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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI GENOVA
in sintesi
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«Alle spalle del Santuario si erge la torre saracena, che si dice risalente al X secolo. È un piccolo manufatto a pianta quadrata, come molte altre fortificazioni minori: l'assenza di scarpa e la pianta quadrangolare sono funzionali al tipo di armi d'offesa impiegate nel Medioevo; viceversa, l'ispessimento della base scarpata e la pianta poligonale o circolare delle opere cinquecentesche hanno rispettivamente il compito di assorbire colpi di armi pesanti e lunghi assedi, e di offrire al tiro nemico un bersaglio più sfuggente. La muratura è di pietra e mattoni, quindi non molto robusta. La torre si articola su due piani con terrazza di copertura, in anni recenti soprelevata e trasformata in veranda; risulta infatti che, anche se oggi in stato di abbandono, il manufatto sia stato in passato adibito ad abitazione privata. All'altezza del parapetto originario, di cui sopravvivono pochi resti, sono rimasti i beccatelli di appoggio delle antiche caditoie che, rispetto ad altre torri saracene, presentano la peculiarità di partire dallo spigolo di ciascuna facciata. L'accesso, come di consueto soprelevato rispetto al piano di campagna originario, si trova a ponente. Le attuali finestre sono evidentemente di epoca moderna».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/torre_arenzano.htm (a cura di Paola Presciuttini, 20 giugno 2005)
Arenzano (villa Negrotto-Cambiaso)
«La villa Negrotto-Cambiaso è oggi sede comunale. Il primo edificio della villa, secondo la tradizione, risalirebbe al 1255. Nella seconda metà del sec. XVI il marchese Tobia Pallavicino acquistò l'antico castello e fece edificare sull'area circostante una villa, così l'antica costruzione divenne parte integrante del nuovo edificio. Sul finire del secolo scorso, la marchesa Sauli Pallavicino decise di rinnovare la villa, seguendo la moda ed il gusto del tempo. All'edificio fu conferito l'aspetto di un castello medievale circondato da un vasto giardino all'inglese, con ampi prati, percorsi sinuosi disposti in modo da creare diverse ambientazioni con chioschi, grotte giochi d'acqua, ruscelli e cascate. L'ampio parco è ricco di cipressi tassi, pini canfore e cedri del Libano. Vi è inoltre la serra monumentale costruita intorno agli anni '30, in vetro e ferro battuto».
http://www.comune.arenzano.ge.it/il-paese/arenzano-da-vedere.htm
«Nel 641 Bogliasco fu devastata da Rotari e in quel periodo fu eretto un castello sul piccolo promontorio che chiude a ponente la marina; fu poi soggetta alle incursioni barbaresche, come tutti i paesi della costa ligure. Nel XII secolo entrò a far parte della Repubblica di Genova, di cui condivise le vicende; nel 1432 subì il saccheggio dei Veneziani; durante le guerre napoleoniche fu teatro di scontri tra Francesi e Austriaci. Il castello, di cui non si sono trovate descrizioni né iconografia, fu restaurato nel 1700. Oggi diventato un elegante condominio, la sua antica fisionomia è irriconoscibile se non per pochi particolari: residui di rocce del primitivo promontorio, che fuoriescono incongruamente dalla muratura; l'andamento a scarpa pronunciata e possente del suo basamento; tracce dell'arcone di ingresso sulla parete meridionale, in origine soprelevato rispetto al livello del mare; una torretta residua all'altezza dell'antico coronamento; la pianta poligonale irregolare dell'edificio».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/torre_bogliasco.htm
BOLZANETO (castello Pastorino)
«Il Castello di Bolzaneto, in origine fortilizio militare, si trova sulla piccola altura di Montebello, a poca distanza dal casello autostradale di Bolzaneto. Più volte distrutto, ricostruito e rimaneggiato, divenne nell'Ottocento un'elegante residenza signorile, ed è attualmente utilizzato come struttura sanitaria. Oggi, dopo la bonifica delle Bratte, la creazione delle attuali aree urbane e la costruzione di strade e capannoni, è difficile cogliere l'importanza strategica che ebbe in passato quella rocca, costruita su uno sperone roccioso ai piedi della collina di Brasile e affacciata a strapiombo sull’argine sinistro del Polcevera, nel luogo dove alla confluenza del Secca esisteva una vasta zona melmosa chiamata Bratte (fanghiglia in ligure), circostanze che ne facevano una postazione quasi inespugnabile ed in posizione ideale per il controllo del territorio circostante. Le origini di questo fortilizio difensivo, attorno al quale si è sviluppato il borgo di Bolzaneto, potrebbero risalire agli inizi del XIV secolo quando fu costruito, insieme ad altre rocche fortificate oggi scomparse (Pontedecimo e Sant'Olcese) per volontà della famiglia Adorno, che aveva a quel tempo notevoli interessi in Val Polcevera. Distrutto tra il 1336 e il 1337, negli scontri tra fazioni guelfe e ghibelline, fu ricostruito dalla Repubblica di Genova nel 1380, per iniziativa del doge Nicolò Guarco, come presidio a difesa dalle armate germaniche che scendendo per la Val Polcevera avrebbero potuto minacciare Genova. Con questa ricostruzione assunse la struttura che, sia pure dopo vari rimaneggiamenti, ancora oggi vediamo, a forma quadrata con torrione centrale e quattro torri più piccole agli angoli. Nei primi decenni del Quattrocento ospitò per un breve periodo la sede del podestà (governatore) della valle di Polcevera. Nel 1435, durante la guerra tra la Repubblica di Genova e il Ducato di Milano, appoggiato dalla fazione ghibellina, cadde nelle mani delle truppe di Filippo Maria Visconti, che si arresero alla fine di quello stesso anno, quando una sollevazione popolare cacciò i Visconti da Genova. Dopo quelle vicende il fortilizio non si è più trovato al centro di fatti d'armi di un certo rilievo; durante le vicende belliche del 1746-1747 ed ancora nel 1800 fu occupato dalle truppe austriache, ma non si ha notizia del suo coinvolgimento in scontri armati. Rimasto per molto tempo abbandonato a sé stesso, agli inizi del XX secolo, dismesso come presidio militare, fu acquistato dalla famiglia Pastorino e trasformato prima in villa di campagna con parco all'inglese, poi, per volontà di Carlo Pastorino, in ospedale, attivo fino agli anni ottanta del Novecento. Attualmente ospita una residenza per anziani ed un hospice per malati terminali, intitolato a Gigi Ghirotti».
http://it.wikipedia.org/wiki/Bolzaneto#Castello_di_Bolzaneto
Borgo Fornari (castello degli Spinola)
a cura di Antonella Pasquale
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Non si conosce l'esatta data di costruzione del castello poiché non state trovate dagli storici locali fonti attendibili o antecedenti al 1192, anno della prima citazione ufficiale del borgo di Busalla. Le prime informazioni storiche sul castello risalgono all'aprile del 1242 quando i soldati genovesi attaccarono i feudi della valle Scrivia controllati dalla famiglia nobiliare degli Spinola. Secondo il racconto storico i Genovesi riuscirono ad espugnare il borgo di Busalla e il suo castello, ma Guglielmo Spinola riuscì a fuggire proprio da un passaggio segreto del maniero prima che venisse distrutto dalle truppe del capoluogo ligure. Nel frattempo la popolazione, rimasta inerme dall'improvviso attacco di Genova, subì i numerosi saccheggi e distruzioni. La Repubblica di Genova attaccò nuovamente la valle del torrente Scrivia nel 1310 alla ricerca del signorotto locale Opizzino Spinola; il borgo e il castello furono completamente rasi al suolo dai soldati della repubblica. Cinque anni dopo (1315) si registrò il terzo attacco genovese che distrusse nuovamente la fortezza precedentemente riedificata. Nel 1321 Busalla fu occupata dal Ducato di Milano per ripicca contro la repubblica genovese e anche i Milanesi distrussero per l'ennesima volta il castello. In una mappa del XV secolo del castello non vi fu traccia facendo presupporre agli storici che la popolazione, stufa dei continui assalti anche nei secoli successivi, decise di non erigere più il maniero. Al suo posto fu eretto il palazzo marchionale e dei precedenti corridoi-segrete che collegavano il castello a diversi punti del borgo furono ridotti in macerie. Con il passare degli anni il palazzo cadde in una lenta rovina, devastato tra l'altro anche dall'attacco dell'esercito austriaco del XVIII secolo contro la Repubblica di Genova. In una documentazione anonima della prima metà del XIX secolo viene segnalata la vendita dei terreni adiacenti il palazzo ad un mulattiere locale e la non abitabilità dello stesso stabile. Per ridurre l'ormai vistoso degrado furono fatti alcuni restauri, ma l'opera non fu mai ultimata e anche la torre venne distrutta in epoca non definita».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Busalla
Camogli (castello della Dragonara)
a cura di Antonella Pasquale
CAMPO LIGURE (castello degli Spinola)
«Dall'alto della collina il castello domina Campoligure, circondato da prati e abeti e coronato dalle montagne ricche di boschi di castagni. Vi si accede dal paese, centro importante per le sue industrie e commerci già dal Medioevo. La fortificazione fu eretta a controllo di diverse vie che mettevano in comunicazione il Genovesato con il Monferrato. Ancora oggi Campoligure è al crocevia di diverse strade ed è facilmente raggiungibile tramite la Statale del Turchino, l'autostrada A26 Genova-Alessandria e la ferrovia. La data di fondazione è incerta: alcuni studiosi la fanno risalire all'epoca romana, altri al IX secolo, ma in realtà il castello sembra una costruzione tardomedievale. Agli inizi del Trecento la famiglia genovese degli Spinola ottenne il borgo in feudo, mentre i vicini centri di Rossiglione e Masone rimasero alla Repubblica di Genova. II castello divenne il simbolo indiscusso della famiglia, che temporaneamente vi abitava. La difesa e il controllo del paese, delle valli e delle vie di comunicazione era affidato a pochi soldati. La fortezza subì diverse ristrutturazioni e ampliamenti, tra cui l'aggiunta di una cinta muraria pentagonale, probabilmente nel Cinquecento. Diversi passaggi sotterranei e aerei collegavano il castello al borgo. L'incendio del Seicento, che interessò tutto il borgo, risparmiò forse il castello, che venne, però, utilizzato più tardi dagli stessi Spinola come cava di materiale da costruzione per il nuovo palazzo marchionale. Le devastazioni subite ad opera dei soldati napoleonici all'inizio dell'Ottocento portarono all'abbandono del castello, che venne ancora utilizzato da soldati tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Divenuto proprietà comunale nel 1986, il castello è stato recentemente restaurato con il contributo della Provincia di Genova. Di grande interesse architettonico, il castello costituisce un esempio unico nel suo genere in valle Stura. La torre, alta più di ventidue metri, è la parte più antica e presenta un diametro di quasi sei metri. La muratura è in ciottoli fluviali, pietre e mattoni disposti secondo una linea elicoidale. Grossi conci squadrati e bugnati si ritrovano, invece, negli spigoli esterni della cinta muraria esagonale, che racchiude la torre. All'interno della cinta adibita ad abitazione è stato scoperto un forno da pane. Il recinto esterno è a forma pentagonale con torri su tre vertici di sei metri di diametro, di cui una in stato di rovina e le altre rimaneggiate. Il recente restauro, pur conservando gli antichi elementi, ha reso possibile l'utilizzazione della torre e del corpo esagonale. Questi ambienti sono adibiti a esposizioni e riunioni, mentre nello spazio racchiuso dalla cinta pentagonale vengono eseguiti concerti e spettacoli all'aperto. Dal castello, e ancor più dalla cima della torre, si gode una magnifica vista del paese e delle tre valli, Stura, Ponzema e Langassino».
http://digilander.libero.it/GenovaPerNoi/campoligure.html
«è una tipica villa suburbana. La nobiltà genovese, arricchitasi nei secoli con i traffici, nel '500 e nel '600 cominciò a tutelarsi dall'instabilità dei cambi con investimenti più stabili nell'entroterra: le ville sorsero per questa esigenza. La costruzione del palazzo, avvenuta tra il 1590 e il 1595 ad opera del marchese Costantino Pinelli, coincise con lo sviluppo di Campomorone come centro più importante della valle. L'edificio ha pianta a rettangolo irregolare. Al piano terreno si trovano ambienti a volta e un ampio scalone centrale per raggiungere il piano nobile, dal quale si accedeva a un vasto giardino retrostante. Nel XVII secolo il palazzo passò al marchese Giacomo Antonio Balbi. Nel 1777 il marchese, quale nuovo proprietario, fece costruire un edificio (l'attuale "Cabanun") che nella parte inferiore accoglieva fontane, giochi d'acqua e piccole grotte, mentre la parte superiore era adibita a deposito per il grano e i foraggi. Nel 1815 èapa Pio VII soggiornò nel palazzo e impartì la benedizione al popolo dalla finestra più ampia: l'avvenimento è ricordato da una lapide murata sull'ingresso nel 1923. Successivamente il palazzo passò alla famiglia degli Spinola e quindi a Luigi Dellepiane, nativo di Campomorone, che nel 1942 ne fece una casa di riposo. Nel 1961 il palazzo e il terreno adiacente furono acquistati dal Comune, che ne fece la propria sede».
http://www.comune.campomorone.ge.it/fpdb/pdf/Palazzo%20Balbi.pdf
a cura di Antonella Pasquale
«Il castello di Chiavari è un edificio difensivo sito in salita al Castello a Chiavari, nel Tigullio in provincia di Genova. Il castello fu costruito tra il 1146 e il 1147, uno dei primi eretti nella zona geografica del Golfo del Tigullio, sul colle dominante l'allora cittadella fortificata del borgo marinaro di Clavari, l'odierna Chiavari, a difesa di essa e della valle circostante. Nel 1172 subì il suo primo assedio da parte di Opizzino Spinola, mentre nel 1278 si registrò la caduta del castello - per soli otto giorni - nelle mani di Moruello Malaspina e Alberto Fieschi, alleati nella conquista del maniero. Nella prima metà del XIV secolo dovette essere più volte ricostruito a causa delle violente lotte tra le fazioni guelfe e ghibelline; in questo secolo il borgo fu ulteriormente fortificato grazie alla presenza di una possente cinta muraria accessibile mediante sette porte e difese da ben quattordici torrette di avvistamento. Ancora oggi sono ben visibili i resti delle antiche mura costituenti l'antica "Cittadella di Chiavari" del Medioevo. La fine del castello fu decisa direttamente dalla Repubblica di Genova, la quale avviò un notevole potenziamento e ampliamento della cittadella medievale adiacente il mare, scoraggiando così eventuali attacchi via mare da parte dei pirati barbareschi. La costruzione fu decisa dal maresciallo di Francia Jean Le Meingre - detto Boucicault - luogotenente e governatore della repubblica genovese per l'imperatore Carlo IV di Francia, nel 1404 e il progetto fu affidato al chiavarese Martino della Torre. Il castello, non più usato a scopo difensivo, fu lentamente abbandonato a se stesso e demolito nelle sue parti a partire dal 1575 e ad oggi conserva intatto il torrione a monte e sul lato opposto una piazza d'armi fortificata; della cinta muraria eretta fino alla cittadella rimangono solo alcune tracce lungo il percorso. Sono invece ancora ben visibili le due cisterne d'acqua di fronte al torrione utili per garantire la sopravvivenza in caso di assedi».
http://www.mybestliguria.com/it/place/158/chiavari/castelli/castello-di-chiavari.html
«è il museo più importante della città. Già il contenitore rappresenta un elemento d'interesse, perché Palazzo Rocca Costaguta è un tesoro d'architettura: una dimora storica divenuta patrimonio del Comune di Chiavari all'inizio del Novecento. Il palazzo venne costruito a partire dal 1626 su commissione del marchese Achille Costaguta che diede l'incarico ufficiale all'architetto Bartolomeo Bianco. Venne poi acquistato dai Grimaldi, dai Pallavicini, e infine nel 1903 da Giuseppe Rocca, che si occuperà di farlo ristrutturare e ammodernare, annettendogli anche il parco botanico tuttora esistente. Rocca lo lasciò poi ai suoi concittadini. Il piano nobile dell'edificio, adibito a Galleria Civica, presenta un insieme di oggetti d'arte, di artigianato locale e parati tessili significativi e caratteristici del gusto dell'abitare degli inizi del XX secolo. La Quadreria del palazzo è, invece, quasi interamente seicentesca, con tele di scuola genovese e fiamminga, con artisti come Orazio De Ferrari, Jan Roos e Domenico Piola. Il barocco è presente con alcuni grandi nomi che frequentarono la Repubblica di Genova e lavorarono per le più importanti famiglie: Strozzi, Valerio Castello, il Grechetto. Il Museo vanta un considerevole numero di “chiavarine”, le celebri sedie di Chiavari. Un piano del palazzo è dedicato a mostre temporanee».
http://www.provincia.genova.it/portal/page/categoryItem?contentId=76102
«Il Castello sorgeva in fondo alla strada di Cornigliano, sul territorio che dalla "Fossa a Calcinara", arrivava poco oltre l'antico scoglio di Sant'Andrea, luogo conosciuto come "Deserto", roccioso, brullo, nero e dirupato. Le prime notizie su questa singolare località risalgono al 1131, anno in cui un certo monaco Alberto si trasferì alla Badia di Sant'Andrea: il detto "Sant'Andrea predica al deserto" potrebbe significare che le sue parole cadevano nel vuoto, ma potrebbe invece riferirsi proprio al luogo dove egli aveva il suo romito. Non essendoci la strada costiera, il convento era raggiungibile solo mediante un sentiero: documenti dei secoli successivi accennano alla necessità di assicurare la viabilità e di sviluppare la litoranea. Alla fine del 1772 l'ingegnere militare Giacomo Brusco ricevette l'incarico di migliorare il tratto di strada antistante lo scoglio di Sant'Andrea. Già da tempo il Deserto era in mano ai briganti, il cui capo - un certo Gabbaia - fu alla fine catturato e condannato a morte: fino all'inizio del Novecento esisteva ancora, su uno sperone di roccia in prossimità dello scoglio di Sant'Andrea, un cippo di marmo che indicava il punto dove il bandito era stato decapitato. ... Lo scoglio di Sant'Andrea era collegato al Deserto mediante un ponte ma, con il progressivo insabbiamento dovuto ai detriti trasportati dai locali corsi d'acqua, nel primo Ottocento era già unito alla terraferma, sovrastato dal secentesco fortilizio costruito dal Governo della Repubblica ad uso di polveriera. Dopo il 1860 il fortino fu occupato da un piccolo distaccamento di soldati di Marina e fu poi abbandonato. Nel 1879 il Demanio mise in vendita il comprensorio, che fu acquistato da Edilio Raggio, il quale affidò all'architetto Luigi Rovelli, cavaliere al merito dell'Accademia di Belle Arti per Ornato ed Architettura, il compito di edificare il Castello. ...
