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TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI L'Aquila
in sintesi, pagina 1
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«Il primo documento che attesta l’esistenza di Acciano è del 1092. Esso menziona le case di Acciano tutte appartenenti al monastero benedettino di San Benedetto in Perillis. Nel 1185 diviene signore di Acciano Teodino di Castello signore d’Orsa. Un documento del 1188 attesta l’esistenza delle Chiese di S. Petronilla e di S. Lorenzo, che dovevano la quarta parte delle rendite al monastero di San Benedetto. Nel 1383 Carlo III Durazzo lo donò a Matteo Gentile fratello del vescovo di L’Aquila. Nel 1419 passò ai Carafa, poi al Comune dell’Aquila e nel 1529 con l’infeudazione dei castelli fu dato ad un capitano spagnolo. Appartenne in seguito agli Scalegni, ai Silveri ed a Margherita Strozzi. Nel 1448 l’ospedale di Acciano concorre a formare l’ospedale maggiore di L’Aquila. Il centro storico di Acciano, racchiuso entro le mura perimetrali tuttora esistenti, denota la sua condizione originaria di borgo fortificato, dove si accedeva attraverso tre porte: Porta Torrone, Porta Martino e Porta dell’Aia. L’orografia del terreno ha influenzato in maniera preminente la sua tipologia urbana che si adagia sui ripidi pendii a sinistra del Fiume Aterno».
http://www.comune.acciano.aq.it/2012-11-16-16-10-41/storia-e-tradizioni.html
Aielli (torre di Aielli o delle Stelle)
redazionale
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Anversa degli Abruzzi (castello di Sangro o normanno)
redazionale
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«Ateleta è un comune italiano di 1.200 abitanti della provincia dell'Aquila. È parte della Comunità Montana Alto Sangro e Altopiano delle Cinque Miglia. Ateleta è posta su territori della sponda sinistra del fiume Sangro, ad una altitudine compresa tra 737 metri della stazione ferroviaria ed i 1.883 metri di Monte Secine. La superficie comunale comprende il nucleo abitato del capoluogo e le frazioni di Carceri Alte, Carceri Basse e Sant'Elena. Gli abitanti sono circa 1.230 con elevato indice di persone anziane. È il più a sud dei comuni della provincia dell'Aquila. La montagna ateletese per antonomasia è il Monte Secine, ma è frequentata d'estate anche la zona del Monte dell'Ellera (Merzoni) che raggiunge l'altezza di 1.481 metri. Il Monte Secine domina la vallata dove fra un'ansa e l'altra scorre il Sangro, che con le sue acque scava la roccia e fa ritrovare sulle sue sponde centinaia di esperti pescatori di trota e dove un tempo non molto lontano nuotava il gambero d'acqua dolce, ormai rimasto un ricordo nelle menti degli ateletesi più vecchi. L'unico sito archeologico sono i resti di un antico castello, nella zona Carceri, ormai andato distrutto nel terremoto del 1456. I primi agglomerati risalgono a un periodo non lontano dall'anno Mille e sono localizzati nelle zone di Roccapizzi, Carceri ed Asinella, siti poi distrutti dal terremoto del 1456. ...».
http://www.abruzzoinfesta.it/abruzzo/49/comune-di-ateleta.html
Avezzano (castello Orsini-Colonna)
redazionale
Balsorano (castello Piccolomini)
redazionale
Le foto degli amici di Castelli medievali
«L’abitato di Barete si trova ai piedi di un largo crinale, compreso per buona parte all’interno dei confini di Pizzoli, dove è chiamato curucùzza, e che rappresenta una continuazione di Monte Marine. La porzione pertinente a Barete culmina con un cocuzzolo (1402 m) noto come castégliu, per via del carattere svettante dell’asperità, che pare dal basso essere tipica sede di un ‘castello’. Invece, una vera fortificazione esisteva a quota 1206 m, nella località ancora oggi ricordata col nome ròcca, dove si vedono dei ruderi costituiti da un corpo quadrato e da resti di una torre presumibilmente cilindrica. I ruderi della rocca di Barete possono essere raggiunti dal paese imboccando, dalla “Via della Rocca”, la mulattiera che si dirige in un vallone (sentiero CAI n° 20), per poi deviare subito a destra su un sentiero di rimboschimento che taglia i ripidi pendii delle làme. Questi, prima del rimboschimento dovevano essere soggetti a frana, come ancora oggi si intuisce osservando la condizione del suolo al di sotto del manto della pineta. Lo testimonia anche il toponimo, che riflette l’appellativo di origine prelatina lama, diffuso in tutto l’Appennino Centrale ad indicare la ‘frana’. Il crinale dove si trova la rocca è anche detto del pagaróne, e così è indicato sulla cartografia IGM, che riporta il Pagarone. Si tratta di un riflesso del latino pagus, pago, usato probabilmente nella sua accezione originaria, che è ‘segno di confine, confine’, piuttosto che in quella successiva di ‘insediamento di campagna, distretto rurale’. Una designazione analoga, va ricordato, si trova nella vicina Pizzoli, dove anche indica un ripido crinale che si innalza a monte di un abitato. ... Prima dell’epoca normanna (sec. XII), l’abitato di Barete viene incastellato, munendolo di una rocca su un cocuzzolo che domina le sottostanti ville. Questo castrum concorre alla fondazione della città dell’Aquila, edificando la chiesa di San Paolo, che porta lo stesso titolo di quella che si trova poco fuori del paese, lungo il fiume. Questa chiesa venne edificata nel sec. XI, e rivestì grande importanza come chiesa pievale...».
http://digilander.libero.it/toponomastica/barete.html
Barisciano (resti del castello-recinto)
redazionale - struttura danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
«Il castello, che in realtà è una rocca fortificata, si trova nella parte più alta del centro storico di Barrea. L’ingresso del castello è raggiungibile dalla Porta di Sopra percorrendo Corso Duca degli Abruzzi per circa 50 metri, girando a destra per via Castello e continuando in salita fino al termine della via (altri 50 metri circa). Della struttura originaria rimangono un torrione a pianta quadrata e una torre a pianta circolare collegate da mura che nel complesso definiscono un perimetro fortificato avente pianta irregolare con terrazzamenti su vari livelli a seguire la morfologia del sito. Le origini e le vicende iniziali della struttura non sono del tutto note. È probabile che sia stata costruita dai primi feudatari di Barrea, appartenenti al casato dei Di Sangro. Non è noto come e quando questa famiglia infeudò Barrea. Le prime notizie certe provengono dal Catalogus Baronum che cita come feudatario di Barrea il conte Simone (di Sangro), vissuto tra il 1140 ed il 1160. Quindi, è verosimile che il castello sia stato costruito la prima volta tra l’XI e il XII secolo e che fosse limitato ad una struttura avente funzione difensiva e di avvistamento situata dove oggi si trova la torre “quadrata”, che è la porzione più antica del castello e occupa una posizione strategica sulla sommità dell’altura sulla quale si è sviluppato il nucleo storico del paese. È noto che intorno al 1230 il castello di Barrea fu distrutto dal cardinale Giovanni Colonna e Giovanni di Brienne che guidavano le truppe papali nell’ambito della guerra tra papa Gregorio IX e l’imperatore Federico II, nella quale i Di Sangro erano evidentemente rimasti fedeli all’imperatore. Dopo la distruzione a opera dell'esercito pontificio, il castello fu riedificato, o solo ripristinato (non è nota l’entità dei danni), sulla stessa sede, probabilmente riutilizzando i resti della struttura precedente. A riedificare il castello furono forse ancora i Di Sangro.
Nel XV secolo, era feudatario di Barrea Giovanni Caldora. Non è noto come sia avvenuto l’avvicendamento tra i di Sangro e i Caldora, che erano una famiglia di origine francese arrivata in Italia con gli Angioini. Sta di fatto che il Caldora ampliò il castello aggiungendo la torre “rotonda” in posizione tale da controllare la Porta di Sopra, il principale dei due accessi al paese. Il castello, insieme alla cinta di case mura del paese, svolse la sua funzione difensiva fino alla seconda metà dell’ottocento e fu più volte restaurato, soprattutto quando la sicurezza del paese era messa in pericolo da minacce esterne come invasioni e brigantaggio. Del castello abbiamo una breve descrizione, risalente al 1719, dovuta a Giovanni Leonardo Russo e riportata da U. D’Andrea: «della struttura sono rimasti “un casalino quatro (quadrato) grande, scoperto, cadente, anticamente detto la Turre. Alcuni torrioni di grossissima e ferma fabrica esposti all’inferzo (termine dialettale ‘nmerza che sta per lato direzione versante o meglio dirupo) verso mezzogiorno” e, nel recinto delle mura, si trovano una stalla fittata per nove carlini annui, nonché due case di abitazione, comprate probabilmente dalla famiglia ducale, la quale a titolo di ricognizione riceveva il dono di due pollastri annui». Da un documento dell’archivio comunale, risulta che nel 1812 “[…] per essersi approssimati i briganti che minacciavano di invadere questo nostro paese…” l’allora sindaco Crescenzo Scarnecchia, a spese del comune, ne faceva restaurare le mura. Nel marzo 1864 le fabbriche componenti il castello di Barrea furono vendute dal Comune a Luigi Di Loreto, per lire 127,50. Negli anni seguenti la struttura degradò non poco se Emidio Agostinone, agli inizi del ‘900, così la descrive: “[…] Ora è in gran parte rovina; ma i tronconi che ne restano ritti e gli arbusti che vi allignano donano una visione assai pittoresca”. Nel secondo dopoguerra, i proprietari restaurarono parzialmente il castello e lo aprirono al pubblico, soprattutto nel periodo estivo. Dalla fine degli anni sessanta fino al 1984 la struttura fu più volte utilizzata come sede di mostre e concerti. Il terremoto del 1984 provocò molti danni rendendo il castello inagibile. Da allora, per molti anni è rimasto chiuso e in attesa di restauri. Nel 2006, la struttura è stata donata dagli eredi di Luigi di Loreto al Comune di Barrea, che l'ha destinata a ospitare eventi culturali secondo un progetto di recupero conclusosi nel giugno 2010 con la sua riapertura al pubblico».
http://www.vallisregia.it/castello.htm
redazionale
redazionale
«Dimora storica del XV- XVII secolo, ricettiva, si trova a Bominaco in Abruzzo, in posizione dominante a 950 m s.l.m., circondata da ampi boschi, è limitata, all'orizzonte, dalle vette più alte d'Abruzzo: il Gran Sasso, la Maiella, il Sirente Velino. Per la sua posizione geografica, al centro dei parchi ed i suoi collegamenti autostradali, è la base ideale per visitare numerosi centri storici e artistici d'Abruzzo, tutti raggiungibili in meno di un'ora (Aquila, Assergi, Chieti, Teramo, Lago di Scanno e Lago di Campotosto) e per escursioni nei parchi circostanti della Maiella, del Sirente-Velino, ecc.».
http://www.vinogusto.com/it/indirizzo/87354/casale-casa-agrippa
Bominaco (ruderi del castello-recinto)
redazionale
Le foto degli amici di Castelli medievali
Bugnara (castello o palazzo dei conti di Sangro)
Struttura danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
«Le prime notizie documentate sono rilevabili dal VI secolo anche se alcuni ritrovamenti denotano che il paese sia stato abitato da molto prima. Nel 1000 venne costruita la chiesa della Madonna della Neve. Nel 1079 il borgo risulta feudo di Simone di Sangro. Il feudo rimase a questa famiglia fino all'estinzione del casato nel 1759 con Vittoria Mariconda di Sangro. Nell'XI secolo si ebbe la costruzione del Palazzo Ducale per mezzo della medesima famiglia. Il paese si presenta con la tipica forma a triangolo caratteristica del Medioevo, con le case di pietra rinserrate l’una all’altra quasi a volersi dare reciproca protezione ed i vicoli stretti e ripidi che, salendo verso l’alto, conducono al vertice della figura geometrica da cui domina, massiccio ed imponente, il Palazzo Ducale. Sempre i di Sangro ricostruirono la chiesa della Madonna della Neve nel 1361. I di Sangro si espansero nei borghi limitrofi Anversa, Frattura, Chiarano, ma vennero privati di altri. Nel 1442 venne istituita la Regia Dogana della Mena delle Pecore di Foggia che portò a Bugnara lauti introiti visto che dipendeva dal pascolo. Nel 1706, nel 1933 e nel 1984 Bugnara fu interessata da gravi terremoti, in particolare il terzo rese inagibili le chiese del paese per parecchio tempo. Il territorio di Bugnara dista circa 65 km in linea d'aria dall'epicentro del sisma del 6 aprile 2009. Non per questo, il centro storico del paese è stato risparmiato da danni e lesioni gravi. Infatti alle 3.32 di quella notte, a Bugnara si sono registrati interi crolli di abitazioni secolari (ovviamente disabitate) oltre al crollo di 500 m² di solaio del Palazzo Ducale, già fortemente danneggiato dal sisma del 1984 e mai rimesso in ordine dalle Amministrazioni Comunali in questi ultimi 25 anni. Di conseguenza, sono state fatte evacuare alcune case e alcune famiglie che abitavano nei paraggi del Palazzo Ducale poiché si paventava un crollo definitivo dello stesso. Inoltre sono state sgomberate tutte le abitazioni risultate non essere agibili. Per questi motivi, il Comune di Bugnara è rientrato nel "Decreto Terremoto" affinché si possa procedere ad una giusta ricostruzione del centro storico. È l'unico comune della Valle Peligna, che, attualmente, risulta inserito nel cosiddetto "cratere sismico".
