Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Sicilia ® Provincia di Messina |
TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI MESSINA
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
Fermando il puntatore del mouse sulla miniatura di ogni foto, si legge in bassa risoluzione (tooltip) il sito da cui la foto è tratta e, se noto, il nome del suo autore: a loro va riferito il copyright delle immagini.
= click image to enlarge / clicca sull'immagine per ingrandirla.
= click also image to enter / puoi entrare nella pagina anche cliccando
sull'immagine.
= click image to castelliere.blogspot / clicca sull'immagine per
castelliere.blogspot.
= click image to wikipedia / clicca sull'immagine per wikipedia.
Acquaficara (torre del Piliere)
«La massiccia torre campanaria del XVI secolo è l'elemento superstite dell'antica chiesa dedicata alla Madonna del Piliere, che dopo essere stata danneggiata dal terremoto del 1908, venne demolita e ricostruita nella stessa area ma con ingresso sul lato opposto a quello iniziale, negli anni '60. Non esistendo più la chiesa originaria e non essendo noti documenti sulla sua origine, ne sconosciamo l'epoca di costruzione. Si ritiene che risalisse alla dominazione spagnola (XV secolo), poiché la devozione alla Madonna del Piliere proviene proprio dalla Spagna. Ma una preziosa testimonianza ce la offre Padre Carmelo Biondo nella sua opera sulle chiese di Barcellona. Scrive: "Per parecchi anni la chiesa è rimasta chiusa perché gravemente danneggiata dal terremoto del 1908. Era ad una sola navata con stucchi all'interno e tetto in legno lavorato. La porta d'entrata era rivolta verso il mare vicino al campanile, l'abside all'esterno presentava tre piccole nicchie, mentre nell'interno una fossa comune e diverse tombe erano adibite per la sepoltura dei locali. Ridotta ad un rudere è stata ricostruita sulla stessa area e aperta al culto nel 1968." A proposito della torre, che parrebbe del XVI secolo, sempre Padre Biondo riporta: "Dell'antica costruzione rimane solamente la torre campanaria con data 1134 di forma quadrata con due cupolette all'interno di stile bizantino". All'interno si custodiva una grande tela, oggi scomparsa, raffigurante una battaglia tra Cristiani e Saraceni, svoltasi, secondo gli storici locali, in queste zone. è rimasta invece la statua in marmo della Madonna del Piliere della scuola del Gagini, del 1596, assieme a vari dipinti del XVII e XVIII secolo».
http://www.santifugazzotto.it/ArteeArchitettura.html
Acquedolci (ruderi del castello delle Acque Dolci o del barone Cupane)
«I principi di Palagonia fecero erigere il Castello tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 attorno alla vecchia torre che era stata costruita intorno al 1530 per ospitare il re Carlo V, che era venuto in Sicilia per liberarla dai Saraceni. Successivamente il castello passò alla famiglia Cupane che lo acquistò dai Palagonia nella seconda metà dell’800. Il castello è costituito da un entrata con un cancello sorretto da pilastri; segue un cortile con tre entrate di cui quella a sinistra porta le iniziali del barone; i cornicioni appartenenti alla facciata principale sono costituiti da merlature a coda di rondine;le scale che portano al piano superiore sono in pietra lavorata: inoltre si possono osservare le mura di cinta in pietra con sbarre di ferro a forma di “Y” che fermano l’intelaiatura. Dalle mura si innalzano due torri cilindriche e i resti di una torre di forma quadrata che è andata distrutta intorno al 1970. Il castello dovrebbe ospitare una biblioteca, una sala convegni, una pinacoteca e soprattutto un museo per la conservazione dei reperti fossili rinvenuti nella Grotta di S. Teodoro; una cappella (già esistente e che era luogo di culto per gli abitanti della zona) e un piccolo auditorium. Il castello ha un valore storico eccezionale, se accostato ad altre fortificazioni presenti nel nostro territorio ed alla memoria storica in quanto cuore del vecchio plesso “Acquedolci Tappeto”».
http://www.areadellostretto.it/ecm/web/ads/online/home/turismo/arte-e-cultura/castelli-e-campanili/content/il-castello-cupane-acquedolci...
ALCARA LI FUSI (ruderi di Castel Turio)
«Il Castello di Alcara Li Fusi sorge in via Castello, centro urbano di un quartiere di origine medievale conosciuto come quartiere “Motta”. La tradizione, narrata da Plinio e Dionigi di Alicarnasso, ci tramanda dell’esistenza di Turiano (dal nome di Turio, la sua città natale) tra i seguaci di Enea che, sbarcando nel territorio compreso tra Acquedolci e Sant’Agata di Militello, si diresse verso l’entroterra, ove fondò il Borgo Turiano, successivamente denominato “Alcara” dai Normanni. Il termine gode di svariate interpretazioni, concretamente riconducibili ai significati di “fortezza” o “castello”. Questo, infatti, viene già documentato in un diploma greco del 1095. Denominato anche “Castel Tauro”, è di attuale proprietà comunale. Del complesso di impianto rettangolare, con accessi sui lati più lunghi, è rimasto come unico elemento superstite la torre a pianta quadrata, posta su un rialzo roccioso. I materiali impiegati, di probabile derivazione locale, erano molto semplici: blocchi e ciottoli, di forma irregolare, legati con malta. Il Castello, vittima del dannoso terremoto del 6 ottobre 1490 (responsabile del crollo dell’aquila decorativa in pietra, sovrastante l’entrata) e del più recente sisma del 1968, è stato oggetto di restauri apportati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina tra il 1980 ed il 1983. è grazie a questi interventi che, ad eccezione dell’originaria torre, prende attualmente forma la struttura fortificata».
http://www.messinaweb.eu/territorio/i-castelli/item/637-castello-di-alcara-li-fusi.html (a cura di Denise Vrenna)
a cura di Giuseppe Tropea
Barcellona Pozzo di Gotto (torre del Cantone)
«La costruzione della torre di Cantoni o del Cantone, secondo alcune fonti storiche, fra le quali citiamo il Rossitto, ma, soprattutto, il Villabianca fu concessa alla città di Castroreale da parte del viceré Marc'Antonio Colonna, con un dispaccio datato Palermo 20 marzo 1579 e doveva avere il privilegio di un caricatore nella marina. Tale caricatore non fu mai realizzato. Si trova nella spiaggia tra le foci della Saia d'Acri e del torrente Patrì o Termini. Restaurata in tempi successivi ed adibita ad abitazione privata, affiancata da altre costruzioni (chiesetta padronale Picardi, casette e magazzini), che ne hanno alterato radicalmente il suo aspetto di torre di avvistamento. Unici elementi rimasti sono i cantonali in pietra. Durante le guerre napoleoniche fu posto dagli inglesi un telegrafo a palo che durò per alcuni anni. In seguito abbandonata, passò in potere dei privati, subendo le modificazioni di cui abbiamo già detto, in particolare una elevazione della terrazza, l'inserimento di persiane alle finestre, di un balcone su mensole e il ricoprimento esterno con intonaco di cemento grigio e la scala di accesso munita di ringhiera in ferro».
http://www.panoramio.com/photo/44014312 (da La tua città, a c. di Edoardo Bavastrelli e Carmelo Ceraolo; citato a cura di Patrizia Rossitto)
Barcellona Pozzo di Gotto (torre di Gurafi)
«Lungo la strada che da
Barcellona si inerpica verso Castroreale, facendo una piccola deviazione e
scendendo verso il fondovalle si incontra il casale di Gurafi, posto sulla
sponda sinistra del torrente Longano.
è composto da poche case e da
attrezzature agricole del XVI secolo e si trovano i ruderi di una torre
circolare, i resti di una chiesa e di un palazzo padronale. Gurafi è
d'origine saracena, ed il suo nome deriva, secondo alcuni studiosi,
dall'arabo "karafa", recipiente per contenere olio o vino, entrambi prodotti
in abbondanza in questa zona. Per ripopolare Castroreale, che Federico II
aveva reso autonoma, nel 1324 Gurafi, assieme a Nasari (altro casale
d'origine araba) fornì buona parte di popolazione che andò ad insediarsi
nella vicina cittadina, che peraltro confinava col feudo di Gurafi, tanto
ampio da essere poi distinto (alla fine del XIV secolo) in orientale ed
occidentale (la linea di divisione era data dal Longano) e confinante pure
con i feudi di Nasari, Protonotaro e Ranieri, e con Gala. La chiesa
dell'Immacolata, del 1680, è oggi un rudere di cui rimangono solo le mura
perimetrali, parzialmente interrata da una alluvione del Longano di metà
Ottocento. Poco distante si trova la caratteristica torre a pianta
circolare, anch'essa in parte interrata e sommersa dalle erbacce, in
precarie condizioni statiche. è
mezza distrutta, tanto che dall'esterno si riesce a vedere la scala interna,
ricavata nello spessore della muratura. Sarebbe opportuno tentare un qualche
intervento di restauro e di consolidamento prima che crolli miseramente».
http://www.santifugazzotto.it/ArteeArchitettura.html
Barcellona Pozzo di Gotto (torre di Nasari)
«"La torre tuttora esistente sulla vetta di una collinetta alla destra del torrente Longano in prossimità del Casale di San Paolo è a sezione quadrata con la spianata cinta di mura; il suo stile non è dei tempi saraceni, è facile che sia stata riparata in tempi a noi non molto lontani"; così il Rossitto la descrive, negando la fattura araba della Torre di Nasari. Il Barberini afferma che "...la sua storia risale ai primi tempi della conquista normanna, il suo nome evidentemente arabo provenne forse da Abu-Nasar, guerriero arabo. C'è chi dice che lo abbia avuto invece dalla baronessa Nasari che ne abitava il castello. Su una collina di Santa Venera, a non molta distanza dalla riva destra del Torrente Longano esiste ancora la Torre di Nasari che doveva servire a vigilare l'accesso a Gala e Castroreale, assaltata, secondo alcuni scrittori (Amico e Ferrara) dal Conte Ruggero dopo l'espugnazione di Milazzo. Il Conte la espugnò e ne cacciò i saraceni e quando fu nominato re di Sicilia concesse con privilegio il villaggio, la torre e le terre con trentadue saraceni, forse prigionieri di guerra o proprietari ad Ansaldo, visconte d'Ari ed alla moglie". Secondo l'abate Amico, Nasari significa appunto "terra o torre di Ari". Ma il Barberini ne confuta la tesi basandosi sulla data del diploma, il 1127, e affermando o che a quell'epoca il conte Ruggero I era già morto, dunque il feudo fu concesso da un altro Ruggero, forse dal secondo, in considerazione dell'aiuto prestato da Ansaldo a Ruggero I. Il Crinò ed il Candioto fanno risalire la torre di Nasari al XVI secolo nella sua attuale struttura, quadrata all'esterno e rotonda all'interno, con unica porta d'accesso, ma convalidano le tesi precedentemente esposte dal Rossitto e dal Barberini, in quanto essa fu ricostruita su un basamento del 1200 di una precedente torre espugnata dal Conte Ruggero».
http://www.comune.barcellona-pozzo-di-gotto.me.it/ecm/?9668=126&id=328 (da La tua città, a c. di Edoardo Bavastrelli e Carmelo Ceraolo)
Barcellona Pozzo di Gotto (torre Longa)
«Vicino alla frazione di Centineo trovasi la contrada Torre Longa che prende il nome da una torre rotonda che si potrebbe far risalire al XVIII secolo. Il Rossitto fa risalire le origini della contrada alla immigrazione per raccogliere i dispersi abitanti del Casale S. Cataldo, i quali si trasferirono, "trasportando la statua del Santo e fabbricarono una chiesetta a lui dedicandola"».
http://www.comune.barcellona-pozzo-di-gotto.me.it/ecm/?9668=126&id=335 (da La tua città, a c. di Edoardo Bavastrelli e Carmelo Ceraolo)
Barcellona Pozzo di Gotto (torre Sottile)
«Contigua a Cantoni si sviluppa sulla litoranea verso est la frazione di Spinesante, con molte residenze estive e qualche struttura ricettiva come alberghi e ristoranti, a pochi metri dal mare. Nel suo territorio, lungo la via del mare, in prossimità dell’autostrada sorge una torre comunemente chiamata Torre Sottile, progettata dall’architetto Giuseppe Cavallaro (1833-1888). In realtà la vera e antica Torre Sottile era situata quasi a metà della via del Mare, nella zona chiamata “l’albero di malaria”. Di questa oggi esistono solo i resti della base, utilizzati per qualche tempo come vasca irrigua (cfr. il mensile "La Città di Barcellona P.G."", febbraio 1999, pag. 17). Probabilmente era da identificarsi con la Torre di Calderà. Anche in questo quartiere gli abitanti si dedicavano alla pesca e all’agricoltura. Intorno al 1960 il pittore Nino Leotti vi costruì una villa adibita ad abitazione e ad atelier di pittura».
http://www.santifugazzotto.it/BarcellonaTerritorio.html
Barcellona Pozzo di Gotto (torrione Saraceno)
«Nel quartiere di Sant'Antonio, alla periferia di Barcellona, in prossimità della scuola elementare sorge il "Torrione Saraceno", nella zona chiamata proprio Piano Torrione. è stato identificato negli anni '90 del secolo scorso durante un rilevamento per conto della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina, la quale dopo aver redatto la scheda descrittiva, in considerazione della sua importanza ha iniziato la pratica di vincolo, sia sul "Torrione" che sugli edifici rurali circostanti. Si tratta di un edificio a pianta quadrata, i cui lati interni misurano m. 5,50 circa, con muri in pietrame dello spessore di cm. 95, parzialmente inglobato da edifici rurali costruiti attorno nel corso dei secoli. La copertura è realizzata con una cupola semisferica, anzi si tratta esattamente di una volta a vela, ottenuta dall'intersezione di una cupola semisferica con le quattro pareti della pianta quadrata inscritta nel cerchio di base, secondo un procedimento costruttivo tipico dell'architettura bizantina in uso sin dal IV secolo. è uno schema innovativo rispetto all'architettura romana, impiegato negli edifici a pianta centrale, che ha così liberato i costruttori dal dover utilizzare una base cilindrica, come nel Pantheon di Roma. All'interno del "Torrione", agli angoli della cupola sono visibili quattro anelli in ferro, ed un'altro è posto al centro. L'altezza attuale dell'edificio è di m. 5,20 circa, ma certamente una parte è interrata, in quanto le varie alluvioni nel corso dei secoli hanno progressivamente innalzato il livello del terreno. Lo prova il fatto che i fori pontai, utilizzati anticamente per mettere le travi in legno provvisorie durante la costruzione si trovano, a partire dalla quota attuale, a circa 40 centimetri dal pavimento. Poiché questi buchi andavano realizzati ogni m. 1,80 circa, abbiamo sottoterra almeno m. 1,40 di edificio. Da testimonianze orali di anziani che vivono nella zona abbiamo appreso che effettivamente l'antica quota del pavimento interno era più bassa dell'attuale. Questo comprova che il livello esterno del piano campagna si è innalzato, mentre all'interno, fino a tempo addietro (a memoria d'uomo) il livello era più basso. Attualmente la costruzione dispone di una porta d'ingresso e di una finestra. Il vano d'ingresso non è quello originale, infatti l'apertura è stata ricavata ampliando verso il basso una delle due finestre antiche, e ciò è riscontrabile osservando dall'interno, in quanto l'innalzamento della quota del terreno esterno ha chiuso l'antica porta. Quindi, nel momento in cui è stato necessario entrare nuovamente nell'edificio, utilizzato per tanto tempo come magazzino, si è pensato di ampliare verso il basso, fino alla quota del terreno, la finestra esistente e di allargarla. Le caratteristiche dell'edificio, in particolare il fatto di non avere il tetto praticabile, e i cinque anelli nella cupola, fanno pensare piuttosto ad una costruzione a carattere sacro, nella fattispecie ad una piccola chiesa bizantina. In esse gli anelli venivano utilizzati per appendere con delle catene le torce per illuminare l'ambiente. Una conferma di questa nostra supposizione potrà venire da uno scavo per verificare l'esistenza dell'abside rivolta ad oriente, com'era d'uso in questo tipo di edifico sacro, che potrebbe trovarsi sottoterra, e da altri eventuali reperti».
http://www.santifugazzotto.it/ArteeArchitettura.html
Brolo (castello dei Lancia, torre)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Sul tratto di litorale affacciato sul mar Tirreno, compreso tra i promontori di Capo d'Orlando e Capo Calavà, che tendono timidamente le mani verso le isole Eolie, si raccoglie Brolo, antico borgo marinaro, battuto un tempo da predoni, flotte angioine, aragonesi e poi passato sotto il dominio dei Principi Lancia fino al 1738. Chi giunge a Brolo è immediatamente colpito dal Castello dal merli ghibellini che, con il profilo a coda di rondine, coronano il torrione, che i geografi arabi chiamavano "Marsa Daliah" (porto [caricatoio] della vite), e poi, nel 1094, "Voab". Il Castello fu eretto intorno al '400 dai Lancia, venuti dal Piemonte in Sicilia ai tempi degli Svevi e discendenti da Galeotto e Cubitosa d'Aquino, nipote dell'imperatore Federico Il e sorella del filosofo San Tommaso. Il legame dei Lancia con gli Svevi fu suggellato dalle nozze di Bianca, madre di Manfredi, "Re di Sicilia", con Federico. Le tracce di quest'unione sono ancora leggibili su una porta della cinta muraria "Imperium Rexit Blanca ‑ Hoc et stipite Manfredus Siculus Regia Sceptra Tulit"; su un'altra porta campeggia uno scudo bianco marmoreo a memoria di Corrado III, dichiarato nel 1404 "Principalior Omnium". Il complesso castrale era delimitato da una cortina muraria che, a meridione, verso l'abitato, formava una poligonale organizzata su alcuni affioramenti rupestri, mentre a settentrione sfruttava il notevole balzo di un costone precipite verso la battigia. Queste mura, in gran parte superstiti, sono sporadicamente inglobate in fabbricati successivi. Verso il borgo si apre un primo accesso costituito da un portale a tutto sesto, sormontato da un altorilievo marmoreo che reca una sequenza di quattro scudi con gli stemmi dei Luna, dei Lancia, della baronia di Piraino e degli Alagona. Superata la cinta muraria, un secondo portale bugnato con un clipeo raffigurante il leone rampante del casato e il motto principalior omnium immette, dopo un andito coperto, in una corte sistemata a giardino e sovrastata dalla mole del mastio. La torre, arroccata su un'altura, contro la quale, un tempo, s'infrangevano le onde, digrada dolcemente, a sud, su un terrapieno dove si snoda un intricato labirinto di viuzze che mantiene intatta la struttura radiocentrica multifocale e irregolare del borgo medievale. Tra le mura del Castello, dove un tempo si trovava la Chiesa di San Girolamo a del quale non rimangono più tracce, aleggia un'atmosfera rarefatta, impreziosita dal giardino e da un pozzo esagonale, che la leggenda erroneamente stima essere collegato con alcune grotte sottostanti, a mo' di corridoio di fuga. A ridosso del pozzo, si erge maestosa la torre a pianta quadrangolare, affiancata da una vertiginosa torretta cilindrica che funge da scala per l'accesso ai piani superiori e al terrazzo, vedetta di avvistamento. Oggi, la struttura è stata trasformata dai proprietari nel Museo delle Fortificazioni Costiere della Sicilia, dove sono esposte collezioni di armi, strumenti di tortura, abiti d'epoca e, nella bella stagione, diventa lo scenario privilegiato di numerosi concerti, mostre e convegni».
http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=sas05&page=doc015.htm&ricerca=castello&opp=06/06/200...