Per la costruzione del Castello non si badò a spese: il costo complessivo dell'opera ammontò all'incredibile cifra (per quei tempi!) di 660.000 lire. L'edificio era composto da un elemento parallelepipedo, ad uso abitativo, e dalla torre a pianta quadrangolare, saldati insieme mediante un corpo che si prolungava a 90° dall'elemento principale. L'accentuato verticalismo, sottolineato da alte bucature a sesto acuto, lo rendevano simile nell'aspetto al famoso Castello Miramar che Massimiliano d'Asburgo aveva fatto costruire verso il 1855 sulla Punta di Grignano, nella riviera triestina. Ad ovest del corpo principale svariate aperture immettevano alle scuderie, al giardino e al piccolo orticello. Dalla parte opposta partiva una galleria, i cui archi erano sostenuti da una fila di colonnette, da cui si ammiravano il mare e la costa fino alla Lanterna di Genova. Internamente il Castello si divideva in quattro piani: il terreno, il piano nobile, la zona notte con le camere da letto e i mezzanini. Il pian terreno svolgeva funzioni di rappresentanza, con l'ampio atrio illuminato da una vasca circolare di cristallo inserita nel soffitto, colma d'acqua e di pesci; tutt'intorno archi, sostenuti da colonnette di bardiglio, mentre lungo le pareti si alternavano arabeschi, fregi e stemmi. La residenza fu attivamente frequentata da illustri personalità, fra cui re Umberto e la regina Margherita, la contessa Fiammetta Doria, il duca di Galliera, il principe di Napoli, il conte di Torino, il presidente del Consiglio Giolitti. Purtroppo, il 22 ottobre 1906 Edilio Raggio morì e con la sua scomparsa si concluse un epoca ricca di intensi traffici commerciali e importanti alleanze politiche. ... La magnificenza e lo sfarzo del Castello andarono incontro ad un destino alquanto triste dopo la II Guerra Mondiale: la crisi socio-economica conseguente al conflitto si riflesse anche sullo stupendo edificio - che fino ad un trentennio prima era stato un ambito polo di attrazione per nobili e politici - e il castello fu abbandonato e lasciato in balia di balordi e disperati. Nel 1951 fu abbattuto e nell'area sorse l'attuale aeroporto, inaugurato circa dieci anni dopo».
http://www.sullacrestadellonda.it/toponomastica/castello_raggio.htm (a cura di Paola Presciuttini, 2004)
Crocefieschi (ruderi del castello)
«I primi dati sicuri sul borgo si hanno intorno al 1000, con la costruzione del castello, sulla sommità del monte Castello, ad opera dei vescovi di Tortona. Nel 1140 il borgo diviene feudo dei marchesi di Gavi, fino al 1198. In seguito, il 30 aprile 1198 papa Innocenzo III riconferma il possesso di croce, Savignone e Montoggio alla chiesa tortonese. Nello stesso secolo, Federico Barabarossa, per punire Tortona che lo aveva osteggiato nella sua campagna in Italia, concede il castello e paese di Croce ai Malaspina. Agli inizi del 1200, dopo la riconciliazione di Tortona con l'imperatore, il borgo ritorna in possesso del marchese di Gavi, Guglielmo, per poi cederlo al Comune di Genova. Il castello, dai documenti dell'epoca, verrà distrutto e raso al suolo dalle forze genovesi nel corso di una guerra fra i primi e Tortona. ... Nonostante non vi sia quasi più traccia del castello di Crocefieschi, spesso nominato nei documenti del XII e XIII secolo, esso fu eretto dai vescovi di Tortona intorno al Mille e rinfeudato ai marchesi di Gavi, che ne cedettero i diritti al Comune di Genova. Subito fu ordinata la sua distruzione, come risulta da un trattato di pace del 1199, con l'impegno da parte genovese a non riedificarlo. Oggi si possono notare le sue fondamenta, di varia forma, sulla sommità del Monte Castello».
http://www.altavallescrivia.it/croce.htm - ...cast-croce.htm
Genova (casa di Colombo, torri di Sant'Andrea, porta Soprana)
redazionale
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il "Castelletum" è menzionato già nel X secolo. Dopo il XII secolo esso fu potenziato e trasformato in una cittadella fortificata a pianta quadrangolare, dalle robuste mura a scarpa, con quattro possenti torri ai vertici e un sistema di cortine merlate e bastioni, che scendeva alle pendici del colle. Nel tempo, il Castelletto fu sede del governatorato francese, del governo di Teodoro da Monferrato e infine degli Sforza: la fortezza fu varie volte assalita e distrutta dai Genovesi, che in essa vedevano il simbolo della dominazione straniera. La fortezza fu riedificata e ulteriormente potenziata verso la metà del Quattrocento dal doge Giano Fregoso, che ad essa restituì il suo ruolo di postazione dominante sulla città. Alla fine del Quattrocento la Francia impose il suo dominio sulla Repubblica, e il Castelletto tornò ad essere la residenza armata del crudele governatore Galeazzo di Salazar. L'insurrezione del 1507, volta a distruggere una volta ancora la fortezza, fu soffocata dall'esercito francese. Il popolo ebbe la sua rivincita nel 1528, riacquistando la libertà e abbattendo le possenti torri del Castelletto; due anni dopo ne fu deliberato il definitivo smantellamento. La riedificazione avvenne nel 1819, da parte del governo sabaudo, per tenere sotto controllo la popolazione riottosa contro l'amministrazione piemontese. La fortezza tornò dunque a rappresentare per i Genovesi il simbolo dell'occupazione straniera e, durante i moti del 1848, fu nuovamente abbattuta. Ne fu quindi deliberata la definitiva demolizione. Oggi Castelletto è uno dei quartieri più antichi e signorili di Genoa. Oltre alla panoramica spianata, molti sono gli edifici degni di menzione. In primo luogo il castello d’Albertis, che ospita il Museo delle Culture del Mondo. Notevoli sono anche il Castello Mackenzie, in stile Liberty, e Villa Piaggio, dimora storica trasformata in parco cittadino».
http://guide.travelitalia.com/it/guide/genova/castelletto
«Castello Bruzzo (in passato "villa Micheli") è una villa situata nella zona collinare di Genova (in via Piaggio, sopra la circonvallazione a monte), commissionata all'architetto Gino Coppedè nel 1904 dall'ingegner Pietro Micheli e che riprende il modello del castello Mackenzie, dello stesso architetto. La villa si trova in una zona panoramica dove vennero realizzate altre ville tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, tra i quali il villino Govi (Ingegner Canessa, 1903) ed il villino Flavia (Ingegner Tallero, 1904). Coppedè vi aveva già realizzato la villa Dellepiane, in forma di chalet e subito dopo il villino Cogliolo (1904-1905) e la villa Canepa (1906). Al progetto della villa Micheli collaborò l'ingegnere Giuseppe Predasso. Nel 1912 l'edificio fu acquistato da Lorenzo Bruzzo e venne sopraelevato. L'edificio è costituito da un blocco centrale quadrangolare in forma di castello merlato, con un'alta torre conclusa da un tetto a padiglione, al quale sono aggiunti altri corpi di fabbrica. I muri sono in bugnato di pietra grigia con inserti in mattoni e rilievi decorativi in marmo; è presente una ricca decorazione in ferro battuto (porta-torce, anelli, reggi-aste per bandiere). La loggia verso sud ha volte affrescate con le allegorie delle Quattro stagioni e i segni dello Zodiaco entro riquadri con motivi floreali stilizzati. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Bruzzo
«Castello D’Albertis domina la città di Genova affacciandosi sul porto dalla collina di Montegalletto. Ideato dal Capitano Enrico Alberto D’Albertis con il gusto del collage architettonico e del revival neogotico, è stato eretto su resti di fortificazioni cinquecentesche e tardomedievali tra il 1886 e il 1892 con la supervisione di Alfredo D’Andrade. Alla sua morte (1932) il capitano dona il castello e le sue collezioni alla città di Genova, restituendole non solo la dimora da lui stesso fantasiosamente arricchita di rimandi esotici, neogotici ed ispano-moreschi, ma anche un pezzo della storia di Genova: un bastione della cinta muraria cinquecentesca contenente i resti basamentali di una torre della precedente cinta medievale, su cui poggia la costruzione del castello stesso. Ecco come lo descrive chi lo ha visitato quando il Capitano era ancora in vita: “Più che una abitazione privata si direbbe un museo. Gli ambienti sono quasi tutti appropriati, dedicati a collezioni artistiche e scientifiche. E vi è pure una quantità enorme di ricordi personali. (…) Le collezioni artistiche e storiche occupano sale e sale: l’arredamento è di per sé stesso opera d’arte come nella superba camera da pranzo in forma di antica caminata genovese col focolare monumentale, coi fregi araldici e simbolici, con gli affreschi navali in stile arcaico. (…) Le collezioni scientifiche occupano i piani terreni. Nel grande atrio sono disposte piroghe e pagaie degli arcipelaghi australiani, accanto a colubrine e cannoncini del nostro cinquecento, e ossami giganteschi di balenottere, gusci mostruosi di tartarughe, archi e zagaglie e mazzi di freccie neozelandesi dalle punte di ossidiana. Nelle sale, oltre l’atrio, sta classificata in ordine di museo l’immensa raccolta dell’esploratore Luigi Maria D’Albertis, cugino del Capitano: il busto marmoreo, le armi personali dell’illustre viaggiatore e la bandiera che sventolò i colori italiani in un punto fin’allora inaccessibile agli europei, nella Nuova Guinea. In questi ultimi anni una quantità di cimeli di guerra, orientali e europei s’è aggiunta ed ingombra con artistico disordine i viali, le loggie e i corridoi del Castello. È meraviglioso tutto quello che ha saputo radunare in tutte le parti del mondo, ma è mirabile soprattutto lo spirito di eclettismo sicuro e signorile che lo ha guidato nelle sue raccolte. In quella massa di oggetti della provenienza e dell’indole più disparata si sente, viva, l’anima aperta a ogni sentimento di bellezza, a ogni manifestazione della scienza” (G.Pessagno, La Gazzetta di Genova, 31 gennaio 1921)».
http://www.museidigenova.it/spip.php?article49
«Il Castello Mackenzie venne costruito tra il 1893 ed il 1905 dal giovane ed allora sconosciuto architetto fiorentino Gino Coppedè su commissione dell’assicuratore di origine scozzese, ma fiorentino di adozione, Evan Mackenzie. Definito “capriccio da Re”, considerato uno dei maggiori esempi del gusto revivalistico di fine Ottocento e progettato inizialmente come una villa con torre, assunse la sua attuale connotazione in risposta alle continue sollecitazioni e variazioni che il committente richiedeva al suo progettista. Il castello venne abitato dalla famiglia Mackenzie per ventisette anni: dopo la morte di Evan avvenuta nel 1935, la figlia Isa lo vendette quattro anni dopo ad una immobiliare. Durante la seconda guerra mondiale fu occupato dapprima dall’esercito tedesco ed a seguire dalle truppe alleate mentre negli anni Cinquanta divenne sede del comando dei Carabinieri. Nel 1956 viene dichiarato monumento nazionale, un riconoscimento a quello che oggi è universalmente riconosciuto come stile Coppedè. ...».
http://www.castellomackenzie.it/Home_page.html
«Genova è stata, da sempre,
epicentro della vita politica e culturale del mediteranneo per la sua
posizione strategica. Per difendere questa posizione Genova si è
lungamente dotata di mura, torri e castelli. Della cerchia più interna
(e più antica) rimangono pochi tratti di mura, alcune porte e alcune
torri medievali. Delle "nuova mura" costruite tra il 1700 e il 1800,
invece, rimangono notevolissime testimonianze cancellate dall'espansione
della città solo nella parte a mare (in particolare con l'abbattimento
del promontorio tra la città e Sampierdarena). In questo percorso, che
lambisce e protegge la città, si trovano forti, mura, torri, polveriere
ancora in buone condizioni e in un contesto naturale bellissimo e quasi
incontaminato per una città così stretta tra il mare ed i monti come è
Genova.
Elenco dei forti: Forte Begato; Forte Belvedere; Forte
Castellaccio; Forte Crocetta; Forte Diamante; Forte Fratello Minore;
Forte Puin
; Forte Quezzi; Forte Ratti; Forte Richelieu; Forte San
Giuliano; Forte San Martino; Forte Santa Tecla; Forte Sperone
; Forte
Tenaglia.
Elenco delle torri:
Torre Granara;
Torre
Granarolo;
Torre Monticello;
Torre Quezzi;
Torre San
Bernardino;
Torre Specola.
Elenco delle porte di accesso: Porta delle Chiappe».
«Costante
necessità delle città era il proteggersi dalle invasioni
tramite cinte murarie. A Genova, lo sbocco sul mare era meta ambita da
molte potenze. L'antico nucleo cittadino è stato individuato sul
colle di Sarzano; la città si è estesa nel corso dei
secoli, insieme alle sue mura, in maggior misura verso ponente, intorno
alla spiaggia di quel golfo naturale che oggi corrisponde al porto.
Iniziò successivamente l'espansione verso monte; con il
conseguente ampliamento delle Mura, si estendeva anche il centro
abitato. Ma nel rapido espandersi, i fabbricati civili raggiunsero le
vecchie cinte, cancellandone le strutture. Gli studiosi sono discordi
nell'annoverare le varie cinte murarie: ne sono elencate cinque o
sette. Delle mura più antiche si sono perse ormai le tracce;
resistono alcuni tratti della cinta del 1155, del 1536 (vedi zona Porta
Siberia) e gran parte delle seicentesche Nuove Mura: la nostra
attenzione si ferma a queste ultime. Nel XVII secolo, nel fabbricarle,
per la prima volta la cinta non avviluppava direttamente l'abitato, ma
era costruita ad una certa distanza da esso; questo per tenere il
più possibile distante il nemico dal cuore della Piazza. La loro
realizzazione si rese necessaria allorquando, nel 1625, il duca di
Savoia, con l'aiuto dei francesi, invase il dominio di Genova
minacciando anche il centro urbano. La cinta del 1536 era ormai
obsoleta, seguiva direttamente il perimetro della Piazza: per questo
motivo si decise di sfruttare quell'anfiteatro naturale avente apice il
monte Peralto. La prima pietra delle Nuove Mura fu posta, nei pressi
della Lanterna, il 7 dicembre 1626 dal doge Giacomo Lomellini, con una
solenne cerimonia che prevedeva l'interramento di una medaglia coniata
per l'occasione. I lavori, subito interrotti, ripresero solo
nell'autunno del 1629 con misure e tracce sul terreno. L'esecuzione fu
ripartita in numerosi lotti dati a cottimo. Secondo le norme relative
alle opere, si dovevano sfruttare le forme naturali del terreno per
ottenere, dove possibile, il nuovo recinto da un taglio nella roccia.
L'Amministrazione pubblica forniva alle Imprese calce, legnami, cordame
e alcuni attrezzi da lavoro, ossia picconi, mazze, cunei, leve, zappe.
Non potevano essere utilizzate polveri da sparo. Il risultato di questo
lavoro è riscontrabile ancora oggi: in alcuni punti, dove
affiora la viva roccia nella scarpa delle Mura, si riconoscono i segni
delle scalpellate. A causa dell'imponenza ed importanza dei lavori,
ogni altra opera passò in secondo piano; inoltre, data l'urgenza
di completare il complesso nel minor tempo possibile, "li fabbri et
operari" potevano lavorare anche nei giorni festivi (eccetto Natale e
Pasqua), "sentita però prima santa messa".
Se la cinta, nella sua globalità, sfruttava per la difesa le asperità
del terreno, diverso era il discorso nella zona dell'attuale Brignole.