Il castello Di Sangro, detto anche Palazzo Ducale o Rocca dello Scorpione, è stato abitato dalla famiglia de Sangro fino al 1500. La sua struttura architettonica è massiccia ed imponente, fu costruito sicuramente per esigenze difensive anche se mantiene tracce di una vita comoda e agiata, con stanze ampie e ben illuminate. Addirittura si parla dell’esistenza di cunicoli sotterranei di cui però non si hanno notizie certe. L'edificio è cinto da mura. Consta di due torrette e poteva offrire protezione alla popolazione di Bugnara posta sotto assedio. Il Palazzo ha infatti le sembianze di un vero borgo fortificato che, in caso di pericolo, consentiva un valido sistema di autodifesa in caso di attacco prolungato. Situato nella parte più alta del paese, sembra delimitare il confine tra il centro abitato, compatto e poco esteso, e i vasti spazi aperti della montagna, regno incontrastato di pastori e greggi. Difatti, lassù in alto restano ancora oggi tracce degli antichi tratturi, utilizzati fin dall’epoca romana, che nel periodo della transumanza venivano ininterrottamente calpestati al ritmo scandito dalle stagioni poiché la pratica dell’allevamento ovino sin dall’antichità ha sempre rappresentato il sostegno principale dell’economia, della società e della cultura della zona. Dopo anni di abbandono, in cui non è stata attivata nessuna iniziativa di puntellamento, di messa in sicurezza, di eliminazione delle parti pericolanti, pare che finalmente si stia pensando ad un piano di restauro».
http://castelliere.blogspot.it/2014/06/il-castello-di-mercoledi-25-giugno.html
Struttura crollata per il sisma del 6 aprile 2009
«Da una descrizione affascinate e ricca scritta dal famoso storico aquilano Antinori, il castello di Camarda (oggi frazione dell’Aquila) risultava ancora ben efficiente e stabilmente usato nel Settecento. Il recinto del castello era potenziato da quattro torrioni; quello situato a settentrione, nel punto più alto, era il più elevato con il compito di puntone di vedetta e di ultima difesa. All’epoca si poteva ancora vedere la porta d’ingresso, successivamente distrutta, che permetteva ai mezzi agricoli l’accesso nel recinto. I torrioni di cinta sono state abbattute o convertite e riusate mentre la torre principale si preserva tuttora, sebbene in condizioni molto precarie poiché la copertura ha ceduto. Dentro al recinto si possono osservare rimanenze di edifici modesti a ridosso delle mura, di cui certi sono originali. Si possono tutt’oggi riconoscere, in alcuni tratti delle mura, le cannoniere e le fuciliere originarie. Menzionato nel Chronicon Farfense del decimo secolo, era proprietà del signore di Intempera (oggi Tempera) Atenulfo nel 1173. Diverse volte citato nelle documentazioni più importanti del Duecento, il casello fu comprato da Stefano Valles di Napoli nel 1533» - «Al vertice dell’agglomerato edilizio di Camarda si ergeva, maestosa e solenne, la torre, detta del Castello, che merita un cenno speciale. Questa era composta da un muro, che girava in quattro angoli, non tutti uguali, con altrettanti torrioni, dei quali quello posto a settentrione era il più alto, l’attuale torre del castello. La sua costruzione è da ricondurre con ogni probabilità al fenomeno dell’incastellamento, verificatosi intorno al Mille, anche se l’impianto arrivato ai giorni nostri si riferisce ad un rifacimento del tardo quattrocento. Come in quasi tutti i castelli, fu quasi certamente la torre principale ad essere edificata per prima, con funzione di avvistamento e di controllo del territorio. Ad essa, in un secondo tempo, fu collegata la muraglia, di forma trapezoidale, che comprende altre due torri rompi-tratta ad ovest e una torre angolare a sud. L’insieme assume la classica connotazione del castello-recinto, in questo caso assai prossimo al centro abitato, con qualche edificio all’interno delle mura. Durante il corso del XIX secolo, la torre principale e la torre a sud vennero trasformate in colombaie, come le abbiamo conosciute ai nostri giorni, mentre non sappiamo quando fu abbattuta la porta d’ingresso al recinto».
http://www.inabruzzo.it/camarda-castello-recinto.html - http://www.insiemepercamarda.com/camarda
«...In un documento risalente
al 1136 è contenuto il nome originario: “Campo Jovis” e, nella Bolla
di Gregorio X si fa riferimento ad un convento di Sant’Antonino di Campo di
Giove, di cui oggi rimane soltanto la memoria storica, e che pare facesse
parte di uno dei sedici conventi fondati da Celestino V. Attualmente le
chiese del paese facenti parte dell’unica parrocchia di Sant’Eustachio
Martire sono: la chiesa omonima patronale, la chiesa di San Rocco, la chiesa
di San Matteo e la chiesa di San Francesco sita all’interno del più ampio
edificio denominato “Oasi di San Francesco”. Menzione a parte per la chiesa
di San Paolo ubicata nel cuore del centro storico e destinata a diventare
edificio civico polivalente, attualmente in attesa del termine dei lavori di
consolidamento e di una piccola chiesa rupestre detta della “Madonnina di
Coccia”. L’iniziale nucleo costruito intorno al “podium” (castello)
fu protetto e difeso da mura e torri divenendo “castrum” (fortezza).
Seguirono i domini dei vari signori del circondario, come i Caldora ed i
Cantelmo, espressione locale della più ampia lotta tra Angionini ed
Aragonesi che caratterizzò i territori del Meridione d’Italia a cavallo tra
i secoli XIII e XV. A tutt’oggi, una delle vie del centro storico è
denominata “Vico del Sacco”, testimonianza storica del saccheggio subito nel
1420 da Campo di Giove ad opera di Braccio da Montone (Andrea Fortebraccio),
allorché il condottiero perugino, al servizio della regina Giovanna II,
combatteva il Capitano Giacomo Caldora, a sua volta al servizio di Renato
d’Angiò. ... Di sicuro interesse per il visitatore è il centro storico del
paese che, seppur non esteso, rappresenta un esempio di architettura montana
abruzzese tra i più significativi della zona, un’ormai consolidata
tradizione ne fa poi, la suggestiva cornice del presepe vivente di Campo di
Giove. Qui si trova “Casa Quaranta” (sec. XV) oggi centro polifunzionale
con: museo delle “arti e tradizioni locali”, biblioteca, sala lettura,
Internet Point ed esposizioni di opere dello scultore campogiovese Liborio
Pensa. Nella piazza centrale Alberto Duval si trova invece Palazzo Nanni
(sec. XVI) con annesso cortile adibito a parco pubblico. Un altro palazzo
storico, attuale sede del municipio, è Palazzo Ricciardi (sec. XVIII),
teatro di uno scontro a fuoco nel lontano 14 agosto 1862 tra gli allora
proprietari e un gruppo di “briganti” che ne tentava l’assalto. ...».
http://www.comunecampodigiove.it/index...46
-
Itemid=48
«La storia del comune di Canistro è strettamente correlata con quella degli altri centri della Valle Roveto. Canitstro prima del terremoto del 1915 era formato dal nucleo urbano di Canistro Alto arroccato su di un colle a difesa dagli attacchi dei nemici, secondo la consueta tipologia insediativa medioevale, e dal piccolo villaggio di S. Croce costruito solo da poche case allineate lungo l'antica mulattiera per Canistro alto e diventato dopo il terremoto del 1915 capoluogo con il nome di Canistro Inferiore. .... Il nome di Canistro è nominato per la prima volta nel famoso Catalogo dei baroni .... Secondo il catalogo Crescenzo di Capistrello possedeva, fra gli altri feudi, anche il Canistro (abitanti 125) feudo di un soldato. Canistro agli inizi del XIV secolo faceva parte della contea di Tagliacozzo, che comprendeva tutta la Valle Roveto. Successivamente Canistro viene menzionato in tutti gli archivi degli Orisni prima e dei Colonna poi. Durante tutto il XV secolo la contea di Albe, a cui apparteneva la Valle Roveto, fu governata alternativamente dagli Orsini e dai Colonna, ciò in relazione all'appoggio che le due famiglie principesche romane diedero ai sovrani che governavano il tormentato regno di Napoli. La lotta plurisecolare fra Orsini e Colonna per il predominio del ducato di Tagliacozzo si concluse nel 1504 quando il re spagnolo Ferdinando il cattolico assegna i territori di Tagliacozzo ai Colonna, i quali diventano duchi di Tagliacozzo e signori della baronia della Valle Roveto, di cui facevano parte Pescocanele, Canistro, Civitella Roveto, sede di baronia, Meta, Civita d'Antino, Rendinara e Roccavivi. Canistro rimase proprietà della famiglia Colonna fino al 1806, anno in cui Giuseppe Bonaparte abolì i feudi. Prima del 1806 Canistro fu unito per qualche tempo al comune di Capistrello. Successivamente fece parte del comune di Civitella Roveto e solo nel 1854, sotto i Borboni, divenne comune autonomo» (a cura di "Donne 2000" Associazione Socio-Culturale).
http://www.canistro.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=23 - pageid=25
«Centro situato al margine sud - orientale della Conca Peligna a 835 m slm., ai piedi della Maiella. Trae origini da un antico borgo fortificato che ha caratterizzato, con la sua architettura medioevale, l'assetto urbanistico della cittadina. In particolare le recenti acquisizioni di carattere archeologico in località Tavuto forniscono un quadro sempre più preciso della zona in epoca italica e romana, per le quali, già in precedenza, scoperte sporadiche avevano fornito dati piuttosto incerti. Più di uno studioso ritiene certo un consistente insediamento longobardo nei pressi del attuale paese, ipotesi suffragata da alcuni toponimi e dal culto di Sant' Angelo, protettore della stirpe longobarda, a cui venne eretta una chiesa intorno al Mille. La più antica attestazione scritta del paese risale al 933; spesso in questi documenti del primo medioevo il nome del "castrum" viene indifferentemente citato come "Canzano" e "Cansano". Nei secoli seguenti il piccolo feudo, come la maggior parte di quelli limitrofi, fu dominato e spartito tra varie signorie, tra cui gli Acquaviva. Da un'originaria torre di difesa ed avvistamento, sorta nel periodo medievale, si sviluppò un vero e proprio "castrum" e a partire dal XVI sec. ulteriori sviluppi edilizi connotarono definitivamente l'urbanistica del paese. Fino al 1904 il centro fu frazione del comune di Campo di Giove. Del periodo medievale Cansano conserva l'impianto urbanistico, varie abitazioni e il castello. Oggi questo paese rivendica un suo ruolo attivo nello scenario turistico grazie agli importanti ritrovamenti archeologici» - «Da Piazza XX settembre, in cui è possibile osservare il monumento ai caduti e la recentissima chiesa di San Rocco, si può scendere lungo via Umberto I fino al cortile interno del Castrum Cansani, il castello medievale, a cui si accedeva tramite Porta da Capo (oggi scomparsa) e di cui è possibile ancora osservare la struttura del mastio. Le ali del castello nel corso del tempo hanno subito numerosi rimaneggiamenti, poiché, non più funzionali dal '700, sono divenute abitazioni di alcuni abitanti del paese. ... Del castello rimaneva il torrione, crollato poi col sisma del 1933. ...».
http://www.concapeligna.it/Comuni/cansano/home/cansano_home.htm - http://it.wikipedia.org/wiki/Cansano#Il_castello_e_le_chiese
Capestrano (castello Piccolomini)
a cura di Sergio Ialacci (foto di Graziella Marino, Marco Pomponio e Fabio Esquilino)
Le foto degli amici di Castelli medievali
Capistrello (castello in località Ricetto, castello di Collescidio)
«Centro storico di Capistrello. Il nucleo originario è posto a quota 786 sotto il Monte Punta di Ferro della catena dell'Arunzo. Le sue origini sono documentate a partire dal XII secolo (1150-1168) con l'esistenza di un piccolo castello-recinto medievale sull'altura della "Rocca", di cui rimangono scarsi resti. Nel XIV secolo una seconda cinta racchiuse l'abitato su terrazze fino a raggiungere la sottostante chiesa di S. Pietro (ora S. Antonio di Padova) con la vicina sede della dogana regia di passo. Con il Rinascimento sul recinto di base sorsero i palazzi nobiliari dei Lusi e il nuovo quartiere di Camerata inglobato da una terza cinta dotata, probabilmente, di torrioni cilindrici. Nella parte superiore, nel Cinquecento, sorse il nucleo fortificato di case-mura del "Ricetto" con accesso dalla Piazzetta della Rocca". ... Castello-recinto medievale di Collescidio. Nella località "Castellano" di Capistrello lungo la strada per Castellafiume, sulla sommità detta "La Torre" in proprietà Brasilia (quota 766), sono i resti murari del piccolo castello-recinto di Collescidio di cui si ha menzione a partire dal 1150. Si tratta di un recinto a puntone con edifici interni dotati di cisterne e torre-mastio a puntone».
http://www.terremarsicane.it/node/401
redazionale
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Carapelle Calvisio (torre, mura)
redazionale
Carsoli (ruderi del castello S. Angelo)
redazionale
Castel Camponeschi (territorio di Prata d'Ansidonia)
«Il Castello che prende il nome dalla famiglia Camponeschi, ultima proprietaria, risale al sec. XII-XIII, come gran parte delle fortificazioni della zona. Sorge fuori dell'abitato di Prata d'Ansidonia, a circa un chilometro, sulla sommità di un colle. La struttura è caratterizzata da due porte di accesso a sesto acuto unite da una strada principale intersecata da vie secondarie. Del castello rimangono in parte le cortine, prive ormai del coronamento e sfrangiate, nonché due torri angolari, cilindrica l'una, squadrata l'altra. Il borgo, sito all'interno della cinta, nacque probabilmente con carattere agricolo e non specializzò mai la sua funzione difensiva. Le abitazioni all'interno, nella maggior parte dei casi, sono state riedificate dopo il terremoto del 1703 e presentano caratteri di quel periodo, ai quali si aggiungono elementi risalenti al sec. XIII. Il Borgo abbandonato definitivamente dagli abitanti negli anni cinquanta, oggi è quasi completamente restaurato».
