera. Noi no. Noi lasciamo che qualcuno a Roma o a Milano
decida per noi ciò che è buono per la formazione dei nostri figli e
nipoti. E rientriamo così in un ruolo - vecchio ma non «medievale» -
di sudditi.
Pina
Belli D'Elia
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