Questa, infatti, rappresentava un punto debole, essendo situata in
pianura: per questo motivo, quel tratto di cinta assunse il nome di
"Fronti Basse". Un esercito nemico avrebbe potuto accamparsi nella piana
antistante, od attaccare dalla collina d'Albaro. La soluzione ideata
contemplava il rinforzo dei due bastioni presenti, raddoppiandoli. Fu
inoltre inserito il fossato. Lungo la cinta, nei fianchi di numerosi
bastioni, furono ricavate le sortite, collegate all'interno della
cerchia da una rampa di scale. Alcune furono successivamente murate,
altre sfruttate nell'ottocento per l'inserimento delle cosiddette
"Torrette angolari". Non adducevano, comunque, agli inesistenti passaggi
sotterranei che (vuole la leggenda) collegano segretamente la cinta. Le
Nuove Mura, secondo i tratti, assumevano diverse denominazioni. Dopo le
Fronti Basse, comprese tra l'attuale liceo classico D'Oria e la Stazione
Brignole, seguivano le Mura di Montesano (dalle quali oggi cominciano,
presso via Imperia), dello Zerbino (zona Fieschine - corso Montegrappa),
di San Bartolomeo (zona stazione ferrovia Genova-Casella), di San
Bernardino (dalla porta omonima), di Sant'Erasmo (zona villa Quartara),
delle Chiappe o San Simone (capolinea funicolare Zecca-Righi), del
Castellaccio (fino al bastione successivo la "Casetta Rossa" del
Comune), dello Sperone (fino al cancello dell'Avvocato), di Begato (fino
ai ripetitori di Granarolo), di Granarolo (circa fino via ai Piani di
Fregoso), di Monte Moro (fino alla Tenaglia), degli Angeli (fino a via
San Bartolomeo del Fossato, comprendevano anche le Mura di Porta
Murata), di San Benigno (oggi demolite, arrivavano alla Lanterna). Sono
conservate ancora le antiche scalinate sulla cinta. Tutti i bastioni
possedevano un nome, ma per distinguerli più adeguatamente, in caso di
riparazioni o per altre ragioni, era meglio anche numerarli. Così, a
metà ottocento, si decise la collocazione, sui muri esterni di
riservette o sui parapetti, di targhe in marmo sulle quali incidere i
dati. Di queste ne esistevano 100: oggi ne sopravvivono solo cinque
(vedi targa all'interno del Forte Castellaccio). Oggi la cinta
seicentesca, purtroppo, presenta in vari punti elementi di degrado».
http://www.fortidigenova.com/mura.html (a cura di Stefano Finauri)
«Palazzo Bianco si può considerare il più antico e, al contempo, il più recente tra i fastosi edifici che prospettano su via Garibaldi, la "Strada Nuova", edificata a partire dal 1550 per ospitare gli edifici degli esponenti più illustri dell’aristocrazia genovese. Il Palazzo venne eretto fra il 1530 e il 1540 per Luca Grimaldi, membro di una delle più importanti famiglie genovesi. L’immobile sorgeva in una zona ancora suburbana, aveva forma e aspetto piuttosto semplici e si affacciava sulla salita che portava alla chiesa di San Francesco di Castelletto, sulla quale prospettava anche il Palazzo della Meridiana, compiuto nel 1545 per un Gerolamo Grimaldi appartenente a un ramo diverso della famiglia. Nel 1580, alla morte di Luca, un suo omonimo acquisì la proprietà ed effettuò nuovi lavori, ma l’immobile rimase piuttosto modesto, tanto che Rubens non lo annoverò fra i palazzi da lui studiati e fatti oggetto di rilievi, confluiti nella pubblicazione dedicata alle dimore più grandiose di Genova nel 1622. Le due statue di Giove e Giano, opera di Pierre Franqueville (1585), sono oggi l’unico elemento visibile di quella originaria dimora. Dopo il 1658 la proprietà del palazzo passò alla famiglia De Franchi e, nel 1711, venne ceduta dagli indebitati eredi di Federico De Franchi a Maria Durazzo Brignole-Sale, loro principale creditrice. Nel 1712 Giacomo Viano avviò la completa ricostruzione dell’edificio, orientandone la fronte su Strada Nuova, della quale costituì il compimento. La decorazione esterna in stucco fu realizzata, fra il 1714 e il 1716, da Taddeo Cantone, che eseguì anche quella dei cornicioni interni di alcuni salotti; altri quattro ambienti furono invece arricchiti da ornati in stucco ad opera di Antonio Maria Muttone fra 1715 e 1716. Come stabilito da Maria Durazzo Brignole-Sale, Palazzo Rosso, dimora di famiglia, fu ereditato, indiviso, dal nipote primogenito Gio.Francesco II, mentre il rinnovato palazzo (denominato da allora "Bianco" per contrasto con l’altro e per il colore chiaro dei paramenti esterni) andò al secondogenito Gio.Giacomo, che nel 1736 lo trasmise all’ultimo dei fratelli, Giuseppe Maria. Questi vi fece eseguire da Pietro Cantone, nel 1762, lavori di ristrutturazione interna. Morto Giuseppe Maria nel 1769 senza eredi maschi, il Palazzo pervenne al nipote Anton Giulio III, che già possedeva il Rosso e che affittò il Bianco al marchese Carlo Cambiaso. A partire da quest’ultimo si susseguono nella dimora una serie di affittuari-collezionisti, che, fra il Settecento e l’Ottocento, arricchirono Palazzo Bianco di ricche raccolte artistiche, descritte nelle guide dell’epoca poiché accessibili al pubblico degli amateurs e dei viaggiatori colti. Maria Brignole-Sale De Ferrari, duchessa di Galliera, assegnò per testamento nel 1884 al Comune il Palazzo Bianco, unitamente a un notevole nucleo di opere antiche e moderne e a rendite immobiliari destinate a incrementarne il patrimonio artistico. La storia del Palazzo, da questo momento, si intreccia con la storia della formazione dei musei civici genovesi, di cui diviene il fulcro».
http://www.museidigenova.it/spip.php?article5
Genova (palazzo del Principe o Doria-Pamphilj)
«Il primo nucleo del Palazzo, delimitato dall'epigrafe marmorea che corre lungo la facciata mord, fu fatto costruire e decorare tra il 1529 ed il 1533 da Andrea Doria (1466-1560) su preesistenze tre-quattrocentesche. Tra il 1521 ed il 1529 il Doria aveva infatti acquisito nella zona di Fassolo, posta all'esterno della città murata, tre propietà contigue sulle quali sorgevano alcuni edifici, le cui strutture furono riutilizzate nella costruzione di una parte del piano terreno della nuova dimora. Tuttavia l'assetto definitivo del complesso monumentale, quale ci appare nell'incisione del Guidotti (1769 circa), si deve all'erede del grande ammiraglio, Giovanni Andrea I (1539-1606), che aggiunse la galleria ad ovest, le logge angolari aperte, le costruzioni laterali di sevizio e la loggetta a mare, completando inoltre la sistemazione dei giardini. Questi si estendevano dal mare fino alla sommità della collina di Granarolo. Le evidenti disorganicità architettoniche dell'edificio, quali le irregolarità delle facciate e del porticato terrazzato sul lato sud, rispecchiano i modi di questa realizzazione composita, protrattasi per circa un secolo, che rimane comunque un unicum prestigioso nell'architettura italiana del Rinascimento. Il palazzo è caratterizzato da un atrio passante da cui parte lo scalone d'accesso alla loggia a cinque arcate, attualmente chiusa da una struttura a vetri ottocentesca, che svolge una funzione di raccordo tra i due appartamenti simmetrici del piano mobile, costruiti ex novo al tempo di Andrea e destinati rispettivamente al Principe (lato ovest) ed alla sua sposa Peretta Usodimare del Carretto (lato est). La data 1530, che compare al centro del soffitto dell'atrio e in numeri romani sull'architrave del portale tra la loggia e lo scalone, documenta probabilmente il termine dei lavori architettonici, cui seguì immediatamente l'avvio della decorazione, terminata entro il marzo del 1533, quando l'imperatore Carlo V fu accolto trionfalmente a Genova ed ospitato per dodici giorni nella principesca dimora di Fassolo. Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile attribuire con certezza la responsabilità del progetto architettonico ad un singolo artista, anche se, pur in mancanza di documenti, conserva una sua validità la notizia tramandataci dalle Vite di Giorgio Vasari, secondo il quale l'intervento architettonico si deve a Pietro Buonaccorsi detto Perin del Vaga (Firenze 1501- Roma 1547), l'autore della decorazione della parte del palazzo fatta erigere da Andrea. ... La costruzione della linea ferroviaria Genova-Torino (1850-54) causò la totale demolizione del pergolato e lo sbancamento di una parte del giardino nord, che fu poi irrimediabilmente distrutto dalla costruzione di via Pagano Doria (1899), dell'Hotel Miramare (1913) e di altri edifici di civile abitazione. A sud l'edificazione della stazione marittima (1930) e l'ampliamento di via Adua (1935) hanno definitivamente interrotto il rapporto del palazzo con il mare, circondando l'edificio con una fascia viaria di intenso traffico. Gli eventi bellici (bombardamento del 1944) hanno recato gravi danni al complesso. Attualmente i Principi Doria Pamphilj, proprietari del palazzo, hanno aperto al pubblico la loro dimora, dopo importanti interventi di restauro in parte ancora in corso».
http://www.irolli.it/da_visitare_a_genova/16/palazzo-del-principe.html
Genova (palazzo di Branca Doria)
«L'edificio unito al lato destro della chiesa di San Matteo era l'antica abitazione di Branca Doria che Dante mise all'Inferno prima ancora che morisse e che strappò al poeta la rampogna contro i genovesi (canto XXXIII: "...uomini diversi - d'ogni costume e pien d'ogni magagna - perché non siete voi dal mondo spersi?"). Un documento storico, tradotto da Arturo Ferretto dice: "Nella divisione dei beni del padre di Branca Doria, a questi toccò la casa grande del valore di Lire 200, posta nel vico di San Matteo, presso il pozzo, confinante al didietro con la canonica di San Matteo e da un lato colla chiesa degli eredi di Gavino e di Pietrino Doria - Anno 1276, 3 maggio". Restauri eseguiti negli anni Trenta, misero a nudo l'antica struttura architettonica dell'antico edificio. Un grande arco di conci bianchi e neri, oltre a quello già noto che immette nel chiostrino, venne alla luce sormontato da un fregio d'archetti di pietra nera, deformati dalle balaustrate di marmo delle finestre e dai medaglioni e mascheroni del sec. XVII. Nella parte verso il vicolo Doria apparvero quattro grandi arcate a sesto acuto di cotto e sorretto da pilastri ottagoni di pietra, basati su di una massiccia muratura di pietre squadrate. Sopra alle arcate ogivali un fregio di archetti di mattoni con peducci di pietra accresce l'armonia di tutta la loggia mentre vennero rovinate le cornici di pietra sporgenti che coronavano i capitelli. Al secondo piano resti di pilastrate bianche e nere e di arcate pure a conci bianchi e neri, su uno sfondo di costruzioni di laterizio, attestano quale doveva essere in antico il fastoso edificio. Il cortile e la scala a vista, del sec. XVI con le colonne, sormontate da capitelli scolpiti di fregi e fiorami, la loggia e le finestre con mensole decorate da mascheroni del secolo XVII, dimostrano le successive trasformazioni subite dal fabbricato nelle varie epoche. Sull'angolo tra la Piazza e Vico Doria, aggrappato allo spigolo del palazzo, è un'edicola con una piccola Madonna».
http://www.centrostoricogenova.com/tipovie.php3?id=piazzasm13&rid=sanmatteo&incvie=botsanmatteo
«Casa di Lamba Doria. Essa fu donata dalla Repubblica quale ricompensa a Lamba per la vittoria di Curzola (1298, momento glorioso della guerra secolare con Venezia per il dominio nei mari d'Oriente). Il palazzo é probabilmente anteriore di qualche decennio, appartiene cioè alla metà del duecento quando con architettura gotica vennero anche costruiti San Lorenzo ed il palazzo del Capitano del Popolo (Palazzo San Giorgio). L'epigrafe che corre sopra gli archetti illustra la vittoria del 1298 e ricorda Lamba Doria "capitanum et armatum". Col passare del tempo, palazzo Lamba Doria fu manomesso: dalle quadrifore della facciata furono tolte le colonnine degli spartimenti, e gli archi vennero riempiti con mascheroni di stucco in cima ad incorniciature barocche: furono murate le quadrifore dei prospetti laterali; la loggia a terreno fu riempita ed occupata da botteghe. La scala, che aveva il suo inizio all'esterno sotto la loggia come in palazzo San Giorgio, fu ristrutturata. Eliminato quel grande vano d'ombra a terreno, il palazzo perdette ogni scatto di masse per assumere il massiccio peso di un cubo uniforme ed inerte. La trasformazione era essenzialmente utilitaria, fatta per ingrandire le botteghe portandole sul filo della facciata, ma poteva anche implicare delle preoccupazioni statiche, poiché la facciata strapiombava di oltre 15 metri ed il riempimento delle arcate poteva anche rappresentare un puntellamento notevole. Infine il coronamento medioevale fu distrutto e sostituito da un cornicione con mensole. Non si hanno notizie quando furono attuate tutte queste trasformazioni, e se furono eseguite tutte nello stesso tempo. Nella seconda metà del Cinquecento furono chiuse le quadrifore laterali che furono restaurate nel 1910 sotto l'assessorato di Gaetano Poggi, e fu chiusa anche la loggia con una nuova sistemazione cinquecentesca dello scalone. Il cornicione forse venne eseguito nel XVII secolo. Il 22 ottobre 1942 un violento incendio durante un bombardamento, svuotò l'edificio quasi completamente, lasciando tenuta in piedi del tutto isolata la facciata, soltanto ad un sottile muro di spina. Il Genio Civile fece fare innanzitutto il puntellamento della facciata e poi la ricostruzione di qualche solaio. Si attuarono strutture che concentrarono il carico sui muri laterali abbastanza sicuri, lasciando completamente scarico la facciata. La sua stabilità ne risultò migliorata poiché i ferri dei solai furono prolungati fino ad agganciarla e qualcuno la attraversò, costituendo delle nuove chiavi. Risolto questo problema, che era quello della esistenza stessa del palazzo, si poté affrontare quello generale del restauro. Il lavoro della riapertura della loggia a terreno si presentò molto difficile e delicato, e venne riaperta anche la loggia a terreno. L'intera facciata fu ripresa e restaurata con tasselli e con la sostituzione dei conci deteriorati, che furono ricavati dalle stesse cave di Promontorio alle quali erano ricorsi i costruttori del Duecento. In tale modo non si avverte alcuna differenza tra vecchio e nuovo. Tutti questi restauri furono eseguiti nel 1950 dall'architetto Mario Labó e si devono pure al senso civico dei proprietari, i signori Cappellini. Attualmente il palazzo si può considerare allo stato pristino ...».
http://www.centrostoricogenova.com/tipovie.php3?id=piazzasm15&rid=sanmatteo&incvie=botsanmatteo
Genova (palazzo Doria-Spinola)
«Il palazzo venne costruito intorno al 1541, per conto del capitano Antonio Doria - nipote del più famoso Andrea - dopo che questi aveva dovuto cedere al governo di Genova il suo palazzo, presso la porta di S. Tommaso, che fu demolito per far posto alla nuova cinta muraria della città. La scelta per la nuova abitazione cadde su di una zona completamente diversa dalla precedente, che era vicina al mare: cioè su di una zona quasi di campagna, alta sui colli, che consentiva (allora) di dominare tutta la città. L’aspetto esteriore originario del palazzo, e la sua pianta, sono riprodotti dal Rubens nel suo volume sui palazzi di Genova: la facciata presenta un andamento basso e allungato del tutto diverso dall’attuale, che è conseguenza di una sopraelevazione settecentesca e dall’abbassamento del livello stradale, in seguito all’apertura di via Roma nel diciannovesimo secolo. ... Nel 1624 gli Spinola subentrarono ai Doria nella proprietà del palazzo, ed effettuarono radicali trasformazioni, presumibilmente in diverse epoche: furono aperti i balconcini al piano nobile, distruggendo in parte il fregio di putti; furono abbassate le finestre del primo mezzanino, distruggendo la decorazione alla sommità delle finestre del primo piano; fu aggiunto un piano in altezza, alterando l’andamento longitudinale che il palazzo aveva, ancor più accentuato dalla “galleria” che era stata eretta nel 1600 a destra della facciata, in prosecuzione di questa verso la chiesa di S. Marta. Fu questo, il realtà, l’intervento più qualificante degli Spinola, per due motivi: anzitutto l’architetto autore di tale galleria, cioè Bartolomeo Bianco; in secondo luogo i motivi di tale allargamento, cioè la celebrazione delle glorie della famiglia senza distruggere gli affreschi dei saloni principali, già decorati da Luca Cambiaso. ... L’intervento che veramente stravolse il palazzo, con tagli irreparabili, fu l’apertura di via Roma e la sistemazione delle strade circostanti: in vista di tali “tagli” il palazzo, nel 1870, fu acquistato dal Comune di Genova; successivamente fu demolita la galleria del Bianco senza neppure tentare lo strappo degli affreschi ivi esistenti; fu tagliato lo spigolo a destra della facciata; fu abbassato il piano stradale di circa un metro e conseguentemente fu abbassato il piano dell’atrio. Il palazzo, così, da dimora suburbana, circondato dal verde della campagna, divenne un chiuso blocco, destinato a far da fondale ai nuovi fasti urbanistici della Genova ottocentesca; l’aspetto visto da largo Lanfranco divenne - anche per la quasi totale scomparsa degli affreschi - più di fortezza che di palazzo suburbano».
http://www.gerso.eu/public/Storia_Palazzo_Doria_Spinola.pdf
«La costruzione del Palazzo viene avviata in un momento fortunato della storia politica della Repubblica: dopo la vittoria della Meloria contro i Pisani (1284) e quella di Curzola contro i Veneziani (1298), Genova afferma progressivamente la propria potenza economica in tutto il Mediterraneo. I Capitani del popolo Oberto Spinola e Corrado Doria fanno edificare il Palazzo degli Abati sull’area urbana preesistente fra le chiese di S. Lorenzo e S. Matteo (1291). Nella nuova costruzione viene inglobato anche l’attiguo Palazzo con torre di Alberto Fieschi, acquistato dalla Repubblica nel 1294. Da questo nucleo si sviluppa il Palazzo, che viene detto "Ducale" dal 1339, quando diviene sede del primo Doge genovese, Simon Boccanegra Parte della costruzione medievale è oggi ancora visibile. Alla prima fase edilizia dell’edificio appartiene anche la "Torre del popolo", sopraelevata poi nel 1539, che domina tuttora sul centro storico genovese. Nel corso del XIV-XV secolo il Palazzo viene progressivamente ampliato con l’aggiunta di nuove costruzioni, fino a chiudere sui quattro lati la piazza antistante. La struttura medievale scompare con i lavori del XVI secolo, quando viene conferita al Palazzo una nuova fisionomia, più adeguata all'importanza e al cerimoniale della nuova Repubblica oligarchica. Nel 1591 viene affidato al ticinese Andrea Ceresola detto il Vannone l’incarico di ricostruire il Palazzo. All’intervento di questo artista si deve l’impostazione generale del nuovo edificio, caratterizzato da un grandioso atrio coperto, fiancheggiato da due cortili porticati. Al Vannone è attibuito anche l’ampio scalone che si divide in due rampe contrapposte e collega l’atrio con le logge del piano nobile. La rampa di ponente immette negli ambienti di rappresentanza, con le Sale del Maggiore e Minor Consiglio e gli Appartamenti del Doge. Qui si trova anche la Cappella dogale, un semplice vano rettangolare interamente decorato da Giovanni Battista Carlone (1653-55). Nella volta un ciclo di affreschi rappresenta la Madonna incoronata Regina di Genova. L’intento celebrativo delle glorie genovesi attraverso la pittura è evidente soprattutto negli affreschi delle pareti laterali, con episodi gloriosi della storia genovese inseriti in una cornice architettonica dipinta a trompe l’oeil. Della fase decorativa seicentesca si conserva anche l’affresco di Domenico Fiasella sulla rampa di sinistra dello scalone, con le figure di Dio Padre con Cristo morto, della Madonna e dei Santi protettori della città.