CALDERà (torre non più esistente)
«La tonnara di Calderà esisteva già nel 1442, allorquando viene concessa al nobile Giovanni Cacciola di Messina, secondo quanto riferisce Francesco Carlo D'Amico nelle sue Osservazioni sulla pesca del tonno, edito nel 1816. Per moltissimi anni restò inoperosa finché‚ verso la metà del 1700, poco dopo la costruzione della vicina chiesa di San Rocco, venne rimessa in funzione, ma con scarsi risultati. Nel XX secolo, dopo essere stata nuovamente usata per qualche tempo, fu trasformata in stalla, ed in seguito, a partire dagli anni '80, demolita gradualmente e sostituita con nuove costruzioni. Nei suoi pressi esisteva una torre di guardia edificata nella seconda metà del 1500 per proteggere le coste dalle incursioni saracene. Venne restaurata nel 1745 dal comune di Barcellona e vi fu apposta una iscrizione con lo stemma in marmo della città. Dove si trovasse esattamente questa torre non ci è dato sapere. Il Rossitto, che l'aveva identificata, non lo precisa, e scrive che dopo il 1745 fu colpita da un incendio e dimezzata nell'altezza, tanto da confondersi con le case circostanti. Il marchese di Villabianca, che nel suo lavoro sulle Torri di guardia siciliane la chiama Torre Cantara, scrive: "Torre che sta nella riviera della costa occidentale di Milazzo, presso la foce del piccol fiume di Pizzo di Gotto". A Calderà, dove si teneva pure una fiera del bestiame, oggi in declino, si svolgeva un discreto commercio e per questo motivo venne costruito uno scalo, dotato di pontile, oggi scomparso».
http://www.santifugazzotto.it/ArteeArchitettura.html
Capo d'Orlando (castello bastione o torre del Trappeto)
«Alla luce dei documenti storici finora disponibili, non è possibile sapere esattamente la data di costruzione della “Torre del Trappeto”, ma si presume, verosimilmente, che la fabbrica possa datarsi intorno al XIV sec., allorquando si diffuse nella pianura circostante (come in gran parte della Sicilia) la coltivazione delle “cannamele”. La sua esistenza è testimoniata per la prima volta, in un rapporto storico sulle “Marine di tutte il Regno di Sicilia” fatto redigere dall’Imperatore Filippo II nella seconda metà del ‘500. In esso si conferma che nella fascia costiera attraversata dalla fiumara Zappulla, vi erano due manufatti fortificati a guardia di altrettanti trappetti di “cannamele”: uno in località Pietra di Roma (nell’attuale Comune di Torrenova), e l’altro a Malvicino denominato “Torre del Trappeto”. Non vi è dubbio quindi, che il suo scopo era principalmente la difesa delle piantagioni dalle incursioni piratesche, molto frequenti sulla costa antistante (si veda Salvatore Sidoti Migliore, Storia urbanistica di un territorio- formazione di Naso e costituzione di Capo d’Orlando, ed. Pungitopo, pp. 16-17). Si sa anche che nel 1570 il Trappeto di Malvicino era in piena attività, ed aveva dei rapporti economici-commerciali col Banco Gentile di Palermo. Un avvenimento storico, a conferma del carattere difensivo della costruzione, è narrato nel libro di Carlo Incudine Naso Illustrata (Napoli 1882, ristampa 1975, Giuffrè editore, Milano), a proposito di una nave di corsari che, sulla fine del XV sec., sarebbe stata affondata “con un colpo di cannone tirato da lassù” ... Lungo il corso dei secoli il Castello fu sempre in mano dei Baroni e Conti che dominarono Naso fino al 1788 (del Comune di Naso faceva parte il territorio di Capo d’Orlando fino al 1925). Accanto ad esso vi era il trappeto e diverse case per l’alloggio dei contadini. Dal Rivelo del 1811, si apprende che il Castello era in possesso dell’Ill.Conte D.Bennardo Ioppulo e Fardella sotto la cureria dello Ill. Cav. Don Domenico Papè Bologna dei Papè di Valdina...” e, fra altre cose, aveva di sua pertinenza “...due trappeti,...case di arbitrio per il nutricato della seta...ed altre venti case terrane esistenti nel feudo di Malvicino...” (più altre dieci case a Capo d’Orlando). Nel 1815, il castello con tutte le pertinenze, figura invece nelle mani di “...donna Caterina Branciforti, vedova di Leonforti, ed oggi Principessa di Butera ... Intorno alla metà del secolo scorso viene acquistato da una ricca proprietaria inglese, una certa Maria Eugenia Johnson (C. Incudine, op. cit.), sposa del suddetto cav. Saverio D’Amico, dai cui discendenti, recentemente, il Comune lo ha acquistato».
http://www.turismocapodorlando.it
Capo d'Orlando (ruderi del castello d'Orlando)
«Secondo la leggenda la sua fondazione sarebbe opera di Carlo Magno, in onore del paladino Orlando. Lo troviamo citato come castrum nel 1296; nel 1299 anno della battaglia nelle acque del mare antistante tra i fratelli Aragona per la contesa del trono di Sicilia scontro che ha coinvolto 96 galee e provocato molte miglia di morti. Nel 1500 la torre svolge la funzione di avvistamento e di allarme contro i corsari che solcavano spesso il nostro mare. Da Smith sappiamo che era armata, munita di quattro cannoni, due recuperati da una nave turca naufragata. Nel 1598 ai guardiani viene lasciata da S. Cono la statuetta della Madonna. Nel 1613 subisce gravi danni a seguito di un violento terremoto. Sappiamo da una stampa di Willem Schellinks del 1664 che sulla sommità del monte vi erano varie costruzioni.Vito Amico riporta che nel 1750 era castello, chiesa, osteria, approdo. Della contea, terra e castello, nel 1790 risulta investito Giovanni Antonio Sandoval, a cui successe nel 1811 Bernardo Joppolo Ventimiglia Fardella. All’inizio del XIX secolo, terremoti e frane interessano il monte; periodo in cui viene ceduto alla diocesi di Patti dai frati Cappuccini. Nel 1981-84 vengono consolidate le fondazioni e nel ’94 si restaurano i resti del castello».
http://csten.it/turismo2/index.php/arte-e-cultura/il-castello-il-santuario
Capo d'Orlando (torre Quadaranini)
«Come testimoniano fonti scritte ad est del Castello di Capo d’Orlando fino al 1630 sorgeva una torre di difesa (probabilmente la Torre Magna simile ad un piccolo forte, torre andata perduta, forse per crollo). Andando ancora verso Est, ne fu edificata una seconda, padronale, sulla sommità del colle di Bagnoli che prese il nome di Torre dei Quadararini. Da Carlo Incudine - Naso illustrata, pag. 262, Napoli 1882 - sappiamo che … "la Torre Quadaranini, rifatta per difendere il fondaco vicino da Antonino Collivà, cui dopo appartenne…". La Torre Quadaranini, di proprietà privata della famiglia Damiano, è adibita ad abitazione, vi è annessa la Chiesa di S. Maria del Parto, edificata nel 1725 durante il periodo del giuseppismo, come testimoniato dalla data impressa sulla campana, della quale conservano 2 messali,. Nello stesso anno si procedette all’ampliamento della Torre e alla costruzione della terrazzina e delle scale esterne che portano al primo piano, fino al allora unico ingresso del luogo di difesa e ancora recante sul portale l’iscrizione BSG. L’ingresso a piano terra è stato aperto successivamente e a testimonianza sul portale reca incisa la data del 1760; sullo stesso portale era scolpito uno stemma nobiliare rimosso nel corso del tempo. Sullo stesso piano sorge un pozzo ricavato nel 1930. All’ingresso della scalinata che porta alla torre vi sono poste in posizione verticale due colonne doriche del V-IV sec. a.C. rinvenute nei presi della villa romana di Bagnoli intorno al 1925 durante dei lavori di sistemazione del terreno e trasferite presso la Torre nel 1970. Nel XIX il fondo su cui sorge la torre apparteneva al barone Turrisi, alla sua morte passato alla moglie e successivamente ai De Gregorio marchesi di Poggio Gregorio di Messina, dai quali nel 1924 è passato alla famiglia Damiano, attuale proprietaria, che ha provveduto a ristrutturare l’edificio e a renderlo abitabile, aprendo anche un ingresso a piano terra sul lato Ovest. ...».
http://www.webalice.it/librizzi/archeoclub/quadara.htm
«La fortezza che domina e contraddistingue ancora oggi il paesaggio di Caronia costituisce uno dei più notevole esempi di architettura normanna in Sicilia, sia per l’ottimo stato di conservazione, agevolato dalla circostanza che essa è stata ininterrottamente abitata fino ai giorni nostri per ben otto secoli, sia per una serie di peculiarità architettoniche e strutturali che ne fanno un esempio mirabile di una certa fase storica nel panorama isolano. Il Castello è attualmente di proprietà della famiglia Castro e pertanto non è aperto al pubblico. Tuttavia costituisce tradizionalmente la sede di particolari eventi organizzati in paese e può essere in parte visitato su prenotazione, concordando la data con i custodi. Si tratta di un palazzo a due piani inserito all’interno di una fortezza che si raccordava con l’intero sistema difensivo realizzato nel XII-XIII secolo. Del complesso fanno parte una cappella ed altri ambienti di servizio di epoche successive, oltre ad una cisterna sotterranea. Costruito durante il regno di Ruggero II (1130-1154), il Palazzo, inserito nella cinta muraria del complesso fortificato, era verosimilmente utilizzato dalla corte normanna come refrigerio dalla calura estiva. La più antica notizia su questa fondazione è data dall’arabo al-Idrisi che, ricordando Caronia come "rocca antica" (qal'a qadima), afferma che presso di essa era stato edificato un nuovo fortilizio, presupponendo l'impianto generale preesistente all'età normanna (alla sua epoca probabilmente affioravano ancora i resti della città greco-romana e se ne potevano avere testimonianze dirette). Il complesso, delimitato da mura munite di torri, segue la geometria pressoché a pianta triangolare della cima dell'altura. In entrambi i lati della cinta è inserita una torre quadrata, avanzata rispetto al filo della cortina. L'ampio fronte orientale è composto da due ali di modesti annessi, di età posteriore. Il portale d'ingresso, eretto nel 1837 in forme rinascimentali, nasconde un retrostante portale a sesto acuto, più antico e di maggiori dimensioni. La torre occidentale è stata ricostruita e in parte modificata nella sua forma, in seguito ad un crollo. All'estremità sud-orientale del complesso sorge una terza torre, a lungo utilizzata come torre dell'orologio.
Il nucleo monumentale del complesso è costituito dal palazzo normanno del XII secolo, a due elevazioni con impianto analogo sui due livelli. Di pianta rettangolare, presenta affinità con le sale centrali dei palazzi palermitani dell'Uscibene e della Zisa, soprattutto nella disposizione interna, con la sala centrale maggiore affiancata, simmetricamente, da due vani minori. Il fronte orientale è caratterizzato dal grande portale d'ingresso, che conserva la cornice originaria a doppia ghiera. Una particolare ricchezza decorativa è ottenuta dal contrasto cromatico tra il bruno dorato dei grossi conci calcarei e il colore rosso dei mattoni. I vani di entrambi i livelli erano originariamente coperti a volta, soltanto in parte conservate. Il piano terra era destinato a deposito e ad altre funzioni di disimpegno, mentre il piano superiore era la vera e propria abitazione, caratterizzata dalla sala triloba di chiara impronta islamica con ingressi ogivali. Al piano superiore, la grande sala centrale è coperta da una volta a padiglione ribassata. Le due stanze che fiancheggiano la sala centrale differiscono notevolmente tra loro: quella meridionale è costituita da un vano rettangolare coperto da una bassa volta a padiglione intonacata; quella settentrionale è una sala costituita da un vano rettangolare, coperto da crociera, aperto per tre lati in tre grandi nicchie (iwan), le due laterali con catino a ombrello scanalato. La nicchia della parete di fondo presenta un elegante dispositivo per il passaggio dalla pianta rettangolare a quella semipoligonale del catino. All'estremità nord-orientale del complesso fortificato sorge la Cappella, databile anch’essa al XII secolo, come testimonia lo stile architettonico che richiama analoghe architetture normanne, costituita da un'aula tripartita in navate da arcate ogivali su semplici pilastri rettangolari e concluse da absidi semicircolari ricavate nello spessore murario.
Uno studio dettagliato del castello di Caronia è stata fatta nel secolo scorso da W. Kroenig (Il castello di Caronia. Un complesso normanno del XII secolo. Roma 1977). Lo studioso, dopo avere accennato al fatto che esso occupa “una posizione al centro di una zona di imponente bellezza”, ne descrive la disposizione e le caratteristiche: la fortezza è delimitata da mura con torri; nel vertice occidentale si trova una torre da cui si dipartono due lati della cinta muraria, in entrambi i quali è inserita una torre quadrata sporgente rispetto alla cortina; il terzo lato è affacciato sul pendio meno ripido della collina, su cui è sorta la stessa Caronia, e vi si trova l’unico accesso al castello. Dalla porta di entrata si accede ad un cortile acciottolato, originariamente delimitato in maniera diversa a come appare oggi (sui muri superstiti si osservano ancora i monconi di almeno un altro muro perpendicolare al palazzo, poi eliminato), su cui si affacciano il palazzo a due piani, la cappella ed alcuni corpi di fabbrica di realizzazione post-medievale. La cappella a tre navate è posta all’angolo nordorientale del complesso e sfrutta, come pareti di fondo, tratti delle mura di cinta originarie. Sotto il pavimento, in corrispondenza della campata orientale, è un ambiente rettangolare con volta a botte, a cui si accede attraverso una scaletta di epoca posteriore. Si tratta di una cisterna, con pareti rivestite di intonaco impermeabile di cocciopesto, dove defluiva l’acqua piovana proveniente dal tetto; un’apertura quadrata nel pavimento della cappella (circa 55 cm di lato), consentiva di attingere l’acqua.
Il castello venne costruito sul punto più alto della collina, in un sito che dovette ospitare monumenti della Calacte greco-romana. Secondo una consuetudine largamente attestata per l’epoca medievale, per la costruzione del nuovo edificio si attinse abbondantemente ai resti edilizi di preesistente di epoca classica. Peraltro, la circostanza è ampiamente testimoniata nell’intero centro storico di Caronia, dove i muri delle case appaiono quasi interamente costruiti con materiale di riutilizzo. Kroenig osserva come nelle murature del castello e negli accorgimenti stilistici delle aperture siano stati impiegati mattoni di largo formato (50 x 25,5 x 8,5 cm.) di presumibile epoca romana (le ricerche archeologiche a Caronia hanno peraltro dimostrato che questi mattonacci furono impiegati a partire dal III secolo a.C. e fino ad età imperiale). Di particolare interesse è stato il rinvenimento di due colonne in pietra calcarea messe in luce in uno dei pilastri della cappella: si tratta di colonne con capitello di tipo ionico, prive di basi, una con fusto scanalato e l’altra con fusto liscio, di sicura età classica. Nel complesso, appare evidente il diffuso ricorso a materiali antichi per la costruzione della fortezza nel XII secolo, nonché per alcune modifiche e ristrutturazioni che vennero fatte nei secoli successivi. La datazione del castello è suggerita dall’arabo Idrisi, poeta chiamato appositamente a corte da Ruggero II, che scrisse la sua opera geografica sicuramente prima della morte del re nel 1154. Idrisi, parlando di Caronia, riferisce che in essa sorgeva “una fortezza di nuova costruzione”, circostanza che pone a collocare la sua realizzazione quantomeno nel corso della prima metà di quel secolo. La predilezione di Ruggero II per queste contrade nord-orientali dell’isola, dove, in alcune residenze da lui fatte costruire, passava lunghi periodi di villeggiatura, dedicandosi alla caccia, risulta da vari documenti dell’epoca: in quel periodo, oltretutto, Messina divenne per sua volontà la seconda citta di Sicilia dopo Palermo. La posizione di Caronia, su una collina fresca d’estate, ai limiti di un vasto bosco ricco di selvaggina, dovette stimolare Ruggero a soggiornarvi frequentemente e ad impegnarsi a fare della cittadina uno dei principali centri della Sicilia settentrionale, dotato, oltre che di un prestigioso palazzo regale, anche di chiese e importanti opere pubbliche. Il castello, simbolo di questo paese dei Nebrodi, è effettivamente un gioiello di architettura antica, patrimonio della comunità, al di là del fatto che rimanga proprietà privata e in quanto tale sostanzialmente inaccessibile».
https://mbasic.facebook.com/notes/caronia-calacta/il-castello-di-caronia/218107674904186
Castel di Lucio (resti del castello, torre di Migaito)
«Il castello è stato edificato nel XII secolo dai Ventimiglia, signori incontrastati di tutta la dorsale dei Nebrodi e delle Madonie. La struttura dei ruderi dell'antico fortilizio, lascia intendere che quella torre doveva proteggere le case sottostanti che, a ridosso, si accucciano nelle loro strette e brevi vie. In una suggestiva descrizione storica, il Nicotra [Dizionario illustrato dei Comuni di Sicilia] dà notizia che il castello "era composto di due torri riunite i due mura, uno a tramontana l'altro a mezzodì: l'entrata era a lato della torre posta ad oriente, mentre da quella a ponente partiva un altro muro e quando l'ombra della torre terminava di proiettarsi sopra di esso era precisamente mezzogiorno e perciò serviva di meridiana in ogni stagione. Da questo muro se ne staccava un altro, che girava attorno allo spazio del castello e serviva oltre che da difesa anche da cautela perché nessuno precipitasse dal lato boreale. Dentro la piazza del castello vi era la cisterna". Di tutto ciò, ma anche di altro, oggi rimane ben poco: dei resti delle opere murarie e quasi intatta solo la torre posta a oriente. Il motivo di questa "morte" va ricercato in una sorta di svendita - di pietre intagliate, tegole, ferramenta, laterizi e quant'altro potesse essere venduto e usato in altre costruzioni -, praticata nell'Ottocento dai duchi d'Agraz, ultimi proprietari del castello. è da un mastro dell'epoca, impiegato a demolire la struttura, che si hanno altre notizie sulla costruzione. Egli riferisce che le volte erano solidissime, costruite a laterizi di piatto, della lunghezza di circa un palmo, larghezza di mezzo palmo e spessore di un terzo di palmo, e che, egli, aveva molto stentato a farli saltare col piccone e col martello. Anche l'intonaco, era così forte che da solo era capace a sostenere un grave peso. ... Altra torre, non meno importante, è quella di Migaito, anch'essa costruita intorno al 1200, casale dei Ventimiglia e posta come avamposto di avvistamento tra Motta d'Affermo e Castel di Lucio».
http://www.casteldilucio.eu/il-castello - ...i-beni-culturali
Castel di Tusa (castello Ventimiglia di San Giorgio)
«Il Castello di Castel Di Tusa, prima detto Castello di San Giorgio si trova nella frazione di Castel di Tusa, identificata in passato come Tusa Inferiore. Il borgo si affaccia sul mare, e sul costone roccioso che la domina alle spalle, fu costruito nel corso del XIII secolo il castello, per volere della famiglia Ventimiglia. Il castello nasce principalmente come struttura di difesa e di diretto avvistamento sul mare, ma all’interno del complesso edilizio si nota come in realtà avesse funzione residenziale e di deposito, in relazione ai continui e cospicui traffici marittimi che aveva intrapreso il territorio tusano fin dall’antichità, collegato alla vicinanza del fiume Tusa che facilitava i trasporti dall’entroterra verso le zone costiere. Dal punto di vista architettonico il castello ha subìto svariati rimaneggiamenti, proprio a causa dei continui cambiamenti delle destinazioni d’uso. Ad oggi l’accesso al castello non è consentito».
«...Dalle attuali fabbriche del Castello si possono intrattenere rispondenze visive dirette con le fortezze Tusa, Motta d’Affermo, Caronia e Serravalle, oltre che con le torri costiere di Scillichenti, Raisgerbi e Torremuzza. Il nucleo del Castello, disponendosi a cesura tra due corti, si orienta da Ovest ad Est; la parte più occidentale è occupata da due livelli superstiti del Mastio, di cui il primo si risolve in un unico ambiente voltato a botte ed il secondo, già crollato e recentemente restaurato, reca nei paramenti murari le tracce di due volte a crociera in mattoni di laterizio, di canalizzazioni per una cisterna e di feritoie contornate da conci in pietra lavica; nello spessore murario sono contenute le rampe delle scale. Procedendo verso Est, appaiati, seguono due ambienti vestibolari che hanno ancora elementi originali, come il portale principale con arcata ad ogiva su peducci, medievali murature pseudo isodome in grossi blocchi d’arenaria ed una cinquecentesca volta a botte in mattoni di laterizio orditi a spina di pesce. Superiormente era una grande sala che oggi è divisa in due parti per il frazionamento della proprietà. Infine, il corpo di fabbrica più orientale si erge con morfologia che richiama una torre rimaneggiata il cui piano terreno è inteso ancora come “cappella”. Da tramontana, a questo nucleo originario, nel XVII secolo si attestavano edifici di cui non restano che un vasto magazzino voltato a botte, uno scalone aperto sulla corte settentrionale ed un brano della cortina esterna sormontato da una merlatura fuciliera. Un baluardo, alla cuspide Nord, raccorda le due fiancate di mura che cingono la parte sommitale della rupe con murature che sono in pietrame d’arenaria legato con malta di calce. Pur non avendo esplicite referenze archeologiche, appare ragionevole ipotizzare un uso di questo lembo roccioso proteso sul mare sin dall’antichità, vuoi per collocarvi un fano atto alle segnalazioni necessarie per la nautica, vuoi per il distaccamento di un presidio militare destinato alla difesa litoranea».
https://www.paesionline.it/italia/monumenti-ed-edifici-storici-tusa/castello-di-castel-di-tusa - http://www.icastelli.it/it/sicilia...