Castel del Monte (castello o ricetto, torre)
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Castel di Ieri (torre normanna d'avvistamento)
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Castel di Sangro (palazzo De Petra)
«Via del Leone è una stradina tortuosa ed ombreggiata, parte della fitta trama di vicoli del centro storico di Castel di Sangro, sviluppatosi attorno ad un’antica rocca medievale: su entrambi i lati, senza soluzione di continuità, si affacciano case e palazzetti medievali garbati con facciate ricamate da bifore ed archi a sesto acuto. Il palazzo de Petra, detto palazzo del Leone per via dell’animale in pietra - il “Marzocco” - che vigila al suo ingresso, viene indicato dal Gavini quale uno fra gli esempi di case quattrocentesche presenti nel borgo: era appartenuto alla famiglia De Petra, dal XIV secolo protagonista della vita politica cittadina e proprietaria di molteplici beni feudali sparsi nell'Abruzzo. Di origine lombarda, si narra che i De Petra fossero arrivati qui dopo che alcuni di essi, appartenenti all’ordine dei Cavalieri di Malta, avevano preso parte ad una delle crociate in Terra Santa, ma non si hanno maggiori dettagli a riguardo. Sul finire del Trecento, Nicola II De Petra possedeva ben due palazzi in Castel di Sangro: il palazzo del Leone ed uno di fianco alla chiesa Matrice. Nel 1927 ancora Gavini lamentava il cattivo stato di conservazione in cui versava l'edificio: «ridotto a casa d'affitto sembra che rimanesse incompiuto o rovinato dai terremoti perché si appoggia con le sue muraglie annerite dal tempo ad abitazioni prive di ogni forma d'arte». Portava infatti i segni di numerose vicissitudini – incendi, terremoti che ne avevano fortemente danneggiato l’aspetto e la struttura – e soltanto nel 2007 l’edificio, entrato a far parte dei beni di proprietà del Comune, è stato ampiamente ristrutturato al fine di poter ospitare la prima pinacoteca civica dedicata all’importante pittore Teofilo Patini, illustre cittadino di Castel di Sangro.
L’ingresso al palazzo è preceduto da un arco a tutto sesto che probabilmente doveva immettere in un cortile le cui mura perimetrali sono andate perdute, lasciando isolata la struttura lapidea dell’arco. Da un esame dell’edificio si desume che esso è composto da due corpi di fabbrica: il primo è quello affiancato dal marzocco, il secondo, leggermente più stretto e lungo, è costituito da un piccolo atrio, posto ad una quota inferiore rispetto al piano stradale, che sorregge il piano superiore con l’intaglio delle due bifore, ciascuna ripartita da una colonnina tortile; la seconda conserva al centro il motivo del leone che dà il nome all’intero palazzo. Il tessuto murario conserva evidenti le tracce delle ricostruzioni susseguitesi nel corso del tempo, che assumono la forma di grandi “ricuciture” della trama architettonica. Il tessuto più antico consta di un apparecchio a conci lapidei grandi e ben squadrati: appartiene al prospetto nord occidentale in cui si aprono le arcate nel livello inferiore e, impostate su una semplice cornice marcapiano, eleganti bifore in quello superiore. Il prospetto nord orientale è invece caratterizzato dal passaggio da questo apparecchio ad uno costituito da conci di pietra piccoli, tessuto a filari regolari: è frutto della ricostruzione di questa parte dell’edificio a seguito di crollo. Vi si aprono tre ordini di semplici finestre rettangolari, inquadrate da cornici di riuso».
http://www.mirabiliadabruzzo.it/i-monumenti-d-abruzzo/l-aquila/palazzo-de-petra.html (a c. di Francesca Larcinese e Silvia Moretta)
Castel di Sangro (ruderi del castello)
«I primi abitanti furono i coloni che erano riusciti a sfuggire alle devastazioni dei Longobardi, che si erano riuniti attorno ai monaci Benedettini. Furono successivamente realizzate ingenti opere di fortificazione e furono costruiti dei castelli, tra i quali è celebre quello fatto erigere dal Conte Oderisio, nel 1050, situato nella parte alta della cittadina. Costui, soprannominato “Borrello”, “era un potente signorotto, che dominava buona parte della vallata del Sangro, dopo aver conquistato diverse località abruzzesi, verso la fine del secolo X prese ai figli di Azione la terra di Castel di Sangro, che dall’agosto 975 essi avevano ricevuto in enfiteusi da Paolo, abate del monastero di San Vincenzo al Volturno. Dalla occupazione di Castel di Sangro da parte di Oderisio cessa la giurisdizione dei Benedettini sulla nostra contrada. Ma il conquistatore, dal fiume Sangro, dette il nome al nuovo Borgo e a sé ed i suoi discendenti il novello cognome, che da allora si chiamarono Conti di Sangro”. Anche in Castel di Sangro si costituì il Comune che si oppose spesso ai vari feudatari già presenti in zona: infatti la cittadina fu spesso resa oggetto di minacce di guerra come, ad esempio, quella che nel 1228 vide il cardinale Colonna distruggere il castello ed il borgo per punire la fedeltà di Rinaldo II di Sangro a Federico II di Svevia» - «Su Colle San Giovanni, la parte più alta del paese, si trova il Castello del Re che risale al IX sec. d.C., costruito dai conti Dei Marsi, molto probabilmente da Rinaldo de Sangro. Svetta, superba, la splendida torre sannita, sapientemente recuperata, chiamata anche 'Torre Nova', utilizzata, nel corso dei secoli prima dai Romani e poi dalle signorie medievali. Ulteriori testimonianze di un'antica civiltà sono la 'Porta Osca' e le vistose 'Mura Ciclopiche'. Immerse nella pineta sono ancora visibili le antiche torrette di avvistamento utilizzate come postazioni durante l'ultimo conflitto mondiale. Zona destinata a diventare 'Parco Archeologico'».
http://www.prolococasteldisangro.it/arte-cultura/storia - http://www.abruzzo24ore.tv/news/Castello-del-Re-il-forte-di-Castel-di-Sangro...
Castello (castello di Retenga)
«Il borgo fortificato di Castello di Fagnano Alto, per via della struttura che è tuttora ben conservata, è un esempio emblematico in modo particolare nello scenario delle fortificazioni abruzzesi: la guarnigione, dalla struttura all’incirca a forma di elisse, è situata in una posizione di grande rilievo strategico sulla cime della collina che domina la zona di Corbellino, Valle Cupa e Frascara a meridione, e quella di Fontecchio e Pedicciano a sud-est. I ruderi che sono sopravvissuti fanno pensare che la fortificazione dovesse avere dimensioni ragguardevoli e che fosse circoscritta da una cerchia muraria, di cui si possono ancora riconoscere grandi tratti di cortina a oriente e a settentrione. Lungo la cortina di nord-ovest che era maggiormente attaccabile erano disposte due torrioni rompitratta con pianta a forma di pentagono che tuttora si possono riconoscere e che sono state ristrutturate recentemente; a nord-est si possono distinguere due altre torri, di forma arrotondata e probabilmente più tarde; una delle due è usata come torre campanaria. Un quinto torrione di forma quadrangolare che è il più massiccio a nord-ovest, ristrutturato di recente, è collocato a difesa dell’entrata principale al castello; la porta ad arco acuto è sovrastata da un emblema ormai indecifrabile, mentre particolarmente interessanti sono le aperture che permettevano di manovrare il ponte levatoio e l’apparato sporgente sorretto da mensole a forma di becco. L’asse della porta e il percorso principale di via San Pietro, chiusa con una porta di dimensioni più piccole ancora esistente e difesa dall’edificio situato dietro munito di feritoie da cui si sparava con l’archibugio, si incontrano secondo un angolo di novanta gradi. A oriente è orientato un secondo passaggio ad arco in pietra lavorata. L’importanza che rivestì in passato fa sì che sia una delle fortificazioni più rilevanti della regione. Costruito sul luogo di un castrum vestino, fu distrutto da Braccio da Montone nel 1424 e, poi, dalle truppe di Alfonso d’Aragona, nel 1443; infine da Antonio di Castelvecchio nel 1648».
http://www.inabruzzo.it/castello-aq-borgo-fortificato.html
Castelnuovo (borgo fortificato)
Gravemente danneggiato dal sisma del 6 aprile 2009
«Situato sulla sommità di un colle è visibile dai 4 punti cardinali. Alle pendici dello stesso colle, sul lato sud, si sviluppa l’ampliamento urbano con un andamento irregolare che segue le curve di livello del terreno. Il nucleo fortificato è raggiungibile attraverso un percorso posto nel lato Nord-Ovest che si inerpica con una serie di tornanti fin sulla sommità del colle. Alle mura del borgo si affianca la Chiesa di S. Giovanni Battista (ad una sola navata). Questa fu presumibilmente edificata dopo il 1703 sulle spoglie della precedente distrutta da un terremoto.
Il borgo ha un impianto ortogonale. La pianta di forma rettangolare ha dimensioni 70x56m ed è suddivisa in 4 isolati di dimensioni simili con riferimento al modulo 27×32. La parte rivolta a Sud-Est è quella che in seguito a numerose modifiche si discosta maggiormente dall’impianto originario. La via principale intersecante il borgo da Sud-Ovest a Nord-Est ha una larghezza media di 3.50 m. L’ingresso al paese a Sud-Ovest era costituito da un arco a tutto sesto poi abbattuto. Appena superato quest’ultimo si può notare sulla sinistra un arco di matrice gotica coperto dall’intonaco che segna l’ingresso alla guardia del castello. Proseguendo si incrociano al cardo massimo altri due vici di minor larghezza di cui uno senza sbocco e uno sfociante sul lato della chiesa. Superato il decumano massimo i percorsi si ripetono nella porzione opposta. Quest’ultimo è caratterizzato a Sud-Est da un arco a tutto sesto e coperto da una volta a botte ora diruta.