Nel 1777 un grave incendio distrugge alcune parti del Palazzo. La decorazione del Salone del Maggior Consiglio è irrimediabilmente rovinata. Successivamente, nel 1875, Giuseppe Isola affresca nella volta una allegoria del commercio dei Liguri. La ricostruzione del corpo centrale dell’edificio è affidata al ticinese Simone Cantoni, affermato architetto neoclassico. Il Cantoni progetta anche la decorazione interna degli ambienti di rappresentanza: il Salone del Maggior Consiglio è coperto con una enorme volta a botte con testate a padiglione, ornata di stucchi. Le pareti sono ritmate da una serie di paraste con capitelli in stucco e basi di marmo giallo. La Sala del Minor Consiglio è ornata con lesene scanalate in stucco dorato e gli affreschi sono affidati al Ratti, pittore che utilizza bozzetti di Domenico Piola. Gli interventi effettuati nel XIX e agli inizi del XX secolo hanno contribuito a falsare l’originaria fisionomia del Palazzo, che viene avulso anche dal suo contesto urbanistico. Con la costruzione della nuova Piazza De Ferrari, prospiciente il lato est del Palazzo, Orlando Grosso vi realizza appositamente una facciata con decorazioni pittoriche. Alla sua riapertura (14 maggio 1992) il Palazzo Ducale di Genova, con 38.000 mq. di superficie e 300.000 mc. di volume, costituiva il più esteso intervento di restauro realizzato in Europa. Il progetto di Giovanni Spalla ha portato al recupero dell’architettura tardo cinquecentesca del Vannone, senza tuttavia distruggere le testimonianze della vita del Palazzo attraverso i secoli (strutture medievali, intervento del Cantoni, facciata del 1935). Come elemento legante del sistema Spalla ha ideato la grande "strada appesa", rampa elicoidale in struttura d’acciaio che si sviluppa dai piani terra sino ai terrazzi, occupando gli spazi delle distruzioni ed evitando le strutture storiche».
http://www.palazzoducale.genova.it/naviga.asp?pagina=76
«Quello che chiamiamo oggi Palazzo Reale è in realtà una grande dimora patrizia edificata, accresciuta nel tempo e decorata con splendore, oltre che dai Savoia nell’Ottocento, da due grandi dinastie genovesi: i Balbi (che lo costruirono tra il 1643 ed il 1650) e i Durazzo (che lo ampliarono tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo). Il palazzo è forse il più vasto complesso architettonico sei-settecentesco a Genova che abbia conservato intatti i suoi interni di rappresentanza, completi sia delle decorazioni fisse (affreschi e stucchi) sia di quelle mobili (dipinti, sculture, arredi e suppellettili). Le volte dei salotti e delle gallerie sono affrescate da alcuni dei nomi più importanti della decorazione barocca e rococò. Tra gli oltre cento dipinti esposti nelle sale si trovano opere dei migliori artisti genovesi del Seicento insieme a capolavori dei Bassano, Tintoretto, Luca Giordano, Anton Van Dyck, Ferdinand Voet e Guercino. La visita comprende l’atrio monumentale con stucchi settecenteschi, il cortile d’onore, il giardino pensile e l’appartamento nobile al secondo piano con scenografici ambienti di rappresentanza quali la Sala del Trono, il Salone da Ballo e la Galleria degli Specchi. Previa prenotazione è inoltre visitabile l’Appartamento dei Principi Ereditari detto anche del Duca degli Abruzzi fatto allestire dai Savoia al Primo Piano Nobile del palazzo: questo mirabile esempio di appartamento reale conserva ancora intatti arredi, tessuti e decorazioni ottocenteschi. La vicenda storica del palazzo ebbe inizio il 4 febbraio 1643 quando Stefano Balbi (1581-1660), abile finanziere e protagonista dell’apertura della nuova strada, che dal nome della sua famiglia sarà poi ricordata, presentò il progetto per l’imponente fabbrica che sarebbe sorta di fronte alla chiesa di San Carlo. Gli architetti ricordati dalle fonti sono Pier Francesco Cantone e Michele Moncino, ai quali si unì, in seguito Giovanni Angelo Falcone. L’impianto secentesco della costruzione era allora limitato all’attuale corpo centrale, articolato come oggi in due piani nobili e tre ammezzati, con due brevi ali che stringevano il cortile d’onore verso il mare, e alla manica occidentale unita al corpo principale. Per la decorazione delle sale furono chiamati non solo alcuni degli artisti più apprezzati sulla scena genovese come Giovan Battista Carlone, insieme a giovani di grande ingegno come Valerio Castello, ma anche i bolognesi Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli. ...».
http://www.palazzorealegenova.it/palazzo/palazzo.html
«Il Palazzo, sede dell’Autorità Portuale di Genova, si trova al centro dell’arco portuale medievale, compreso tra il Molo Vecchio e la Commenda di Prè, e fu costruito nel 1260 come primo palazzo pubblico di Genova. La sua costruzione si deve alla committenza del Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra ed alle conoscenze tecniche di frate Oliverio, cistercense dell’Abbazia di S. Andrea di Sestri già impegnato nel primo prolungamento del Molo Vecchio. Nel XIV secolo vi fu insediata la dogana, e alcune magistrature di controllo dei traffici portuali e di esazione fiscale. Nel 1407 trovarono stabile collocazione ai piani superiori gli uffici del Banco di S. Giorgio che amministrava l’intero debito pubblico dello stato genovese. Nel 1570 a causa del continuo accrescimento delle funzioni del Banco, il palazzo venne ampliato verso mare e il prospetto principale venne affrescato da Lorenzo Tavarone.Alla fine dell’Ottocento, il complesso edilizio venne restaurato da Alfredo D’Andrade, direttore dell’ufficio per la conservazione dei monumenti del Piemonte e della Liguria che ricostruirà i più significativi spazi all’interno: sala del Capitano del Popolo, Manica Lunga e Manica Corta. Dal 1903 è sede dell’Autorità Portuale di Genova».
http://www.porto.genova.it/index.php/it/il-porto-di-genova/il-porto-ieri/palazzo-san-giorgio
«Lungo il recinto delle
Nuove Mura furono inserite le porte d'accesso alla città. L'originario
spartiacque era attraversato, in vari punti, da "strade" provenienti dal
suburbio, le quali discendevano per entrare nell'abitato attraverso le
Porte nelle mura cinquecentesche. Con la realizzazione del nuovo recinto
non era (naturalmente) possibile mantenere tutti quei percorsi; si
decise quindi di "riunire" quelli contigui in un'unica strada
principale. Nel punto in cui questa intersecava la cinta s'inseriva una
Porta d'accesso. Ognuna di queste era stata ideata senza ponte levatoio;
questo fu inserito, solo in alcuni casi, tra la fine del '700 e l'inizio
dell'800. Partendo dalle Fronti Basse, la prima entrata era tramite la
monumentale Porta Pila. Questa era collocata all'incrocio con via XX
Settembre, all'altezza della corsia degli autobus lungo l'asse
dell'attuale via Fiume. Secondo alcune fonti la porta, destinata alle
fortificazioni di Porto Maurizio, fu trasportata a Genova per ordine dei
Padri del Comune tra il 1647 ed il 1649. Nel 1891, durante la
demolizione delle Fronti Basse, il Comune decise di abbattere anche la
porta, la quale fu invece salvata e spostata nel 1899, inserendola nel
Bastione Montesano in un sito oggi non più esistente, cancellato
dall'espansione della stazione Brignole. Intorno al 1940 fu nuovamente
smontata e collocata nel sito attuale, al termine della seconda guerra
mondiale. Ai lati sono diverse lapidi commemorative. Seguiva Porta
Romana, più modesta come presenza. Era situata all'imbocco di via San
Vincenzo. La sua denominazione deriva dalla strada romana che,
provenendo da vico Dritto Ponticello (attuale zona piazza Dante) e via
San Vincenzo, usciva dalla porta in oggetto dirigendosi verso Borgo
Incrociati, l'attuale via Torti e, l'odierno corso Gastaldi. La porta fu
demolita nel 1891. Proseguendo a salire incontriamo la Porta San
Bartolomeo, oggi nascosta dai servizi della Ferrovia Genova-Casella. Era
l'unica, in città, a presentare il ponte levatoio sollevabile da
contrappesi sferici (nella foto il sistema, uguale a quello della Porta,
conservato in un Forte sulle alture di Savona). Questo accesso deve il
suo nome all'omonima chiesa (oggi in corso Armellini), alla quale
conduceva. Secondo un'antica usanza dei genovesi riguardante il periodo
della Pentecoste, dopo la messa alla chiesa di San Bartolomeo degli
Armeni il popolino, passata la Porta, si dirigeva sui terrapieni (zona
attualmente occupata dalla stazione ferroviaria di Genova-Casella) a
far pranzo sull'erba, mangiando la tradizionale frittata con l'insalata
selvatica. Verso la fine dell'Ottocento l'usanza del "mangià in sci
terrapin" andò declinando.
Quella successiva è porta San Bernardino, la quale prende il nome dalla
vicina chiesa. Fino al 1896 restava chiusa dalle 21 alle 4 e mezza di
mattina. Nell'ottobre 1942 fu colpita dai bombardamenti; fino allora
aveva mantenuto integro, anche se bloccato, il ponte levatoio con il suo
sistema di chiusura (uguale a quello dello Sperone). Dalla Porta,
nell'ottocento aveva origine la via delle Baracche, il cui accesso
attuale risale agli anni '30. Segue Porta delle Chiappe o di San Simone.
Secondo una tradizione popolare, nel 1346 qui passò Santa Brigida, la
quale profetizzò che un giorno Genova sarebbe stata ridotta ad un cumulo
di rovine, ed i pellegrini passando sopra il monte ed indicando verso la
valle, avrebbero detto "Là era Genova". Fino al 1898 rimaneva chiusa di
notte. Il nome, secondo alcune fonti, deriva da una cappella dedicata ai
SS. Simone e Taddeo "protettori del popolo genovese", situata in epoca
remota all'apice di salita San Simone. Sul versante della val Polcevera
si apre Porta Sperone, situata all'interno del Forte omonimo, nata come
sortita ma divenuta Portello a scopo prevalentemente militare con la
realizzazione del Diamante. Presso via ai Piani di Fregoso troviamo
Porta Granarolo, la quale è sormontata da uno stemma di marmo. Era
originariamente provvista di ponte levatoio. Da qui passava l'antica
strada proveniente da Begato la quale, attraversata la Porta, discendeva
verso l'attuale via Adua. L'antico percorso d'accesso, all'inizio del XX
secolo, è stato sostituito dalla rotabile attuale; la Porta è rimasta
così abbandonata e l'antica strada cancellata da rovi e sterpi. La Porta
degli Angeli, seguente a quella di Granarolo, deve il suo nome alla
chiesa dei Carmelitani demolita nel 1810, situata nei pressi. Provenendo
da Sampierdarena, la prima che s'incontrava era Porta della Lanterna,
realizzata tra il 1633 ed il 1643. Nel 1827 si pensò di demolirla:
invece ne fu costruita una nuova a doppio fornice, un centinaio di metri
prima, provvista dello stemma sabaudo. L'antica Porta, a causa del suo
unico accesso, era in un certo senso ingombrante e d'intralcio alla
viabilità. Nel 1877 se ne decretò la demolizione. Contemporaneamente,
con una petizione popolare che raggiunse le oltre diecimila firme, se ne
richiedeva la conservazione; ciononostante nello stesso autunno si
procedette, quasi in sordina, alla sua demolizione. Del monumento
rimangono solo la statua della Madonna e la sottostante scritta
POSUERUNT ME CUSTODEM
(naturalmente conservati in luoghi separati). Come purtroppo spesso
avviene a Genova, non si è avuto nessun riguardo per un monumento del
passato. Sorte migliore ha avuto l'ottocentesca Porta la quale, in
seguito alla demolizione del colle di San Benigno, nel 1930 fu smontata
e riposta sotto la Torre della Lanterna».
http://www.fortidigenova.com/porte.html (a cura di Stefano Finauri)
«Quasi alle falde del colle su cui s'erge la chiesa di S. Maria di Castello esiste tuttavia il palazzo e la torre di quelli Embriaci di Castello che si segnalarono nelle Crociate e furono più volte al Governo del Comune genovese. Due iscrizioni dettate dal canonico Grassi ad istanza della marchesa Luisa Brignole Sale duchessa Melzi vi furono apposte nel 1869 e vi si conservano, sebbene la proprietà dello stabile sia passata ad altre mani. La famiglia Embriaci possedeva pressoché tutta la località di Castello, ma anche in altre parti della città aveva case e torri. Così presso la porta di S. Andrea nel 1228 un Guglielmo Embriaco, che non è l'eroe di Cesarea, ne fece costruire una in mattoni; ma ormai più non esiste che questa ricordata la cui altezza eccezionale di 165 palmi fu rispettata dalla legge del 1196 la quale impose a tutte le altre di ridursi a non più di 80 piedi. La torre tutta in pietra e in solida muratura appartenne per secoli alla famiglia Embriaci, entrata poi a far parte dell'albergo Giustiniani quando i Maonesi o azionisti di Scio assunsero tale cognome. Infatti nel 1511, ai 17 di marzo, Gregorio, Antonio e Pantaleo Giustiniani fu Pagano vendettero la torre e il palazzo ad Accellino Cattaneo q. Marco; mentre nel 1425 risulta come fosse ancora intestata ad un Giuliano di Castello. L'Accellino Cattaneo nel 1539 la vendette a Carlo Cattaneo; e dai Cattanei passò con atto 27 settembre 1583 a Giulio Sale. Questi la trasmise alla figlia che la portò in dote al consorte Gian Francesco Brignole, doge della repubblica, il quale al proprio casato aggiunse quello della moglie; indi i Brignole Sale ultimi patrizi proprietari di questa torre medioevale».
http://www.viedigenova.com/wiki/Torre_degli_Embriaci
GENOVA (torre di San Bernardino)
«La costruzione di quest'opera è iniziata nel 1820 ed è terminata intorno al 1825; il suo scopo era di proteggere la vicina porta San Bernardino; è affine alle Torri Quezzi e Monteratti. L'accesso all'interno avveniva esclusivamente tramite un camminamento coperto, realizzato dopo il 1826, il quale principiava nel rivellino antistante porta San Bernardino. Questo cunicolo oggi si "presta" volentieri a voci infondate che lo indicano quale passaggio segreto verso le mura della città o verso chissà dove. La Torre è composta dal vano sotterraneo (al fianco del quale è la cisterna), dal piano terra e da quello superiore. In questo, una delle cannoniere presenta l'originaria inferriata apribile, tuttora funzionante. Sul terrazzo si aprono numerose caditoie, per il lancio d'oggetti da difesa. Un "tappo" in marmo ora cementato, situato al centro del terrazzo, poteva essere aperto per facilitare lo smaltimento del fumo di sparo dai locali sottostanti. Torre San Bernardino rimase militarmente attiva fino al 1914. Dal 1918 al 1997 è stata adibita a vari scopi. L'opera, di proprietà del Comune di Genova dal 1934, è stata recentemente utilizzata come base per gli operatori forestali dei Lavori Socialmente Utili».
http://www.fortidigenova.com/torresbernardino.html
«Questa piccola costruzione sorge a metà strada tra i Forti Tenaglia e Crocetta. Il nome potrebbe derivare da tal Domenico Granara fu Gerolamo, il quale nei primi anni dell'Ottocento era proprietario del terreno occupato dall'odierno Forte Crocetta. L'edificazione della Torre iniziò intorno al 1820. Nel 1943 è andata parzialmente distrutta dai tiri d'artiglieria diretti al Forte Tenaglia. Oggi l'opera è situata in proprietà privata, ed è occultata dalla fitta vegetazione, tanto che risulta difficile raggiungerne i resti. Essa è formata da due volumi architettonici compenetrati fra loro, ossia un muro di recinzione a base circolare, inizialmente provvisto di tetto, che racchiude un fabbricato rettangolare. Destinata a corpo di guardia, è posta su un terrapieno bastionato di forma pentagonale, situato al centro di una linea in muratura con feritoie, realizzata nel 1827, collegante il Tenaglia ed il Crocetta».
http://www.fortidigenova.com/granara.html
«La Torre Granarolo è la seconda torre che si incontra lungo la Val Polcevera, è ubicata poche centinaia di metri dopo la Torre Monticello. Anche questa torre è interrotta, mancano infatti il piano superiore e la terrazza ma è più completa delle altre torri e meglio conservata».
http://www.forti-genova.com/forte/22/vedi/torre-granarolo.html
«La Torre rappresenta un punto fermo nella ricostruzione operata da Orlando Grosso (Genova 1882-1968) durante i lavori di restauro del 1935-1940. Lo studioso pone infatti la costruzione della Torre in una fase cronologica intermedia della strutturazione del Palazzo del Comune: la Torre sarebbe stata costruita non prima del 1298 e non molto oltre il 1307 dopo il completamento del portico e del primo piano del Palazzo di Alberto Fieschi; ad essa sarebbe stato poi addossato l’edificio di ponente, ed infine un altro piano si sarebbe aggiunto al Palazzo Fieschi. Se la successione può risultare verosimile per i due palazzi che vennero a costituire l’organismo del Palazzo del Comune, il problema della Torre è argomento controverso. Alcuni fatti e dati fanno pensare che la Torre non solo fosse anteriore all’edificio del 1291, ma addirittura che preesistesse allo stesso Palazzo Fieschi. Principale assertore di quest’ultima tesi è il Poggi che si allinea alle teorie del Banchero e in certo qual modo a quelle del Giustiniani. "La torre - egli dice - può essere una delle antiche torri di difesa della città dalla parte di Serravalle. È stato obbiettato che la torre ha carattere di costruzione civile e non militare. Senonché l’osservazione è messa in dubbio dal fatto che la cinta del secolo XI e X fu una difesa apprestata in fretta dagli abitanti di San Lorenzo e dai milanesi di S. Ambrogio per chiudersi, per coprirsi le spalle dal colle di S. Andrea di Banchi. Le torri furono probabilmente apprestate in fretta dove erano le case, e la popolazione concorse nell’elevare le mura fra torre e torre. Ed ogni torre ebbe il suo proprietario." Entrambe le teorie, in mancanza di documenti certi, hanno un loro fondamento, tuttavia l’origine viscontile prospettata dal Poggi appare più mitica che storica. Quel che comunque appare certo è il fatto che la Torre faceva sicuramente parte del Palazzo di Alberto Fieschi. Una parola decisiva avrebbe potuto essere detta dai restauri, e ancor più dalle relazioni condotte su di essi dal Grosso. Senonché l’angolo visivo in cui sono esaminati i dati che vengono man mano alla luce è quello di un’origine trecentesca della Torre - considerata come un fatto scontato - per cui ci sono di ben poco aiuto in questa direzione.