Castelmola (resti del castello)
a cura di Giuseppe Tropea
CASTROREALE (castello, torre di Federico II)
«Un’antica tradizione vuole che il Castello di Castroreale sia sorto sulle rovine dell’Artemisio, di cui parlano le fonti classiche. In mancanza, però di precise indicazioni documentarie o archeologiche, che diano fondamento alla tradizione, si può con sicurezza affermare l’esistenza di un fortilizio sulla collina su cui sorge oggi Castroreale, almeno all’inizio dell’età normanna. L’ipotesi trova conferma nel più antico documento riguardante il castello costituito da un diploma del 1234 col quale Federico II d’Aragona dispone la costruzione ”de novo” di un “castrum seu fortilicium”per la difesa della terra di Cristina, dimostratasi fedele al sovrano nella lunga guerra fino ad allora sostenuta contro gli Angioini. Nelle intenzioni di re Federico la costruzione del castello ebbe finalità anche più importante, facendo esso parte di un sistema fortificatorio attrezzato destinato ad assicurare il controllo di tutta la fertile piana di Milazzo e delle sue vie che, attraverso le vallate fluviali, nel caso specifico del Longano e del Patrì, consentivano le comunicazioni fra questa parte del litorale tirrenico e la costa ionica. Il castello di Castroreale divenne pertanto centro di operazioni militari non solo durante le vicende seguite alla rivolta del Vespro Siciliano, ma anche nel periodo dell’anarchia feudale culminata nella lotta tra le fazioni latina e catalana, e, più tardi nei secoli XVI e XVII, nella difesa del territorio dalle incursioni dei pirati barbareschi. Nel 1538 inoltre il castello resistette all’assalto delle truppe ammutinate spagnole lasciate da Carlo V a presidio della Goletta, agevolando al viceré del tempo il compito di ridurre i ribelli all’ obbedienza. Il castello rivelò ancora la sua importanza strategica durante la rivolta antispagnola di Messina negli anni 1674-78, durante le vicende della guerra tra le armate spagnola e austriaca nel ‘700 e infine durante l’epopea garibaldina. Del castello rimane oggi una torre cilindrica, che si erge sul punto più alto della collina e che, accanto agli elementi architettonici attestanti la sua origine aragonese, quali il portalino archiacuto e la volta a costoloni a crocina, porta i segni dell’uso improprio che se ne fece fino agli inizi del ‘900, essendo stato trasformato in carcere mandamentale tutto ciò che rimaneva del fortilizio».
http://siciliamia.weebly.com/castroreale.html
«Sei porte immettevano nella città: una a Sud-Est, abbattuta nel 1864, quando si costruì la strada che conduce a Barcellona P.G.; una ad Est sovrastante la chiesa di S. Vito e demolita per la costruzione della stessa strada; una ad Ovest all'inizio della via che conduceva a Crizzina e che crollò nel terremoto del 1783; un'altra sulla stessa strada e due antichissime a Nord-Ovest, nel quartiere valle, diroccate nel rendere meno ripida la strada per cui si accedeva da quel lato alla città, le quali nel 1800 furono sostituite dalla Porta Raineri. Porta Raineri è l'unica delle sei esistenti dalle quali si accedeva al paese. Ricostruita nei primi del secolo XIX sull'antica strada di S. Marco era la porta che dava l' accesso da Nord alla città muraria di Castroreale».
http://www.comune.castroreale.me.it/la-citt/arte/porta-raineri.aspx
Cesarò (resti del castello di Bolo)
a cura di Giuseppe Tropea
Demona o Demenna (castello non più esistente)
a cura di Giuseppe Tropea
«È probabile l’esistenza di questo fortilizio, Castrum Ficarriae nella dizione latina, sin da età islamica, secondo quanto riferisce Michele Amari. Successivamente la struttura subisce diverse trasformazioni fra le quali quella voluta da Ruggero Lauria. Il Castello fu dimora dei Lancia di Brolo, Federico Lancia, nella bibliografia dei Lancia, riferendosi a Girolamo I, detto il Valenti, nell’anno 1513, così cita: Ei soggiornava in Brolo, ma nell’està villeggiava in Ficarra, nel castello che sorge sul culmine meridionale del colle. Dal 1600 in poi il castello divenne la residenza ufficiale dei Lancia che investirono nello sviluppo del paese con la costruzione di fabbriche di seta, dando a tutta la cittadinanza anni di benessere. In un diploma menzionato dal Baruffi nel 1899 è documentato un Alcherius de Ficarra che potrebbe essere il feudatario del luogo o un miles castri. L’attuale fortilizio è frutto di ulteriori trasformazioni della struttura medioevale in una fortezza munita per resistere alle armi da fuoco e per essere adibita a fortezza carceraria. Il complesso si presenta come un blocco compatto costituito da quattro ali che perimetrano una corte interna ove insiste una cisterna. Incassato nel perimetro scarpato si trova il bel portale che, con arcata a tutto sesto e vigorosi conci bugnati, probabilmente è ascrivibile agli interventi cinquecenteschi» - «Il castello di Ficarra si eleva su un’altura della Val Demone, circondato dall’abitato. La fortezza fu citata in un registro della Chiesa di Messina come costruzione medievale, pur risalendo con molta probabilità ad un nucleo di origine islamica (IX-XI secolo). Si parla del Castello di Ficarra anche nel 1283, in relazione a Macalda da Scaletta ed al consorte Alaimo da Lentini, signore del Castello, dei quali viene narrata la triste reclusione permanente a causa della ribellione contro Pietro III d’Aragona. Da allora il complesso subì una prima trasformazione nel Cinquecento, aumentando la difesa contro le armi da fuoco e tra il XVII ed il XVIII secolo fu tramutato in carcere, le cui celle dovettero essere tra le più temute per le basse pareti e l’impossibilità, per chi vi entrasse, a mantenere la posizione eretta. L’edificio mantenne comunque la pianta a corte con perimetro esterno quadrato, decorato da uno splendido portale con arco a tutto sesto. Quest’ultimo, insieme alle modifiche tuttora visibili, è parte integrante degli interventi cinquecenteschi. Gli interni hanno struttura simmetrica e regolare e si affacciano verso il cortile interno munito di cisterna, diversamente dalle murature esterne, prive di aperture, date le esigenze difensive. Da un acquisto del 1974 il Castello è tuttora proprietà comunale».
http://www.santuarioficarra.it/index.asp?id=docs&item=it_docs_sc_11 (a c. di Vincenzo Avena)
http://www.messinaweb.eu/territorio/i-castelli/item/645-il-castello-di-ficarra.html (a c. di Denise Vrenna)
«Quasi sotto la fortezza si trova il palazzo baronale Milio-Ficarra, edificato alla fine dell’Ottocento dalla famiglia Milio, che lo abitò sino al 1980. Rappresenta un tipico esempio di costruzione ottocentesca, prettamente nobiliare. Risulta costituito da un piano terra, un primo piano, ove trovano posto i locali di ricevimento con annesso giardino, un piano ammezzato, destinato ad ospitare le cosiddette “monache di cerca”, un piano secondo con camere da letto. Tutti i locali risultano coperti da volte dipinte con motivi floreali, finte architetture, figure e paesaggi inseriti in medaglioni e vele, decorati con stucchi in gesso. Le maggiori trasformazioni dell’originario organismo si sono verificate, presumibilmente, intorno agli anni cinquanta, in occasione delle nozze di Francesco Ficarra. Attualmente il palazzo, di proprietà del Comune dopo un intervento di restauro, viene utilizzato per convegni e manifestazioni culturali. Ospita la biblioteca comunale, il centro sociale e un interessante museo del poeta Lucio Piccolo».
http://www.santuarioficarra.it/index.asp?id=docs&item=it_docs_sc_11 (a c. di Vincenzo Avena)
Fiumedinisi (resti del castello)
a cura di Giuseppe Tropea
a cura di Giuseppe Tropea
Francavilla di Sicilia (resti del castello)
a cura di Giuseppe Tropea
«Nelle adiacenze di Torre Mollica e del Monastero Basiliano di Gala si trova la Torre Cappa, una masseria con strutture difensive, risalente presumibilmente allo stesso periodo di Torre Mollica. In parte abbandonata, doveva essere organizzata a mo' di masseria fortificata per sfruttare il lavoro agricolo della zona».
http://www.comune.barcellona-pozzo-di-gotto.me.it/ecm/?9668=126&id=330 (da La tua città, a c. di Edoardo Bavastrelli e Carmelo Ceraolo)
Gala (torre di Gala o del monastero di Santa Maria)
«è quello che resta dell'antico campanile costruito accanto al Monastero di Santa Maria di Gala. Terminata nel 1694, risulta mancante di una delle quattro pareti ed è in condizioni di precaria stabilità. Molto più antico era il monastero basiliano risalente al XII secolo fondato da Ruggero il Normanno e dalla moglie Adelasia. Il monastero di Gala fu fondato sui resti di preesistenti costruzioni di epoca romana. Pochi sono e i resti di esso, come i ruderi del campanile, mentre la zona del chiostro e della chiesa, è stata, dopo il suo abbandono, occupata da abitazioni private, dopo che i Basiliani, nella seconda metà del XVIII secolo, si trasferirono nel nuovo monastero che sorge sulla collinetta della Croce del quartiere Immacolata».
http://www.comune.barcellona-pozzo-di-gotto.me.it/ecm/?9668=126&id=336 (da La tua città, a c. di Edoardo Bavastrelli e Carmelo Ceraolo)
«La Torre Mollica si trova situata nella frazione di Gala, a sud del Monastero. Si tratta di un palazzo fortificato che si può far risalire al 1600. Accanto ad esso passava il tracciato dell'antica Via Valeria proveniente da Messina e che toccava i centri collinari di S. Lucia del Mela, Femminamorta, Gala, Castroreale, Milici, Tripi, Tindari. Il suo ingresso è costituito da un imponente arco a tutto sesto con una basola molto corrosa, mentre il corridoio a fòrnice è in condizioni statiche precarie. All'esterno si notano finestre con grate e cornici in pietra ed alcuni piccoli balconi. Il suo recupero è necessario in quanto trattasi di un manufatto antico di particolare pregio architettonico e strutturale».
http://www.comune.barcellona-pozzo-di-gotto.me.it/ecm/?9668=126&id=329 (da La tua città, a c. di Edoardo Bavastrelli e Carmelo Ceraolo)
«In contrada Gala sorge la più nota delle torri barcellonesi, la "Torre Sipio". Secondo le fonti la costruzione fu realizzata durante il periodo normanno sotto il regno di Federico II. Nel tempo ha subito numerosi rimaneggiamenti che ne hanno alterato la struttura originaria».
http://www.exploro.it/portal/content/?page=place-detail&id=69032&lang=it
Galati Mamertino (resti del castello)
a cura di Giuseppe Tropea
a cura di Giuseppe Tropea
Gioiosa Guardia o Gioiosa Vecchia (ruderi del castello Vinciguerrad'Aragona))
«Rapporti ambientali – I resti del sito fortificato di Gioiosa Guardia o Gioiosa Vecchia trovano posto su di un piccolo altipiano (800m s.l.m.), alcuni chilometri a sud dell’attuale abitato di Gioiosa Marea, non lontano da Capo Calavà. Si tratta di un rilievo naturalmente fortificato, dal quale è possibile dominare il territorio circostante e il limitrofo arcipelago delle Eolie. Descrizione storica – Contestualmente alla fondazione del vescovado di Lipari/Patti, il conte Ruggero concede ai Benedettini un tenimentum in una zona montuosa, ricordata con il toponimo di Meliuso, non lontano da Capo Calavà, affinché i monaci ivi potessero edificare un casale. La zona corrisponderebbe approssimativamente al luogo ove oggi insistono i ruderi di Gioiosa Guardia. Nessuna notizia sull’abitato si ricava per i secoli XII/XIII; nel 1366 la zona è infeudata a Vinciguerra Aragona, che fonda un insediamento e una fortezza. Tuttavia il territorio, alla fine del XIV sec., risulta confiscato a Bartolomeo Aragona e concesso nuovamente al vescovo di Patti. Relativamente ai decenni successivi, i documenti menzionano l’esistenza di un fortilizio di modeste dimensioni. Un documento del 1410 ricorda una torre adibita all’utilizzo di “fani”; nel 1558 si ricorda un “piccolo castel di Giusa” posto a 4 miglia dal “castel di Pilaino (Piraino)”. Nel 1783 un violento terremoto sconquassa l’abitato che nel 1798 risulta definitivamente abbandonato, in favore di un insediamento vicino alla costa, Gioiosa Marea. Nel 1801, gli ultimi abitanti dell’antico sito, le suore di Sant’Anna, abbandonano definitivamente il luogo ormai inospitale.
Descrizione topografica e architettonica – Si giunge ai resti dell’antico insediamento da Gioiosa Marea per mezzo di una carrozzabile lunga circa 11 km. I resti dell’abitato occupano un altopiano stretto e lungo, orientato nord/sud. Sulla sommità dell’altura si riconoscono i ruderi di numerose abitazioni, alcune leggibili solo in pianta, altre parzialmente conservate in altezza. A causa dei secoli di abbandono tutto permane pericolante e i crolli sono pericolosamente frequenti. Dalla fotografia aerea si riconosce un asse viario principale orientato nord sud, che un tempo connetteva l’antica chiesa madre alla fortezza. Dell’antico castello nulla rimane. Si ritiene che esso fosse irrimediabilmente danneggiato già ai tempi dell’esodo post terremoto. L’edificio probabilmente si impostava sul punto più elevato dell’altipiano, nei pressi di un consistente affioramento roccioso. Oggi del maniero si riconoscono pochi lacerti murari posti a formare un antico torrione cilindrico del tutto obliterato. Nei pressi dei pochi ruderi si riconosce la presenza di alcune grandi cisterne utilizzate certamente per il rifornimento idrico del paese. Sul limitare settentrionale dell’altopiano si impostano, su imponenti sostruzioni, i ruderi della chiesa madre, spesso confusa con l’antico castello, per via della consistente mole della torre campanaria, ancora oggi conservata per buona parte. Ad occidente, ad una quota più bassa rispetto ai ruderi dell’abitato, presso una balza meno esposta ai venti, si impostano i resti di un convento, presumibilmente il convento delle suore di Sant’Anna, presso il quale recenti scavi hanno evidenziato tracce di frequentazione databili dal XII al IV sec. a.C.».
http://www.medioevosicilia.eu/markIII/gioiosa-guardia-o-gioiosa-vecchia
«Edificata ai piedi di una collina su uno sperone roccioso, con grossi blocchi di pietra che il mare lambisce, la Torre delle Ciàvole, di base quadrata su tre elevazioni, costituisce un valido esempio del sistema difensivo approntato lungo le coste siciliane intorno al 1500. La facciata principale, rivolta a sud, è dotata di tre aperture: accanto ad una finestra esiste ancora la campana che serviva a dare l’allarme. Infatti, la torre era presidiata da tre soldati che controllavano i vascelli in transito a lanciavano segnali in caso d’incursioni piratesche o di bastimenti visibilmente infestati. ... Nella metà del XVI sec., il viceré Juada De Vega cercò di affiancare al sistema di difesa strategico basato sulle città bastionate, un apparato tattico più capillare, facendo edificare alcune decine di torri di avvistamento, dislocate lungo tutto il litorale siciliano. Questo tipo di torri, a differenza di quelle cilindriche di derivazione araba costruite dal X al XV sec., avevano pianta quadrata. Per incarico del viceré Marco Antonio Colonna, l’architetto toscano Camillo Camilliani, tra la fine del 1583 ed i primi del 1585, compì un giro di ricognizione lungo tutto il perimetro costiero dell’isola al fine di individuare i punti più pericolosi ed esposti agli sbarchi nemici, e progettare dunque nuove torri. Così, tra la fine del 1500 ed i primi anni del 1600, tutta l’isola fu dotata di una catena continua di torri di guardia. La Torre della Ciàvole ricalca in modo quasi fedele la tipologia indicata dal Camilliani: pianta quadrata; piano inferiore con pareti esterne scarpate fino al cordone e destinato a cisterna; piano superiore destinato all’alloggiamento delle guardie; terrazza munita di parapetto.
Notizie certe sulla Torre delle Ciàvole risalgono alla fine del XVII sec., ovvero al periodo del Ducato della famiglia Denti. La nostra viene citata come: “Torre di deputazione, posta sotto la soprintendenza del Principe di Castellazzo, Duca di Piraino, con armamento di artiglieria e di tre soldati, giusta obbligazione del 30 aprile 1687”. La torre è oggi simbolo di Piraino e dell’intero tratto costiero tirrenico denominato “Costa Saracena” (forse in maniera quantomeno impropria, poiché ci sembra indelicato intitolare un luogo a personaggi storici di dubbia moralità, nella fattispecie pirati stupratori e malfattori che hanno, per secoli, perpetrato angherie su pacifici e umili villaggi di pescatori). Di proprietà privata, è inspiegabilmente e scandalosamente stata abbandonata all’incuria per molto tempo, con il conseguente crollo di un pezzo di muro d’angolo. Solo di recente, per lo stato di pericolo in cui si trova, la Sovrintendenza di Messina ha inoltrato le dovute autorizzazioni, al fine di consentire i lavori di restauro e consolidamento. La ditta proprietaria, negli scorsi mesi, ha già dato inizio ai lavori, ma l’ennesima mareggiata di quest’inverno ha creato forti danni al costone roccioso su cui poggia la torre stessa, causandone ingenti problemi di stabilità. Dopo una serie di sopralluoghi e riunioni pare che la Provincia di Messina abbia deciso finalmente d’intervenire, nell’ambito dei lavori per il ripristino del litorale eroso, affinché si possa realizzare una barriera preliminare per difendere lo sperone roccioso dai marosi provenienti da ponente» (testo di Diego Conticello).