Sul lato opposto il collegamento attuale tra interno ed esterno al borgo avviene attraverso un’ampia scalinata resa possibile dalla differenza altimetrica rispetto al calpestio della chiesa. Qui è possibile vedere i particolari gradoni di ingresso alle abitazioni. Hanno forma semicircolare e sono costruiti in pietra, in blocco unico o composti. Sono in numero di tre con diametro decrescente verso l’alto. Il diametro al terreno varia fra 180 e 200 cm. La presenza dei gradoni è invece rettangolare sugli assi minori. Testimonianze raccolte sul posto e informazioni di scavo (scavi compiuti nell’ultimo decennio per lavori di urbanizzazione) hanno dato per certa la presenza di un fossato intorno alle mura. Un’ulteriore indicazione in merito è fornita dal toponimo delle vie nord-est e sud-est del borgo “via dietro il fossato”. Il fossato è stato ricoperto in vari periodi fino alla fine dell’800 scomparendo. La prerogativa difensiva del borgo viene chiaramente letta sul lato est, provvisto nei sotterranei di carceri raggiungibili tramite angusti connettivi. Erano piccole celle comunicanti con grandi camere di pietra. La lettura del borgo viene completata dalle informazioni ricavate dalle attuali destinazioni d’uso dei vani interni. Solo una piccola parte di questi è ancora utilizzata mentre la gran parte è adibita a rimessa o abbandonata».
http://castelnuovoonlus.com/2009/05/il-borgo-fortificato/
Castelvecchio Calvisio (borgo, mura)
«...Le prime notizie certe di un “Castello” risalgono all’VIII secolo, ma l’edificazione del centro, nelle forme attuali, si fa risalire alla fine del XIV secolo. La morfologia del colle su cui sorge l’agglomerato ha condizionato la forma del borgo, il cui contorno corrisponde ad un’ellisse abbastanza regolare. Ancora oggi è perfettamente riconoscibile l’antico impianto ad assi ortogonali, con un percorso centrale, otto trasversali da un lato e sette dall’altro. Il tessuto urbano è chiuso da un perimetro di case mura che vanno a costituire un compatto recinto difensivo. Castelvecchio Calvisio è munito anche di torri di guardia sporgenti, addossate alle abitazioni. Un tratto tipico del centro storico è la presenza di ripide scale in pietra esterne alle abitazioni, impostate per lo più su archi a tutto sesto che scaricano il peso su caratteristici mensoloni lavorati ad “ala d’uccello” detti “barbacani”. Queste scale, al fine di sfruttare al meglio gli angusti spazi dei vicoli, sono formate da una rampa molto stretta che si allarga progressivamente in corrispondenza dei piani superiori, permettendo l’apertura delle botteghe artigiane nei vani che davano sulla strada ed anche il passaggio di uomini e animali someggiati. La chiesa parrocchiale, dedicata a S. Giovanni Battista, è ubicata nel centro storico. Essa fu edificata su una precedente fortificazione di cui conserva ancora delle tracce nella pianta a due navate asimmetriche e nelle feritoie in facciata. ...».
«Castelvecchio Calvisio, centro di grande interesse urbanistico e ambientale, è uno dei più affascinanti e ben preservati borghi fortificati dell’Abruzzo; è tuttora ben individuabile l’originaria struttura ad assi ad angolo retto, con un asse al centro e sette percorsi traversali da una parte e otto dall’altra. Un inaccessibile recinto di difesa è costituito dal tessuto urbano che si chiude in modo compatto con le case-mura lungo il perimetro, è fornito di torrioni di guardia poste a ridosso delle abitazioni ed è protetto in modo naturale da ripidi pendii. Si entrava nell’antico borgo tramite quattro porte d’ingresso: la porta Ponte Levatoio a nord-occidente, che in alto recava uno scudo gentilizio oggi non più decifrabile, la porta di Torre Maggiore a occidente che introduceva in via Archi e Borghi romani, asse primaria del centro, la porta di San Martino a meridione, tramutatasi in interna dopo l’estensione delle mura e un’altra porta situata a meridione, di cui si può ancora riconoscere uno stipite. Gli angusti passaggi interni con i caratteristici varchi coperti ad arco e le scoscese scale esterne in pietra, impiantate per la maggioranza su archi rampanti, che permettevano di accedere ai piani superiori, rendono particolarmente caratteristico il centro di Castelvecchio. La chiesa della parrocchia dove, nella cortina basamentale, si possono ancora riconoscere caditoie e cannoniere, venne incorporata nella originaria cerchia muraria in seguito alla successiva amplificazione. Originariamente di proprietà della Baronia di Carapelle, il borgo andò ai Piccolomini e poi all’importante casata dei Medici che ne furono i possessori per tutto il 1600».
http://www.inabruzzo.it/castelvecchio-calvisio-borgo-fortificato.html
Castelvecchio Subequo (castello)
«Tra il 643 ed il 774 , dopo l’editto di Rotari, la popolazione castelvecchiese in applicazione dell'ordinamento politico-economico divenne villaggio longobardo (gli abitanti di Nuffoli) e borgo (quelli di Colle S. Giovanni) ed entrambi vennero aggregati al Ducato di Spoleto. Intorno all’anno mille, Odorisio I, conte di Valva e proprietario terriero della Valle Superequana, dota, per la prima volta, la chiesa di San Giovanni Battista ed Evangelista. Nel 1150, nel Catalogo dei Baroni compilato a seguito del censimento dei feudi e dei feudatari del Regno, ordinati dal Re Ruggero, la terra di Subrego è elencata con numerosi altri feudi come assoggettato dai Normanni. Nel 1216, secondo tradizione, San Francesco è ospite dei Conti di Celano nel loro castello di Gagliano Aterno ivi riceve in dono dal conte la piccola chiesa di Santa Maria con annesso terreno di Castello Vetulo. Tra il 1261 ed 1221 viene costruito il primo nucleo del convento con annessa una chiesuola. Nel 1238 il castello appartiene al barone Trasmondo. Nel 1267 Fra Giacomo, Vescovo di Sulmona, concede a Fra Giovanni Antonio di Castelvecchio il permesso di edificare una chiesa più ampia e di portare a termine il Convento. Nel 1279 il Castello e-posseduto dal francese Adamo di Ausi. Nel 1288 la chiesa di S. Francesco con l’attiguo convento e quello di S. Maria, con bolla di Nicola IV vengono consacrati dal cardinale Gerardo di Parma, vescovo di Sabina e legato nel Regno di Napoli. Nel 1294, Pietro del Morrone durante il suo trasferimento da Sulmona a L'Aquila per essere incoronato papa col nome di Celestino V, esprime il desiderio di fermarsi a Castelvecchio per visitare la chiesa ed il convento di S. Francesco e qui opera un miracolo. Da allora, il 28 agosto, giorno in cui si celebra in L'Aquila la Perdonanza Celestiniana, molta gente accorre pure nella chiesa di S. Francesco con la persuasione di godere le stesse indulgenze che si ottengono in Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila. ...» - «Posto in alto a dominio del paese, l’edificio in questione, presenta varie caratteristiche architettoniche, che fanno supporre a diversi tempi di realizzazione. Infatti, il primo basamento della fabbrica, è costruito da grossi conci di pietre regolari nei quali si apre una porta arcuata, la seconda forse ricostruita in seguito alle distruzioni dei terremoti, è formata da massi squadrati, la terza invece, sembra avere una tecnica muraria molto posteriore, ed inoltre sulla cortina si aprono varie finestre. Sul prospetto esterno, si può notare una torre, alla quale si è agganciata un edificio con una caratteristica loggetta. Oltre a questa tipologia, si sono aggregate nel tempo altre case e palazzi, costituendo così un unico agglomerato e formando una specie di contrada fortificata, che caratterizza l’ambiente circostante».
http://www.sirentina.it/uncem/ita/castelvecchio/index.htm - http://guide.supereva.it/abruzzo/interventi/2004/05/160007.shtml
«Il minuscolo borgo di Castrovalva (circa 30 abitanti in inverno), frazione del comune di Anversa degli Abruzzi, sorge con un tipico assetto urbano medievale su uno sperone roccioso che si erge dalla Cresta di Castellaccio (820 metri s.l.m.), a dominio della splendida Riserva Regionale delle Gole del Sagittario. Secondo la tradizione (in parte confermata dagli studi condotti da Antonio De Nino nella seconda metà dell'Ottocento) il paese nacque dall'aggregazione di cinque "ville" con le rispettive chiese (Valle S. Maria - chiesa di S. Maria in Salicta; Fonte Cinno - chiesa di S. Lucia; Valle Domnica - chiesa di S. Cesidio; Valle Pagliara - chiesa di S. Rocco; Monte Castellaccio - chiesa di S. Michele); la chiesa di S. Cesidio fu possedimento dell'abate di Montecassino, ma già prima dell'anno Mille il centro abitato entrò nell'orbita del monastero di S. Vincenzo al Volturno. Nel "Catalogo dei Baroni" del re normanno Ruggero II (1150), il feudo di Castrovalva risulta appartenente al conte Simone di Sangro insieme alla terra di Anversa e già nel 1187 fu corte di cause civili e penali; i feudi di Simone furono poi ereditati da Raynaldo di Sangro che li perse per essersi schierato contro l'imperatore Federico II di Svevia, che fece di Castrovalva il caposaldo per il controllo di gran parte del territorio peligno (Statuto dei Castelli, confermato in seguito dagli Angioini). Nel XIV secolo Castrovalva figura come borgo contadino e feudo indipendente e separato da Anversa, della quale, infatti, non seguì le vicende storiche: fino a tutto il Cinquecento fu feudo dei conti di Sangro, passando poi per vendita al dottor Annibale Paschale di Bugnara; a partire dal 1600 i feudi furono fatti oggetto di commercio e Castrovalva passò per le mani di molti baroni (i di Salvo di Scanno, i Marchesano, i de Rosa di Napoli), fino a Giovan Battista Roberti di Lucera, tesoriere di Chieti che elevò la baronia a marchesato, dopo il quale passò ai Pomarici di Matera, che conservano tuttora il titolo di marchesi di Castrovalva. Nel 1817 il Re di Napoli Ferdinando I, promulgando una riforma dello Stato, la unì definitivamente ad Anversa (benché tuttora Castrovalva riscuota i tributi sull'agricoltura indipendentemente dal capoluogo comunale); dopo l'Unità d'Italia, il territorio, data la sua particolare conformazione, fu interessato dal fenomeno del brigantaggio. Al borgo si accede da un'unica pittoresca strada che all'ingresso del centro abitato prende il nome di Via della Fonte; al termine della via, attraverso una porta ogivale (detta "arco medievale"), si entra nella piccola piazza dove, su un lato, si erge la chiesa parrocchiale di S. Maria ad Nives o della Neve (XVI secolo), con il suo orologio al centro. Dell'antico "castrum" non rimane alcun resto, ma molto antiche sono la piccola chiesa della Madonna delle Grazie e la chiesetta di S. Michele Arcangelo, patrono del luogo, costruita intorno al XII secolo sulla cresta del monte S. Angelo».
http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp...
redazionale
Civita d'Antino (palazzo Ferrante)
«La famiglia Ferrante dal XVI secolo è parte importante ed ineludibile della storia politico culturale nonché economico sociale di Civita d'Antino. In questo periodo, procedente da Valmontone, arriva il capostipite della casata: Domenico Ferrante, il quale, "verso la seconda meta del 1500 abbandonò Valmontone, a seguito di forti contrasti con le autorità pontificie di quel paese", e, "valicando le montagne che dividevano lo Stato Pontificio dal Regno delle Due Sicilie, si fermo prima a Rendinara e subito dopo a Civita d'Antino, dove comincio ad acquistare dei beni". Da allora molte generazioni, tra cui illustri giuristi, archeologi, canonisti, medici, religiose, prebisteri, prelati, uomini politici, alti funzionari dello Stato, si sono succeduti da padre in figlio legando a Civita d'Antino, in non pochi casi, la propria vita e la propria opera. Di ciò, oggi, oltre alle testimonianze della storia, fisicamente, rimane ancora un monumento importante; un altro testimone muto tra i tanti che sopravvivono in questo luogo, e cioè il Palazzo Ferrante: "casa che attraverso diverse generazioni" divenne l'attuale edificio che si trova nel cuore del paese. Dalle sue stanze, mal ridotte dal terremoto del 1915 e dal passare dei decenni, viene fuori ancora un grande passato di cultura, di storia e di notizie riguardanti la vita di queste popolazioni. ...».
http://www.civitadantino.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=25 e ss.