Una descrizione della torre. Il restauro del Grosso ricondusse nella sua sostanza la Torre all’assetto trecentesco, liberandola per quanto possibile dalle interpolazioni dei secoli successivi, e riportando l’antica suddivisione in piani; ed infine riducendo l’assetto esterno in forme il più vicine possibile a quelle trecentesche, eliminando il pesante intonaco seicentesco. L’aspetto attuale della Torre è quello di una struttura di sette piani di cui i primi quattro fanno parte integrante del volume del Palazzo, mentre gli ultimi tre si alzano in gran parte liberi sui quattro lati. Il primo piano è ricoperto da un bugnato fortemente aggettante che riprende quello del Palazzo Fieschi. Il secondo ed il terzo sono ricoperti dalla decorazione a fasce bianche e nere: sono divisi dal primo piano da una serie di archetti pensili, e fra loro da una cordonatura. Quinto, sesto e settimo piano sono in mattoni di diverso tipo. Il limite fra quinto e sesto è rappresentato dalla stessa cordonatura, mentre sesto e settimo sono divisi da una triplice serie di archetti. Questa serie rappresenta il limite fra la costruzione medievale e la sopraelevazione cinquecentesca. La Torre ha al primo piano una finestra rettangolare, frutto di una modifica relativamente recente; al secondo e al terzo si aprono due quadrifore; al quarto una trifora. Il quinto piano che si fa parzialmente libero sui lati, ha una monofora. Completamente libero è il sesto, che è l’ultimo della costruzione medievale. ed ha a Sud una grande monofora; sugli altri lati bifore, i cui fornici sono divisi da grosse colonne a rocchi bianchi e neri. L’ultimo livello in mattoni risulta dei primi anni del XVII secolo, coevo alla grande costruzione vannoniana del Palazzo. Dal secolo XVI fino a gran parte del XVII la Torre subì modifiche interne considerevoli, in seguito alla sua trasformazione in carcere: ebbe i piani dimezzati e notevoli variazioni nelle aperture. In particolare la cella - sottostante alla triplice fila di archetti - ebbe le primitive monofore trasformate in bifore per esigenze statiche dopo l’innalzamento cinquecentesco. La muratura perimetrale è rimasta in sostanza quella originaria».
http://www.palazzoducale.genova.it/naviga.asp?pagina=209
«Intorno al 1820 il governo sabaudo pianificò la costruzione di una serie di postazioni difensive avanzate all’esterno delle mura, a forma di torre circolare, secondo un modello in uso a quel tempo in vari stati europei. Sul versante della Val Polcevera, a breve distanza dalle mura di Granarolo e di Begato, fu avviata la costruzione di alcune di queste strutture di forma tronco-conica, in pietra e mattoni: la torre Monticello, nei pressi di Fregoso, vicina alla strada ma oggi completamente nascosta da una fitta vegetazione, la torre di Monte Moro e quella di Granarolo, che sorge a poca distanza dalla porta omonima lungo la via ai Piani di Fregoso, su uno spiazzo a 275 m slm all’inizio della mulattiera che scende al Garbo e a Rivarolo, ed è quella meglio conservata delle tre. Il progetto delle torri fu abbandonato dopo pochi anni, pertanto la loro costruzione non fu mai completata: furono edificati solo il locale sotterraneo e il piano terra».
http://it.wikipedia.org/wiki/Granarolo_%28quartiere_di_Genova%29#Torri_ottocentesche
«La Torre Monticello è la prima torre che si incontra lungo la Val Polcevera, torre i cui lavori di costruzione vennero interrotti al piano terra. La Torre Monticello è situata in via ai Piani di Fregoso (salita di Garbo), verso valle ed è completamente nascosta dalla folta vegetazione».
http://www.forti-genova.com/forte/33/vedi/torre-monticello.html
«Già all'epoca dell'assedio austriaco del 1746-47 gli ingegneri militari della Repubblica avevano discusso dell'opportunità di costruire torri isolate sulle alture genovesi, in grado di difendersi autonomamente. Dopo l'annessione della Liguria al Regno di Sardegna, il Governo riprese quell'idea e dispose la costruzione di quattro torri possenti, quali anelli di giunzione di un sistema difensivo che dal Forte Quezzi percorreva i crinali, fino a ricongiungersi - a valle - con i forti di San Martino e di San Giuliano. Di queste, l'unica sopravvissuta è la torre di Quezzi, oggi fortemente corrosa, a circa 700 m. dall'omonimo forte e a circa 300 m. sul livello del mare. Quasi identica alla torre di San Bernardino, è una struttura in muratura di mattoni, con tracce dell'intonaco originario, a pianta circolare, di circa 15 m. di diametro, alta circa 17 m., con alta scarpa accentuata. L'interno, oggi in forte decadimento, presenta un'area seminterrata, probabilmente adibita a polveriera e cisterna; un piano rialzato a circa 160 cm. dal piano di campagna, sul quale si apre l'ingresso; e un secondo piano costituito da un vano centrale e da vani perimetrali con volte a tutto sesto. Sulle pareti si aprono cannoniere e feritoie, mentre un'angusta e ripida scaletta, ricavata nello spessore del muro esterno, mette in comunicazione i due livelli. La terrazza di copertura è protetta da un parapetto aggettante, con sedici caditoie poggiate su caratteristici eleganti costoloni. La caditoia sopra l'ingresso è sottolineata da paraste appena accennate. A difesa dell'ingresso, in origine munito di ponte levatoio, esistevano un fossato e un muretto di controscarpa, di cui oggi restano pochi ruderi».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/torre_quezzi.htm (a cura di Paola Presciuttini, maggio 2004)
«La Torre della Specola, anomalo edificio in mattoni rossi visibile da molte zone della città, è stata innalzata sullo sperone roccioso dove, fin dal 1509, erano eseguite le condanne a morte, fino allora compiute nella zona della Lanterna. Le forche erano composte da quattro pilastri in pietra che sostenevano assi trasversali, da cui pendevano catene, dalle quali penzolavano i corpi dei condannati. La Specola fu edificata fra il 1817 ed il 1825 come integrazione del complesso "Castellaccio" (composto, appunto, dal Forte e dalla Torre). Tra il 1830 ed il 1836, le due opere furono inglobate all'interno di un'unica cinta bastionata, con un accesso comune. L'interno del torrione è su due piani, più un sotterraneo con cisterna. La struttura reggente è composta da sei grossi pilastri; la ripida scala di servizio è ricavata in uno di essi. La grande sopraelevazione che spicca sul tetto è stata edificata tra il 1911 ed il 1914 dall'Istituto Idrografico della Marina, per ospitare un osservatorio meteorico ed aerologico ed il relativo personale. La Torre fu abbandonata nel 1969, in seguito utilizzata come deposito materiale ed oggi come archivio. Dal 31 maggio 1875 fino al giugno 1940, da una casamatta posta sull'angolo delle mura esterne, a mezzogiorno in punto veniva sparato un colpo di cannone. Il contatto elettrico era dato da un pendolo, tuttora conservato funzionante, posto all'interno del Forte San Giorgio, sede dell'Istituto Idrografico. Durante i moti del 1849 i soldati piemontesi erano barricati all'interno del complesso: isolati e senza ordini, consegnarono la fortezza ai rivoltosi. Questi, asserragliati al suo interno, cercarono di rallentare il più possibile l'occupazione della città da parte delle truppe del generale La Marmora, sparando continue cannonate contro San Benigno e Palazzo Doria (occupati dai bersaglieri). Ma i piemontesi dilagavano ovunque; in molti abbandonarono il Forte calandosi dalle mura. La resa del 10 aprile restituì il complesso alle autorità militari. Durante la prima guerra mondiale vi furono rinchiusi i prigionieri austriaci. Già dal 1929 è sede di una stazione radiotelegrafica. Il resto è oggi parte disabitato (in questa zona aleggiano strani misteri ...), anche se in buono stato di conservazione, o utilizzato come magazzino dall'Istituto Idrografico e come ritrovo dal "Club Castellaccio anni '30". La caserma sulla val Bisagno è invece completamente abbandonata».
http://www.fortidigenova.com/castellaccio.html
GENOVA (torre Zerbino, demolita)
«Le piccole Torri sono identiche tra loro. Probabilmente, secondo l'originario progetto, dovevano essere uguali (tranne nelle dimensioni) alle Torri grandi. In val Bisagno s'incontrava, a salire, Torre Zerbino. Nonostante fosse una delle più complete, non è mai stata utilizzata a scopo militare. Denominata "Diviar" dal 1930, fu demolita sei anni dopo per la realizzazione della Scuola della Giovane Fascista, ossia l'attuale Magistero».
http://www.fortidigenova.com/torri.html
«La villa sorge subito al di sotto dell’antica cinta di mura tra salita S. Rocco e salita S.Anna. Costruita dal nobile genovese Stefano de Mari nella seconda metà del Cinquecento, essa include la retrostante torre di avvistamento coeva all’epoca di edificazione, ancora oggi ben visibile. Al primo decennio del secolo successivo risale invece la chiesa di Santa Maria della Sanità (progetto di Giovanni Ponzello) in origine chiesa patrizia della famiglia. La villa è inoltre situata in posizione elevata e panoramica all’interno di un ampio parco all’inglese tra macchie alberate:lo spazio verde oggi notevolmente ridotto, si distingueva per la sua bellezza;le fonti ci parlano di boschetti di alloro e prati verdi, fontane, scale e scalette, terrazze panoramiche e soprattutto giganteschi superbi alberi secolari di varie specie: cipressi, cedri del Libano, magnolie, oltre a un viale in salita, fiancheggiato da aranci e rose nelle aiuole. Nel corso dei secoli l'edificio è stato oggetto di modifiche e rifacimenti; in generale le forme attuali si raggiunsero solo alla fine del XVIII secolo, quando venne realizzata la “sala delle colonne” e venne riedificata la facciata in stile neoclassico - arricchita da un frontone decorato a bassorilievo e lesene e capitelli in stile ionico - di forte impatto e non priva di fascino: subito al di sotto di essa, si apre un’ampia terrazza panoramica, in comunicazione col parco sottostante grazie a una scala a tenaglie con rampe convergenti. Nel 1856 la proprietà passò all’industriale austriaco Adolf Gruber, da cui ancora oggi la villa prende il nome; la famiglia effettuò alcune modifiche negli ambienti interni, ma l’aspetto globale dell’edificio rimase sostanzialmente il medesimo. Agli inizi del secolo scorso inoltre fu costruita all'interno del parco una raffinata palazzina in stile liberty, oggi in grave stato di conservazione a causa del pressochè totale stato di abbandono. La villa con gli ampi spazi verdi circostanti furono poi ceduti negli anni Trenta dello scorso secolo alla Società Perrone, che ne ordinò la lottizzazione del parco in favore dell’edificazione di eleganti palazzine, e conseguentemente la riduzione degli ampi spazi verdi circostanti. Ciononostante, ancora oggi il parco di villa Gruber è un gradevole angolo verde del quartiere di Castelletto, trasformato in parco pubblico da quando il Comune di Genova è diventato proprietario della villa; attualmente in cattivo stato di conservazione, essa è stata destinata ad accogliere la sede del Museo Americanistico Federico Lunardi (collezione di reperti archeologici delle civiltà precolombiane) e la locale Stazione dei Carabinieri».
http://www.fosca.unige.it/gewiki/index.php/Villa_Gruber-De_Mari
GORRETO (borgo, palazzo Centurione Tornelli)
«Gorreto si trova sulla riva sinistra del fiume Trebbia alla confluenza col torrente Dorbecca che scende dalle pendici del monte Alfeo ed è paese di confine in quanto alla fine di esso si entra in territorio piacentino. Sembra che il suo nome derivi dal termine "gorre", arbusti della famiglia dei salici che crescono lungo il fiume. Già feudo di Ottone fu poi dei Malaspina finché un membro di questa famiglia, Morello, non lo cedette ai Centurione. L'abitato presenta ancora una impronta medioevale, anche se sono andati distrutti la cinta muraria con torre di vedetta e varie porte di accesso, del castello Malaspiniano restano solo pochi ruderi, mentre ancora ben conservato è il palazzo Centurione edificato nel secolo XVII con paramento a strisce bianche e nere; all'epoca il borgo fortificato era veramente unico nel suo genere in tutta la Val Trebbia e mantenne l'aspetto originario fino agli inizi del '900 quando parte della cinta muraria venne abbattuta per far posto alle nuove abitazioni e il paese perdette la sua identità storico-architettonica. Il Palazzo Centurione fu edificato nel XVII secolo dal principe Centurione di Genova; vi si amministrava la giustizia, era di stanza una guarnigione militare, vi si batteva moneta e vi erano impiantate una serie di attività quali una cartiera, una conceria, una fabbrica di pasta, una falegnameria, una fornace per calce e mattoni ed un mulino per la farina Il palazzo rimase di proprietà dei Centurione fino agli anni della Seconda Guerra Mondiale durante la quale fu sede del comando militare e poi di un distaccamento di partigiani; successivamente fu venduto ad un ente religioso che lo utilizzò come sede. Finita questa esperienza inizia il periodo di abbandono che dura fino ad oggi, con una serie di passaggi di proprietà che ne hanno purtroppo fatto aumentare il degrado».
http://www.altavaltrebbia.net/comuni/gorreto.html
Isola del Cantone (castello degli Spinola a Cantone)
a cura di Antonella Pasquale
Isola del Cantone (castello Spinola Migliacco a Piano)
a cura di Antonella Pasquale
«Detta anche "portone di Rezza", era la porta che conduceva fuori da Lavagna verso la località della Madonna del Ponte ed è l'unica rimasta delle due un tempo esistenti. Si apre su una piazzetta, detta, una volta, "piazza delle erbe" perché i contadini vi portavano le verdure ed il latte da vendere. Ora la piazza, intitolata a S. Caterina Fieschi Adorno, in ricordo della Santa genovese, è detta anche "piazza del mondo in spalla" per via di un affresco secentesco che raffigura Atlante sulla facciata di una casa vicina».
http://comune.lavagna.ge.it/accessible.php?idservice=599
«è stata per secoli la costruzione forse più importante del borgo, proprio per la sua altezza, superiore a tutte le case circostanti. è l'unica testimonianza di una realtà urbanistica ormai lontana, quando le case si addossavano le une alle altre, creando un fronte compatto all'esterno, verso la strada, ma racchiudendo all'interno quello spazio libero e verde che mantenevano sicura ed intima la vita cittadina. La Torre è stata costruita con i materiali più disparati: pezzi di pietra di tutti i tipi e dimensioni, mattoni interi e rotti, sottili lastre d'ardesia, cocci. Con i pezzi di pietra più grossi o allungati sono stati costruiti gli angoli, mentre tutto il resto è stato utilizzato per comporre le pareti. La Torre ha quattro piani per tredici metri d'altezza; alla base il lato più lungo è sei metri. Al piano terra si trova un solido soffitto a volte a botte. I soffitti del primo e terzo piano hanno una volta a botte, mentre il secondo piano ha una volta a schifo per equilibrare meglio i carichi. Piccole botti e piccolissime crociere ornano le scale ricavate entro lo spazio esiguo di un metro e ottanta. La Torre ebbe vari proprietari, in origine i Tiscornia, poi i Ravenna che la vendettero a fine 800 a un certo "scio Perin", che a sua volta la rivendette, prima di emigrare in America, ad Agostino Raffo, commerciante in pasta e legumi. Attualmente appartiene al Comune che, grazie ai contributi per il Giubileo del 2000, l'ha restaurata e restituita agli antichi splendori. Identificata all'inizio del 1600 come "Torre del Borgo", ebbe altre denominazioni: Torre Saracena, Torre Fieschi, Torre Ravenna».
http://comune.lavagna.ge.it/accessible.php?idservice=599
«Si tratta di un'unica torre di avvistamento, su pianta quadrata e con una struttura massiccia e pulita dominante interamente la vallata leivese. Risalente al XIII secolo, è situata adiacente la chiesa di san Rufino e assieme alle altre presenti nella zona costituiva il sistema difensivo dell'allora cittadina medievale di Chiavari. La torre, molto simile come struttura ad una già presente a Chiavari, raggiunge complessivamente un'altezza di quattordici metri e su ogni parete dei piani posteriori sono ben visibili le feritoie usate per il lancio delle frecce».