«La rocca, nota come il Castello, è un'imponente cupola di lava vulcanica che si protende nel mare innalzandosi fino ad un'altezza di circa cinquanta metri. Formatosi meno di 40000 anni fa, il Castello sorge al centro di un'ampia baia sulla costa orientale di Lipari, tra le due insenature di Marina Lunga a Nord, delimitata dal Monte Rosa e Marina Corta a Sud, ancora oggi i migliori approdi dell'isola. La rocca è circondata tutto intorno da alte balze verticali, inaccessibili, e presenta alla sommità una superficie abbastanza pianeggiante. Grazie alla sua conformazione, essa ha da sempre costituito una vera e propria fortezza naturale, offrendo fin dall'antichità una sede sicura agli abitanti che vi si stabilivano quando vi era necessità di difendersi dal pericolo di incursioni nemiche; nei periodi di tranquillità, l'abitato si è esteso anche nella piana sottostante, ovvero nell'area della città attuale. Così, con alterne vicende, il Castello di Lipari è stato abitato a partire dall'età neolitica (circa 6000 anni fa) fino al nostro secolo. Le testimonianze degli insediamenti di ogni età si sono sovrapposte man mano a quelle dei periodi precedenti creando un notevole innalzamento del terreno. Gli scavi archeologici hanno infatti portato alla luce una successione di strati alta più di 10 metri dovuta alla sovrapposizione dei resti degli abitati che si sono succeduti, resti ben conservati anche grazie all'accumulo delle ceneri emesse dai vulcani vicini e trasportate dal vento. Oggi il Castello rappresenta il centro della vita culturale delle Isole Eolie, animato dalla presenza giornaliera di molti visitatori che possono ripercorrere le tappe della storia del Castello attraverso la visione degli scavi archeologici, dei padiglioni del museo, delle chiese principali e delle mura di fortificazione. Il suo aspetto attuale deriva dalle possenti fortificazioni spagnole, fatte costruire intorno alla rocca da Carlo V verso il 1560, dopo l'attacco all'isola del pirata tunisino Kairedin Barbarossa, che nel 1544 aveva conquistato e distrutto la città, portando via come schiavi gran parte degli abitanti. Queste mura hanno rivestito il roccione fino alla sua base ed erano provviste in diversi punti da postazioni di artiglieria e cannoniere, ora chiuse da murature. Sul lato Nord le mura spagnole hanno inglobato le torri di età normanna (XII secolo) tra le quali è una torre-porta che costituiva l'ingresso antico dalla collina della Civita (Piazza Mazzini) al Castello. Ancora oggi questo rappresenta l'ingresso principale alla rocca. Qui si può vedere, oltre le fortificazioni spagnole e normanne, una torre di età greca (IV secolo a.C.) in esse inserita, costruita con blocchi di pietra rossastra del Monte Rosa, ben squadrati, disposti in altezza su 23 filari. La strada di ingresso al Castello passa sotto un corridoio con volta a botte, dove si conserva una caditoia per la saracinesca di ferro che poteva essere calata a sbarrare il passaggio. Dopo questa apertura doveva esistere una seconda porta chiusa da una stanga di legno. La strada prosegue quindi all'aperto, accanto al muro spagnolo con feritoie, e poi sotto un soffitto con arcate ogivali costruite nel 1800. Si accede finalmente al pianoro della rocca attraverso la porta spagnola del XV secolo, sopra la quale è dipinto uno stemma con un'aquila simbolo della famiglia dei Borboni. ...».
http://www.sicilie.it/sicilia/Lipari_-_Castello_di_Lipari
Locadi (Torre Sollima o di Locadi)
a cura di Giuseppe Tropea
«La storia del castello medievale ha inizio con il rafforzamento delle strutture militari del territorio, che si verificò intorno al secolo VIII. L’edificio non ha avuto una funzione prevalentemente di sorveglianza, è testimoniata dalla cerchia muraria difensiva. Il castello oggi non presenta alcun particolare stilistico al quale si potrebbe far riferimento. Solo i resti di una finestra monofora, con arco acuto e strombato profondamente, mettono in evidenza un elemento strutturale tipico dei Normanni. La struttura, che sovrasta tutto l’abitato, appare sopraelevata da una parte rispetto al livello della strada. Ma, della lettura esterna e dalla planimetria, sembra solo un palazzo che nel tempo è stato fortificato per ragioni difensive e reso autosufficiente grazie alle varie parti che lo componevano: il cortile, la cisterna, le stalle, i magazzini, le cucine, le camere, ecc. La parte più antica è quella a nord-est, più vicina al passo del fiume. Al 1600 risale, invece, la parte del piano terra che si protrae verso la piazza. Il portale d’ingresso, che sulla chiave dell’arco porta lo stemma in pietra dei Lancia (un leone rampante coronato), è seguito dal cortile che lega le due parti. Gli ultimi ampliamenti e i miglioramenti apportati all’intera struttura furono eseguiti tra l’700 e l’800 con la costruzione del piano sopraelevato o cosiddetto nobile, al quale si accede da uno scalone esterno in pietra che costeggia un breve incamminamento ricavato nello spessore della cortina muraria esterna. All’interno, la parte più interessante artisticamente è quella settecentesca, abitata fino alla morte dalla duchessa Zumbo, vedova di Vincenzo Loffredo, duca d’Ossada. Dalla lettura iconografica delle pitture esistenti in alcune stanze, dalle decorazioni, dai mobili e dalle porte si possono dedurre gli ultimi interventi, avvenuti nel secolo scorso dei quali alcuni portati a termine, altri mai ultimati. Sono due le camere di rilevanza storico-artistica: la prima ha un soffitto a crociera delimitato da una cornice dipinta aggettante che forma quattro medaglioni angolari. Al centro vi e raffigurata, entro schemi architettonici, arricchiti da un drappeggio movimentato e di grande effetto plastico, S. Caterina prostata al cospetto di un re su un trono attorniato da soldati e cortigiani. Nell’altra camera vi sono rappresentate, sempre con tecnica con “affresco”, soggetti naturalistici e archeologici molto usati dagli artisti del 700, in riferimento al fatto che l’Italia stava vivendo con i primi scavi archeologici in recupero dell’antichità classica greco-romana. Attualmente il castello e di proprietà della ”banca di credito cooperativo della valle del Fitalia” in cui, in alcune ale dell’edificio, sono situati gli uffici principali. Ciò nonostante le aree del castello di rilevanza artistica e archeologica sono visitabili».
http://www.comunelongi.it/?page_id=48&preview=true
Longi (resti del castello di Milè)
« la Masseria di Forte Milè è un’azienda agricola, che comprende i ruderi del castello risalente al XIII sec., un caseggiato del XVI sec. con annessa cappella ed è un posto ideale per assaporare una cucina genuina e a base di prodotti locali» - «La fortezza, dal carattere difensivo, sorta ad opera dei Bizantini come difesa dagli attacchi arabi, poi baluardo militare normanno, è posta in un luogo di osservazione strategico a 600 metri sul livello del mare, punto di osservazione privilegiato nell'Alta Valle del Fitalia con il fiume Milè che scorre sottostante. Risuanano ancora gli echi delle antiche popolazioni: Greci, Romani, Bizantini, Arabi e Normanni. Vicinissime sono le testimonianze religiose tra le più importanti dell'isola, come il Monastero di Fragalà ... già nel VI secolo d.C., e lo straordinario Eremo di San Nicolò Politi. Siamo nel cuore del suggestivo Parco dei Nebrodi, regno dei boschi, dei paesi antichi, fieremente abbarbicati sulle montagne. È un luogo dove da sempre uomo e natura convivono nella pace e nel rispetto reciproco».
http://www.siciliabb.com/?page_id=1654&lang=it - http://www.castellodimile.com/storia_e_territorio
«Antichissimo d'origine (Giuseppe Buonfiglio, nella sua Messina Città Nobilissima del 1606, lo considera opera del mitico gigante Orione), costruito probabilmente su mura attribuite a popolazioni preelleniche, il forte Castellaccio si erge su una collina a 150 metri sul livello del mare, a controllo della sottostante vallata di Gravitelli. Ricostruito in varie epoche, rifatto di legname e fascine sotto il Viceré Giovanni De Vega nel 1547, venne poi ridotto, nello stesso secolo, in forma quadrata con quattro bastioni agli angoli, dall'architetto bergamasco Antonio Ferramolino (autore, a Messina, anche del Castello del SS. Salvatore, del Castello Gonzaga e della cinta muraria fortificata). Nel 1674, durante la rivolta antispagnola, fu preso d'assalto dai messinesi comandati dal valoroso Giacomo Avarna. Utilizzato, in quella circostanza, come osservatorio contro gli spagnoli, avvisava con una cannonata i cittadini dei maggiori pericoli. Danneggiato dal sisma del 28 dicembre 1908, fu ampiamente manomesso all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale, quando vi si installò la 'Città del ragazzo". In quell'occasione, oltre allo stravolgimento generale della natura dei luoghi, all'interno del castello venne edificata una palazzina con finestre in falso stile gotico. Della struttura originaria rimane la pianta quadrata rafforzata agli angoli da bastioni a cuneo, il cornicione contìnuo di coronamento a sezione semicircolare e le guardiole sugli spalti, anche se notevolmente rimaneggiate. Un esempio di cattivo ed improprio uso di una struttura monumentale di grande importanza storica che, altrove, non certo a Messina sarebbe stata degnamente recuperata e adeguatamente enfatizzata».
http://www.messinaierieoggi.it/index.php?option=com_morfeoshow&task=view&gallery=447&Itemid=1681
Messina (castello Matagrifone)
a cura di Giuseppe Tropea
Messina (forte di S. Salvatore)
a cura di Giuseppe Tropea
«Il forte Gonzaga sorge sui colli ad ovest della città, rappresentava un baluardo contro la minaccia su quel versante di attacchi ed invasioni che potevano colpire Messina alle spalle dalla costa tirrenica attraverso i Peloritani. C'erano percorsi di antiche vie che favorivano le comunicazioni e, quindi, la possibilità di attacchi. Forte Gonzaga e Castellaccio o Forte Orione, quest'ultima una struttura fortificata antichissima, sorgono esattamente al termine di una queste vie montane e, percorrendo appunto la via Noviziato-Casazza si arrivava giusto alle mura del Noviziato. Sul versante nord c'era l'arteria naturale del Giostra, non furono costruite fortezze perché evidentemente il Giostra poteva essere sorvegliato dall'alto dei Cappuccini e le artiglierie posizionate nella fortezza di Roccaguelfonia e nel baluardo dell'Andria venivano considerate sufficienti difese. Il Forte Gonzaga venne fatto costruire dal Viceré Don Ferrante Gonzaga nel 1540. La progettazione è attribuita a Ferramolino e Maurolico. Sorge ad un'altezza di 160 metri sul livello del mare e si presenta a pianta stellare irregolare con sei bastioni, di cui quattro ad angolo acuto che seguono la conformazione accidentata del suolo. Il perimetro del Forte è circondato da fossati, si nota una guardiola dalla quale si avvista la valle del Camaro. La parte esterna è caratterizzata dai baluardi con spigoli rivestiti di blocchi di calcare con una sezione semicircolare che li conclude. La Porta architravata è quella originale, molto semplice, priva di qualsiasi decorazione ne documenta l'impostazione dei progetti del Ferramolino. Sopra la porta si nota una finestra con archi trave a semicerchio, postazioni di fucileria rinforzano la porta ai lati; nella parte alta vi sono poi due fori circolari dai quali scorrevano le catene che azionavano il ponte levatoio. Sopra la porta si nota una finestra con architrave a semicerchio, postazioni di fucileria rinforzano la porta ai lati; nella parte alta vi sono poi due fori circolari dai quali scorrevano le catene che azionavano il ponte levatoio. All'interno si aprono ampie stanze, dal portale d'ingresso, attraverso una stanza più piccola si accede, percorrendo uno stretto corridoio, agli imbocchi di due gallerie strette e basse, con soffitti a botte, che si diramano per tutto il perimetro delle mura e che, in alcuni punti, si allargano tanto da formare delle stanze che venivano utilizzate come magazzini. Da una scala interna posta al centro del corpo principale, si accede al primo piano e al terrazzo. Le stanze del primo piano appaiono ampie con i soffitti a botte, due sono situate nel lato est si affacciano con balconi a mensole, un'altra, situata a ovest, immette su un ripiano esterno dove una scalinata a larghi gradoni conduce al terrazzo. Qui sorge una piccola cappella settecentesca a navata unica con un prospetto assai rimaneggiato e nel quale sono visibili i resti del portale originale ad arco sormontato da una finestra ovale alla cui destra è posta una targa marmorea del 1753 in cui il Viceré Laviefuille avverte che la cappella non gode del diritto di asilo. Da una scalinata adiacente si sale al terrazzo superiore sugli spigoli del quale vi sono due torrette di guardia. Il Forte Gonzaga conserva pressoché intatte le strutture del XVI secolo salvo modesti interventi nel '700, nell'800 e durante la seconda guerra mondiale. Sono stati costruiti pilastri a sostegno dei baluardi insieme ad altre piccole aggiunte quali due balconi settecenteschi che si aprono nel baluardo».
http://www.torrese.it/la_fortezza_dei_gonzaga.htm
MESSINA (mura, forti umbertini e altre fortificazioni)
« Il territorio peloritano grazie alla sua strategicità è ricco di fortificazioni ascrivibili a tanti periodi storici, sin da quelli più antichi di cui spesso si sono perse le tracce. Molte di esse sono ancora ben visibili ed integre, si tratta principalmente di opere militari edificate per il controllo costiero ed interno, suddivisibili in tre periodi principali: altomedievale-rinascimentale, moderno e contemporaneo. Testimonianza importante della città, seppur in abbandono, è la cinta muraria edificata in periodo normanno, migliorata ed allargata nel 1537 ad opera dell’ingegnere militare Ferramolino, il quale progettò diverse opere sia “” extra che intramoenia”” tra cui le maggiori fortificazioni cittadine ancora esistenti, quali il castello Gonzaga, il Castellaccio (edificata su una struttura di molto più antica), il castello del Santissimo Salvatore ed altre opere minori, come le torri ubicate in zona Pace e contesse solitamente riadattate alle esigenze difensive del periodo così come avvenne per gli attuali resti del castello Roccaguolfonia (altre torri e castelli come la fortezza del Castellamare ed il palazzo reale non sono più esistenti). Nella zona falcata di San Raineri, sui resti di una struttura più antica fu edificata una prima torre, abbattuta nel 1554, e sostituita nel 1555 dalla torre della Lanterna ad opera del Montorsoli, nel 1676 rinforzata alla base da un tamburo per artiglieria sia in casamatta che a cielo scoperto. Nel 1679 all’indomani della rivolta antispagnola fu realizzata alla base della penisola falcata, la Real Cittadella (alla quale a sud, fu aggiunta un secolo dopo l’opera avanzata detta Carolina) una complessa e maestosa fortezza di pianta pentagonale (su progetto Olandese) avente lo scopo di ulteriore controllo sia marittimo che collinare della città, fu infatti riutilizzata in diversi quanto importanti eventi bellici. Periodo importante per Messina fu anche quello relativo ai primi anni dell’800 in cui l’esercito Inglese allora alleato dei Borbone, si stabilì a Messina per evitare gli attacchi Murattiani (francesi) provenienti dalla Calabria. Furono perciò edificati dei quartieri Inglesi, uno dei quali a Campo Italia (ex piano dei campi ed ai tempi chiamato campo Inglese) furono rivisitate tutte le fortificazioni esistenti,anche di torri costiere più antiche, mentre la medievale torre di Capo Peloro fu circondata e rivestita da una struttura alla prova per artiglierie in casamatta e in troniera. Nel periodo inglese furono altresì edificate le torri Martello o torri di artiglieria, utili al controllo costiero, ancora oggi visibili a Ganzirri e Torre faro-Mortelle.
A partire dal 1860 lo Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano, a scopi difensivi contro potenziali attacchi nemici emanò delle direttive nazionali relative alla fortificazione sia di confini montani che porti. A Messina ed in altre piazze a seguito di tensioni politico economiche con la Francia, si edificarono circa 24 batterie costiere “alte” armate con pezzi a tiro curvo o teso, utili all’azione antisbarco, a controllo dei movimenti nello Stretto di Messina. Sul versante Siculo ne furono realizzate ben 14, dislocate in punti particolarmente strategici che agevolavano la difesa, mentre alcune vecchie fortificazioni furono riadattate per l’installazione di artiglierie moderne (vedi la torre di C. Peloro). La zona più fortificata risulta oggi quella nord in modo particolare quella di Curcuraci (ex piano dei campi) con ben 3 batterie: la "Serra la Croce "; la "Polveriera poi Masotto"e la "Menaia" poi Forte Crispi", ed un deposito munizioni. Mentre sul versante dirimpettaio in zona Campo calabro-Matiniti insistono ben 4 batterie per un totale di un gruppo di 7, a riprova dell’attenzione prestata dai progettisti all’ingresso nord dello stretto. Buona parte di queste batterie fu ridenominata durante il ventennio fascista. Ma tali batterie edificate con grandissimi sforzi economici (quando ancora l’aereo non esisteva), non videro mai un intervanto bellico contro l’eventuale nemico dell’epoca, ed essendo già tecnicamente superate persero importanza e furono armate nella breve guerra italoturca (1911) e via via dimesse, infatti già 1915 (ingresso italiano in guerra) rimasero armate solo 4 batterie per un totale di 22 pezzi da 28 cm perché buona parte delle artiglierie furono smontate e trasferite nei teatri di guerra montani in cui erano necessarie artiglierie a tiro curvo. Riutilizzate per il tiro d’istruzione o deposito di materiale vario negli anni successivi, nella seconda guerra mondiale prima 6 e poi solo 4 di esse rimasero armate coi vecchi pezzi da 28 cm. Dopo la fine della guerra furono o abbandonate o riutilizzate ancora quali depositi militari. Ma l’attività fortificatoria di Messina non sia arrestò alle tecniche di fine 800, sarebbe ridicolo credere ciò, infatti per la difesa costiera e soprattutto contraerea furono edificati già negli anni 30 del 900 i nuovi e cronologicamente ultimi sistemi attivi difensivi, composti da nuove ed efficienti batterie di artiglieria (antisbarco, antinave e contraerea) e relative opere di controllo ed intercettazione come aerofoni, osservatori, stazioni semaforiche (vedi Spuria la cui struttura circolare risale agli anni 30), insieme ai sistemi passivi, come ricoveri antiaerei e sistemi di allarme. Lo stesso vale per la difesa interna, che vide l’edificazione a partire dal 1941 del fronte a terra, ovvero una serie di gruppi di postazioni (dette comunemente bunker) ed opere complementari varie, utili a difendere da tergo la piazza di Messina, evitando pericolose penetrazioni al suo interno. A differenza dei sistemi di fine 800, quello edificato negli anni 30 del 900 operò realmente in guerra partecipando (contro i bombardieri alleati che poi devasteranno la città) a tutti gli eventi bellici che si verificarono in città a partire dal 1940, in modo particolare nel 43 con lo sbarco alleato in Sicilia, che vedeva Messia quale obiettivo tattico prioritario e perciò al centro di fondamentali operazioni sia da parte degli attaccanti che dei difensori. Purtroppo molto di queste testimonianze sono abbandonate o scarsamente fruibili, quando invece potrebbero e dovrebbero essere gestite seriamente a scopi produttivi, per dare ossigeno alla nostra asfittica economia».
http://messenium.altervista.org/Forti.html (a cura di Armando Donato Mozer)
MESSINA (palazzo Reale, non più esistente)
«Il Palazzo Reale è stato un palazzo della città di Messina, opera di Andrea Calamech del 1589, che venne distrutto dal terremoto del 1783. "Nei quattro canti del palazzo reale di Messina ha quattro torri fiancheggiate con quattro logge e quattro saloni grandi col giusto ripartimento di diversi appartamenti oltre le molte stanze di sopra e nel mezzo o da basso, ripartite ad usi diversi per i negozi i tutti i tribunali, per gli alloggiamenti dei cortigiani del viceré. Vedesi finita la prospettiva verso il porto, riguardevole per la vaghezza e la ricchezza degli intagli delle logge, balconi e porte, tra le quali, singolare è la porta di mezzo di marmi neri e bianchi e del finestrone marmoreo di somma vaghezza"».
http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Reale_%28Messina%29
MESSINA (porta della Loggia, non più esistente)
«La Porta della Loggia è stato un arco trionfale della città di Messina, opera di Giacomo Del Duca del 1589, distrutto dal terremoto del 1783. Le porte di Messina prima del terremoto del 1783 sono tante. Nel Cinquecento è stata aperta nelle mura la Porta della Loggia (che ricorda la Loggia de' Negozianti). La "Porta della Loggia" è stato costruita nel 1589, su progetto di Giacomo Del Duca per commemorare la Loggia de' Negozianti. Essa si trova a sinistra della Loggia dei Mercanti con la fontana del Nettuno di fronte affiancata dalla Palazzata di Messina».
http://it.wikipedia.org/wiki/Porta_della_Loggia
«Sul finire degli anni '50 l'allargamento del cantiere navale Cassaro porta alla demolizione della Porta Grazia, monumentale e artistico accesso alla Cittadella. La porta fu rimontata in cima alla gradinata di Piazza Casa Pia dove si trova tutt'oggi. Il nome di questa splendida porta barocca deriva da una preesistente chiesa che si dovette abbattere per far posto alla Cittadella. La porta ad arco è ornata da tre mascheroni grotteschi (quelli laterali reggevano il ponte levatoio) in marmo, mentre il resto della struttura è in calcare. Due pilastroni incorniciano la porta vera e propria sormontati da ricchi capitelli e ghirlande. Ai lati due grandi finestre ottagonali, riccamente ornate, racchiudono la porta. Nella prospettiva auspicabile di un recupero della parte restante della Cittadella, troverebbe certo migliore collocazione nella sua originale dimora».
MESSINA (resti della Cittadella)
«Percorrendo la zona falcata (via S. Raineri) si giunge ai possenti ruderi della Cittadella. Costruita intorno al 1680, anche se i lavori continuarono nella prima parte del '700, questa fortezza fu la più imponente del Mediterraneo. Sorta pochi anni dopo la rivoluzione antispagnola (1674-78) ricoprì da subito il doppio ruolo di difesa e controllo dello Stretto ma anche quello di costituire un freno alle velleità dei Messinesi. Usata inoltre come carcere al suo interno vi furono imprigionati molti Messinesi ma anche i Napoletani che si erano ribellati nel 1799. Nel 1798 vi fu imprigionato per qualche tempo il geologo francese Dolomieu. Fu progettata dal fiammingo Carlo Grunenberg, uno dei migliori architetti militari del tempo, molto attivo nell'Isola. Negli stessi anni infatti lavora a Trapani, Augusta e Siracusa dove progetta e realizza la separazione di Ortigia dalla terra ferma. Con la Cittadella attua un imponente progetto; una fortezza pentagonale circondata da fossati scavati nel mare (in ciò l'esperienza maturata in Olanda dovette essergli di grande aiuto), collegata alla terra ferma mediante ponti mobili difesi da possenti baluardi dietro i quali giganteschi muri, bastioni e numerosissimi cannoni, rendevano la fortezza imprendibile. Per la sua costruzione fu distrutto un intero quartiere popolato da 8000 persone, il convento dei Benedettini e numerose chiese. Nella sua secolare storia la Cittadella si arrese nel 1718 agli spagnoli del generale Spinola, l'anno dopo agli Austriaci guidati dal generale Conte di Mercy e nel 1735 ai Borboni di Carlo III.