Civita d'Antino (torre di guardia)
«Situata su un altipiano a 904 metri sul livello del mare, e cinta da una barriera naturale di pietra che la difende, Civita d’Antino ad oriente è protetta dalla montagna. L'antico municipio non era facilmente accessibile e godeva della su privilegiata posizione, resa più forte da cinta di mura ciclopiche nei punti più scoperti. A sud il paese era irraggiungibile. Resti ancora visibili di una cinta di mura sono molto lontani dal centro dell'antico municipio romano, come quelli che si osservano a Porta Campana, al di sopra dell'attuale cimitero. Nel 1183 il papa Lucio III definì i confini ecclesiastici della parrocchia di Civita d'Antino, la Parrocchia di S. Stefano; essi arrivavano alle pendici dei monti opposti a Civita, a terre appartenenti oggi ai territori di Morino, di Meta e di Rendinara. Civita d'Antino partecipò attivamente nell'aspra lotta dei partiti e delle fazioni nel secolo XIII, in special modo nelle lunghe contese fra guelfi e ghibellini, tanto da comparire in tutti gli elenchi dei paesi di Valle Roveto a noi giunti: dal Catalogo dei Baroni agli Svevi, dagli Angioini agli Orsini, dai Piccolomini ai Colonna. Sulla quota 909 della vecchia acropoli della città antica svetta la trecentesca torre-mastio quadrata della Civitas Antena, conosciuta come la "Casa di San Lidano", detta ora "Torre dei Colonna" per il suo presunto legame con i feudatari del paese dal termine del XV secolo fino agli inizi dell'Ottocento. Essa costituiva la difesa sommitale del complesso fortificato medievale ed era la sede del rappresentante feudale locale. Dopo il terremoto del 1915 dove morirono circa 30.000 persone in tutta la Marsica, appare mozzata. Negli ultimi anni si parla del recupero per questa antica e preziosa costruzione, donata al Comune da privati insieme al giardino antistante la vecchia struttura medievale in pieno centro storico. Per tale pezzo di storia, un tempo parte integrante del sistema di avvistamento difensivo della Valle Roveto, si profila un ritorno al “passato” in versione moderna: l’amministrazione comunale punta a realizzarvi un osservatorio astronomico sulla scia della Torre delle stelle di Aielli. Primo passo: l’avvio dei lavori sotto la regia della Sovrintendenza archeologica. Il Comune, infatti, ha impegnato 250mila euro per il recupero e la ricostruzione della vecchia torre medievale ricevuta in dono dalla famiglia Venditti: le sorelle Paola e Anna e il marito di quest’ultima Manlio Flore. Il recupero della torre, comunque, è inserito in un piano di valorizzazione ad ampio raggio dei beni storici, archeologici e culturali di cui il centro rovetano è particolarmente ricco».
http://castelliere.blogspot.it/2013/04/il-castello-di-domenica-14-aprile.html
redazionale - La parte superiore della struttura è crollata per il sisma del 6 aprile 2009
redazionale
«Il paese ha origini sannitiche e marse, popolazioni che si opposero fieramente allo strapotere di Roma antica. La più importante fortificazione medievale è costituita dalla Torre del secolo XIV [XV?]. Bei portali ornano le case di Civitella che recano ancora le saettiere, strette feritoie aperte nelle mura per scagliare le frecce contro briganti o invasori, per lo più saraceni. Civitella è un grazioso paese di montagna con un centro storico caratteristico e ben inserito nel parco più prestigioso d'Italia. Da qui si dipartono numerosi sentieri che si inoltrano nelle zone più preziose del Parco Nazionale d'Abruzzo, come la Camosciara, la Val di Rose, il feudo Intramonti. A Civitella si possono visitare il museo del lupo e l'area faunistica della lince. Dal paese partono molti sentieri ma il più frequentato è quello per la Val di Rose dove staziona il più grosso nucleo di camosci ed anche il più avvistabile del parco» - «L’attuale struttura del paese trae dunque la sua origine dal medioevo; il centro abitato conserva infatti i caratteri tipici del borgo appenninico di quell’epoca: abitazioni asserragliate a formare una “muraglia di difesa” non solo contro gli attacchi nemici ma, anche, contro il freddo, l’isolamento e le difficoltà della vita di tutti giorni. La prima opera di fortificazione sorta nel nuovo insediamento di Civitella, dopo la distruzione della roccaforte safina, è rappresentata dall’antica torre del 1400, ancora oggi abitata, che rappresenta il nucleo intorno al quale si sviluppò gradualmente il paese».
http://www.comunitamontanaaltosangro.it/comuni/calfedena.htm
redazionale
redazionale
redazionale
Collepietro (torre dei Gregori)
redazionale
Colli di Montebove (borgo, resti del castello)
«Dopo panoramici tornanti e passaggi sotto ottocenteschi ponti ferroviari in pietra, si arriva a Colli di Monte Bove. Il paese si pone a metà del versante meridionale di Monte Guardia d'Orlando, in un paesaggio duro dove la roccia ed il forte declivio esaltano gli aspetti paesaggistici del piccolo borgo, costruito a guardia dell'importantissima direttrice di collegamento tra l'area laziale e quella abruzzese. Colli di Monte Bove è ricco di leggende che lo vogliono protagonista dell'attesa del passaggio dei Saraceni da parte di Orlando Paladino e Bovo d'Antona e di tradizioni, tenute vive dalla volontà popolare, come quella che vuole San Bernardo nato nel castello di Colli nel 1079 dai conti dei Marsi. La posizione del paese porta a ritenere che sia di origine romana; il castello di Colli fu costruito dai conti dei Marsi nel XI° secolo e conservò a lungo la sua funzione di controllo dei traffici verso l'Abruzzo interno. L'attuale tipologia urbana evidenzia ancora gli antichi tracciati medievali ad andamento parallelo, sovrapposti tra loro e collegati da ripide gradinate. Lasciata la variante alla Tiburtina Valeria, costruita all'inizio del secolo, si arriva all'altezza della porta di ingresso al paese; qui era posta la dogana del regno borbonico, in corrispondenza della porta con arco detta: Arco della Catena, sul coronamento orizzontale è collocata una targa in marmo con incisa la scritta: Ferdinandus IV D.G.R.A.D. MDCCLII. Superata una ripida scalinata appare la chiesa di S. Nicola di Bari risalente al XII secolo, ma notizie documentate si possono rilevare solo dalle opere in essa contenute; infatti alcuni dipinti riportano date del XVI, XVII e XVIII secolo. Per via della Pineta si giunge davanti ai resti imponenti delle mura dell'antico castello di Colli di Monte Bove; la folta pineta di rimboschimento, presente tutt'intorno e all'interno del recinto fortificato, ha snaturato l'aspetto dei luoghi e il castello risulta come fagocitato dalla rigogliosa vegetazione. ...».
http://www.vacanzeitinerari.it/schede/colli_di_monte_bove_sc_2539.htm
Collimento (castello del conte Odorisio)
«Il primo conte di Lucoli, Odorisio dei Marsi, nipote del Francisco, fondò e dotò l'Abbazia benedettina di San Giovanni Battista presso l'attuale Collimento, sotto la diocesi di Forcona, che fu sede vescovile fino al 1257. 1115. Una Bolla di papa Pasquale II fissò il confine fra la Diocesi dei Marsi e quella di Forcona lungo il Rio Gamberale (tra Rovere e Rocca di Mezzo). Tale ripartizione medievale fu poi reiterata come linea di confine fra il Contado dellAquila e la Contea di Celano. 1126. L'abate Pietro a cui era stata donata l'abbazia di S. Giovanni per conto di tutti i monaci benedettini da parte del Conte Odorisio, ricevette in dono anche un mulino nell'Adonale, presso S. Vittorino, da parte del prete Pagano e suo fratello Germano. Nell'occasione il conte Teodino di Collimento, figlio di Berardo di Rainaldo, confermò la donazione fatta dal suo bisnonno Odorisio con un documento confermato poi da una bolla di papa Innocenzo III del 30 settembre 1198 , visto che il primo atto notarile era stato dolosamente bruciato. Una notizia di questo periodo vede inoltre il castello di Collimento passare, assieme a quello di Ocre, dalle mani del conte Teodino di Collimento a Gentile Vetulo, feudatario alle dipendenze del Conte di Albe. La metà del castello di Collimento, però, resta ai figli del vassallo Garsenio. ...».
«All'inizio del Medioevo, Corfinio, pur avendo perso gran parte dell'importanza politico-economica legata al suo status di Municipium romano, divenne sede della Diocesi di Valva. La città subì le devastazioni dei Goti (552) e dei Longobardi (682) ed entrò a far parte del Ducato di Spoleto.Intorno alla metà del IX sec., fu inglobata nella Contea dei Marsi. In seguito patì l'attacco dei Saraceni (881) e degli Ungari (937). Papa Gregorio VII, nel 1074, nominò vescovo di Valva ed abate di S. Clemente a Casauria Trasmondo, figlio di Odorisio, Conte dei Marsi, e fratello di Attone, vescovo di Chieti, e di Desiderio, abate di Montecassino. Trasmondo, per contrastare l'invasione dei Normanni, iniziò subito a realizzare il castello di Popoli, il monastero-fortezza di S. Benedetto in Perillis ed altre fortificazioni. Inoltre, per consolidare il suo prestigio vescovile, Trasmondo, nel 1075, cominciò a restaurare la Chiesa, forse già intitolata a S. Pelino, subito dopo il suo martirio (IV sec.), dal suo discepolo Ciprione, e, a protezione di questa, fondò il "Castrum de Pèntoma", poi divenuto "Pentima". Il normanno Ugo Malmozzetto riuscì ugualmente ad appropriarsi del territorio valvense, e Trasmondo subì la prigionia e morì di lì a poco(1079-1080). Nel 1229, i Canonici della Cattedrale sulmonese di S. Panfilo non versarono al vescovo di Valva, Nicolò, le decime che gli spettavano e perciò questi li scomunicò. I Sulmonesi si ribellarono e assaltarono più volte la Cattedrale di S. Pelino: condussero prigionieri a Sulmona e sbeffeggiarono dapprima un canonico e poi lo stesso vescovo; saccheggiarono e devastarono la Chiesa; incendiarono le case vicine e distrussero le coltivazioni intorno. Il processo ordinato dal papa si concluse con la scomunica per il Capitolo di Sulmona. Da allora in poi, Pentima andò sempre più diminuendo d'importanza a favore di Sulmona. Il nome "Pentima" restò in vigore fino al 28 giugno 1928, quando un Regio Decreto ripristinò il nome di "Corfinio".».
http://www.concapeligna.it/Comuni/corfinio/storia/medioevo/corfinio_medioevo.htm
Fontecchio (borgo fortificato, porte)
«Dall’incrocio della S.S. Subequana con la Strada Comunale Fontecchio Stazione si scorge il massiccio campanile a pianta quadrata della Chiesa Parrocchiale dedicata a S. Maria della Pace che prospetta su Piazza del Popolo, ed è da qui che inizia l’itinerario nel centro storico di Fontecchio. ... Usciti sulla piazza, di fronte alla facciata di Santa Maria, l’antico forno comunale del XV sec. Conserva quasi intatto l’aspetto medioevale negli elementi decorativi tipici delle case-botteghe: la bifora al primo piano, la cornice marcapiano in pietra lavorata a tortiglioni e la porta bottega, attualmente priva di scale d’accesso. Proseguendo in senso orario, quasi nascosta alla vista, la superba fontana trecentesca si annuncia con lo zampillare delle sue limpide acque. Posta ad un livello inferiore rispetto al piano della Piazza, vi si accede attraverso una breve scalinata in pietra, ed è il monumento simbolo di Fontecchio. Non si conosce l’autore né la data precisa della sua costruzione, ma essa è certamente opera del secolo XIV e ricorda nella fine fattura alcune fontane dell’Italia centrale, in particolare quella di Piano Scarano nel Viterbese. ... A chiusura della piazza, verso sud-est, la cortina di case-bottega risalenti al XIV-XV secolo è interrotta dall’arco a sesto ribassato di Porta del Castello. Al di sopra è posta una lapide entro edicola che ricorda i nomi dei caduti di Fontecchio nella prima Grande Guerra. Attraverso Via Castello si entra nel borgo fortificato vero e proprio ove si ripete il motivo delle porte di case-botteghe. La cinta fortificata, dovuta ad un probabile ampliamento del XVI sec., ha inglobato la bella Porta dei Santi con arco sestiacuto in conci di pietra squadrata sulla quale si innalza la Torre dell’Orologio. ...
Superata Porta dei Santi si prosegue per Via Pico Fonticulano sulla quale prospetta il piccolo Palazzo Ciocca dai grandi portali in pietra di cui il primo datato 1907 ed il secondo dal curioso stemma con scolpito, nel concio di chiave, quel che sembra un camoscio. Interessanti e numerosi sono gli elementi medioevali e rinascimentali, architettonici e d’ornato, che si ammirano nella passeggiata; bifore con colonnine lisce e capitelli lavorati, loggiati a due e più archeggiature, portali in pietra con archi a sesto acuto, a tutto sesto e architravati, fra questi ultimi spicca in particolare il portale del civico 29 per la ricchezza degli elementi scultorei. Al vertice basso di via Fonticulano si posizionano la Chiesetta dedicata alla Madonna della Croce e della quale rimane solo il muro posteriore, inserito nel tessuto urbano, in seguito al crollo avvenuto il 23 febbraio 1943 alle ore 6.30. Degna di nota è la caratteristica “rua” che si apre fra i due isolati prospicienti la chiesa che, così come in molti borghi d’origine medioevale, aveva la doppia funzione di cavedio per lo smaltimento delle acque piovane e di scarico e di giunto tecnico per assorbire le “deformazioni” degli edifici in caso di evento sismico. Scendendo per Via Pie’ della Terra, nei pressi del civico 14 si colloca una finestra in pietra lavorata con arco polilobato inserito in una cornice rettangolare, quasi di fronte, un affresco di Madonna con Bambino con una curiosa dedica: “or che madre sei tu di tutti noi non indignar per figlio un uomo rio” DIE X KAL IULII AD 1822. Nella parte più bassa del borgo fortificato si apre sulla sottostante Valle dell’Aterno, Porta da Piedi, anch’essa ascrivibile al secondo ampliamento della cinta difensiva, con arco ribassato e al di sopra inciso il monogramma di Cristo con la data 1591. Si notano ancora due feritoie ed una caditoia su mensole. Verso est, fiancheggiata dalle antiche case-mura, ma isolata, s’innalza la torre detta del “Cornone”, attualmente con funzione abitativa, ma utilizzata nel medioevo come torre di segnalazione con la vicina torre di Tione degli Abruzzi.