http://leivinvita.blogspot.it/2011/11/la-focaccia-con-le-polpe-quando.html
Masone (borgo, castello non più esistente)
«Fin dall'epoca longobarda vi operavano i monaci Benedettini. Già antico borgo e centro commerciale alle spalle di Genova, viene citato per la prima volta in alcuni documenti, uno del 991 e l'altro del 1159 e, come gli altri paesi della valle Stura, entrò a far parte dei domini della Marca Aleramica dal X secolo. A seguito della disgregazione della marca il feudo fu sottoposto al controllo della famiglia Malaspina. Dal 1343 divenne dominio della Repubblica di Genova, seguendone le sorti e le rispettive glorie, che destinò il feudo dapprima alla famiglia Lomellino, agli Spinola e in seguito ai Pallavicino. In epoca medievale fu costruito un castello dove trovò rifugio, nel 1546-1547, l'ammiraglio genovese Andrea Doria, quando dovette sfuggire alla celebre congiura di Giovanni Luigi Fieschi, della famiglia originaria di Lavagna dei Fieschi. La fortezza verrà in seguito distrutta dagli Austriaci nel 1746; ne rimane uno spiazzo erboso presso Masone Vecchio. Sarà dal 1547, con il feudatario Adamo Centurione, e nel 1573 con il futuro doge della Repubblica Lazzaro Grimaldi Cebà che il borgo incrementò l'attività artigianale ed industriale del ferro e inoltre fu dotato di nuove case nella parte meridionale del borgo storico, mentre a settentrione furono erette nuove mura difensive. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Masone#Architetture_militari
«Il Forte Geremia è un’antica fortezza militare costruita dal genio militare del Regno d’Italia nell’ultimo ventennio del XIX secolo (secondo il Comune di Masone la costruzione potrebbe risalire al 1890). Fu edificato per controllare il Passo del Turchino, che nel corso dei secoli ebbe importanza storica e commerciale per Genova, a seguito delle tensioni politiche e commerciali allora in atto tra Italia e Francia. Il forte fu presidiato fino alla fine della Grande Guerra (1915-1918) e da allora è rimasto in stato di abbandono fino al 1997 quando il Comune di Masone ha iniziato un progetto di recupero per restituirlo all'uso pubblico. Il Forte Geremia si presenta come una caserma in pietra su due piani. Secondo studi approfonditi la caserma poteva ospitare più di cento soldati e l'armamento era composto da otto cannoni che permettevano di tenere sotto controllo il vallone del Turchino e le alture dello Stura e Vezzola. La polveriera, isolata da un'intercapedine ad anello, fu ricavata all'interno del monte Geremia ed ancora oggi un corridoio permette di raggiungerla dalla caserma. Ad una estremità della caserma è presente una caponiera da cui si potevano controllare l'ingresso, il piazzale antistante e soprattutto la strada di accesso al forte».
http://www.quotazero.com/itinerario.php?id=251
Moneglia (fortezza di Monleone, castello De Fornari)
«La fortezza di Monleone era un antico insediamento difensivo e d'avvistamento, voluto dalla Repubblica di Genova nel XII secolo, situata alle prime pendici ad ovest dell'abitato di Moneglia in provincia di Genova. Il castello fu costruito sulla collina di ponente nel 1173 da parte della Repubblica di Genova e del console Ingone di Flessa. I lavori di edificazione durarono per un anno intero, tanto che nel 1174 fu duramente assediato dai soldati del conte Obizzo Malaspina, alleato quest'ultimo con le famiglie Da Passano e Fieschi. Tremila fanti e centocinquanta cavalieri attaccarono la fortezza che, nonostante la forte pressione bellica degli assalitori, riuscì a resistere permettendo così alla repubblica genovese l'invio di un ulteriore esercito di rinforzo. Il contingente arrivato da Genova non solo riuscì a difendere il maniero monegliese, ma sottrasse ai Da Passano il vicino castello locale. Attualmente all'interno dell'insediamento originario del castello di Monleone si trova un piccolo castello in stile liberty (detto anche "Castello De Fornari", proprietà Angeloni) costruito agli inizi del Novecento, nonché case private (alcune ancora in costruzione)».
http://www.mybestliguria.com/it/place/161/moneglia/castelli/fortezza-di-monleone.html
Moneglia (fortezza e torre di Villafranca)
«Eretta sulle pendici della collina che sovrasta la cittadina di Moneglia, alla sinistra del torrente Bisagno, la fortezza di Vallafranca fu costruita nel XII secolo dalla Repubblica di Genova per respingere gli attacchi delle truppe della potente e nobile famiglia dei Malaspina e per fronteggiare le invasioni di pirati e saraceni. Dopo i diversi lavori di consolidamento e ristrutturazione effettuati tra il XIV e XV secolo, la fortificazione fu restaurata prima della seconda guerra mondiale dall'allora proprietario Luigi Burgo. Durante il conflitto bellico fu fortemente danneggiata a causa dei bombardamenti, ma recentemente la messa in sicurezza dell'edificio eseguita dal comune ha permesso l'apertura al pubblico del parco adiacente la fortezza, che orna con il suo verde le antiche rovine storiche e offre una splendida vista panoramica su tutto il Golfo di Moneglia, da Punta Rospo a Punta Baffe. La pianta della fortezza di Villafranca ha una forma all’incirca pentagonale, sebbene l'andamento del terreno la renda irregolare. Sopra il cordolo si erge il corpo superiore, con camminamenti perimetrali e garitte circolari ai vertici, di cui solo una si è conservata quasi integra. Al centro del terrapieno si staglia la torre: di forma quadrata, realizzata in muratura, in origine presumibilmente era composta da due piani. A seguito degli interventi di restauro, la torre ospita oggi una sala per conferenze, con accesso a levante dal piano terra, posta sotto l'area terrazzata. Sulla destra si vede la vetrata recintata che fornisce luce alla sala, dove in origine doveva trovarsi l'accesso sul lato nord, ormai chiuso. Una scaletta di ferro conduce sulla parte diroccata soprastante. Attualmente nelle vicinanze degli storici ruderi sorge una villa che presenta analogie architettoniche con l'antica fortezza».
http://www.terrediportofino.eu/detail.php?cat=articolo&ID=236 (a cura di Francesca Vulpani)
a cura di Antonella Pasquale
Montoggio (castello dei Fieschi)
a cura di Antonella Pasquale
«Costruito a protezione dell'approdo, attuale porticciolo alla foce del torrente Nervi, risale al XVI secolo e fu fortificazione a difesa contro i pirati turchi che rappresentavano un pericolo gravissimo per la popolazione. Era una delle tante torri di avvistamento a difesa dell’incolumità pubblica. Qui venivano esposte le teste dei traditori della Repubblica. Recentemente restaurato, ospita mostre, giornate culturali ed è sede dell’Associazione Combattenti e Reduci e dell’ANPI».
http://www.weagoo.com/it/card/25525/castello-di-nervi
Nervi (torre Gropallo o del Fieno)
«La Torre Gropallo è ormai considerata un’icona simbolica di Genova Nervi: non vi è foto, cartolina o panorama che non venga immortalato con la suddetta torre ripresa in primo piano o sullo sfondo. La costruzione della torre risale indicativamente alla metà del Cinquecento (si ritiene nel 1547, ma vennero impiegati 15 anni per terminare i lavori), eretta dopo la devastante incursione del corsaro turco Dragut e in seguito divenne parte del sistema difensivo che comprende anche il Castello, originariamente situato nella parte di ponente della passeggiata a mare, sovrastante il porticciolo. è anche nota come “Torre del fieno”, in quanto sulla sua sommità, in caso di pericolo generico o relativo a incursioni saracene, veniva bruciato fieno per segnalare, con il suo fumo scuro e intenso, il pericolo imminente. La torre apparteneva alla Comunità di Nervi e fu venduta l'8 luglio 1846, dopo lunghe trattative, al marchese Gaetano Gropallo per 1500 lire di Sardegna. Il Marchese fece poi costruire il piccolo ponte che unisce la torre al parco. D'allora mantiene la denominazione di Torre Gropallo. Dal punto di vista architettonico, si tratta di una costruzione in massiccia muratura, con base a scarpa, con quattro guardiole ai vertici del coronamento a sbalzo. La pianta originaria quadrilatera ci è nota grazie alla veduta prospettica di Nervi di Cornelio de Wael del 1637; tuttavia, nel corso dei secoli la torre subì presumibilmente numerosi rimaneggiamenti e nel XIX secolo infatti le venne conferito un aspetto forzatamente medievale. Fu soggetta a vincoli di destinazione diversi e molteplici: la proprietà restò ai Marchesi Gropallo fino al 1918 quando fu venduta ad una società immobiliare milanese che a sua volta la cedette al Comune di Genova il 30 luglio 1927 insieme al Parco Gropallo. Negli anni 70 fu adibita a deposito attrezzi per l’urbanistica e la manutenzione della passeggiata; in seguito venne utilizzata come galleria d’arte temporanea, come pub (a periodi alterni nella seconda meta degli anni 90) e successivamente ospitò anche la sede della Lega Navale italiana e la sezione di Nervi dell’Associazione Nazionale Alpini, presente ancora oggi».
http://liguriamarina.blogspot.it/2012/04/quarto-dei-mille-nervi-e-pieve-ligure.html
«Sulla cima più alta del colle (m. 445) sorgeva il castello omonimo la cui origine risale al sec. V. Tale fortilizio, nel quadro strategico dei castelli impostati nel territorio di Garibaldo, aveva un importanza di prim'ordine, sia come fortilizio soprastante all'imboccatura delle tre grandi vallate (Fontanabuona, Sturla e Graveglia), sia come posto di osservazione. Verso il sec. X passò a far parte della Contea dei Fieschi di Lavagna. Come gli altri castelli ebbe trionfi e sconfitte, suggellate infine dalla distruzione. Demolito infatti nel 1111, fu subito ricostruito, ma nel 1133 fu nuovamente distrutto per ordine del Comune di Genova e non più rifatto. Al presente non restano che leggere tracce di fondamenta, che si vedono segnate nel suolo depresso, poichè le pietre, di cui era stato costruito, furono portate via».
http://www.halleyweb.com/c010010/zf/index.php/storia-comune/
«Il castello Bonomi, o Castello di Paraggi, si trova sul promontorio che chiude a levante l’omonima baia. La sua costruzione fu decisa nel 1626 dalla Repubblica genovese per una maggiore difesa del territorio e della costa lungo il promontorio di Portofino. Il castello fu occupato dalle truppe francesi di Napoleone Bonaparte tra il 1812 e il 1814 durante la Repubblica Ligure nel Primo Impero francese. Oggi la struttura è adibita ad abitazione privata» - «L’insenatura di Paraggi, a metà strada tra Santa Margherita e Portofino, protetta alle spalle dai ripidi colli boscosi del Parco di Portofino, è dominata all'estremità di levante da un castello, oggi trasformato in villa signorile destinata a residenza privata. Se ne fa risalire la costruzione al 1626, al fine di difendere la baia di Paraggi e la vicina insenatura di Portofino, e si sa che fu occupato dai Francesi nel 1812-14. Per quanto si può oggi scorgere tra la fitta vegetazione che lo nasconde alla vista, il torrione a larga pianta quadrata, leggermente scarpata, ha un cordolo a mezza altezza, in corrispondenza delle quattro garitte laterali, e un terrazzo di copertura - oggi con successiva superfetazione - di cui è stato mantenuto intatto il parapetto merlato leggermente aggettante, poggiato su fitti beccatelli».
http://www.parcoportofinocode.it/Scheda?id=50 - http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/paraggi.htm
PEGLI (castello Chiozza, poi Miramare)
«Nel Cinquecento la nobile famiglia dei Lomellini, oltre che a Genova vera e propria, era presente a Pegli con decine di proprietà, case, ville e palazzi, alcuni dei quali ancora oggi intatti. Innanzi tutto Villa Rosa Lomellini (nell'attuale viale Modugno; nel 1975 espropriata dal Comune all'industriale Francesco Berta), poi il Castello Chiozza (oggi Hotel Miramare) e la Villa Lomellini-Banfi (situata poco dopo il Castello Vianson). Poi ancora il Palazzo e la Torre Lomellini di Porticciuolo (oggi Hotel Mediterranèe) e la Villa Lomellini Rostan a Multedo. ...».
http://it.wikipedia.org/wiki/Pegli
«Sul finire del 1800 sorgono anche altri edifici o vecchi vengono modificati: il castello Chiozza (1880) ora Hotel Miramare sui resti del fortilizio dei Lomellini, il castello Vianson al posto delle "case sullo scoglio", l'ex Hotel Gargini modificato ad uso abitativo. ... (progettato dall'architetto Crotta)».
http://www.pegli.com/sto_a1900.php
«La Tenuta Agricola denominata Torre Spinola e successivamente Torre Cambiaso dal nome dei suoi proprietari, si formò in un'area ricca di riferimenti toponomastici di tipo militare. A sud della Torre troviamo infatti il toponimo Bastia in riferimento ad una casa colonica e terreni annessi facenti parte della proprietà. In riva al mare troviamo il castelluccio, mentre a sud-est, verso Pegli, il castellaccio e, a ponente, la torrazza. Sono riferimenti interessanti che fanno presumere più fasi di "incastellamento", abbandono e spostamento delle fortificazioni. Infatti i termini castellazzo, castellaccio, torrazza, indicano castelli e torri in rovina e abbandonati a volte addirittura già nel medioevo. La zona di Torre Spinola entrò prepotentemente nelle cronache storiche nel secolo XIV proprio per questioni belliche durante un lungo periodo di guerre civili tra guelfi e ghibellini, sostenitori del papato i primi, dell'imperatore i secondi. Tali disordini e lotte durarono in Liguria (e non solo) alcune decine di anni. Nell'anno 1324 "nel giorno diciannove del febbraio il castello di Castillione del Prato di Pegli, che era tenuto dagli intrinseci, fu debellato dagli estrinseci per mezzo di due traditori". Due anni dopo (1326) Luca di Negro, vicario degli "intrinseci cioè dei guelfi, andò con i suoi uomini a Pegli e ponendo con il suo esercito l'assedio ad una certa torre dei ghibellini, la prese con la forza e fece costruire un castello nelle terre di Pegli". Nel 1328 "un'altra volta fu munito da Anfreono Spinola il fortilizio detto il Castellione, e i guelfi avendogli dato assalto, non poterono essere vittoriosi, ma di essi molti furono colpiti". Anfreono Spinola aveva fatto della vicina Voltri la sua roccaforte fortificandola con mura e castello controllando così gran parte della riviera a ponente di Genova. Il Parco: Il complesso di Torre Cambiaso è costituito da tre edifici disposti lungo il crinale che separa la delegazione di Pegli da quella di Prà; i primi due sono disposti in maniera da formare due corti successive, l'ultimo, un tempietto neoclassico, è situato alla conclusione di un lungo parco all'inglese. ...».
http://www.bookinitaly.com/strutture/pag.php?id_stru=4944
Pietrabissara (palazzo-castello Spinola)
«Pietrabissara, ultimo borgo della valle, è situato in mezzo a strette gole erose dallo Scrivia, dove autostrada, ferrovia, strada statale e fiume marcano fortemente il paesaggio. Il paese, presso Isola del Cantone, è sviluppato sul versante sinistro del torrente, dove tra le case emerge la figura semplice del Seicentesco Palazzo Spinola, fondato dal marchese Luciano Spinola, feudatario di Dernice e Pietrabissara, nonché Serenissimo Doge di Genova. Eretto nel 1648 secondo lo stile dei palazzi nobiliari del tempo, lungo quella che allora era poco più che una mulattiera. Pochi metri a monte vi era la strada napoleonica, che riprendeva l’antico tracciato della Postumia Posteriore, recentemente scoperta in alcuni tratti e poco distante dal castello, situato naturalmente in posizione elevata, di cui non restano che poche testimonianze. L’apertura della strada regia, nei primi anni dell’Ottocento, modificò l’assetto urbanistico in maniera radicale ed il palazzo, esaurita la sua funzione di residenza nobiliare, fu destinato ad usi diversi. Dopo aver attraversato un lungo periodo d’abbandono, è stato acquistato dal prof. Lorenzo Tacchella, insigne storico e storiografo di fama mondiale, nativo di Ronco Scrivia, che ha dato luogo ad un restauro esemplare, riscoprendo gli elementi architettonici originali, valorizzando i vari materiali e provvedendo ad un arredamento assolutamente consono dei locali. Il portale è in arenaria e si tratta di elementi unici in Valle Scrivia, lavorati con ogni probabilità da scalpellini provenienti dalla Lunigiana o dalla Svizzera che, intorno alla metà del secolo scorso, giunsero a Pietrabissara a lavorare nelle quattro cave, in funzione fino agli anni Cinquanta. Attualmente il palazzo è sede del Centro di Studi Storici e Storico Ecclesiastici, l’Accademia Olubrense, che trae il nome dalla dizione latina Olubria, ovvero Scrivia».
http://www.altavallescrivia.it/isola/pal-isola.htm
«Nel territorio pievese è presente un antico castello, il castello Cirla allo scalo Torre. Tale costruzione in origine era una torre saracena, edificata per combattere le incursioni dei pirati. Essa venne in buona parte demolita nel 1909 per diventare quella che è oggi l'attuale residenza privata. È considerata una delle 50 bellezze del Golfo Paradiso, grazie anche al suo ottimo stato di conservazione».