Durante i moti del 1848 i Messinesi riuscirono ad occupare i forti Gonzaga, Castellaccio, Matagrifone e Real Basso da cui presero a bombardare la Cittadella dove si erano asserragliate le truppe borboniche. La possente fortezza però assolse bene al suo compito, i patrioti infatti non riuscirono ad espugnarla, anzi Messina fu pesantemente bombardata per otto lunghi mesi finché nel settembre dello stesso anno, lo sbarco del generale Filangieri con le sue truppe fece fallire definitivamente i propositi dei Messinesi. La fortezza fu comunque assai più danneggiata dai bombardamenti dell'esercito piemontese durante l'assedio del 1860-61 eseguito con moderni e più distruttivi cannoni. Il 13 marzo 1861 la Cittadella si arrendeva alle truppe sabaude del generale Cialdini. Subito Messina, a ricordo dei fatti del '48 e degli ultimi avvenimenti chiese la demolizione della fortezza ma il nuovo governo pensò bene di sfruttare a scopi militari la possente struttura realizzando notevoli lavori di restauro. Dopo il terremoto del 1908 l'enorme fortezza fu usata come deposito per i beni recuperati, avendo resistito egregiamente al terribile disastro. Negli anni '20, in seguito all'apertura della nuova strada, vengono demoliti i moli di Norimberga (corruzione del nome Grunemberg poi Nuremberg), S. Francesco e S. Carlo; dopo circa un decennio viene spianata la zona rivolta verso la città per far posto alla Stazione Ferroviaria e Marittima dell'architetto Angelo Mazzoni. I bombardamenti della II guerra mondiale provocano altri danni alla Cittadella occupata dai militari. Da allora la zona falcata si è andata industrializzando con la nascita di cantieri navali e il conseguente abbandono della struttura che conserva pressochè intatti tre dei cinque bracci (quelli rivolti verso lo Stretto), oltre a gran parte delle gallerie di collegamento e pregevoli pezzi di interesse artistico. L'immensa e splendida area meriterebbe di essere restaurata e restituita alla città».
MESSINA (torre Marmora o dell'Ebreo)
«La Torre Marmora, o Torre dell'Ebreo, è sita in contrada Marmora a Messina, raggiungibile dalla strada statale 113, imboccando al km 29,700 la strada provinciale per Salice. La Torre si trova a circa 570 m dalla costa tirrenica, in posizione elevata sul promontorio posto alla foce di due corsi d'acqua confluenti: la fiumara Marmora e il torrente Vani, denominato fiume Salice sino al XIX sec. Eretta nell'ambito delle fortificazioni volute da Carlo V nel tardo 1500, la Torre venne costruita dall'architetto italiano Camillo Camilliani intorno al 1584. Ha pianta quadrata, tre elevazioni fuori terra e coronamento leggermente aggettante con esili e bassi merli ornamentali posizionati agli angoli e al centro dei quattro lati. Ad ovest la struttura presenta tre aperture, rispettivamente al piano terra, al primo e al secondo piano; il lato est presenta un terrapieno terrazzato sistemato durante i lavori di ristrutturazione avvenuti dopo il 1998. Alcuni gradini in pietra con ringhiera in legno servono all'accesso aperto sulla prima elevazione; il prospetto sud presenta una sola apertura che dà l'accesso al piano terra destinato attualmente a cantina. Su tutti e quattro i lati, al centro sotto il coronamento, è collocato un elemento ornamentale con al centro un quadrifoglio stilizzato. Nel 1998 la Torre fu acquistata dall'attuale proprietario, dr. Giovanni Feminò, il quale nel 2000 ricevette l'approvazione da parte della Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina del progetto di restauro conservativo. Ad oggi, l'area del promontorio è recintata ed è stata lottizzata per la realizzazione di alcune villette di recente costruzione».
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_Marmora
a cura di Vita Russo
Milazzo (resti della torre del Palombaro)
«IA poca distanza da essa [Tonnarella di Sant'Antonino] si erge la Torre del Palombaro costruita con pianta ottagonale, i cui resti sfidano a tutto oggi la violenza del vento; sembra che la torre, per il "capriccio" di un nobile milazzese, fosse stata costruita per essere un affascinante luogo di osservazione del mare al di la della baia o forse, come si tramanda, per controllare i marinai e la quantità di pescaggio. Ma alla fine non svolse nessuna funzione; oggi, però, è un simbolo che caratterizza il promontorio di Milazzo».
http://www.salvalartesicilia.it/focus/default.asp?argomento=sas06&page=doc020.htm
Militello Rosmarino (ruderi del castello)
«Il castello era posto in posizione dominante sulla valle del Rosmarino, in rapporto visivo con i castelli di San Marco, Capo d’Orlando e di San Filadelfo (San Fratello). I ruderi, riferibili ad epoche anche molto recenti, emergono su cumuli di detriti formati da successivi crolli e distruzioni. Edificato in cima ad una elevazione naturalmente difesa da scoscendimenti rocciosi, aveva pianta articolata con evidenti irregolarità, obbligate rispetto alla forma del rilievo. Un autore locale ne descrive sommariamente i caratteri, accennando alla presenza di un portale marmoreo, di artistiche stanze, di ampi granai, di carceri e di una chiesa. Lo stesso autore pone dopo il 1860 il crollo della struttura, a motivo della incuria manutentiva. Dai resti affioranti è possibile risalire alle dimensioni dell’edificio che si approssimavano a m 34 x 56. Il muro perimetrale ha uno spessore mediocre di cm 120, mentre l’ampia arcata di accesso è alta m 5 e larga 2,4».
http://www.icastelli.it/it/sicilia/messina/militello-rosmarino/castello-di-militello-rosmarino
Mistretta (centro storico, porta Palermo)
«Mistretta è uno dei centri dei Nebrodi più ricchi di storia e di cultura, una piccola perla d’arte incastonata sul massiccio dei Nebrodi, verde dei suoi boschi. Dall’alto del suo antico castello, l’occhio spazia verso il Tirreno e le Eolie, l’Etna innevato ed il lussureggiante verde di boschi circostanti. Il suo centro storico è tra i più estesi e meglio conservati della Sicilia. Ancora oggi è possibile chiaramente distinguere le diverse fasi ed influenze nello sviluppo del centro edificato. Il nucleo più antico è localizzabile nelle adiacenze della chiesa di S. Caterina di Amestrata (XIII secolo) a sua volta fondata su un ninfeo romano (i reperti storici risalgono al IV secolo a.C.). Certa la presenza di una importante comunità bizantina e musulmana. La conquista normanna dell’XI secolo favorì la nascita di un nuovo borgo dei latini (che si struttura a cerchi concentrici attorno e fino alle falde del castello, in un’area in cui insistono antiche necropoli) rispetto a primitivo dei greci che divenne ormai periferico. Una possente cinta muraria con torri ed almeno quattro porte ortogonali (porta Palermo, porta Messina, porta della Piazza - poi del “Muru ruttu”- e Pusterla, di cui ancora in situ solo la prima) difendeva l’ingresso e l’uscita della città. I due agglomerati (quello greco e quello latino) si espandono come macchie d’olio. La Chiesa Madre di S. Lucia (esistente già dal 1169) posta sul pianoro a ridosso delle mura assumerà posizione sempre più centrale e di mediazione tra le due comunità, simbolicamente rappresentate con la giustapposizione nel transetto di una immagine della Madonna dell’Itria greca (1640-1654) e di una Loreto latina (1495) Un terzo nucleo da non trascurare è quello costituito dal quartiere ebraico inizialmente isolato ed equidistante dagli altri due, a ridosso del torrente e sovrastato dal giardino dei cappuccini e da un orto di Palme. ...o» - «Le prime notizie scritte sull’esistenza di porte a Mistretta risalgono al 1475. L’aspetto attuale dell’arco di Porta Palermo risale al 1771 quando, al Barone Giaconia venne concessa l’autorizzazione a costruire sui resti delle mura della città, purché rafforzasse i contrafforti della Porta. Da questa notizia si può evincere che nel 1700 le porte, come le mura, avevano perso la loro funzione difensiva».
http://www.comune.mistretta.me.it/pages/storia.htm - ...monumenti.htm
«Palazzo Tita. Sito nel quartiere della SS. Trinità, di fronte alla chiesa omonima (chiamata anche chiesa di San Vincenzo), il Palazzo Tita fu ricostruito nel 1885 con la facciata in stile bugnato. I balconi sono decorati con putti scolpiti da Noè Marullo. Il portale principale è in forma di arco sulla cui chiave di volta è scolpita la Medusa, mentre l'estradosso è arricchito da bassorilievi di mostri marini. È uno dei più bei palazzi di Mistretta e prende il nome da una delle antiche famiglie signorili di Mistretta. Palazzo Salamone-Giaconia. Il Palazzo Salamone-Giaconia, esistente già nel Seicento e ristrutturato nel 1865, è caratterizzato da sculture e bassorilievi in mensole, chiavi di volta e lo stemma della famiglia nel portale. Si affaccia sulla Piazza Concordia, totalmente in muratura, con un'alta scala in monoblocchi di pietra arenaria. ... Palazzo Scaduto. Palazzo Scaduto è uno dei più antichi di Mistretta. Venne edificato nel 1660, in stile barocco, il cui portale principale è arricchito da due maestose sculture laterali e da bassorilievi; all'interno il palazzo conserva la più alta scala alla "trapanese" di Sicilia. Costruito dal barone Pietro Scaduto, Giurato della Città, diventò di proprietà dei baroni Bosco, alla fine del Settecento, in via ereditaria. Nel 1816, il barone Biagio Lipari costruisce un corpo di casa fra l'attuale Vicolo Cuscè e la via Catania, a fianco del Palazzo Bosco. Il barone Antonino, figlio di Biagio, acquista dai Bosco il palazzo e l'area circostante ed inoltre diventa proprietario della casa beneficiale Cuscè, attigua al palazzo. Nel 1826, amplia il palazzo inglobandovi la casa costruita dal padre e la casa Cuscè costituendo un nuovo corpo, in via Cairoli. Lo stemma della famiglia Lipari, il leone rampante ai piedi di un albero, è scolpito nella chiave di volta della porta d'ingresso della via Cairoli. Il palazzo viene ereditato dal nipote Giuseppe, che nel 1891 lo ristruttura in occasione del matrimonio della figlia con il barone Giaconia. Palazzo Russo. Il Palazzo Russo è un esempio di architettura del Settecento, con portale ad arco a tutto sesto in pietra arenaria con alla sommità l'aquila rampante dello stemma nobiliare. All'interno vi è una loggia che risale sicuramente ad un'epoca precedente. Il palazzo fu ultimato nel 1775 come testimonia la data incisa su una pietra sottostante il tetto. L'edificio fu costruito dal barone Armao e acquistato dal Cavalier Giovanni Russo in occasione del suo matrimonio con Remigia Catania, circa un secolo dopo.».
Mistretta (resti del castello arabo-normanno)
«Il Castello, già conosciuto in epoca romana (Polibio lo definisce “vetustissimo”), poi arabo, poi normanno e quindi aragonese, recentemente restaurato. Le prime notizie sulla fortezza si hanno da un privilegio del 1101 con il quale il conte Ruggero dona al Demanio Regio e infeuda a se stesso Mistretta con il suo castello. Questo fu teatro di grandi avvenimenti per circa 300 anni, infatti lì si rifugiò Matteo Bonello durante la rivolta contro Guglielmo re dei Normanni, vi si stabilì Federico d’Antiochia durante la rivolta contro re Pietro D’Aragona nel 1337. Nel 1360 vi si trattenne re Federico D’Aragona prima del matrimonio con Costanza. Altre notizie si riferiscono al 1474, quando era castellano regio Sigismondo De Luna, che aveva il compito della riscossione delle gabelle e che lasciò nell’incuria il castello. Nel 1520 il castello era già in rovina e ridotto a carcere. Il personale era costituito da due sole persone, il castellano e il portiere. Nel 1608, il castello era completamente in rovina. Nel 1633 i mistrettesi distrussero quanto rimaneva del castello simbolo delle angherie del potere regio. Nel 1686 una grande frana, che interessò tutta la vallata, distrusse il versante nord-est della rocca del castello che cambiò per sempre la sua morfologia. Dall’epoca della sua distruzione, i ruderi del castello e le rocce vicine vennero usati come cava di pietra per la costruzione delle case dei mistrettesi. Nel 1863 il Sindaco proibì con una ordinanza di “fare pietra al castello“. Di tale complesso oggi rimangono i ruderi delle mura perimetrali, e sul lato nord si configura ancora uno degli ingressi. Inoltre sono riconoscibili i ruderi delle mura di cinta nonché di strutture sussidiarie. Con gli scavi archeologi effettuati nell’area sottostante i ruderi, negli anni ’80, sono stati rinvenuti le fondamenta di una piccola chiesa triabsidata, di probabile epoca normanna, impiantata in uno strato di materiale bizantino».
http://www.comune.mistretta.me.it/pages/storia.htm
Mojo Alcantara (borgo fortificato)
a cura di Giuseppe Tropea
Monforte San Giorgio (porta Terra)
«Questa porta urbica ad arco ogivale è una delle poche testimonianze rimaste dell’antica cinta muraria sveva del paese, fatta costruire da Federico II ed ampliata sotto Federico III d'Aragona tra il 1296 e il 1336. Ricordiamo che tra la Chiesa Madre e Porta Terra una serie di vie portano al vecchio Rione Costeri e al Rione Castello, dove si sviluppava l'antico paese intra moenia...».
http://web.tiscali.it/monfortesi/guidamonforte/primo_it.htm#portaterra
Monforte San Giorgio (resti del castello di Monforte)
«Il nome del paese, Montisfortis, compare per la prima volta in un documento che porta la data del 1104, mentre il geografo arabo al-Idrisi chiama il paese Munt da furt (monte dei forti) forse ricordando il comportamento eroico tenuto dagli abitanti della zona nella resistenza contro i Musulmani di cui era ancora viva la memoria al tempo della stesura della sua opera (1154). Il castello di Monforte ebbe importanza soprattutto nel periodo svevo e in quello angioino. L'imperatore Federico II lo incluse tra i castelli che per la loro importanza nel sistema difensivo dell’Isola erano controllati direttamente da lui. Grande fu la fiducia che ebbe nel castello di Monforte Carlo I d’Angiò: su di esso contava particolarmente per respingere sollevazioni popolari. Monforte col suo castello fu possesso dei reali di Sicilia da cui veniva assegnato in via provvisoria a persone da beneficare. A partire dal 1357 entrò in possesso della famiglia Alagona, come baronia. Nel 1393 il re Martino confiscò il feudo al barone di Monforte Blasco Alagona, accusato di tradimento poiché aveva partecipato ad azioni di guerriglia contro di lui, e lo aggregò alla città di Messina. Successivamente Martino, rimangiandosi quella decisione, assegnò Monforte in feudo alla famiglia Cruillas dalla quale passò nel 1405 per vendita a Nicolò Castagna. Il 12 aprile 1405 Cola Castagna, tesoriere del Regno acquistava Monforte dai Cruillas. Con la morte del Castagna si alternarono, per successione, numerosi feudatari tra cui, a metà del XV secolo, Federico Ventimiglia, poi i Saccano e Ilaria La Grua, fino a divenire feudo della famiglia Pollicino, che la possedette fino alla prima metà del cinquecento per passare, poi, a seguito di matrimonio, in casa Moncada. A partire dal 1596 Monforte fu soggetto ai Moncada, gli ultimi signori del paese, che dal 1628 ebbero il titolo di principi».
http://it.wikipedia.org/wiki/Monforte_San_Giorgio
a cura di Giuseppe Tropea
Motta Camastra (resti del castello)
a cura di Giuseppe Tropea
«L’origine di Motta d’Affermo deriva da un piccolo insediamento nato dalla diaspora degli abitanti di Halaesa in età tardo-imperiale romana, così come attesta la presenza di un insediamento e di una necropoli in località “Sorba” (IV sec.). Successivamente un gruppo di bizantini (VII-IX sec.) fonda il casale di Sparto (in greco significa ginestra, spartium junceum). Infatti ancora oggi l’arbusto caratterizza fortemente le colline del territorio di Motta, soprattutto durante la primavera. L’istituzione più rappresentativa all’arrivo dei Normanni rimase “S. Maria di Sparto”, piccolo cenobio basiliano, i cui ruderi ancora esistono vicino il paese. Il primo esponente feudale di cui si abbia notizia è Roberto de Sparto. Nel 1380, dopo diversi passaggi, Sparto si trova in potere del cavaliere Muccio Albamonte alias di Fermo, mercenario proveniente dalle Marche. Questi ripopola il vecchio casale di Sparto e si proclama signore e barone di Sparto, che da quest’epoca in poi viene chiamato la Motta di Muccio di Fermo, fino ad arrivare all’attuale denominazione: Motta d’Affermo. Tra le prime iniziative si ricorda la costruzione della chiesa di Maria SS. degli Angeli. Questa, essendo la Matrice, era luogo di culto e di riunione per il popolo, soprattutto quando si dovevano prendere delle decisioni importanti. A quel tempo Motta era già una realtà importante con la sua fortezza, le sue chiese, i suoi edifici pubblici, le case dei borghesi e dei popolani. Ma fu negli edifici di culto e nei loro arredi che la comunità espresse il meglio delle sue possibilità. Guglielmo Albamonte, discendente di Muccio, è uno dei dodici campioni della Disfida di Barletta (1503). ... Il castello. Esistente sin dal 1260. Ampliato nel 1380. Modificato dal 1652 al 1668. Rinnovato nella distribuzione e rivestito di stucchi dal 1738 al 1815. Parzialmente demolito e ricostruito dal 1954 ad oggi, si colgono all’esterno ancora i possenti bastioni. Molto interessanti sono gli ambienti al pianterreno dell’originario torrione, odiernamente trasformati in una cappella e nell’attigua sagrestia. Durante l’ultimo conflitto mondiale venne bersagliato dall’artiglieria alleata in quanto sede di una postazione radio trasmittente».
http://www.comune.mottadaffermo.me.it/it/il-paese-di-motta-daffermo - http://www.comune.mottadaffermo.me.it/monumenti/castello...
a cura di Giuseppe Tropea
Novara di Sicilia (Rocca Salvatesta, Rocca Leone)
a cura di Giuseppe Tropea
«Chiuso tra un folto parco boscoso, che quasi lo nasconde, esso appare come misteriosa dimora che abbia celato chissà quali tenebrose vicende. Ma forse la sua storia è invece limpida e serena poiché seppure, nel corso dei secoli, qualcosa di oscuro avvenne tra le sue mura, nulla ce ne tramanda la memoria. Ricordato da Edrisi al tempo dei normanni, epoca nella quale era chiamato Liviri, esso fu il centro attorno cui sì andò poi formando il borgo, quasi interamente abitato da pescatori specializzati nella cattura dei tonni. Con gli aragonesi ne fu castellano Ferrano de Abbellis dal quale nel 1360, per concessioni di re Federico III pervenne a Vinciguerra di Aragona cugino di Federico stesso. Al tempo di re Martino ne fu signore Raimondo de Xamer che lo possedette assieme alla sottostante tonnara (1398). Sul 1414 rè Ferdinando di Castiglia ratificò uno scambio, dell'anno 1400, per cui il castello era passato a Federico Spadafora. A questi subentrò Perrono Gioieni alla cui famiglia rimase sino al 1600 circa, epoca nella quale venne venduto ai La Grua. Successivamente posseduto dalla famiglia Zappino fu da questa venduto a Giuseppe Accordino (1693). Nel 1724 venne acquistato da Ludovico Paratore Basilotta principe di Patti e dopo alcuni passaggi ereditari, sul 1803 divenne proprietà di Gaetano Paratore d'Amico principe di Patti. Da lui castello e titolo passarono alla sorella Eleonora e da questa al fratellastro Domenico Merlo, che, sul 1900 circa, lasciò il castello alla figlia Elena dalla quale ereditò la pronipote e figlia adottiva, Caterina Martorana Bonaccorsi, attuale proprietaria, mentre il titolo dalla figlia primogenita di Domenico Merlo, Marianna, pervenne al di lei nipote generale Domenico Bonaccorsi, attuale principe di Patti. Il castello sopra una bassa collina, poco lontana dalla spiaggia del Tirreno, è sovrastato dall'altissimo promontorio del Tindari (alla cui base il mare forma piccole, deliziose insenature sempre mutevoli) sul quale sorge il famoso santuario della miracolosa «Madonna nera» venerata in tutta l'isola e le cui antiche leggende affascinano ancora la fantasia popolare. Secondo Goffredo da Viterbo il nome di Oliveri deriva da uno dei capitani di Carlo Magno chiamato Oliverio, che sarebbe sbarcato in quei pressi. «Mons ibi stat magnus, qui dicitur esse rolandus alter Olivierus simili ratione vocandus haec memoranda truces consituere duces». Appare invece assai più verosimile che sia dovuto ai grandi e ricchi uliveti di quella plaga. Ben poco rimane delle antiche strutture ma a differenza di molti altri è tuttavia riccamente arredato ed i suoi proprietari vi soggiornano buona parte dell'anno. Interessante un avanzo di vecchia torre, forse aragonese, e pittoresco il quadrato cortile interno».