Riprendendo per Via Loggia del Popolo e Chiassetto della Caia si ammira dalla balconata il sottostante fosso di Rio Codacchio ed in lontananza la stretta Valle dell’Aterno, le cime di Monte Ocre ed il piccolo borgo di Fontavignone. Alla fine di Via della Caia si giunge in vista di Porta dell’Orso, ultima delle porte aperte sul borgo murato, formata da un arco a sesto acuto incastonato fra due abitazioni. Via del Precipizio conduce verso la parte alta del paese; quel che colpisce di più addentrandosi nell’intrigo delle viuzze che si diramano in tutte le direzioni è la varietà di forme dell’architettura minore che ogni casa ogni vicolo possiede, mantenendo però un’omogeneità formale quasi intatta nel tempo. ... A nord e ad est della piazza si posiziona Palazzo Muzi dalla grande facciata su due livelli con loggiati ed ampie aperture ascrivibili dal XVI al XIX sec. Particolarmente interessanti i portali ad est con i conci di chiave finemente scolpiti. Ad ovest della piazza si nota un bel portale cinquecentesco in pietra con lo stemma Bernardiniano scolpito sull’architrave. Scendendo lungo Via Palazzo si passa al di sotto di archi e volte a vela malamente consolidati; questi sono elementi architettonici che si ripetono in forme diverse all’interno del borgo murato facendo da filo conduttore fra le stradine, ed esaltando un gioco di luci ed ombre di suggestivo effetto. ...».
Fontecchio (palazzo baronale Corvi)
Struttura danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
«... Usciti dalla strettoia, che così come posizionata fa supporre d’essere una delle porte d’accesso alla primitiva cinta fortificata, si arriva su ripide scale che immettono nella zona posteriore del Palazzo Baronale dei Corvi, nella quale si colloca la possente torre d’origine romana, più volte rimaneggiata. Si tratta sicuramente di uno dei palazzi signorili più importanti della Valle dell’Aterno che rivela il sovrapporsi di strutture cinque-seicentesche più armoniose a quelle massicce medioevali. La storia lo fa risalire all’epoca romana ove sul sito si posizionava la torre di difesa a pianta quadrata alla quale si aggiunsero successivamente mura bastionate. Nel 1400 intorno ad una grande cisterna si costruì il portico colonnato interno con volte a vela e sovrastante loggiato. Assediata, e probabilmente gravemente danneggiata nel 1423 da parte di Braccio da Montone e, circa due secoli dopo, nel 1648 dagli spagnoli, modificò il suo aspetto prettamente militare e difensivo per diventare una vera e propria residenza baronale. Nel XVIII e XIX sec. si susseguirono vari interventi di manutenzione e razionalizzazione funzionale e nel nostro secolo, durante la seconda guerra mondiale, è sede del Comando Tedesco ed è danneggiato dall’esplosione di una mina, il Palazzo subisce il rifacimento dei tetti di copertura con l’abbassamento delle facciate nella zona d’angolo. La stretta stradina di Via Palazzo diviene, in questa parte, quasi privata in quanto alcune attività svolte dai numerosi servitori alle dipendenze dei Baroni si esercitavano proprio su di essa; infatti vi troviamo le antiche stalle sulla sinistra, le piccole porte che immettevano nelle cantine e nei magazzini del Palazzo, ed ancora, ben mantenuto un caratteristico, grosso caldaio di rame (veniva utilizzato per la coloritura dei panni e la bollitura del mosto o per fare sapone con il grasso di maiale) incastrato a terra al di sopra di un rudimentale focolare, in un angolo reso ancor più suggestivo da porticati soppalcati in legno, e da un bel portale in pietra con sopra incisa la data del 1690 riferita, probabilmente, all’affresco raffigurante un Santo con al di sotto lo stemma della famiglia Corvi. Scendendo per una porta secondaria si arriva lungo la via che si affaccia sulla valle, sotto quella parte del Palazzo più imponente ed austera che con la sua mole occupa l’angolo di nord ovest di Fontecchio.
Di fronte a Palazzo Corvi, lungo il viottolo che si dirige verso il fondovalle detto “Via de L’Aquila” è possibile ritrovare le tracce di una delle principali attività di Fontecchio medievale: la concia delle pelli. Si tratta di edifici in pietra a due piani in cui, i recenti restauri, sono riusciti a mantenere quasi nella loro interezza la struttura degli ambienti di lavoro. ... Tornando verso il paese, costeggiando Palazzo Corvi, un bel portale datato 1659 anticipa il piccolo terrapieno dove si posiziona il portale principale d’ingresso. Si è portati ad avvicinarsi al grande portone, ma la soglia è da tempo impenetrabile agli occhi indiscreti per la riservatezza dei proprietari, discendenti dalla nobile famiglia dei Corvi, che tanta importanza ha avuto nella vita del paese. Non si può far altro, quindi, che cercare d’immaginare la bellezza delle stanze, gli arredi, i mobili d’epoca, i quadri, i libri e i documenti custoditi nel suo interno, circondati da quell’alone di mistero proprio delle cose proibite. Lasciandosi alle spalle la mole austera e gentile al tempo stesso del Palazzo, il piccolo piazzale terrazzato antistante l’ingresso principale, la “murata” di Via del Rio e la possente torre forata, che conferiscono all’ambiente un aspetto vagamente romantico, si ha la sensazione di aver fatto un salto nel passato».
Fontecchio (torre dell'Orologio)
redazionale
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Fossa (resti del castello-recinto)
redazionale
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GORIANO SICOLI (borgo fortificato)
«...Verosimilmente il primo nucleo abitativo dell'attuale insediamento dovette sorgere a cavallo dei due secoli. Da documenti indiretti sappiamo che in applicazione dell'ordinamento politico-economico longobardo la popolazione superstite di Statùle fu divisa in dodici fare o piccoli nuclei gentilizi o militari (tribù), borghi, villaggi facenti capo alla rocca di Goriano Siculi. Nel 1000 il castello di Goriano è tenuto dai Berardi. Il castello, dipendente dalla Contea dei Marsi, occupava la cima del colle su cui poggia il paese; era protetto dal caratteristico baluardo e cinto da doppio girone di mura munite di feritoie. Si raggiungeva passando per tre porte: Bagliucci, Barracca e di Murro, fornite di saracinesche e saettiere. Questo maniero, oggi trasformato in chiesa parrocchiale, era molto importante per la regione perché costituiva una poderosa difesa. La porta di Murro, del 1400, il cui arco ogivale in origine doveva essere a tutto sesto pari a quello di Bagliucci e Baracca, reca una targa marmorea mutila sorretta da due figure femminili e rispecchia la sagoma frammentaria di un leone in gualdrappa di incerta attribuzione araldica. Nel 1145 dal Catalogo dei Baroni compilato sotto Guglielmo II Normanno, apprendiamo che "Goriano Secco in Valva era feudo di Rinaldo conte di Celano". Nel 1269 dopo la disfatta di Corradino di Svevia a Tagliacozzo e l'infamia della sua decapitazione sulla piazza del mercato a Napoli, la contea di Celano passò al Carlo D'Angiò e con essa il feudo di Goriano Secco. Nel 1304 il religioso Jacobo di Paolucci di Goriano, ottenne dal Papa Benedetto XI, con Bolla dell'l1 gennaio facoltà di erigere Goriano Sicoli un Monastero di Clarisse che venne edificato presso la chiesa di S. Donato. Oggi del convento e chiesa non restano che pochi ruderi presso il santuario S. Gemma. Nel 1332 è feudatario di Goriano Sicoli Ruggiero IV dei Conti di Celano, implicato nella storia leggendaria di S. Gemma. Nel 1474 a spese pubbliche, il Capitano della Valle Subequana Danesio Conazzi di Sessa, trovata una sorgente d'acqua, fa edificare un acquedottotto e una Fontana in Goriano Sicoli (proprio dove sorge quella attuale) e vi fa scolpire (come si deduce dall'epigrafe murata nel bastione) la memoria ad onore di Antonio d'Aragona Piccolomini duca d'Amalfi e Conte di Celano, gran giustziere del Regno e, s'intende, signore di quella terra. Nel 1505 scomparso Antonio Piccolomini, subentrò nei suoi possessi feudali Costanza d'Aragona Piccolomini, duchessa d'Amalfi. ...».
http://www.comunitamontanasirentina.it/?comuni.gorianosicoli
redazionale
Introdacqua (borgo, palazzo marchesale Trasmondi)
«Da vedere. Il campanile seicentesco, costruito in pietra locale, ben simboleggia la solidità di Introdacqua, se è vero che ha resistito, senza nemmeno scalfirsi, a quattro o cinque terremoti. Gli fa da pendant, nella parte alta del borgo, la torre medievale (XIII sec.) che qui chiamano "il castello". Si tratta in realtà di un dongione, una tipologia difensiva poco diffusa, non adatta a contenere la dimora del feudatario. Il muro di cinta, a pianta esagonale, ha il lato di m. 7,30, mentre la torre, a pianta quadrata, ha il lato di m. 5,20. Intorno a lu castiélle si sviluppa la parte antica dell´abitato, con i suoi scorci caratteristici, con le case che fanno da corona alla torre che è l´icona di Introdacqua, l´immagine che subito entra nella visuale percorrendo il viale d´accesso al borgo. ... Il palazzo marchesale, detto anche Trasmondi dal casato degli ultimi feudatari di Introdacqua, risale al 1400. Piazzato al centro del paese con la sua mole imponente, è custode di segreti legati al potere feudale. Per la gente del posto è Còcciatuòste, dal soprannome di un membro della famiglia Susi, che nel 1855 qui fece nascondere lo scrittore e patriota Panfilo Serafini, fuggiasco da Sulmona. In anni lontani vi si era rifugiato, ospite dei D´Aquino, anche Giovanni Quatrario, l´umanista amico di Petrarca. Delle due porte dette della terra, in passato munite di pesanti battenti che venivano chiusi al sopraggiungere della notte o in caso di pericolo, la più interessante è quella rivolta a nord, posta a ridosso del palazzo marchesale. Lo stemma quadripartito in pietra che la sovrasta è quello della famiglia Trasmondi».
http://www.borghitalia.it/pg.base.php?id=5&lang=it&cod_borgo=255&tab=1#tab
redazionale
L'Aquila (casa di Buccio da Ranallo, palazzo Carli Benedetti)
Il palazzo Carli Benedetti ha subìto gravi danni dal sisma del 6 aprile 2009
«A L'Aquila è ancora visibile la casa dove egli [il cronista aquilano Buccio di Ranallo, nato verso il 1294] si spense nel 1363. Si tratta di una bella costruzione trecentesca, espressiva nella facciata (posta sulla centrale via Accursio) con bifore e archi ogivali; sul fianco destro della casa, il Chiassetto del Campanaro: piccolo, delizioso angolo, movimentato dagli zoccoli della poderosa torre, poi mozzata, dove abitava appunto il "campanaro" dell'attigua Chiesa di Santa Maria Paganica. Attualmente la casa ospita una galleria d'arte privata».
http://it.wikipedia.org/wiki/Buccio_di_Ranallo#Casa_natale
«Palazzo Carli-Benedetti è situato lungo via Accursio, collegata a piazza S. Maria di Paganica dal caratteristico percorso del Chiassetto del Campanaro. La fondazione dell’edificio risale al XV secolo. La facciata presenta un ordine di finestre quadrotte con cornice e incisione a punte di diamante ed uno di finestre rinascimentali poggianti su una cornice marcapiano, anch’essa lavorata a piccole punte di diamante. Un imponente cantonale in pietra collega la facciata principale con quella secondaria sulla quale si apre un portone trecentesco ad ogiva con stemma con scudo forse della famiglia Carli. L’elemento caratterizzante dell’intero palazzo è senz’altro il cortile rinascimentale, tra i più rappresentativi delle dimore gentilizie aquilane, il quale viene attribuito a Silvestro dell’Aquila. Esso si presenta elegantemente racchiuso da un porticato a colonne con eleganti capitelli, sormontato da una loggia, successivamente murata, con colonnine architravate. Sul lato prospiciente l’ingresso si accede allo scalone monumentale attraverso un ampio arco fiancheggiato da due semicolonne scanalate con capitelli ornati da arpie. Inagibile. Gravi lesioni alla strutture portanti» (a cura di Armanda Marinucci).