http://it.wikipedia.org/wiki/Pieve_Ligure#Architetture_militari
Portofino (castello San Giorgio o Brown)
«Sembra che il baluardo difensivo sia stato costruito nel Medioevo e da sempre utilizzato per funzioni militari. è comunque probabile che i romani abbiano fissato una delle loro “stazioni” nell’antica Portus Delphinis e vi abbiano costruito un “castrum” e una “turris”, come era nel loro uso fare ovunque, allorché costruivano i loro punti strategici. è, inoltre, probabile che abbiano costruito una torre nello stesso luogo ove sorge la torre che possiamo ammirare oggi. Queste ipotesi si traducono in certezza se si considera la scoperta fatta nel secolo scorso dal professor Pane, della Scuola di Architettura Storica di Napoli, che trovò dei frammenti di materiale romano incorporati nella torre del castello, che lui suppose essere stata ricostruita e restaurata intorno all’anno Mille. Potenziata in epoca napoleonica e, in seguito, ricca dimora di privati, tra cui il console inglese Yeats Brown, dal 1961 la fortezza è proprietà del Comune che l’ha trasformata in un bene pubblico e in una struttura turistica di grande rilievo e ne ha affidato la gestione ad una società esterna che vi organizza esposizioni ed eventi privati. Contiene tesori e meraviglie insospettate e un’ineffabile impressione di mistero e suggestione. E’ circondata da un giardino mediterraneo ricco di fiori, roseti e pergolati; l’incantevole panorama che si osserva dalle svariate aperture e dal terrazzo su Portofino e il suo mare fa comprendere pienamente il grande valore strategico di questa fortezza. Le pareti dell’edificio sono arricchite da numerosi bassorilievi e arredi architettonici in marmo o ardesia» - «Il nome “Castello Brown” deriva da Montague Yeats Brown, console inglese a Genova, proprietario dell'edificio dal 1867 al 1905. Nel Medioevo i Genovesi eressero, in posizione dominante sul mare a difesa del golfo di Portofino, una fortezza che venne ristrutturata nel 1554, secondo i nuovi canoni militari, da uno dei più importanti ingegneri militari dell'epoca, Gian Maria Oliato. Dal 1622 al 1624, al tempo della guerra tra Genova ed il Ducato di Savoia, il Castello fu nuovamente ingrandito e alla fine del 1700 venne ulteriormente potenziato da Napoleone Bonaparte. Nel 1867 il console inglese Brown acquistò la Fortezza al prezzo di 7.000 Lire e nel 1870 piantò sulla terrazza principale, egli stesso, i due pini che ancora oggi dominano il paese, per il giorno del suo matrimonio: uno per sé ed uno per sua moglie, Agnese Bellingham. Il console morì nel 1905, lasciando in eredità il Castello ai figli, che lo custodirono fino al 1949. John e Joceline Baber, loro connazionali con la passione dell'archeologia, furono i nuovi proprietari. Con i Brown ed i Baber la Fortezza, da militare, si trasformò in abitazione civile. Nel 1961 il Comune di Portofino acquistò il Castello dalla famiglia Baber e oggi la fortezza, ad uso pubblico, ospita eventi, ricevimenti e mostre».
http://turismo.provincia.genova.it/pdi/fortezza-di-san-giorgio-o-castello-brown - http://www.parcoportofinocode.it/Scheda?id=42
Punta Manara (resti della torre saracena)
«Sul promontorio di Punta Manara, proteso nel golfo del Tigullio tra Sestri Levante e Riva Trigoso, di cui chiude l'estremità di ponente, resistono al tempo i ruderi di un'antica torre "saracena" cinquecentesca, a circa 260 metri di quota. Attraverso la finestrella di avvistamento, si mostra la Baia Del Silenzio di Sestri Levante».
http://i.focus.it/Scheda_media.aspx?idc=2273465&rn=2&ss=hIsCBbMJ9WOQMrJMkjoIisMkCggKwDPr1uRJyi...
Rapallo (castello cinquecentesco)
a cura di Antonella Pasquale
Riva Trigoso (torre saracena di Punta Baffe)
«A quota 262 m. si giunge alla località dove, nel XVI sec., fu eretta dalla Repubblica di Genova una delle tante torri d'avvistamento che facevano parte del sistema difensivo contro le scorrerie dei pirati barbareschi. Erano collegate a vista e gli uomini che le presidiavano dovevano comunicare alle altre torri, con segnali di fumo di giorno e con fuochi la notte, ogni avvistamento di vele sospette. In tal modo si potevano avvisare in tempo le popolazioni dei borghi vicini in modo che potessero fuggire o rifugiarsi nei forti o entro le mura dei loro paesi. La torre è stata recentemente restaurata e attorno è una zona di sosta attrezzata».
http://www.vannacalzature.it/Itinerari_paesaggistici/Torre_Baffe.htm
«Si trova alle pendici del colle che si eleva al centro della grande ansa formata dal Lavagna, appena dopo Carasco, laddove il torrente si unisce al Graveglia per dare origine al fiume Entella. Su questo colle sorgeva nel sec. XII un importante fortilizio. Le fonti d'archivio documentano la costruzione del castello di Rivarola nell'anno 1132 nel corso delle lotte tra Genova ed i Signori di Lavagna. Infatti Genova, "ritenendo questa collina sommamente acconcia alla tattica strategica della milizia per la sua felice positura nel fiaccare la potenza dei conti di Lavagna", inviò sul posto un "poderoso esercito" e fece costruire il fortilizio. Avamposto di Genova nel cuore del territorio dei Fieschi, il castello di Rivarola compare in documenti del 1145 allorché al suo interno venne rogato atto di donazione del castello di Levaggi al Comune di Genova nel 1166 quando Genova consentì ai Fieschi di nominare annualmente un capitano a suo presidio. Nel 1172 il castello fu attaccato dal Marchese Opizzo Malaspina nel corso della guerra che il medesimo, unitamente ai Fieschi di cui era alleato, aveva intrapreso contro Genova. Il Caffaro, nei suoi Annali Genovesi, racconta che "Opizzone Malaspina entrò nel borgo di Chiavari e assediò il castello; suo figlio Moruello fu all'isola di Sestri; altri di lor compagnia andarono al castello di Rivarola e ivi gagliardamente combatterono, ed erano duecentocinquanta cavalieri e più che tremila fanti".
La guerra fu aspra. Da Genova giunsero rinforzi. I Malaspina si impossessarono del castello di Rivarola e della piana di Sestri. I genovesi entrarono in pieno territorio fliscano, risalirono le colline di Cogorno e scesero a Sestrie, appoggiati da truppe che arrivavano via mare, misero in fuga il nemico, che "riparò nelle parti montane". Con questa vittoria Genova, che nel 1167 aveva eretto il castello di Chiavari, riuscì a consolidare il proprio dominio ed ottenere più sicure garanzie da parte dei feudatari locali, compresi i Fieschi che, inurbandosi e rispettando finalmente la fedeltà giurata, poterono, nella prima metà del '200, ridare lustro alla culla della loro stirpe innalzando a San Salvatore la monumentale basilica ed il possente palazzo signorile, simboli di potenza e di gloria al centro di un territorio che fino a pochi decenni prima era stato teatro di dure contese. Venuta meno la sua importanza strategica, il castello di Rivarola decadde e perse la sua funzione militare. Le memorie non dicono cosa sia successo al fortilizio dopo il suo definitivo abbandono. Molte pietre tratte dai muri di questo fortilizio sono state utilizzate per costruire le case poste più in basso o per i muri di fasce. Attualmente vi sono resti di murature ancora ben allineate e composte, di altezza variabile ma sufficiente a far vedere tre differenti tipi di tessitura corrispondenti ad altrettante fasi: quella originaria e due successive, testimonianze di distruzioni e ricostruzioni. La struttura emergente, conservata in alcuni tratti per oltre due metri di altezza, ha una pianta rettangolare che si stringe verso nord, concludendosi con un corpo semicircolare, presumibilmente un torrione. Nella zona sud è presente il basamento di una struttura quadrata, forse una torre di avvistamento».
http://www.comune.carasco.ge.it/?IDpagina=127
ROCCATAGLIATA (resti del castello)
«Il Castello-fortezza di Roccatagliata, del quale ora non restano che poche tracce in attesa di essere indagate dagli scavi archeologici che hanno avuto inizio, non aveva solo una funzione di tipo militare, ma anche un'importante ruolo economico dal momento che assolveva il compito della riscossione dei dazi e strategico in quanto assicurava al Comune, poi Repubblica di Genova, il controllo rispetto a chi potesse arrivare dallo specchio di levante o dalla zona dell'oltregiogo appenninico. Verso la fine del XII secolo è il Caminus Genuae, questa strada che congiungeva l'area padana a quella ligure, ad essere frequentato da mercanti che trasportavano materiali di ogni tipo, alimentari, spezie, tessuti. Il numero delle carovane transitanti per Roccatagliata potevano essere composte fino a 100 muli pertanto i dazi da riscuotere erano tali da garantire un bell'introito ai signori del castello. Come avvenuto a tanti luoghi della Liguria, anche il territorio di Roccatagliata divenne pertinenza del clero cattolico milanese, bisognoso di fonti di sostentamento dopo essere fuggito dall’invasione degli ariani longobardi. Per questa ragione ancora nel XII secolo il castello fu conteso fra Rolando Avvocato (curatore dei beni della Curia milanese) e l’arcivescovo di Genova per passare, nel 1259, ai Doria che lo cedettero ai Fieschi nel 1273. Fu quindi annoverato tra i loro possedimenti fino al 1547, fatta eccezione per alcune parentesi di dominio genovese che resero il castello sede della podesteria genovese di Roccatagliata-Neirone» - «Roccatagliata - con il castello erto sul picco sovrastante l’attuale chiesa di San Lorenzo - era una roccaforte dei Fieschi secondo consolidate fonti storiche. Oggi Roccatagliata ha l’aspetto di un tranquillo borgo rurale, tranciato in due dalla carrozzabile (che nel tratto tra le case prende nome, coerentemente, di via Fieschi). Con un po’ di attenzione è possibile cogliere i tre agglomerati costituenti l’insediamento,composto da balze che si agglutinano intorno alla rupe del castello, dal quale si domina il percorso per il Passo del Portello (alle spalle di Roccatagliata), conducente verso le valli Trebbia o Aveto, e il crinale opposto che dal Monte Carpena giunge agli imponenti contrafforti del Monte Lavagnola. Il castello sorgeva sulla rupe che sovrasta la chiesa, ma di esso sono visibili soltanto labili tracce: la spianata artificiale del pendio,la presenza di un vacuo - forse la cisterna -, segni di roccia lavorata a formare il terrapieno. Si può risalire il picco solo attraverso un disagevole sentierino e portarsi sulla sommità quadrangolare per godersi il panorama. È possibile, peraltro, ipotizzare che parte del materiale edilizio utilizzato nelle abitazioni del borgo provenga dal diruto castello, secondo una prassi consolidata».
http://www.liguriaheritage.it/heritage/it/liguriaFeudale/Genova... - http://www.comune.neirone.ge.it/detail.php?ID=81
Ronco Scrivia (castello degli Spinola)
a cura di Antonella Pasquale
San Cipriano (castello Parodi)
«Il castello, in stile neogotico, è situato presso il comune di Serra Riccò nell'entroterra di Genova. Fu fatto costruire agli inizi del XX secolo dall’onorevole Emilio Parodi sul sito di un’altra delle antiche torri di avvistamento poste a difesa della Val Polcevera. Si trova su un’altura che domina le due vallate (Secca e Polcevera), dal Santuario della Vittoria fino al mare. Costruito ad imitazione degli antichi castelli, è costituito da un corpo centrale in mattoni con un’alta torre e da una torretta in pietra dalla parte opposta» - «La postura sulla quale venne edificato e veramente incantevole. è l’altura dove anticamente sorgeva la Torre di Cambiaso, la quale conservò sempre al sito il nome di Torre. è un poggio elevato, che domina le due vallate del Secca e del Verde e dal quale l’occhio si stende a contemplare tutta la Val Polcevera, dal Santuario di N.S. della Vittoria fino a Coronata. Il posto sembra destinato dalla stessa natura a servire come base di una fortezza e tale appare specialmente perché è sostenuto da muraglione dallo spessore di tre metri, veri bastioni monumentali. Il giardino è a due livelli. Vi si entra per un severo cancello in ferro battuto; prati tutti verdeggianti si stendono intorno ai bastioni e un viale grandioso conduce al posto sovrastane. Percorrendo il viale grande, si arriva all’ampio piazzale del castello, che è costituito in parte sopra i bastioni, in modo che per due lati le sue mura esterne non sono che il loro prolungamento. è una costruzione solida ed insieme elegante: imita la robustezza degli antichi castelli, che all’uopo servivano anche da fortezza e nello stesso tempo presentava tutta la grazia di un fabbricato moderno. è costituito da un corpo centrale, tutto in mattoni, su cui domina l’alta torre, da un avancorpo con portico e da una torretta di pietra viva nella parte opposta. Ogni ornamento delle mura esterne richiama un ricordo storico. Dall’alta Torre del Castello si ammira un panorama fantastico. Ben ventisette campanili si presentano allo sguardo, che si spinge a contemplare una cerchia immensa di monti, il Figogna, il Tobbio, il Leco, il Monte Maggio, il Fasce e riposa in ultimo sulla distesa sconfinata del mare».
http://www.daovittoriovernissage.it/altre_location.php - http://www.sancipriano.com/la-storia-di-san-cipriano/il-castello/
San Fruttuoso (torre dei Doria)
«Alla Torre si accede tramite una ripida scalinata che si incontra percorrendo la strada che collega l’Abbazia al borgo dei pescatori (risalente al XVI secolo). La torre di Andrea Doria è stata costruita nel 1562 dagli eredi dell'ammiraglio, Giovanni Andrea e Pagano, per difendere il borgo e la sua provvidenziale sorgente di acqua dolce dalle incursioni dei pirati barbareschi. La torre presenta sulle due facciate rivolte al mare lo stemma della Famiglia Doria, l'aquila imperiale, mentre altre decorazioni sono visibili sulle cornici e sulle mensole».
http://www.visitfai.it/dimore/sanfruttuoso/dimora-191-Torre-Doria
San Michele di Punta Pagana (castello di Punta Pagana o villa Spinola)
«All'interno della Villa in San Michele di Pagana che, per decisione testamentaria dell'ultimo proprietario, l'ammiraglio marchese Franco Spinola, appartiene oggi al Sovrano Militare Ordine di Malta, fra le rigogliose piante del parco, sorge il Castello di Punta Pagana. Di forma quadrangolare, con i due bastioni frontali più accentuati, è circondato da un fossato, superabile grazie al ponte levatoio. È una fortezza ottimamente conservata, che conferma le linee del progetto originario conservato all'Archivio di Stato di Genova, salvo qualche lieve miglioria attuata nel corso della costruzione per ottenere la più completa funzionalità. L'opera si deve a Pier Francesco Cambone e l'avvio per la sua realizzazione risale all'aprile del 1625 quando la Serenissima Repubblica intese premunirsi contro gli attacchi che sarebbero potuti venire dai franco-piemontesi essendosi aperte le ostilità per le mire espansionistiche di Carlo Emanuele di Savoia. ... La villa col parco circostante era nel frattempo passata in proprietà ai Cattaneo, per pervenire poi, per vincoli di parentela, agli Spinola che nel novembre del 1846 vi ospitarono i principi Giovanni e Ferdinando di Borbone, come ricorda una lapide fatta apporre da Giacomo Spinola. Un altro marmo, presso l'ingresso principale del palazzo, collocato nel 1959, ricorda la donazione della villa, del parco e del forte di Punta Pagana al Sovrano Militare Ordine di Malta. È per questo motivo che in occasione di ogni soggiorno a Rapallo del Gran Maestro, il rosso stendardo dell'Ordine sventola sull'edificio a fianco dell'antico fortilizio di Punta Pagana».
http://www.sanmicheledipagana.it/siti/castello.htm
San Michele di Punta Pagana (torre saracena)
«Fra San Michele di Pagana e la spiaggia di Prelo emerge un promontorio coperto di pini marittimi, entro cui si annida una delle poche torri “saracene” liguri non inglobate in abitazioni o svilite da usi impropri. Eretta nella seconda metà del XVI secolo dal Senato della Repubblica di Genova, la Torre, massiccia sentinella in pietra con funzioni di guardia, è un documento di un’epoca, fra XVI e XVII secolo, in cui le coste liguri correvano di continuo pericoli dovuti alle incursioni di navi corsare. Fu proprio uno di questi tragici sbarchi, avvenuto la mattina del 4 luglio 1549 e culminato con la cattura di giovani donne e bambini, a spingere gli abitanti di San Michele a chiedere che il borgo fosse messo in maggiore sicurezza. Il Senato di Genova inviò quindi nel villaggio marinaro il Capitano Gerolamo Roisecco, il quale, colta la gravità della situazione, convinse la repubblica genovese dell’immediata necessità dell’erezione di una torre per l’avvistamento via mare. Un contributo di 600 lire per la realizzazione della Torre fu fissato il 16 maggio 1562 dal podestà rapallese Gerolamo Giustiniani, in accordo con i consiglieri del Quartiere di Olivastro e alcuni patrizi di Genova. Il doge della Repubblica erogò maggiori finanziamenti destinando ai lavori, con un decreto firmato il 22 maggio 1562, i proventi della cancelleria di Rapallo fino all’1 gennaio 1563, rendendo così possibile l’avvio della costruzione della Torre, che si protrasse per circa un anno. Ad opera completata, e nonostante i continui problemi di denaro che accompagnarono le diverse fasi di costruzione, la Torre venne armata di numerosi sistemi difensivi e consegnata alla popolazione sanmichelina, che ebbe così finalmente un poderoso baluardo a tutela della propria sicurezza. La donazione ha offerto al FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano - l’occasione di restaurare la Torre e curare la sopravvivenza delle specie arboree. Il restauro ha ripristinato in copertura la “camera della bombarda” e ha ritrovato il pavimento originario in mattoni posti a coltello; è stato anche avviato il restauro degli intonaci esterni risalenti al Seicento, integrandoli ove necessario».