http://www.oliverisulweb.com/storia_castello_oliveri.asp
Patti (porta San Michele, castello e torri non più esistenti)
«Le ricerche fatte da me, nella qualità di presidente della Pro Loco prima e dell'Associazione Epacten dopo, hanno permesso di scoprire l'esistenza di alcuni acquerelli realizzati durante la dominazione spagnola e conservati presso la Biblioteca Nacionale di Madrid. Nel primo disegno sono rappresentate nella parte inferiore la costa della nostra zona e, nella parte superiore, un panorama della città di Patti, presumibilmente vista da nord-est. Nell'acquerello a colori, si possono notare alcuni fabbricati ancora esistenti. La città risulta fortificata, chiusa in una cinta muraria robusta e salvaguardata da ben 17 grandi e piccole torri. Il dipinto risale alla fine del XVI secolo e già la città cominciava ad espandersi fuori le mura. Vi si nota il primo borgo nato nell'area a sud-ovest, corrispondente all'attuale zona comprendente le vie: S. Antonio Abate, Giuseppe Ceraolo, Arimondi, Magretti, V. Emanuele, Monte di pietà, Pascoli, Toselli, Roma, Porte della città, Fratelli Bandiera, Turati e qualche fabbricato più ad est, ove qualche secolo dopo si formerà la zona che attualmente gravita attorno alla chiesa di San Nicola. Un altro disegno riproduce la planimetria della città. La zona dentro le mura graficamente non è sviluppata. Sono evidenziate le fortificazioni, con le torri e le sei porte che vengono denominate: porta delli morti (ad ovest, sotto il castello, all'altezza dell'attuale casa E. Fortunato), porta nova (alla estremità del quartiere Polline, sulla stradina che conduce al torrente Provvidenza), porta di San Michele (l'unica ancora visibile integralmente, contigua alla omonima chiesa), porta delle Buccerij (alla fine della via Roma; è visibile uno stipite ed un cardine), porta reali (sulla via XX Settembre, all'altezza dell'incrocio con la via F.lli Bandiera; è ancora visibile uno stipite), porta falsa (era ubicata ove è attualmente l'ingresso del museo diocesano). Di questa, della porta nuova e di quella delli morti non esistono più tracce.
Delle 17 torri è visibile soltanto quella denominata "del palombaro". Di un'altra, a forma circolare e demolita nel 1969, a seguito del parziale crollo del castello, residenza dei Vescovi, esiste qualche foto. Un terzo disegno riproduce la pianta del Castello e della Cattedrale. Sono visibili, oltre le strutture murarie principali, le tre absidi. Queste erano di forma circolare, mentre ora hanno chiusura con muratura retta. Il crollo delle absidi originarie fu provocato dal sisma dell'11 gennaio 1693. In quella circostanza andarono distrutti anche il tetto e l'ultima elevazione della torre campanaria, molto probabilmente per l'ampiezza delle aperture. Queste infatti erano formate da trifore, come può vedersi dal quarto disegno . Quest'ultima tavola, rappresenta il Castello e la Cattedrale in prospettiva. Sono chiarissime le tre absidi dai decori esterni simili a quelle della coeva Cattedrale di Cefalù; il campanile con le trifore nell'ultima elevazione, la torre del palombaro, quella distrutta nel 1969 e la parte superiore della struttura che conteneva la porta falsa. La situazione descritta nei quattro disegni è riferita all'anno 1596 e dello stesso periodo è la descrizione delle coste del Regno di Sicilia, con annotazioni del cavaliere Tiburzio Spanoqui, gentiluomo della casa di Sua Maestà Spagnola».
http://www.patti-nauloco.com/index.asp?IdProd=8 (a cura di Antonino Lo Iacono)
PETTINEO (castello o torre Migaido)
«La torre sorge nel territorio di Pettineo, nella vallata del fiume Tusa, a quota elevata (439 m s.l.m.) a difesa del confine della Contea di Geraci. Era una torre cilindrica, databile probabilmente al IX secolo, all'epoca dell'invasione araba. Il nome di "Migaido" deriva dall'arabo mà-gàytu, che significa "il punto più lontano". Non possiamo datare con massima precisione la sua costruzione, ma sicuramente abbiamo testimonianza della sua esistenza già nel 1330, successivamente la struttura fu ampliata e modificata in più fasi. La torre presenta una pianta cilindrica con mura dello spessore di circa 3 m, e all'interno sono ricavate scale per arrivare sulla sommità. La presenza di un camino ne testimonia un utilizzo anche abitativo. In origine dei merli erano presenti sulla sommità. La torre sorse probabilmente come luogo di osservazione per la guarnigione che la occupava, di vedetta sia sulla strada che conduceva ad Alesa che su quella che conduceva ad Amestratos ed Herbìta. Ruderi di altre torri che potevano far parte del medesimo sistema di segnalazione potrebbero essere la "torre Macera", nella valle a sud di Castel di Lucio e altri resti nei pressi del monte Sambughetti, presso Herbita. ... Nel 1488 la dimora fortificata fu utilizzata da alcuni esuli del Negroponte e successivamente ebbe semplicemente la funzione di fattoria fortificata. All’esterno della cinta muraria si trovano resti di opere di canalizzazione di corsi d’acqua che fanno ipotizzare la presenza di mulini o altri impianti di trasformazione azionati ad acqua. Questa ipotesi potrebbe essere avallata dal toponimo della limitrofa contrada “Mulineddi” che faceva parte delle terre del feudo.
Volendo trattare sommariamente la storia di questo luogo forte, bisogna partire dalla sua fondazione avvenuta per volontà di Francesco I Ventimiglia sfruttando i diritti angarici sull’università di San Mauro Castelverde che, successivamente nel 1482, in cambio dei servigi prestati a favore del conte di Geraci per la costruzione di alcune fortificazioni, fece richiesta ad Enrico Ventimiglia di concessioni e sgravi. ... La fortificazione di cinta costituiva, grosso modo, un quadrilatero irregolare ai cui vertici erano inserite delle torri circolari unite da un muro con diverse feritoie strombate. Dal lato sud probabilmente si accedeva all’interno con l’attraversamento dell’unica torre quadrata, quasi totalmente fuori dal perimetro, con degli archi leggermente acuti, oggi tompagnati. Questo lato era il più esposto agli attacchi di conseguenza troviamo, oltre le due torri ai vertici della cinta muraria e quella quadrata di accesso, una quarta torre circolare. Ad ovest rimane traccia leggibile di uno sperone triangolare, equidistante dalle torri di vertice, deputato alla difesa di questo lato. A nord le costruzioni del XIX secolo, addossate al perimetro murario, non ci fanno leggere le opere di fortificazione. Ad est si notano solamente tracce non ben definibili di muratura crollata. All’interno della corte sorge la grande torre cilindrica che rappresenta, insieme con la cappella, una costruzione forse retrodatabile, sorta non soltanto come mastio a sé stante, ma anche con funzioni abitative. Lo spessore della muratura supera i tre metri e all’interno di questa si articola una scala che porta ai piani superiori. Con il suo volume imponente e massiccio, alta circa 13 metri, risulta una struttura impenetrabile. Alla struttura si aggiunsero dei corpi di fabbrica a partire dal 1809».
http://www.virtualsicily.it/Monumento-Torre%20Migaido%20-%20Tusa-ME-625
«...Piraino subì la stessa dominazione che toccò al resto della Sicilia: romana, barbara, bizantina, saracena. Proprio durante la dominazione saracena, ed esattamente nel 967 d.C., per ordine dell'emiro Ahmod, venne dato inizio alla costruzione della Torre Saracena (tutt'oggi intatta) e delle mura del paese, mentre le varie chiese, prima cristiane, vennero tutte trasformate in moschee. Durante la dominazione normanna, Piraino fu probabilmente trasformata in semplice terra demaniale, sotto il diretto controllo dello Stato. Grazie al matrimonio di Stato fra Enrico VI, figlio dell'imperatore Federico Barbarossa, e Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, anche Piraino, passò sotto la dominazione sveva. Fu in questo periodo che l'imperatore Federico II concesse il paese in feudo ai Lancia, marchesi del Vasto e del Monferrato. Tale concessione avvenne grazie al matrimonio che, nel 1246, Federico II stesso, aveva contratto con Bianca Lancia, figlia di Bonifacio, conte di Agliano. Durante il decennio che vide la lotta fra Svevi e Angioini, i Lancia combatterono in difesa della famiglia Sveva, e per questo, dopo l'avvento al potere dei signori d'Angiò, vennero confiscati loro tutti i beni, che riebbero solo dopo la guerra del Vespro, nel 1282, e cioè con l'avvento degli Aragonesi in Sicilia. Inoltre Giovanni d'Aragona, fratello di re Federico III, ed Infante d'Aragona, prese in moglie una figlia di Pietro Lancia. Sempre durante il regno degli Aragona, Piraino dovette subire le incursioni degli arabi. In una delle quali, nel 1544, guidata dal pirata arabo Khayr al-Dīn Barbarossa (Ariadeno), venne ucciso a colpi di scimitarra l'arciprete di rito ortodosso Giovanni Maria Scolarici, mentre tentava la fuga dal paese per salvare, non solo se stesso, ma, soprattutto, le sacre particole dalle mani degli infedeli. L'evento è tutt'oggi ricordato nel paese durante il periodo estivo, dove viene inscenato proprio l'arrivo dei Saraceni a Piraino, il tutto in abiti d'epoca. L'attacco del Barbarossa fu così grave da causare la mancanza di sacerdoti di rito ortodosso nella zona, la cui eredità spirituale fu presa in custodia da quelli di rito romano nel 1576. Il 27 settembre 2009 la Chiesa Ortodossa in Italia ha proclamato santi padre Giovanni Maria Scolarici e suo figlio Giuseppe. Durante il periodo di dominazione spagnola dell'isola, e più specificatamente, nel 1627, il feudo di Piraino passò sotto il controllo di Vincenzo Denti, il quale, nel 1656, per privilegio del re Filippo IV di Spagna, ottenne il titolo di duca. Piraino, dunque, da semplice feudo era diventato un Ducato. La residenza dei Denti era il Palazzo Ducale, che esiste ancora oggi, sebbene fatiscente, e proprio sulla facciata frontale si possono ancora ammirare la meridiana e lo stemma ducale, simbolo del potere dei Denti».
https://it.wikipedia.org/wiki/Piraino#Storia
«La Torre Saracena, detta anche Torrazza, fu realizzata dagli Arabi nel X secolo, per la difesa e l’avvistamento: la sua particolare posizione geografica consente infatti una visione panoramica a 360° (sia lato mare, a settentrione, che lato entroterra, a meridione). Presenta una forma cilindrica ed una superficie esterna con muri del tipo “faccia a vista”, ovvero realizzati con mattoni pieni, privi di ulteriore rivestimento. La torre faceva parte di un sistema di avvistamento che, partendo dalla cinquecentesca Torre delle Ciàvole, posta lungo la costa, comunicava con la Guardiola, situata a nord del paese e quindi con il Castello di Brolo e quello di Capo d’Orlando. Si sviluppa su tre livelli, con una terrazza, collegati tra loro da una scaletta interna. Nel XVIII sec. fu anche adibita a carcere. Risulta essere l’edificio posto sul punto più alto di tutto il centro storico ed è sicuramente attorno ad essa che si sviluppò il primo nucleo abitativo. ... Alta ben sedici metri, il piano terra ospitava piccole cisterne, molte di queste si trovano oggi sparse intorno la torre: esse costituivano un sicuro sistema di approvvigionamento idrico, indispensabile quando gli abitanti erano costretti a chiudersi dentro la cinta muraria a causa delle incursioni piratesche. I tre piani sono collegati tra di loro da una scala interna ed illuminati da due aperture a tutto sesto, riquadrate in pietra e sfalsate fra loro. La terrazza aveva un parapetto merlato. La torre, oltre all’avvistamento e alla difesa è servita, nel corso dei secoli, per controllare il passaggio delle navi che transitavano tra la nostra riviera e le Isole Eolie. Ci sono testimonianze del suo utilizzo da parte dei nazisti, durante il secondo conflitto mondiale, come base di avvistamento e fuoco a lunga gittata, per cercare di evitare l’approdo dei reggimenti dei generali Patton e Truscott. Oggi è in fase di restauro, anche se si è mantenuta sempre in discreto stato nel corso del tempo (forse era da evitare l’obbrobrio estetico costituito dalla scala antincendio esterna in ferro, che ne intacca la fascinosa immagine di raro esempio di fortezza araba ben conservata)» (testo di Diego Conticello).
Raccuja (castello Branciforti)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il Castello Branciforti si erge nella parte alta del centro abitato, in una posizione non molto strategica ma fondamentale per il controllo della trazzera Regia che passava lì vicina. Su antiche preesistenze probabilmente romane, il conte Ruggero d’Altavilla fondò una salda costruzione per la difesa dei luoghi appena conquistati e che poneva sotto suo diretto dominio. Il castello, che per tutto il periodo Regio svolse le funzioni di difesa e di alloggio per i funzionari del Regno, si trovò, sotto la signoria degli Orioles, a subire importanti modifiche strutturali, miranti a trasformare l’antico fortilizio medievale in un Maniero che fosse in grado di ospitare una famiglia nobiliare del loro rango. Con i Branciforti il Maniero divenne luogo di rappresentanza politico-amministrativa, fino a quando, con la caduta degli stati feudali, nel 1812, venne trasformato in carcere giudiziario, e tale restò sino agli anni ’60 del Novecento. Dopo un periodo di declino ed abbandono, un restauro di fine Novecento ha ridonato lustro e splendore alla vetusto edificio. All’esterno la struttura si presenta come un massiccio edificio quadrangolare, fiancheggiato da due torri circolari, delle quali una crollata. Diverse porte, aperte nel XIX secolo quando la struttura venne trasformata in carcere, costituiscono l’accesso al piano terra. Imponenti finestroni si aprono nella parte alta, in pietra arenaria. Il piano terra si divide in due parti: a destra dell’ingresso stanno diversi stanzoni collegati l’uno all’altro da grandi arconi in arenaria, del XVI secolo: gli ambienti si articolano in varie stanze: queste, in periodo regio, erano adibite a locali per le guardie, mentre con i Branciforti divengono magazzini e vengono messe in collegamento gli uni con gli altri. In fondo, una stanza con l’antico selciato, era probabilmente a cappella. A sinistra dell’accesso stanno, invece, le aule adibite a carcere giudiziario, che si insediò in antichi ambienti medievali, caratteristici per lo spessore delle mura; il piano terra della torre ha poi una antica volta a pseudo-cupola e funse, dall’Ottocento in poi, da dormitorio per i detenuti. Il piano terra e il piano superiore sono messi in collegamento da un grande scalone in pietra arenaria. Da un grande portale anch’esso in arenaria, che è soprastato da uno stemma marmoreo dei Branciforti, di forma romboidale, si entra nella sala di rappresentanza, l’aula più vasta all’interno della struttura, ingentilita da un camino e da una volta a lunette sorrette da peducci in arenaria. Dal lato monte si apre, infine, la vasta corte interna, nella quale si trova un antico pozzo di probabile fattura romana».
http://www.comune.raccuja.me.it/Turismo/CastelloBranciforti/tabid/487/Default.aspx
Roccalumera (torre Sollima o Saracena)
«Indicata anche come Torre di Sollima, dal nome della nobile famiglia messinese proprietaria della costruzione nel XVI secolo oppure Torre Ficara, dalla contrada in cui è situata (toponimo che potrebbe avere origine dall’arabo “Fakhar” che significa potente, importante), è anche chiamata saracena sebbene non esistano notizie documentate sulle origini arabe dell'edificio. La costruzione, a forma cilindrica e alta circa tredici metri, presentava il tetto conico, due lucernari e una piccola porta d'ingresso al di sopra della zoccolatura e, di fianco, alla stalla dei cavalli, visibile ancora oggi. Con molta probabilità risale agli inizi del Quattrocento anche se non mancano gli storici che collocano la sua costruzione al secolo XI. Essa faceva parte del sistema di guardia e di difesa della riviera ionica contro il pericolo di invasioni nemiche. è l'unica superstite di una serie di torri costiere ed era in costante contatto con il Castello di Pentefur a Savoca. Gli avamposti comunicavano tra loro attraverso segnalazioni col fumo di giorno e col fuoco di notte. Nei casi di estrema emergenza si suonavano contemporaneamente le campane d'allarme: la popolazione era così avvertita e cominciava la fuga tra le alture vicine. La torre di Roccalumera era considerata dagli architetti militari di allora la migliore della zona come posizione strategica e come solidità della struttura. Dopo la fine delle incursioni arabe la costruzione subì varie modifiche: le finestre e la porta diventarono molto più ampie e fu edificata una larga terrazza, corredata di merli, che sostituì il precedente tetto conico. Agli inizi del XIX secolo l'edificio divenne "Torre Telegrafo", mettendo in comunicazione il paese di Roccalumera con Barcellona Pozzo di Gotto. Nel 1830 furono aperte, nella parte superiore, due finestre a sesto acuto in pietra bianca; il tetto venne impreziosito con una notevole merlatura guelfa che fungeva da terrazzo. La “Torre Ficara” è divenuta nel tempo il simbolo di Roccalumera. Salvatore Quasimodo le fu particolarmente legato, dedicandole la poesia “Vicino ad una Torre Saracena per il fratello morto”, riprodotta su una lapide di marmo posta alla base della torre. Oggi restaurata a cura della Associazione Internazionale Impegno Civile guidata da Carlo e Sergio Mastroeni, nell'ambito del Progetto Parco Letterario "Salvatore Quasimodo " è stata affidata al Club Amici di Quasimodo di Roccalumera. è visitabile».
http://castelliere.blogspot.it/2011/09/il-castello-di-giovedi-1-settembre.html
«Nasce come castello medievale in età Normanna; tracce dell'antico nucleo sono reperibili nello splendido portone ogivale e nell'ala nord-orientale: una fortificazione dotata di ponte levatoio e torri merlate atta a difendere terre e persone dalle frequenti incursioni piratesche. In assenza di fonti documentali non è facile attribuire una data certa alla parte più antica del castello, tuttavia, da alcuni elementi originali ancora leggibili, la costruzione si può collocare intorno al primo Cinquecento. In questo periodo infatti, diventa residenza padronale con il Barone Andrea Valdina, che ne accentua la sua struttura di austera fortezza: cunicoli sotterranei, strette finestre, pochissimi accessi lo rendono adatto alla difesa dalle incursioni nemiche. Al più illustre dei Valdina, Pietro, si deve la costruzione dell'ala più recente del castello, tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, un vero e proprio palazzo nobiliare, simbolo della ricchezza che la famiglia Valdina aveva raggiunto in quegli anni. I lavori furono commissionati molto probabilmente al famoso architetto fiorentino Camillo Camilliani, che nello stesso periodo aveva costruito presso la propria bottega di Palermo il monumento funebre di Maurizio Valdina, che si trova nel Duomo. Per tutto il 1600 il Castello venne abbellito con quadri e opere d'arte, fra le quali sembra un Cristo crocifisso del Caravaggio, andate perdute in seguito alla dispersione dei beni familiari successivi alla estinzione del ramo principale della famiglia. Seguì un lungo periodo di decadenza, nel 1800 il castello fu utilizzato come carcere oltre che come residenza della famiglia Nastasi de Spucches che lo aveva ereditato. Il terremoto del 1908 provocò il crollo dell’ala sud-est del castello, che fu restaurata rispettando soltanto la planimetria antica ma alterando per sempre i parametri murali originari».