redazionale - struttura danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
Le foto degli amici di Castelli medievali
Struttura danneggiata dal sisma del 6 aprile 2009
«Le mura seguono la morfologia del territorio ed in particolare del colle su cui sorge la città. L'area recintata è di circa 157 ettari e manifesta una pianificazione architettonica e storica lungimirante, se si pensa che venne occupata completamente solo nel XX secolo. Lo sviluppo originario, di circa quattro miglia[12], si è leggermente ridotto nel tempo con la perdita delle mura tra via XX Settembre e via Roma, che ha comportato anche la distruzione di parte di Porta Barete, e tra viale Ovidio ed il Forte spagnolo, dove sorgeva Porta Paganica; altre mancanze sono localizzate nell'area di via Castello ed in quella di viale Collemaggio. La lunghezza attuale è di oltre 5 chilometri e mezzo. La costruzione può essere quindi suddivisa su quattro tronconi: un tratto di mura tra Porta Barete (all'angolo tra via Vicentini e via Roma) e viale Ovidio (dove un tempo sorgeva Porta Paganica) lungo poco più di 1.300 metri ma inaccessibile dall'esterno; il tratto in corrispondenza del Forte spagnolo tra viale Gran Sasso e via Castello (all'altezza di Porta Castello) lungo circa 650 metri e costituito per buona parte dalle mura della fortezza stessa; la cinta muraria di quasi 1.200 metri tra via Castello (sul luogo dove sorgeva Porta Barisciano) e viale Collemaggio (sul luogo dove sorgeva Porta Civita di Bagno) che costituisce il limite orientale del centro storico e che è uno dei tratti meglio conservati; un tratto di mura tra viale Collemaggio e via XX Settembre lungo oltre 2.500 metri ma in buona parte inaccessibile dall'esterno, fatta eccezione per l'area tra la Rivera e la stazione ferroviaria. Lo spessore e l'altezza delle mura, quest'ultima ridottasi drasticamente nel tempo soprattutto in seguito ai frequenti terremoti, non sono particolarmente rilevanti se confrontati con altri esempi; la principale difesa della città era costituita difatti dal suo aspetto morfologico e dalla compattezza del suo edificato intra moenia. Di particolare interesse è invece la forma, che alcuni storici tendono a paragonare a quella della città di Gerusalemme, come per la verità già ipotizzato dallo storico Crispomonti nel XVII secolo, e di conseguenza alla costellazione dell'Aquila con le chiese che riprodurrebbero in terra la posizione delle stelle. A livello topografico, il centro esatto dell'Aquila dentro la cinta muraria è costituito dal Palazzetto dei Nobili in piazza Santa Margherita, cuore del potere polico cittadino. Questa particolarità è testimoniata da un bassorilievo posto su una facciata laterale dell'edificio stesso».
http://www.jemonnanzi.it/galleria-fotografica-di-tutte-le-porte-e-le-mura.html
«Le mura dell'Aquila
costituiscono l'antica cerchia della città e rappresentano il confine del
suo centro storico. Edificate a partire dal XIII secolo, ed in buona parte
conservate ancora oggi, mantengono pressappoco la forma originale nonostante
le numerose modifiche dovute a crolli (causati dai frequenti terremoti) e
sventramenti di carattere urbanistico; si estendono per oltre cinque
chilometri e mezzo inglobando un'area di circa 157 ettari destinata a
contenere decine di migliaia di abitanti. La prima edificazione delle mura
avvenne probabilmente già in seguito alla prima fondazione dell'Aquila ma
non bastò ad evitare la distruzione della città da parte di Manfredi nel
1259. Dopo la ricostruzione angioina, nel 1270 si procedette alla
realizzazione di una nuova cinta muraria ad opera di Lucchesino da Firenze,
cui si deve anche la suddivisione dell'Aquila in quattro rioni storici per
meglio facilitarne l'opera di fondazione; la realizzazione si può ritenere
conclusa già nel 1316, epoca in cui era Capitano di Città Leone di Cecco da
Cascia, come testimoniato dalla lapide presente su Porta Barete, e
rappresenta la consacrazione dell'impianto urbanistico angioino con il
percorso principale est-ovest tagliato all'altezza dei Quattro Cantoni da un
percorso secondario posto sulla direttrice nord-sud. Anton Ludovico
Antinori, nella sua opera Cronache aquilane, descrive le mura come «alte
cinque canne, larghe ben sei palmi con 86 torrioni e dodici porte che poi
furono ridotte a quattro». Le quattro porte principali, poste all'estremità
del percorso longitudinale e di quello trasversale interno alla città, sono
verosimilmente Porta Barete (o di Lavareto) ad ovest, Porta Paganica a nord,
Porta Bazzano ad est e Porta Rivera a sud; intorno a questi quattro poli si
stabilizzerà l'impianto urbanistico cittadino con la struttura a quattro
Quarti e la suddivisione in locali, ciascuno dei quali collegiato ad un
castello di riferimento. Le porte rivestiranno particolare importanza perché
permetteranno alla nuova città di rapportarsi direttamente con il suo
contado. Tra il XIII ed il XVI secolo vennero realizzati nuovi sbocchi in
corrispondenza dei principali assi viari, pur limitando al massimo
l'accessibilità dall'esterno e di conseguenza la difendibilità dell'Aquila.
In questo modo, nel quattrocento, la cinta muraria riuscirà a reggere alle
numerose incursioni nemiche ed ai lunghi assedi, compreso quello celebre
condotto da Fortebraccio tra il 1423 ed il 1424, durato oltre un anno e
conclusosi con la vittoria aquilana.
Nel XVI secolo la dominazione spagnola cambiò gli equilibri del territorio
separando definitivamente la città dal contado, con quest'ultimo che
spartito in feudi venne dato in possesso a capitani dell'esercito imperiale,
e contribuendo alla perdita d'importanza delle porte urbiche. Sempre
l'Antinori scriverà che di lì in avanti «col nome d'Aquila non si intenderà
che le mura stesse nelle quali è situata e recinta la città». Gli spagnoli
porteranno a termine anche un'altra operazione che risulterà importante per
il futuro della città: tra il 1534 ed il 1567 costringeranno la cittadinanza
alla distruzione di un intero quartiere, e del relativo tratto di cinta
muraria, in corrispondenza dei locali di Paganica e Tempera per la
realizzazione del Forte spagnolo che causerà anche la chiusura di Porta
Barisciano (poi sostituita con Porta Castello) e la sua successiva
demolizione. L'impianto urbanistico originario, nel frattempo, si modificò
lentamente all'impostazione cardo-dedumanico d'ispirazione rinascimentale,
accentuata dal processo di polarizzazione urbana creatosi in seguito alla
costruzione della fortezza; le numerose piante redatte nel XV, XVI e XVII
secolo tenderanno ad attribuire maggiore importanza all'assialità ortogonale
di alcune vie (il corso e via Roma su tutte, ma anche via Castello) rispetto
all'irregolarità di strade come via Fortebraccio; il culmine di questo
sviluppo si ha nel 1820 con l'edificazione della Porta San Ferdinando
(chiamata così in onore di Ferdinando II delle Due Sicilie, oggi Porta
Napoli) proprio all'estremità del corso Vittorio Emanuele II, dando anche
inizio all'edificazione di una parte di città intra moenia fino ad allora
rimasta priva di costruzioni. Sul finire dell'ottocento sarà invece lo
sviluppo industriale ed infrastrutturale dell'area a ridosso del fiume
Aterno a portare all'apertura di una nuova porta, l'ultima realizzata nella
cinta muraria, in corrispondenza della stazione ferroviaria.
Abbandonata una funzione difensiva le mura hanno esercitato per lungo tempo,
almeno sino alla metà del XX secolo, una funzione amministrativa e fiscale
con un dazio per le merci che veniva pagato in tutte le porte di ingresso in
città e con queste ultime che venivano chiuse durante le ore notturne.
Inoltre, fino al XIX secolo L'Aquila si era contenuta ben all'interno della
sua cerchia muraria disegnata secoli prima e conservatasi pressoché intatta;
solo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo si è provveduto ad alcune
sistemazioni urbanistiche che hanno portato alla distruzione di alcuni
tratti di mura. In particolare l'estremità di via Roma in corrispondenza di
Porta Barete venne ricoperta e parzialmente demolita per rendere minore la
pendenza della sede stradale, le mura in corrispondenza di Collemaggio
vennero aperte e la basilica collegata alla città con un viadotto che ha
comportato la distruzione della precedente Porta Civita di Bagno e la
porzione a ridosso del Forte spagnolo venne demolita per la realizzazione di
un complesso sportivo che è stato seguito, pochi anni dopo, da una fontana
monumentale, nuovo limite settentrionale del corso al posto della precedente
Porta Paganica. In seguito al terremoto del 2009 alcune porzioni della cinta
muraria, soprattutto in corrispondenza di Porta San Lorenzo, Porta Roiana e
Porta Rivera, hanno subito crolli; altre porte (Porta Bazzano e Porta
Castello) sono rimaste danneggiate e non sono attualmente agibili».
http://it.wikipedia.org/wiki/Mura_dell%27Aquila#Le_porte
L'Aquila (torre civica, palazzo Margherita)
Strutture danneggiate dal sisma del 6 aprile 2009
«Piazza Palazzo è considerata il centro del potere politico della città in quanto in essa si trova il Palazzo Margherita, sede del Comune. Il Palazzo Margherita è un edificio quattrocentesco, che ospitò il Capitano di Giustizia fino al 1572, quando venne restaurato ed utilizzato come dimora da Margherita d'Austria, governatrice degli Abruzzi. In Piazza Palazzo si trova anche la torre civica, su cui venne collocato nel 1374 un orologio pubblico (il terzo in Italia dopo Firenze e Ferrara): la torre ospitava la Reatinella, storica campana cittadina, che venne poi fusa per contribuire alla costruzione del Forte spagnolo. Ancora oggi essa custodisce la Bolla del perdono emessa da Celestino V nel 1294. Opposto al Palazzo Margherita è invece il Palazzo del Convitto, edificio neoclassico costruito sulle fondamenta della chiesa e convento di San Francesco: il palazzo è sede del Liceo Ginnasiale e della Biblioteca Tommasiana. A lato del palazzo si trova una piccola fontana in ghisa nota come Fontana dell'Angelo Muto. Al centro della piazza si trova poi il monumento a Gaio Sallustio Crispo, opera di Cesare Zocchi».
http://www.italy360.it/italia/l-aquila/piazza-palazzo.html
Lecce nei Marsi (resti del castello)
«Lecce nei Marsi a 750 m. s.l.m. è posto nella sub-regione della Marsica, in luogo pedemontano, in posizione rialzata a sud-est dell’acrocoro del Fucino, sotto i contrafforti dell’Appennino che penetrano nel territorio del Parco Nazionale d’Abruzzo. Il centro sorse intorno al castello distrutto nella guerra marsa, risorto in epoca longobarda con il nome di ”Oppidum Licimer”, probabilmente per il fatto che ospitava popolazioni provenienti dalla Licia. Citato nella bolla di Clemente III “Licine” era un borgo fortificato con sviluppo lineare di crinale tendente al fusoidale. Il toponimo ricorre ancora nel Quattrocento, come "castello" di Odoardo Colonna. Tra i ruderi dell’antico borgo si intravedono ancora i resti della cinta fortificata poligonale e del castello dei marchese Trasmondo. ... Le prime notizie sulla località sono del secolo XI e si trovano in una bolla del papa Clemente III. Nel XV secolo appartenne ai Colonna e nel secolo XVI ai Piccolomini; dal Seicento fino al XIX secolo subisce le vicende dello stato di Celano (dai Peretti ai Savelli, dagli Sforza- Cesarini agli Sforza Cabrera-Bovadillo). Tra il XVIII ed il XIX secolo anche qui fu redatto il catasto onciario, secondo la prammatica reale di Carlo III di Borbone, salito al trono di Napoli, dopo la guerra di successione polacca. Dal 1816 si estese 500 metri più in basso in un luogo più riparato dal clima e dal brigantaggio. Dopo il disastroso terremoto del 1915 che distrusse completamente il paese, Lecce fu ricostruito ex novo nel luogo attuale. A testimonianza del suo passato rimangono i resti degli agglomerati che nel tempo vennero costruiti a varie altitudini nella zona. ... Fino al Seicento sono stati ritrovati scarsi documenti, mentre dei secoli VII e IX abbiamo abbondante materiale che consente di ricostruire l’ambiente umano, le sue consuetudini, la struttura interna e i suoi rapporti con le “università” vicine. Del centro più antico non rimangono che ruderi sparsi e suggestivi. ...».
http://www.abruzzo24ore.tv/news/Lecce-dei-Marsi-cenni-storici-e-turistici/89400.htm
Luco dei Marsi (centro storico)
«Lungo la strada che porta da Piazza Angizia (la vecchia "Piazza Macello" "o "Colonna") al quartiere di S. Maria è presente il Palazzo dei De Angelis una delle famiglie più importanti, insieme a quella degli Ercole, della Luco post rinascimentale. Il palazzo consta di due parti collegate tramite un passaggio ad arco ("sporto") e dotato di due ampi cortili laterali decorati da nicchie murali, pozzi e tavoli in pietra dotati di iscrizioni dedicatorie settecentesche: la prima, D.O.M. ic felix Antonius De Angelis hunc paradisium nec sibi, nec suis, sed cui Deus et die fecit A.D. MDCCALI.; la seconda, Idem dicit notabile dictum cum universis et singulis signanter amicis et familiaribus ut futuris inimicis caute tractatum praxis. Da notare, sull'ala settentrionale (proprietà Massari), una lunga iscrizione de125 ottobre del 1794 legata alla secolare controversia dei pescatori di Luco con i monaci di S. Maria della Vittoria di Scurcola ed i Colonna: si parla della decisione presa dalle autorità napoletane nella secolare controversia relativa alla pesca nel Fucino a favore dell'Abate di Scurcola mons. Rossi che ha il diritto di pescare con due barche caporali, venti barche auditrici e ben 130 pescatori patentati, come per il contestabile Filippo IIl dei Colonna, mentre gli altri pescatori dovranno chiedere licenza alla Badia scurcolana All'esterno del palazzo e sui muri dei cortili è evidente il simbolo del sole radiato di S. Benardino da Siena, a cui i De Angelis erano particolarmente devoti. Nelle vicinanze, all'inizio della parte alta della "Rua" di Via Virgilio al n. 36, è presente, alla base dello stipite sinistro dell'ingresso della Cantina, una iscrizione appena leggibile dato l'accumulo di vernice sulla pietra, attestante i limiti raggiunti nel 1816 dal Lago Fucino: in/a(nno)D(omini). Jh'16acq('ua) /lag(o). Fuc(ino).