http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Torre_di_Punta_Pagana.pdf
SAN SALVATORE DEI FIESCHI (borgo medievale)
«La piazza di San Salvatore dei Fieschi può essere considerata uno dei gioielli del territorio ligure e non a caso spesso ospita concerti e suggestive manifestazioni teatrali. Su un lato si innalza la chiesa romanico- gotica di San Salvatore, mentre quasi di fronte, a fianco di un oratorio barocco, sorge il Palazzo Comitale. Il tutto è raccordato da una splendida pavimentazione in pietre di fiume sistemate a mosaico. Il complesso medievale è legato alla famiglia dei Fieschi, nobile stirpe i cui rappresentanti furono insigniti del titolo di conti di Lavagna. In particolare la fondazione del borgo medievale e della basilica si deve a Papa Innocenzo IV (Sinibaldo Fieschi, eletto papa ad Anagni), che nel 1244,mentre era a Genova per raggiungere il Concilio di Lione, diede l’ordine di costruirli all’interno della contea amministrativa della famiglia. Il complesso e l’intera contea furono oggetto delle devastazioni di Federico II di Svevia, scomunicato dallo stesso Papa. Nel 1252 il pontefice si preoccupò della ricostruzione del palazzo comitale, degli edifici minori annessi allo stesso e della parrocchiale, sotto la guida del cardinale Ottobono. Questi, divenuto poi papa col nome di Adriano V, fece dono alla Basilica di una preziosa reliquia della SS. Croce, conservata in una teca di cristallo. Il borgo, collocato in una posizione strategica, divenne un polo di attrazione e una tappa per i pellegrini che, attraverso il vecchio tracciato della via consolare, raggiungevano la via Francigena. La fortuna della famiglia si protrasse sino al 1547, quando il fallimento della congiura ordita contro i Doria da Gianluigi Fieschi ne determinò la rovina».
http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Palazzo_Fieschi_Cogorno.pdf
SAN SALVATORE DEI FIESCHI (palazzo comitale dei Fieschi)
«Il Palazzo Comitale sorge di fronte alla basilica, con cui dialoga felicemente, ed è fiancheggiato lungo il lato settentrionale dalla Via Antica Romana. La facciata originale dell’edificio si presenta notevolmente alterata dagli interventi che si sono susseguiti nei secoli, fino a dividere la dimora in diverse unità abitative di tipo rurale. Si riesce però ancora bene a cogliere la sua natura di residenza signorile di tipo cittadino, decisamente differente rispetto al contesto residenziale circostante. Probabilmente l’edificio, documentato a partire dal 1383, risale alla fine del XIII secolo: in particolare a dopo il 1288, quando un atto notarile riferisce di una riunione della famiglia Fieschi avvenuta nel refettorio della chiesa di San Salvatore (e che diversamente, se fosse già stato terminato, si sarebbe svolta nel palazzo comitale). ... Il palazzo si presenta come un blocco squadrato, di pianta rettangolare, disposto lungo il pendio della collina. Il paramento murario è costituito in prevalenza da conci di pietra grigia, l’“agro di ardesia”: un materiale di aspetto simile all’ardesia, estratto sin dall’XI secolo dal Monte San Giacomo. Recenti studi della superficie muraria hanno consentito di individuare le diverse fasi edilizie. Dei quattro prospetti, il più importante, qualificato come facciata, è quello orientale, scandito da fasce bianche e nere. A piano terra si riconosce la presenza di un portico, aperto con due archi con ghiere marmoree sulla piazza, che doveva costituire uno spazio di compenetrazione tra interno ed esterno. ...».
http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Palazzo_Fieschi_Cogorno.pdf
«Il primo progetto del Forte Diamante risale al 1747 ma la costruzione vera e propria iniziò nel 1756. Altre trasformazioni avvennero nel 1814 ad opera del Genio Sardo. Il suo abbandono definitivo, che dura fino ad oggi, è datato 1914. Il Forte Diamante è la postazione che si trova più a nord tra le mura di Genova, inoltre non è più ubicato nel comune di Genova ma nel comune di Sant'Olcese, unico forte a trovarsi fuori dai confini del comune. Il forte Diamante si trova sul monte Diamante ed è raggiungibile sia dalla Val Polcevera che dalla Val Bisagno, vallate su cui il Forte è in posizione dominante. La via più semplice è comunque quella che proviene dal Forte Sperone e che permette di giungere a piedi, superati il Forte Puin e il Fratello Minore, fino alla Sella de Diamante e quindi al tratto finale (comune tra tutte le vie di accesso) con 14 tornanti che si inerpicano fino al Forte. Arrivati in cima al Diamante si trova l'ingresso del forte, anticamente dotato sia di ponte levatoio che di stemma sabaudo. Il forte è ormai sprovvisto delle strutture in ferro, tra cui le grate a protezione delle caditoie, asportate durante la seconda guerra mondiale. Nonostante lo stato di abbandono, la struttura, considerata anche la posizione dominante sugli Appennini e la tipologia di fortificazione, è molto scenografica e affascinante».
http://www.forti-genova.com/forte/5/vedi/forte-diamante.html
Santa Margherita Ligure (castello)
«Il castello cinquecentesco è stato un edificio difensivo di Santa Margherita Ligure, nel Tigullio in provincia di Genova. La costruzione del castello, posto ai piedi della collina su cui sorge la celebre Villa Durazzo-Centurione, è risalente al 1550 grazie alla delibera del Senato della Repubblica di Genova che decise di erigere un maniero a difesa dalle frequenti incursioni dei pirati saraceni. Il disegno è opera di Antonio de Càrabo, lo stesso che nel 1551 realizzerà il Castello di Rapallo. I lavori iniziarono nel 1550 per concludersi nel settembre dello stesso anno. Fu sottoposto a diversi interventi strutturali e a potenziamenti degli armamenti fino ai primi anni del XVII secolo; dal Settecento perse importanza dal punto di vista militare, grazie soprattutto alle cessate invasioni piratesche, e pertanto ricevette solo alcuni lavori di riparazione e manutenzione. Nel XIX secolo rischiò di essere demolito ben due volte: la prima per realizzare in quell'area un nuovo palazzo comunale (proprio in questo secolo si costituì la municipalità indipendente da Rapallo), la seconda per ingrandire l'adiacente Calata Vittorio Emanuele. Al termine della prima guerra mondiale il castello fu restaurato ed intitolato in memoria dei caduti della Grande guerra».
Santo Stefano d'Aveta (castello Malaspina)
a cura di Elisa Delgrosso
Savignone (castello dei Fieschi)
a cura di Antonella Pasquale
Senarega (casa-castello dei Fieschi)
a cura di Antonella Pasquale
«Il nucleo originario dell’abitato sorse in età medievale sulle pendici dell’isola rivolte verso l’istmo, in posizione naturalmente fortificata; in epoca successiva, specialmente dopo il sec. XV, si protese verso la terraferma saldandosi con un altro nucleo sorto a sud della foce del corso d’acqua. Lo sviluppo moderno ha portato la cittadina ed estendersi nell’interno, lungo il Gromolo e la via Aurelia e lungo la spiaggia al di là del porto, con un elegante quartiere, fino al confine con il comune di Lavagna. Il porto turistico di Sestri Levante è stato ricavato all’estremità orientale della baia della Favole, a ridosso del promontorio dell’Isola. ... Appare citato per la prima volta nel 909 in un diploma di Berengario I, che ne confermava il possesso alla basilica di San Giovanni di Pavia. Compreso nella contea di Lavagna, dopo la sconfitta dei Fieschi (1133) passò a Genova, che nel 1145 acquistò dall’abbazia di San Colombano la parte più alta e vi costruì un castello. Nel 1170 partecipò, con navi proprie, alla guerra contro Pisa, e due anni dopo fu occupato temporaneamente dai Malaspina e dai Fieschi. Podesteria di Genova nel 1212, fu occupato da Castruccio Castracani (1327), subì l’invasione e il dominio dei Visconti (1365) e fu coinvolto nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini e nelle lotte (sec. XV) tra le fazioni che facevano capo alle grandi famiglie genovesi. Respinto il tentativo di occupazione dei Veneziani (1432), fu saccheggiato dai pirati nel 1542 e nel 1607. Seguì poi le sorti di Genova, sotto il governatorato di Chiavari, e nel 1817 fu annesso al regno di Sardegna. Sono ancora visibili sulle alture alcuni torrioni d’avvistamento che anticamente servivano a segnalare mediante fuochi gli assalti dei corsari turchi e barbareschi, molto frequenti sulle nostre coste».
http://web.infinito.it/utenti/s/sercas/cdl/mare/sestri.htm
Sestri Levante (torre dei Doganieri o del Carroggetto)
«La torre detta "dei Doganieri" ma anche " del Carroggetto" si trova a Sestri Levante, nella piazza dedicata alla pittrice Dina Bellotti. È una torre saracena cinquecentesca - simile alla torre Santa Lucia di Pontedassio e alla torre cosiddetta "dei Doganieri", di Sestri Levante - di cui si era persa la memoria, finché l'esplosione di una fabbrica abusiva di petardi nel 1951 non provocò il crollo di un gruppo di case, riportandola in vista. Fu restaurata e venne poi adibita a Centro Informazione e Educazione Ambientale della Cooperativa TerraMare che organizza le escursioni nell'area protetta di Punta Manara. Recentemente è diventata la sede di un'esposizione di oggetti d'arte. Presso un vicino antiquario un quadro del 1952 testimonia lo sventramento dell'area, che portò alla riscoperta della torre e alla creazione dell'attuale piazzetta».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/sestri_levante_torre_doganieri.htm
Sestri Levante (torre Marconi)
«Torre Marconi si trova in cima alla collina sul promontorio che domina il Golfo del Tigullio, nel Mar Ligure, noto nella tradizione popolare come "Isola". Anticamente apparteneva ai Frati Benedettini di Piacenza, ai quali era stata donata nel 986 da Adelaide, moglie di Ottone il Grande, imperatore del Sacro Romano Impero. Successivamente passò nel possesso di altri Ordini finché non fu occupata dalla Repubblica di Genova, che utilizzò l'Isola e il porto di Sestri come avamposto nella guerra contro Pisa. Su di essa furono eretti tre castelli, tra il 1145 e il 1441; adiacente al più antico, nel 1200 fu innalzata una torre alta 10 metri, come punto di avvistamento. ... Prende il nome dello Scienziato perché Guglielmo Marconi (1874-1937) la utilizzò, negli scorsi anni Trenta, per i suoi studi sulle onde ultracorte e sulle microonde e, successivamente, vi effettuò prove di propagazione e sperimentazioni sulla televisione e sul radar. Nel seminterrato della Torre si trovano due piccoli magazzini; al piano terra, un ambiente che ospita fotografie e testimonianze dell'attività di Marconi nella torre stessa e sull'Elettra (frammenti della chiglia sono conservati a Villa Durazzo in Santa Margherita Ligure). Una scala a chiocciola conduce al piano superiore dove c'è la sala radio; per mezzo di una botola si può raggiungere la terrazza, dal panorama mozzafiato, d'inverno spazzata da violente raffiche di vento: sugli alberi circostanti sono incastrati pezzi di antenne divelte dal vento. Durante la seconda guerra mondiale la torre fu usata dai Servizi di segnalazione aerea e fu poi occupata dai Tedeschi, finché le bombe dell'aviazione britannica non ne causarono il crollo parziale. Dopo la guerra l'Aeronautica Militare la ricostruì e la impiegò come osservatorio meteorologico».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/torre_marconi.htm
Torriglia (castello dei Fieschi)
a cura di Antonella Pasquale
«Il borgo di Ginestra si trova a ponente di Riva Trigoso, sul versante orientale del promontorio di Punta Manara. Alle falde del bosco, dai vari percorsi naturalistici nell'area della Comunità Montana "Val Petronio", si trova una bella torre "saracena", di muratura in pietre squadrate, con basamento quadrangolare a scarpa leggera, cordolo di raccordo al corpo verticale a due piani, e terrazza di copertura con alto parapetto. Recentemente restaurata, è stata rimaneggiata con l'apertura di una porta d'ingresso a piano terra e di finestre ai piani alti, per consentirne l'uso. Oggi inglobata in un gruppo di case, ospita infatti i centri di avvistamento antincendi, di protezione civile e di informazione ambientale, nonché un deposito di attrezzi della Comunità stessa».
http://www.sullacrestadellonda.it/torri_costiere/torreginestra.htm
Vobbia (castello della Pietra)
a cura di Antonella Pasquale
ZOAGLI (castello Canevari, torre Saracena di Ponente)
«Il complesso architettonico attualmente denominato Castello Canevaro, a Zoagli, nasce e si sviluppa nel corso dei secoli intorno alla costruzione della Torre di avvistamento. Il 1550, anno d’inizio dei lavori di costruzione della Torre, coincide con la prima fase di edificazione del complesso che oggi viene più comunemente definito Castello Canevaro. La seconda fase si fa dunque coincidere con la presenza sul terreno già nel 1640 di un edificio a blocco, di stampo tipicamente “alessiano”, come viene definito dalla bibliografia specifica. La fortificazione in oggetto e il Palazzo (o Villa) rilevata da Matteo Vinzoni viene costruita nel 1773 e da P. D. Cambiaso con le sue vedute ottocentesche della Riviera di Levante. La terza fase di costruzione, riguardante il del corpo a “L” di collegamento tra la Torre e il Palazzo Malfante, sia da collocarsi fra il rilevamento di Vinzoni datato 1773. L’effettiva creazione, in epoca settecentesca, di un corpo adiacente alla Torre, comunicante con il Palazzo, è rilevabile dall’allegato grafico all’atto di compravendita tra i Malfante e i Canevaro, rogato in Genova nel maggio del 1875. La quarta fase di trasformazione dell’edificio si fa infine coincidere con i lavori commissionati dalla famiglia Canevaro, nuovo proprietario del complesso, al fine di dare una maggiore unitarietà all’insieme articolato di edifici che compongono l’immobile. Il progetto di ristrutturazione, che prevede anche un ampliamento del fronte ovest, viene datato tra gli anni 1889 e 1899, attraverso il confronto fatto con la documentazione fotografica rinvenuta nell’archivio della famiglia stessa. Nel 1899 si può davvero parlare del complesso di Castello Canevaro, in cui i prospetti della Torre e dell’antico Palazzo Padronale vengono ridisegnati secondo la facciata principale a ovest, arricchita dall’introduzione di due torrette di gusto eclettico. La storia dell’edificio, che alla fine del secolo XIX raggiunge il momento di massima rilevanza, s’interrompe bruscamente con il 1943, anno in cui Zoagli viene duramente bombardata per la presenza dell’alto ponte ferroviario che la sovrasta e che risulta essere la causa della distruzione di buone parte della Villa Padronale, ovvero del “Palazzo Malfante”. Negli anni del dopoguerra, fino ai giorni d’oggi, l’edificio viene utilizzato solo a scopo residenziale e perciò diviso in appartamenti, andando incontro al conseguente degrado causato dalla mancanza di un progetto unitario di manutenzione. Il progetto redatto dagli architetti C. Bruzzo, F. Gotta e M. L. Grasso ha riportato alla luce l’unitarietà voluta alla fine dell’Ottocento dall’architetto Partini e dalla famiglia Canevaro, introducendo, nella Torre e nei fondi voltati del Castello, nuovi spazi espositivi, con l’intento di ristabilire quella fruizione pubblica per la quale erano stati costruiti».
http://castellocanevaro.com/about-us/castle-history/?lang=it
ZOAGLI (castello di Sem Benelli)
«Percorrendo la strada sul litorale che da Zoagli porta a Chiavari, si incontra la Villa-Castello dello scrittore e drammaturgo Sem Benelli, eretta su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, in località Monteprato. Fu fatta costruire dallo stesso nel 1914 su progetto del suo scenografo teatrale Giuseppe Mancini. L’edificio, nonostante sia di costruzione recente, si presenta in un aspetto eterogeneo di stile medievale e gotico, con l’utilizzo di pietra a vista, maioliche e marmi colorati. Il corpo centrale è contornato da una serie di altri moduli in un sistema complesso seppur compatto e maestoso. L’ingresso della villa è inquadrato da un monumentale arco che ricorda un fondale scenico, originale componente con cui Mancini ha voluto valorizzare la struttura. Nel 1943, a seguito delle sue precarie condizioni finanziarie, Benelli fu costretto a vendere il suo beneamato Castello all’industriale milanese Costantino Lentati e a trasferirsi nell’attigua casa del giardiniere, dove rimase sino al 1949, anno della sua morte. Come indicato nelle sue volontà testamentarie, parte dei suoi beni – volumi stampati e manoscritti - divennero proprietà della Società Economica di Chiavari. Attualmente parte dell’edificio è oggetto di interventi di ristrutturazione».
http://turismo.provincia.genova.it/pdi/castello-di-sem-benelli
ZOAGLI (torre saracena di Levante)
«La Torre Saracena di Levante, piccolo gioiello incastonato nella roccia, dovrebbe risalire al XVIII secolo; fu modificata più volte, fino ad assumere, nel 1800, l’aspetto attuale. Presenta una pianta quadrata in pietra a vista e finestre rettangolari su tre facciate. Il tetto è contornato da un parapetto sistemato su beccatelli e vi si accede attraverso una scala sul lato est. Recentemente restaurata, è sede di mostre ed incontri artistico-culturali. Centro romano di una certa rilevanza, Zoagli ha origini più remote: su un’altura sorgeva infatti un castellaro, insediamento degli antichi abitanti della zona. Dopo essere stato feudo dei Fieschi Conti di Lavagna passò poi sotto il controllo di Genova, nel XII secolo. A seguito dell’invasione, nel 1549, del tristemente noto pirata Torghut (Dragut), il Senato della Repubblica di Genova mise in allarme i centri rivieraschi perché costruissero sistemi di difesa contro il temutissimo pirata. In particolare a Zoagli venne presa l’iniziativa di edificare un forte la cui costruzione terminò nel 1563. Dalla documentazione storica pervenutaci, si può riferire questa costruzione alla torre oggi incorporata nella Villa Canevaro, a ponente. Terminato l’allarme per le incursioni piratesche, si presentò una nuova minaccia, costituita da una spaventosa epidemia di peste che colpì la Repubblica genovese nel 1656-57 e fece un numero impressionante di vittime. Le fortificazioni zoagliesi furono, pertanto, coinvolte nel controllo e difesa da possibili sbarchi “pericolosi”».
http://turismo.provincia.genova.it/pdi/torre-saracena-di-levante
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