http://castelliere.blogspot.it/2010/12/il-castello-di-domenica-12-dicembre.html
Roccella Valdemone (resti del castello)
a cura di Giuseppe Tropea
a cura di Giuseppe Tropea
SAN FRATELLO (castello del Filadelfio, non più esistente)
«Il castello di San Filadelfio a San Fratello è andato distrutto a causa dei numerosi movimenti franosi che nella storia hanno colpito il territorio di San Fratello. Non ci sono documenti a tal proposito ma è ipotizzabile che la frana del 1754 sancì la fine del Castello. Anche se ci sono indizi che potrebbero farci pensare che la caduta dell'edificio si consumò decenni prima. L'edificato, ribattezzato dal popolo "la Roccaforte" si trovava sopra il colosso di pietra che ne assunse la denominazione. Il castello era stato fortificato (esiste un documento di fondazione e un altro documento del 1272 in cui si fa chiaro riferimento al Castello di San Fratello) dai normanni tra XI e il XII secolo (in pratica subito dopo aver conquistato il territorio di San Fratello). I Normanni giunti a San Fratello si trovarono di fronte uno scenario particolare: a nord sul Monte Vecchio c'erano, ben visibili, i resti di una antica colonia greca abbandonata e poco più a sud, dietro un grosso masso c'era un piccolo abitato che da lì a poco avrebbero conquistato e sottomesso alla loro cultura. In cima al colosso di pietra che sovrastava e nascondeva l'abitato, al confine con la parte alta del piccolo borgo (probabilmente) si trovava una costruzione araba che fungeva anche da vedetta. Ma qui la storia si fonde con il mito visto i pochi documenti presenti che attestano quanto appena detto, frutto, invece, di tesi sviluppate in base a studi, supposizioni e indagini effettuate in merito. ... Su come doveva essere il Castello le idee sono abbastanza chiare ... A confermare la tesi di una struttura grande e importante anche la storia degli altri edifici costruiti dai normanni, su tutti la Chiesa di San Nicolò: crediamo che il castello non sarebbe mai stato di dimensioni ridotte. I normanni costruirono anche una chiesetta sul monte vecchio che poi sarebbe diventata, con le modifiche del tempo, il Santuario che oggi è possibile visitare, mentre sulla sommità della nuova città normanna distrussero (o gli costruirono sopra) un edificato arabo e costruirono questo Castello dedicato appunto a San Filadelfio che successivamente avrebbe anche dato il nome all'intero abitato. L'edificio, come già sottolineato, era formato con i ruderi della antica Apollonia e la sua imponenza fu anche il suo tallone di Achille, in quanto la sua distruzione in seguito ai movimenti franosi fu lenta e inesorabile. Probabilmente, a causa della sua massa ingombrante alcune parti furono ricostruite nel tempo e altre rimodellate e adattate alla superficie che, frana dopo frana, veniva a mancare sotto i piedi. Poi, dopo l'evento calamitoso del 1754 che ne precluse l'accesso i ruderi sparirono, abbattuti e riciclati. Così, un ennesimo pezzo di storia di San Fratello è finito nell'oblio. Oggi poche tracce del Castello di San Filadelfio sono visibili da diversi punti sul colosso della roccaforte, dove un tempo questo edificio dominava dall'alto il territorio e il suo completamento dava inizio ad un periodo ricco e fertile per la cittadina scrigno del tesoro dei normanni. Un tesoro di arte, tradizioni e cultura».
http://www.sottolapietra.com/castello_san_filadelfio.htm
San Marco d'Alunzio (ruderi del castello)
«Nella parte più alta dell’abitato possiamo ancora oggi ammirare gli imponenti ruderi del castello di San Marco fatto edificare da Roberto il Guiscardo a partire dal 1061 sui resti di un antico castello preesistente. Eretto sulla cima del monte Rotondo in una posizione strategica tale da permettere il controllo della costa tirrenica da Cefalù a Capo d’Orlando e fino alle isole Eolie, esso divenne ben presto un avamposto militare di primaria importanza. Dal 1090 al 1112, essendo il castello ben difeso e fortificato, divenne la residenza degli Hauteville (in modo particolare di Adelasia, terza moglie del re Ruggero, nonchè madre e reggente di Ruggero II), ma anche un luogo sicuro tanto che in seguito, vi si rinchiusero i cospiratori più importanti della congiura contro il cancelliere Stefano de Pérche. Numerose pergamene documentano ancora oggi la presenza degli Altavilla nel castello di San Marco. Il recente restauro delle mura di questo castello, nonché il recupero della piazza e dei vicoli adiacenti, ne hanno fatto il fiore all’occhiello del paesino rendendola meta obbligata per turisti e giovani sposi».
San Salvatore della Placa (monastero fortificato)
a cura di Giuseppe Tropea
Sant'Agata di Militello (castello Gallego)
«è il risultato di diverse fasi edilizie: intorno al secolo XIV per volontà aragonese, venne promossa la realizzazione di presidi costieri, ovvero torri cilindriche sorvegliate da soldati; tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI, l'edificio divenne di proprietà dei baroni Rosso di Cerami e Militello; nella seconda metà del XVI sec. venne eretta accanto alla precedente una seconda torre e venne realizzato il corpo di collegamento tra le due; all'inizio del XVII sec. furono edificati i bastioni di sostegno alle torri cilindriche; nella seconda metà del XVII sec. si realizzò il completamento dell'attuale struttura con l'edificazione dei corpi di fabbrica che cingono la corte in due elevazioni fuori terra. Infatti nel 1663 Luigi Gallego, appartenente ad una nobile famiglia di origine aragonese, nominato marchese e poi principe di Sant'Agata, fece costruire il palazzo, a presidio della costa, per concessione del re Filippo IV di poterlo edificare attorno alle torri preesistenti. Il possente edificio dalle severe linee architettoniche, sorge su una altura rocciosa, guardando da un lato il centro cittadino e dall'altro un ampio arco di costa. Sull'ampio prospetto ornato da classici finestroni, si apre il fornice d'ingresso, difeso in passato da ponte levatoio. Dal cortile si accede agli ambienti destinati a scuderie, magazzini ed abitazione dei servi. Da una scala a chiocciola si sale al piano nobile, con gli appartamenti del principe, da cui si accede alle torri e ai terrazzi. Nel 1821 l'ultimo erede fu costretto a consegnare, per debiti, i suoi vasti feudi e lo stesso Castello al principe Lanza di Trabia, che rimasero di sua proprietà fino all'abolizione della feudalità. Vari passaggi di occupanti e diverse utilizzazioni caratterizzano le vicissitudini del monumento nel nostro secolo, il quale viene acquistato dal Comune di S. Agata Militello nel 1991. Il Castello Gallego, dopo parecchi anni di degrado e di abbandono, ha riacquistato il suo aspetto originario solo nel 2008 dopo un attento lavoro di restauro. Inaugurato nel dicembre 2008, il complesso monumentale accoglierà a piano terra un ampio Museo, mentre il piano superiore sarà adibito a Biblioteca, Pinacoteca e Sala Riunioni».
http://castelliere.blogspot.it/2011/02/il-castello-di-venerdi-25-febbraio.html
Sant'Alessio Siculo (castello)
a cura di Giuseppe Tropea
Santa Lucia del Mela (castello)
a cura di Giuseppe Tropea
Santo Stefano di Camastra (resti del castelletto di Serravalle)
«Il castelluccio di Serravalle svettava a 50 m ca. s.l.m. da uno sperone roccioso che gli consentiva di spaziare su un ampio tratto del litorale tirrenico, fungendo anche da vedetta più avanzata per i casali di Reitano e di Santo Stefano vecchio, nonché per la fiorente cittadina di Mistretta che, dall’alto della sua rupe fortificata, troneggiava tutta la vallata; il sito esprime ancora tutta la sua portata strategica per essere deputato alla collocazione di un presidio, proprio all’imbocco di una fiumara che, per più di due millenni, ha visto transitare uomini e mercanzie dirette all’antica città di Amestratus e alla sua xora; inoltre è plausibile che il castello di Serravalle si ergesse sul fianco est di una modesta cala naturale; originariamente vivacizzata da traffici marittimi e progressivamente interrata da detriti alluvionali. Alla fine del Seicento, quando le strutture della fortezza erano già abbondantemente dissestate, su un sovrastante altipiano, dopo la frana del vecchio insediamento, si attuò la rifondazione di Santo Stefano che ancora si propone come singolare esperienza urbanistica basata su uno schema quadrangolare tagliato dalle sue mediane e diagonali. Dai ruderi di Serravalle, odiernamente sono evidenti le rispondenze visive con i castelli di Mistretta, Motta d’Affermo, Tusa, Marina di Tusa e Caronia. I pochi resti affioranti dalla rigogliosa vegetazione sembrano confermare la rappresentazione del castelletto fatta da Camillo Camilliani alla fine del ‘500. Con la dovuta cautela le dimensioni della fortezza (m 24 x 15) sono desumibili da alcuni muraglioni perimetrali che, rinfiancando il contorno della rupe, attualmente si conservano solo fino all’altezza del terrapieno, mentre originariamente si elevavano a comporre una coerente cortina difensiva; all’interno del circuito murato, sono visibili pochi ruderi di una struttura a pianta rettangolare (m 10 x 8), riscontrabile ancora nelle planimetrie catastali e, possibilmente, coincidente con una fabbrica derivata dal rimaneggiamento della torre. Dalla spessa coltre detritica formatasi con i crolli emergono paramenti costituiti da piccola pezzatura di pietrame, ciottoli di mare e tasselli di laterizio legati con malta di sabbia e calce».
Santo Stefano Medio o Mezzano (castello)
«Il castello sorge nei pressi dell’abitato di Santo Stefano Medio, pochi chilometri a sud di Messina. Il complesso consta di un torrione, probabilmente il nucleo originario del castello, e di una cinta muraria rinforzata, agli angoli, da torri cilindriche. L’origine sia della cinta muraria, sia delle torri angolari, appare recente e delle ipotetiche quattro torri angolari ne sono visibili chiaramente due, mentre una terza sembra in qualche modo inglobata all’interno di un edifico residenziale, che intercetta da meridione il complesso fortificato. è tutta da dimostrare l’origine normanna del castello (tradizione vuole che l’antico dongione sia appartenuto ad un nobile bizantino, forse passato ai Normanni, di nome Calonero). Nella zona pare che sorgesse anche un monastero o una chiesa di rito greco».
http://www.medioevosicilia.eu/markIII/castello-di-santo-stefano-medio
Saponara (ruderi della fortezza bizantina)
«Il castello, di cui ancora oggi si conservano i ruderi e parte delle antiche mura perimetrali, sorge su un'altura sovrastante l'intera cittadina. Secondo le fonti la sua costruzione, ordinata dagli Angioini, risalirebbe tra il 1266 e il 1289. Non si hanno notizie storiche attendibili sui passaggi successivi della fortezza. Pare tuttavia che fosse già in grave stato di abbandono nel XVIII secolo quando l'intero feudo di Saponara apparteneva all'allora signore Domenico Alliata principe di Villafranca».
http://www.exploro.it/portal/content/?page=place-detail&id=64344
Savoca (castello-fortezza Pentefur)
a cura di Giuseppe Tropea
a cura di Giuseppe Tropea
«Nonostante oggi sia ridotto allo stato di ruderi, il castello di Sinagra conserva un certo fascino e lascia in qualche modo intuire un passato prestigioso. Purtroppo la mancanza di documentazioni rende difficile ricostruire la storia di questo castello, inglobato nel centro abitato di Sinagra, paese alle porte dei Nebrodi. Si ipotizza che, come la maggior parte dei castelli in Sicilia, sia stato costruito come torre di avvistamento ed in epoca normanna fu trasformato in dimora nobiliare. Fu abitato da varie famiglie, come i Branciforti Lanza, gli Afflitti, i Ventimiglia, gli Ioppolo, i Sandoval. Nel 1739 un forte terremoto colpì il paese di Sinagra ed il castello, che era abitato dal principe di Castel Reale Diego Sandoval e da Giuseppa Ioppolo, contessa di Naso e duchessa di Sinagra, fortemente danneggiato fu abbandonato. È praticamente rimasto disabitato da allora e con il passare del tempo è diventato un rudere, così come lo vediamo oggi. Nel 1984 il castello è stato acquistato dal comune. Oggi restano visibili la torre dell’orologio e la chiesa di Sant’Antonio».
http://www.ioamolasicilia.com/il-castello-di-sinagra/
«Al centro della città di Spadafora sorge l'omonimo castello, la cui struttura si fa risalire alla seconda metà del sec. XV. In origine, secondo alcuni, fu solo una torre di avvistamento, avamposto del castello di Venetico, posto in collina e dimora del feudatario. La fortificazione è chiamata anche Castello Samonà, in ricordo dei suoi ultimi proprietari, titolari anche dello stesso castello di Venetico, ridotto oramai a rudere. La leggenda vuole che un passaggio sotterraneo segreto mettesse in comunicazione le due fortificazioni, permettendo il passaggio di soldati e prigionieri. Carmelo e Caterina Samonà, a questo proposito, a seguito della distruzione del Castello di Venetico durante il terremoto del 1908, trasferirono quanto era rimasto intatto nel vicino castello di Spadafora, salvandolo da sciacalli e dalle intemperie. Probabilmente la torre fu ampliata o ricostruita intorno al '500 dall'architetto fiorentino Camillo Camilliani, divenendo quel castello di cui rimane oggi solo la parte centrale, che rappresenta il più importante patrimonio artistico-culturale di Spadafora. Il castello venne restaurato una prima volta nel '600. I quattro imponenti speroni angolari a forma trapezoidale sono contornati, nella parte superiore, da caratteristiche merlature, nei cui interspazi venivano piazzate le bocche dell'artiglieria. Nelle estremità angolari di ciascun sperone si ergono le casematte, a protezione dei soldati di guardia. Le feritoie sottostanti venivano usate come saettiere in occasioni di assalti al castello. Il fossato che lo circonda è ancora oggi contornato da un robusto muro di cinta. Dopo la perdita del Castello da parte della Famiglia Samonà, questo è stato per anni vittima dell'incuria delle amministrazioni che si sono succedute. Il Castello, infine, è stato recentemente restaurato a cura della Soprintendenza per i beni ambientali di Catania e successivamente dalla Soprintendenza di Messina, dopo l'acquisizione della Regione Siciliana. Purtroppo con questi incauti restauri, l'antico splendore che sicuramente offriva ai propri visitatori l'interno del castello, è andato perso».
http://it.wikipedia.org/wiki/Spadafora#Il_castello
a cura di Giuseppe Tropea
«Palazzo Ciampoli era una residenza signorile in stile catalano. Nello stemma, situato sopra il portone d’ingresso è scolpita la data 1412 anno della sua costruzione. Ciampoli era il nome della famiglia che possedette il palazzo, fino a che fu acquistato dalla Regione Siciliana. Il palazzo sorge nel cuore del borgo medioevale di Taormina, che inizialmente si estendeva dalla torre dell’Orologio a porta Catania. ... Il Palazzo della Badia Vecchia fu realizzato nel quattordicesimo secolo. Inizialmente era una torre a difesa delle mura che cingevano Taormina. Secondo alcuni studiosi, l’edificio si chiama Badia Vecchia, perché doveva ospitare una Badia, cioè un’Abbazia, ove dimorò a Madre Badessa Eufemia, reggente dal 1355 del regno di Sicilia, in nome del fratello minore Federico IV detto il Semplice. La Badia Vecchia rappresenta un bell’esempio di architettura gotica trecentesca, anche se è stata modificata nei secoli successivi. Un fregio con intarsi in pietra lavica e pietra bianca di Siracusa decora e divide il primo dal secondo piano. Il prospetto che guarda la città, è caratterizzato da tre magnifiche bifore a sesto acuto. La bifora è una finestra caratterizzata da una colonnina centrale, che divide l’apertura in due parti. Gli archi delle due bifore laterali sono decorati da un solo rosone, mentre l’arco della bifora centrale è ornato da tre rosoni. Il palazzo è coronato da merli a coda di rondine, proprio come un castello medievale. La Badia Vecchia è sede del Museo Archeologico di Taormina. Sono esposti alcuni materiali provenienti dagli scavi recenti di Taormina, effettuati tra il 1984 e il 1998 dalla Soprintendenza di Messina. Nelle tre sale sono esposti reperti di periodo ellenistico, cioè risalenti al IV secolo a.C., e ancora ceramiche e rari contenitori in vetro di età romana. Non mancano frammenti di vasi in protomaiolica del tredicesimo secolo e maioliche rinascimentali».
http://www.comune.taormina.me.it/la-citt/monumenti/palazzo-ciampoli.aspx - ...badia-vecchia.aspx
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Taormina è ricca di architetture medievali; molti dei palazzi che oggi sono visibili, sono stati nominati “palazzetti merlati” e tra questi vi è Palazzo Corvaja. La definizione è stata attribuita perché sulla sommità di questi edifici sono visibili le merlature “a coda di rondine” che rimandano agli echi moreschi, usati nell’architettura siciliana nel periodo tra il XII e il XV secolo, detta anche “gotico siciliano”. Accanto agli elementi di provenienza normanna, con edifici che appaiono fortificati, vi sono delle esigenze di alleggerimento delle strutture con uso di finestre bifore e trifore, intervallate da colonne e archi a sesto acuto o a ferro di cavallo. Anche l’uso policromo dei materiali, come la pietra lavica o la pietra di Siracusa e di Taormina, servono a dare un aspetto meno austero ai palazzi, che riprendono lo stile “chiaramontano” già presente nell’isola a partire dal XIII secolo e che nel XV secolo, con l’arte gotico-catalana assume un aspetto stile sobrio ed elegante, meno pesante di quello romanico introdotto dai monaci architetti al seguito dei re normanni e meno estroso del gotico nord europeo detto “gotico delle cattedrali”. C’è la tendenza a dare maggiore importanza all’ampiezza delle forme e non più all’altezza. Palazzo Corvaja, insieme agli altri edifici medievali, può essere comparato anche con i palazzi di Randazzo che ha avuto notevoli punti di contatto con Taormina.
L’edificio e il suo nucleo originario. Il luogo dove si trova Palazzo Corvaja è nella zona dell’antica agorà greca, poi foro romano, il centro delle attività politiche e sociali della civiltà greco-romana. Rispetto al borgo medievale propriamente detto, l’edifico appare in sede decentrata, fuori le mura che la contrazione urbana aveva posto a partire dalla porta di mezzo o dell’Orologio e l’antica Porta del Tocco, ora porta Catania. Il palazzo prende vita da un’antica torre araba, il cui corpo è ancora visibile nella corte, in cui si apre l’accesso al primo piano. Da ciò si evince che l’originaria funzione doveva essere difensiva, vista la scelta di porre la torre di forma cubica e squadrata dentro la cinta muraria di porta Messina, ma in posizione decentrata. La prima origine è dunque riferibile al periodo arabo, dopo l’invasione di Taormina nel 902 e successivamente ripresa dal 1079 con l’ingresso dei Normanni in Sicilia. Gli interventi tra XIII e XV secolo. L’aspetto austero ma alleggerito, fa pensare a lavori di ammodernamento costanti, passando dall’epoca normanna, a quella sveva sino al periodo aragonese. In quest’arco di tempo, viene aggiunto il fabbricato merlato, che si trova, entrando nella corte, a sinistra, con al piano terra, il salone del Maestro Giustiziere, in cui si esercitava e amministrava la giustizia in epoca medievale e che si dice fosse collegato ad un passaggio sotterraneo, unito al cortile esterno del giardino alle spalle dell’edificio, che consentiva il trasferimento dei prigionieri. La scala esterna che collega il cortile con il primo piano, è stata costruita nella medesima epoca. Sul parapetto è visibile un altorilievo in pietra di Siracusa, diviso in tre sezioni che raffigurano la “Creazione di Eva”, il Peccato originale” e la Cacciata dal Paradiso”, che talune fonti storiografiche del XIX, hanno voluto spiegare con la funzione di tribunale del palazzo e dunque un invito a ricordare i propri peccati e a liberarsene. Incorniciata sempre nella parte alta della scala, l’altra frase “Esto michi locû refugii”, trascritta in un latino di chiara impronta trecentesca e già contaminato dal dialetto locale. Sopra la porta d’ingresso al primo piano, invece si nota lo stemma con tre stelle, della famiglia spagnola Termes, a cui appartenne il palazzo e che qui esercitava le funzioni di giudice. Lo stemma era stato erroneamente attribuito ad un’altra nobile famiglia, gli Zumbo.
L’opera di edificazione del XV secolo. L’ala destra del palazzo, la più imponente, è databile al primo decennio del 1400 quando viene realizzata la cosiddetta “sala del Parlamento”. Il grande spazio viene ricavato per esigenze legate alla storia e alla diplomazia. Nel 1410, morto in battaglia Martino il Giovane, al quale sopravvive il padre, re Martino il Vecchio, la reggenza è nelle mani della regina vedova, Bianca di Navarra, che per colmare il vuoto di potere generato dalla morte del consorte, e arginare le aspre lotte baronali per la successione, ha tutto l’interesse a riportare l’isola sotto la corona d’Aragona. La regina Binaca indice una seduta parlamentare. La sessione si tiene il 25 settembre del 1411, ma viene disertata da numerose città demaniali tra cui spiccano Catania, Siracusa e Agrigento, che contrastano l’ascesa della potente Messina. Gli spagnoli però che non hanno intenzione di abbandonare il potere in Sicilia, alla morte di re Martino il Vecchio, avvenuta poco dopo tempo da quella del figlio, nominano il nuovo re, Ferdinando I di Castiglia. Il nuovo re, invece di venire lui nell’isola, invia il figlio Giovanni, con funzione di suo rappresentante, nominandolo Viceré. Le spinte autonomistiche sono sedate e si inaugura la stagione dei viceré, che permane sino al 1713. Il palazzo e la famiglia Corvaja. L’edificio, dal 1538 al 1945, entra a far parte del patrimonio della famiglia Corvaja di cui ancora, in epoca attuale, mantiene il nome. La famiglia di origini spagnole, ha avuto notevole influenza a Pisa e Venezia sino a che nel XVI, alcuni discendenti giungono in Sicilia, trasferendosi a Messina, Catania, e Taormina. Il portone d’ingresso al palazzo, con l’arco ribassato, la trifora sulla facciata d’ispirazione araba e gli interni hanno mantenuto lo stile del tempo. Nel 1938, la famiglia commissiona un nuovo restauro, così come emerso dalla presenza di un progetto ritrovato fra gli atti dell’archivio storico cittadino. A seguito degli avvenimenti bellici e dopo un periodo d’abbandono, l’edifico viene restaurato dall’architetto Armando Dillon, che gli restituisce l’antica bellezza dello stile gotico fiorito siciliano. Il nome dell’architetto, si legge sulla colonna alla base della scala, nella corte interna insieme alla data, 1946. Prima del restauro, l’edificio era dato in affitto a gente del luogo e infatti, dove è la facciata che dà su piazza Vittorio Emanuele II, al piano terra, c’erano magazzini e anche uno spaccio alimentare che faceva da osteria. Nel 1950, su progetto dell’architetto Giuseppe Sivieri, viene realizzata la sala ottagonale, adiacente al corpo trecentesco».
Taormina (palazzo Duchi di Santo Stefano)
«Palazzo Duchi di S. Stefano sorge nei pressi di porta Catania, anticamente denominata “porta del Tocco” per via della vicinanza con quello che era chiamato “largo porta del Tocco”, poiché in epoca tardo-normanna vi si tenevano le assemblee cittadine, dette “tocchi”, in quanto annunziate dai rintocchi della campana. L’edificio è addossato alla seconda cinta muraria meridionale della città, distante di un centinaio di metri rispetto a porta Catania, all’interno. La cinta, seguendo la salita Ibrahim, si unisce al sistema di mura fortificate che culmina nel Castel Tauro e inquadra il palazzo dentro tale sistema di difesa, visto anche l’aspetto di fortezza che nelle epoche successive è stato alleggerito con l’aggiunta di architetture del gotico siciliano, tra il XIV e il XV secolo, probabilmente opera voluta dai De Spuches, i cui stemmi araldici sono ancora visibili all’interno del palazzo. I De Spuches erano provenienti dalle isole Baleari, dunque di origine spagnola e avevano i titoli di Duchi di S. Stefano di Briga e Caccamo, Principi di Galati. Giunti in Sicilia, hanno vissuto a lungo a Taormina e di loro si hanno notizie già dal 1428, con Guglielmo che era castellano di Mola, una delle rocche fortificate di Taormina; ma di certo erano presenti nell’isola dai secoli precedenti e con delle residenze anche a Palermo. I loro discendenti, sono stati proprietari di quest’edificio sino agli anni sessanta del Novecento. La datazione dell’edificio in base alle fasi del restauro. Palazzo Duchi di S. Stefano, è stato oggetto di un primo danneggiamento durante il terremoto di Messina nel 1908, che anche se in modo poco considerevole ha colpito la zona della provincia ionica. Ma i danni più pesanti sono avvenuti nel 1943, con i bombardamenti aerei degli anglo-americani. A partire dal 1944, sino al 1947, il Soprintendente alla “Regia Soprintendenza dei monumenti della Sicilia orientale”, l’architetto napoletano Armando Dillon, dopo accurati studi storiografici e rilievi, s’interessa del restauro di questo e altri edifici storici cittadini, in modo tale da rendere il recupero, il più fedele possibile alle architetture originarie. E a lui, che si deve un importante contributo nella datazione dell’edificio, che sino al 1700 viene stato interessato da varie aggiunte, come ad esempio, la scala esterna laterale che conduce al primo piano. Il Dillon scrive: «Il nostro monumento è al tempo stesso torre e palazzo, ampio e ricco come torre, ristretto e ridotto all’essenziale come palazzo. Ha i caratteri del mastio, nel sistema difensivo di fortificazione, ove risiede il principe feudale, sospettoso anche dei propri congiunti».
Il palazzo feudale di epoca normanna e la fusione degli stili successivi. Palazzo Duchi di S. Stefano, nonostante le successive modifiche, ha mantenuto il carattere di edificio feudale per la sua forma squadrata, per la posizione a ridosso delle mura cittadine ma anche acquisito la gentilezza estetica del gotico siciliano. Le costruzioni del periodo normanno, culmineranno con le architetture di Monreale, durante il regno di Guglielmo II e Taormina, sarà spesso sede eletta, per convegni e soggiorni dei sovrani. Il recupero del Dillon, ha rimesso in evidenza, lo stile presente nel Trecento e nel Quattrocento ed è per ciò, che la datazione dell’edificio è rapportabile a tale periodo storico. Un palazzo nobiliare che negli elementi architettonici come le finestre- bifore, tiene in sé la tecnica dei maestri bizantini, nell’intarsio della pietra che dà profondità e giochi di luce, unita ai ricami geometrici d’impronta araba che evocano la natura; e la solidità austera del romanico-lombardo introdotto dai monaci-architetti, giunti in Sicilia, alla corte dei re normanni e svevi. La struttura del palazzo. L’edificio si sviluppa su tre livelli. L’accesso al piano terra, avviene tramite un ingresso separato sul prospetto sud del palazzo. Il primo piano invece è collegato dalla scala esterna, aggiunta dopo il 1600, mentre prima si faceva uso di scale mobili e del ponte levatoio. Il primo e il secondo piano, sono collegati da una scala interna che molto probabilmente collegava, in origine, i piani padronali. Data la presenza dell’esperienza architettonica arabo-normanna del gotico siciliano, l’uso di bifore ad arco acuto e l’impiego degli intarsi con materiale proveniente dalle zone vicine, sono il compimento di un progetto di abbellimento, per un edificio che doveva essere usato anche per incontri pubblici come Palazzo Corvaja. La maturazione dello stile gotico, si esprime con l’uso dei blocchi di marmo bianco, grigio e rosso di Taormina, con l’impiego del basalto proveniente da Calatabiano e dei conci lavici che venivano portati da Schisò, una zona di Giardini Naxos. Motivi simili a quelli usati per le bifore del piano superiore di palazzo Duchi di S. Stefano, si ritrovano anche Randazzo, Catania, Siracusa; e gli elementi utilizzati per creare effetti di chiaro-scuro sono in pietra pomice, usata per la grande lavorabilità e proveniente dalle zone di Piedimonte Etneo e Linguaglossa.
Gli esterni e gli interni. L’accesso al piano terra nel prospetto sud, avviene mediante il portale con arco a sesto a sesto acuto, la cui volta è decorata con motivi a raggiera in pietra bianca e pietra nera, che rinviano all’osservazione dell’insieme, comprendente il fregio di coronamento dove la pietra pomice, tagliata a scacchi e a rombi, richiama lo stile moresco, mentre in alto il tetto, era corredato dalle merlature “a coda di rondine” di cui restano sporadiche tracce. Sulla facciata a sud, si notano due bifore laterali più un’apertura centrale al primo piano, e le due grandi bifore con archi a sesto acuto, al secondo piano. Il motivo, si ripete nella facciata dove è l’ingresso principale, solo che qui al primo piano, vi sono le due bifore con accanto la porta d’accesso al primo piano, sempre in posizione laterale, mentre al secondo piano, tra le due bifore grandi, vi è una nicchia decorativa. Ogni bifora è sormontata da cornice in pietra pomice. Le bifore, inoltre, ricordano lo stile usato per analoghe costruzioni, a Monreale e Cefalù, con una datazione riferibile al Trecento e con la medesima tecnica adottata anche per le bifore della Badia Vecchia di Taormina. Le sala al piano terra, ha un unico vano con una colonna centrale di sostegno con capitello lavorato in stile corinzio dove convergono le arcate di sostegno al tetto. Le sale al primo e secondo piano, riprendono l’aspetto austero di quella a piano terra, ma sono alleggerite dalla luce delle aperture a bifora, che conferiscono signorilità agli interni. Esse sono usate per esposizioni d’arte, convegni e incontri culturali. Palazzo Duchi di S. Stefano e i progetti museali. Il massiccio intervento di restauro effettuato dal Dillon dopo che nel 1943, il palazzo era stato ripetutamente colpito nel suo lato nord, ha visto nuovi interventi di recupero dell’edificio, nel periodo che va dal 1961 al 1993, da parte delle Soprintendenze di Messina e Catania. ... La Fondazione Mazzullo e il giardino. Nel 1978, un accordo tra il Comune e la Soprintendenza, decide che la destinazione d’uso del palazzo, deve essere quella di pinacoteca con attività connesse alle arti figurative. ...».
«Porta Catania delimita
la parte Sud del Corso Umberto I, fa parte della seconda cinta muraria e la
sua costruzione risale al 1440, data che risulta incisa nell'edicola
raffigurante lo stemma Aragonese al centro sopra l'arco.
è detta anche porta del
Tocco, perché nella piazzetta adiacente, in epoca normanna, si tenevano le
riunioni pubbliche. L'ora del tocco era la prima ora dopo mezzogiorno,
quindi segnalava le ore 13.00. ... Porta Messina segna l’ingresso
nord del centro storico della città. Da essa si accede al Corso Umberto I,
la via principale di Taormina. Mentre Porta Catania è la porta di accesso
del lato sud.
Le due porte di ingresso facevano parte del triplice sistema di
fortificazioni che si sviluppava da nord-est, realizzato dagli arabi per
difendere la città. Tra le due porte si innalza la Porta di Mezzo nota anche
come Torre dell’orologio. Porta Messina, inaugurata nel 1808 da Ferdinando
IV di Borbone (come riportato nella lapide in cima alla Porta) è conosciuta
anche come Porta Ferdinandea proprio in onore al re. ... Torre
dell'Orologio o 'Porta di Mezzo'. Insieme alla terza cinta muraria, i
cui resti sono ancora oggi visibili sul lato destro fino al castello,
delimitava la parte della città definita 'borgo quattrocentesco'.
Utilizzando un basamento esistente di una antica costruzione muraria
difensiva, risalente all'epoca dell'origine della città, intorno al IV
secolo a.C., la Torre fu costruita nel XII secolo, ma durante l'invasione
delle truppe francesi di Luigi XIV nel 1676 fu rasa al suolo. Nel 1679, per
volere dei taorminesi, la Torre fu ricostruita ed in quell’occasione fu
collocato, sul lato della piazza IX aprile, anche il grande orologio che la
caratterizza ulteriormente. Da allora si usa identificarla come Torre
dell'Orologio e non più Torre di Mezzo. Le campane della Torre vengono
suonate a festa il giorno dell'elezione del sindaco ed in occasione della
processione nel giorno della festa del patrono San Pancrazio che ricorre il
9 luglio».
http://www.comune.taormina.me.it/la-citt/monumenti/porta-catania.aspx - ...porta-messina.aspx - ...torre-dell-orologio.aspx
Torrenova (resti del castello di Pietra di Roma)
«Le prime notizie del castello di Pietra di Roma si hanno intorno al XVIII secolo per mano di Antonino Meli il quale definisce così Pietra di Roma: "... Verano sino ai giorni nostri due altissime torri, una rotonda, latra quadrata,...delle quali vesiste ancora parte di fabbrica...furono le suddette già in questo secolo rovinate come stanche di stare più in piedi pella loro antichità... Collaterale alla torre rotonda vesiste una gisterna, seu fossa dove passa fama che quei Gentili avessero rinserrato non pochi martiri cristiani seppure non volessimo credere che sia stata fatta per conservarvi lacque piovane....nel giro delle stanze, ponente, una mezzana se ne vedeva pitturata ma alla mosaica o si fosse stata alla greca, con molte finiture e molte iscrizioni, starei per dire simili a quelle di San Pietro di Deca". Le altre notizie certe a noi pervenute si hanno durante la dominazione araba (901) i cui era presidio militare sotto Ibrahim mentre sotto i normanni diventava posta di controllo per l'attività cantieristica; nel 1498 il castello necessitava di una prima ristrutturazione; nel 1557 Giulio Filoteo degli Omodei lo descrive come fortezza con fossato; nel 1578 Spanocchi dice che nel castello vi è un arbitrio di cannamelle e lo dipinge come un forte con tre torri di cui primeggia la circolare ed a cui si affianca l'antico acquedotto. Al contempo il Camilliani sostiene che solo nella prima metà del XVI secolo si impianta uno zuccherificio e lo dipinge come una fortezza turrita "con un maschio circolare"; infine Vito Amico lo definisce come fortezza egregiamente munita di artiglierie con chiese e cisterne. L'impianto planimetrico presenta una pianta irregolare dovuta soprattutto alle superfetazioni aggiunte nel corso dei secoli; si presume infatti che ad una parte iniziale che si elevava su un costone roccioso, sul lato orientale, si siano aggiunti negli anni corpi di fabbrica lineari con orientamento Est-Ovest».
http://www.sviluppoterritorialenebrodi.it/servizi/menu/dinamica.aspx?idArea=16131&idCat=16139&ID=16291...
«Di questa Torre resta visibile il basamento e lo spigolo nord-est. È priva di segni architettonici di rilievo, ed è visibile soltanto una feritoia sul lato est. La torre, semplice ed a forma quadrangolare, ad unico ambiente, si eleva sopra un monolito, ad est del torrente Favara. La costruzione, nel racconto della gente che abita in questa zona, risale a 700 anni fa e la sua struttura attuale è identica a quella di settanta anni fa, ed è stata costruita probabilmente dalla città di Alunzio per segnalare eventuali pericoli».
http://www.comune.torrenova.me.it/2012/index.php/it/2012-10-11-17-08-42/torre-cuffari
Torrenova (torre Favara o torre Marco)
«Torre Favara o Marco Si trova ad est del torrente Favara. È una torre che nella sua struttura di base si mantiene intatta, ha caratteristiche, in parte, delle torri di tonnara, ed in parte delle torri di Galera. In essa si può osservare il piano superiore sottolineato da un cordolo esterno e distinto dal basamento entro cui era la cisterna. La sua forma è quadrangolare con gli spigoli di pietra squadrata ed i muri, di pietrame informe, non sono ricoperti da intonaco. Contrariamente allo stile torrario, ha la porta di ingresso a nord, mentre le aperture, oggi murate sono nello stile delle torri e quindi aperte per guardare verso il mare. Dalle caditoie, oggi murate, sporgono grosse lastre di pietra su cui dovevano esserci le torrettine per il servizio di vigilanza. La torre è detta Marco dal nome di un’antica famiglia del luogo. Una leggenda racconta che Giovanni Vincenzo Marco sposò Maria Calderone da cui ebbe quattro figli, una loro figlia , Laura, nel 1619 fu presa dai turchi per far parte dell’harem del re di Tunisi con il nome di Gelsomina. Questa entrò nelle grazie del re, tanto da diventare la preferita, per cui un suo fratello, Girolamo, in diversi viaggi a Tunisi, riuscì a trasportare in San Marco ingenti tesori che nascondeva nella pancia di tonni o altri pesci».
http://www.comune.torrenova.me.it/2012/index.php/it/2012-10-11-17-08-42/torre-marco
«Prende nome da un precedente proprietario soprannominato “il Gatto”. È detta anche Torre Nova, da qui il nome del paese. Doveva avere soltanto un’importanza difensiva locale. In un elenco del 1782 è data alle dipendenze del Conte di San Marco e ad essa era annessa un’osteria. La torre è legata ad una fantasiosa leggenda: la figlia del barone venne rapita da un corsaro turco che la portò in terra di Barberia. Da qui la ragazza iniziò a spedire al padre scatole ricolme di pesce, ma al cui fondo nascondevano dell’oro che sarebbe servito per pagare l’altissima cifra chiesta per il riscatto. Ma il pascià accortosi del tranello, continuò si le spedizioni, sostituendo però al pesce fresco, brandelli dell’infelice fanciulla, così che, alla fine, fu tutta restituita al padre disperato. È una bellissima torre tardo cinquecentesca fornita di una propria dignità stilistica, ha la pianta prossima al quadrato, emergente nei suoi due piani al di sopra di un basamento appena scarpato. La sua forma è delineata da cantonali in piccoli conci, tra i quali si intessono le murature in ciotoli e pozzolana; lo stato di conservazione è perfetto sia globalmente che nei particolari, le quattro caditoie intatte, le imbotte in arenaria alle finestre del secondo piano, le bocche di lupo ed il portoncino del primo piano prive di sbrecciature, i mensoloni, i paramenti ed i costoloni del tutto integri. L’interno suddiviso da un muro di spina in due ambienti voltati a botte si ripete similmente sui due piani. I collegamenti verticali, inizialmente assicurati da fori e scale retrattili, oggi sono possibili grazie ad una pesante scala in cemento a due rampe».
http://www.comune.torrenova.me.it/2012/index.php/it/2012-10-11-17-08-42/torre-gatto
a cura di Giuseppe Tropea
a cura di Giuseppe Tropea
Villafranca Tirrena (castello Bauso)
«Fu Stefano Cottone, mercante e banchiere tra i più importanti di Messina, a far costruire il castello nel 1590 come afferma un'epigrafe situata sul portale del bastione sud-est: "... a difesa dalle incursioni da terra e dal mare, Stefano Cottone, IV signore di Bauso, eresse le mura dalle fondamenta nel 1590...". Le dimensioni e la fattura del palazzo dimostrano che l'edificio era solo una residenza secondaria dei Cottone i quali vi sostavano per curare i loro interessi sul territorio, mentre la fortificazione vera e propria serviva anche ai cittadini del borgo come rifugio nel caso di attacchi da parte di corsari barbareschi a quell' epoca presenti nell'isola a quel tempo. La struttura che vediamo oggi dimostra che il castello fu realizzato in fasi costruttive successive: prima la cinta muraria bastionata che si sviluppa su livelli differenti adattandosi alla morfologia della collina, poi il palazzo vero e proprio al centro del recinto fortificato. Estintasi con il principe Carlo la famiglia Cottone, tutti i beni furono acquistati nel 1819 dalla famiglia Pettini, i quali curiosamente mantennero gli stemmi gentilizi dei loro predecessori limitandosi a sostituire il motto "POTENTIOR", dei Cottone, il loro motto "NE PEREAT". Con L'avvento dei nuovi proprietari, il Castello conobbe nuova vita e divenne il simbolo di una famiglia che amava mostrare la propria ricchezza e nobiltà, i pettini arricchirono l'edificio di rilievi marmorei e busti con i ritratti degli antenati. Si deve a loro anche la creazione intorno al castello di uno splendido giardino ormai praticamente scomparso. Il declino del castello iniziò nel 1860, quando un gruppo di facinorosi organizzò l'assalto e il saccheggio del palazzo baronale appiccando un disastroso incendio e proseguì nel 1863 quando un'alluvione ne danneggiò il giardino. L'ultimo proprietario del Castello fu il notaio Saja, che ne fece dono allo Stato nel 1926».
http://www.sicilie.it/sicilia/Villafranca%20Tirrena%20-%20Castello%20di%20Bauso
©2012