In un edificio del nucleo centrale del centro storico, vicino alla cosiddetta "Porta Capraia" del XIII-XIV secolo, lungo Via Roma al n. 18 all'incrocio con Via Rapisardi, in alto, è una tabella in pietra calcarea con iscrizione rinascimentale del 5 settembre del 1527 che data l'edificazione dell'edificio: Unicentiox.Mion(i) /Leoni. ffare/adi S.seceibris/ MS.Z7.m.i. ('.)()a. Sulla stessa strada si notano le tipiche stradine medioevali trasversali caratterizzate dai supportici (vie "della Grotta" e "dell'Arco Scuro"), mentre più oltre si appare, in vicinanza sullo sbocco sulla Piazza Umberto I, la bella facciata settecentesca del vecchio Palazzo Placidi, rimaneggiata dopo il terremoto; qui si apriva una stradina (ora occupata da un fabbricato) detta "via della Torre", che permetteva di salire sulla rocca del paese, ora, distrutta e occupata dalla Piazza delle Campane. Sulla bella ed ampia piazza panoramica Umberto I si apre la vecchia sede comunale, con la sua facciata orizzontale delineata dal balcone con l'orologio sovrastante; esistente nel luogo già dal Seicento è ora occupata da alcuni uffici comunali, dalla Pro Loco e dalle sede dei DS. Sopra la stessa, in Via Fantuzzi, ma delimitato dalle vie del Municipio, della Chiesa e Garibaldi, è il complesso palazziale della famiglia Ercole nella sua fase setteottocentesca, ora diviso in più proprietà ed, in parte, in corso di restauro. La presenza della Proprietà Torlonia nell'abitato di Luco è attestata dalla Madonnina di ghisa rivestita di stucco dipinto presente su Via dei Marsi al n. 10 che presenta ancora l'iscrizione della posa nel 1867 e segnati i limiti delle acque del Fucino nel 1869: in alto, Ave Maria / a devozione / di / Alessandro / Torlonia / posta alla / sponda del / Fucino / anno /MDCCCLXII; alla base, Limite delle acque /'nel /1869».
http://www.lucodeimarsi.terremarsicane.it/index.php?module=CMpro&func=viewpage&pageid=27 (a cura del prof. Giuseppe Grossi)
«La frazione di Meta è l’unico paese della Valle Roveto a trovarsi a più di 1000 mt. (1051 per la precisione). Gli inverni di conseguenza sono rigidi, ma durante i mesi estivi il suo clima fresco e salutare ristora i villeggianti. Il paese prima del terremoto del 1915 era arroccato sul colle dove oggi sono rimasti solo dei ruderi. Il suo nome appare per la prima volta come Castello di Meta in una pergamena del 1061, e successivamente appare sempre con lo stesso nome in numerosi documenti pontifici e imperiali. Scendendo da Meta si incontra una piccola borgata: S. Savino. In questa località nel Medioevo esisteva una chiesa dedicata a S. Savino, senz’altro di notevole importanza in quanto era menzionata nella Bolla papale di Pasquale II del 1110. è probabile che il Castello di Meta all’epoca servisse in caso di pericolo alla difesa della popolazione che abitava nella borgata di S. Savino. Le ultime notizie della chiesa si hanno nel XVII sec., ed oggi se ne è persa persino l’ubicazione. ...» - «Sull'altura rocciosa posta a quota 1038, è il castello-recinto medievale di Meta citato dal 1150. Si presenta con il suo recinto in opera incerta medievale con fondazioni di torre sommitale ed edifici affiancati».
http://www.civitellaroveto.org/meta.html - http://www.civitellaroveto.terremarsicane.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=4
Molina Aterno (palazzo baronale Piccolomini, torre)
redazionale
Monopolino (palazzo Ricci, ruderi del castello)
«Il Palazzo Ricci di Monopolino, risalente al XV secolo e residenza di Umberto Ricci, è il più importante edificio dell’area. In stile neoclassico a pianta quadrangolare, il palazzo subì molti rifacimenti rispetto alla struttura originaria: i più importanti furono quelli del 1783 su progetto degli architetti Stern e del 1839 su disegno di Valadier. Sulla facciata si distinguono tre ordini di finestre. Si accede al secondo piano per una scalinata, quindi si passa nel salone principale che ha sei vani; anche i dieci locali per la servitù sono al secondo piano. Su due angoli sporgono i torrioni per la vigilanza. L’esterno dell’edificio è in travertino e arenaria; gli interni sono decorati con scene di caccia e motivi floreali. Palazzo Ricci sarà sede del Centro Servizi del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. A Monopolino sono presenti anche i ruderi del castello di Monopolino; rimangono alcune tracce delle mura esterne e una cisterna ricoperte dalla vegetazione».
http://turismo.egov.regione.abruzzo.it/web/guest/scoprilabruzzo...
Monte Velino (ruderi del castello Orsini)
redazionale
redazionale
«Edificato dai Piccolomini sul finire del ‘400, costituisce un bell’esempio di rocca rinascimentale marsicana insieme con quelle di Balsorano, Scurcola, Avezzano e Ortucchio. Di esso rimangono notevoli resti del recinto con bastioni semicilindrici sugli spigoli e torre-mastio interna: si notano risistemazioni esterne settecentesche e, nell’interno, interventi successivi al terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915, in seguito al quale nella fortezza crollarono i solai e una torre. L' antico maniero è stato per molti secoli, oltre che residenza estiva dei signori dell'epoca, anche sede di un'importante guarnigione militare, pronta ad intervenire in caso di difesa del paese e della sottostante vallata, grazie anche ai camminamenti che lo collegavano al borgo abitato. Come ogni castello medioevale, anche quello di Morrea è avvolto da leggende: streghe, fantasmi e macabre apparizioni lo rendono ancora oggi misterioso e affascinante. Nel medioevo Morrea viene citata a più riprese dagli storici. Nel 1234 vi venne istituito il Giustizierato d'Abruzzo. Nel 1415 fu nominata nelle lotte per il suo possesso fra le famiglie principesche romane, gli Orsini e i Colonna, che se la contesero per la sua importante posizione strategica. In seguito passò sotto la dominazione del Re di Napoli. Nel 1489 la Baronia di Balsorano, comprendente anche Civita d'Antino e Morrea, divenne possesso della famiglia Piccolomini a seguito del matrimonio di Antonio Piccolomini, nipote di Papa Pio II e di Maria, nipote di Ferdinando re di NapoIi. Dopo il sisma sopra citato, il castello, danneggiato, andò in rovina ma fu comunque scenario di episodi bellici come nel 1944 quando venne attaccato da una squadra tedesca. Nel blitz cadde prigioniero il diciannovenne Giuseppe Testa, capodistaccamento di Morrea della Brigata partigiana Marsica. Torturato per 50 giorni, rifiutò di rivelare il luogo dove erano nascosti i fuggiaschi. Venne fucilato ad Alvito l'11 maggio 1944. Purtroppo il mancato intervento delle autorità preposte al recupero artistico di un'opera cosi importante per la storia della zona, e la mancanza di una adeguata manutenzione, hanno ridotto in cattive condizioni l’edificio, oggi assai degradato».
http://castelliere.blogspot.it/2011/11/il-castello-di-venerdi-25-novembre.html
Navelli (palazzo fortificato o castello Santucci)
redazionale
redazionale
Le foto degli amici di Castelli medievali
Ocre (castello o borgo fortificato)
redazionale - crollo parziale della struttura per il sisma del 6 aprile 2009
OCRE (monastero-fortezza di Santo Spirito)
«Il senso di arroccamento
difensivo è dato dalla presenza, nel territorio di Ocre, di complessi
fortificati come il monastero-fortezza di Santo Spirito, introverso dentro
sue mura austere, ed il Castello. Alla prima biforcazione della strada che
da Fossa sale verso San Panfilo, converrà pertanto deviare dapprima verso
sinistra e raggiungere il monastero cistercense di Santo Spirito d’Ocre, per
poi riprendere la via di destra che va a San Panfilo. Nelle Historiae
Marsorum (1678) Muzio Febonio fornisce i documenti dell’origine di
questo monastero cistercense, terzo in Abruzzo per ordine di fondazione,
dopo Santa Maria di Casanova (1195-97) e Santa Maria di Arabona (1208): il
conte Berardo di Ocre avrebbe concesso con diploma del 1222 all’eremita
Placido de Vena un terreno in località Pretola per costruire una chiesa e
una cella monastica. Già nel 1226 Placido avrebbe ricevuto il permesso dal
vescovo amiternino Tomaso per costruire un vero e proprio monastero di cui
sarebbe stato abate. Ma solo nel 1248 Santo Spirito sarà accolto nella
famiglia cistercense come “filiazione” di Santa Maria di Casanova da cui
proveniva l’abbate Ruggero che ne prese la direzione. Nel 1632 Santo Spirito
d’Ocre entrerà nella Provincia Romana della Congregazione di San Bernardo in
Italia, con Gregorio XV, ma già nel 1652 la campagna di soppressioni
attivata da Innocenzo X decreterà la fine del monastero il quale si ridurrà
progressivamente allo stato di rudere.
L’impianto conventuale presenta l’aspetto compatto di un monastero-fortezza
e si costruisce secondo l’austera tradizione borgognona; tuttavia
nell’adattamento dello schema cistercense alle preesistenze realizzate dal
Beato Placido si riscontrano alcune deroghe nell’edificio chiesastico, che
manca di prospetto conservando l’ingresso esterno laterale, ed ha navata
unica senza transetto né abside. Del tutto conformi alla tipologia
cistercense sono invece gli ambienti disposti sul braccio orientale, sul
quale si attestano il vano delle scale di accesso ai dormitori, la sala
capitolare, un ambiente successivo ipotizzabile come armarium
(biblioteca). La chiesa è ad aula. Singolare risulta la copertura della
navata, che presenta una particolare botte sestiacuta a “chiglia”, dovuta al
restauro del Moretti che ha inteso ripristinare l’ipotetica volta
originaria, sostituendo le cinquecentesche incavallature lignee che
riconnettevano i due rinfianchi interrotti a metà dell’intradosso. La
conferma che l’impianto chiesastico fosse già definito alla fine del XIII
secolo secondo il perimetro attuale è fornita dall’affresco
tardo-duecentesco posto in controfacciata: dentro una lunetta, oggi sparita
ma che il Moretti ancora nel 1970 documentava fotograficamente, sta una
Madonna col Bambino in trono tra i Santi Pietro e Paolo e due committenti;
in relazione alla data precisa dell’anno 1280, fornita da un lascito
testamentario di Jacopo di Simone da Ocre riportato dall’Antinori, questi
personaggi possono essere interpretati come lo stesso Jacopo e la moglie, ma
vi sono stati visti anche il Conte Berardo di Ocre e la madre Roalda, la
quale avrebbe sollecitato la donazione del terreno al Beato Placido. ...».
http://www.comunediocre.it/Turismo/0_1_8SSpirito.aspx
Ofena (borgo, palazzo baronale)
«Il paese di Ofena sorge su un Poggio, nel limite alto della Valle del Tirino. Nasce intorno all'anno mille e prende il nome di Aufinum, città vestina, poi conquistata di Romani. Partecipò, con i paesi limitrofi alla seconda crociata (1147). Le vicende storiche successive videro Ofena dipendere dalla Baronia di Carapelle e parte integrante del feudo di Castel del Monte. Il centro storico conserva ancora gran parte delle strutture tardo medioevali, con borgo all'interno delle mura di cinta e palazzo baronale. Ofena, definita "Forno d'Abruzzo" grazie ad un microclima caratterizzato da temperature mediterranee che procurano viticolture di pregio, in special modo legate alla produzione del Montepulciano d'Abruzzo. Emergenze storico-culturali: Palazzo Cataldi-Madonna, con pregevole portale in pietra».
http://www.gransassolagapark.it/paesi_dettaglio.php?id=66060
«Situato in uno splendido anfiteatro naturale per la presenza di splendidi boschi, Opi mantiene i caratteri di antico borgo medievale. Da vedere c'è il palazzo del Seicento sede del Municipio, la maestosa torre campanaria medievale della chiesa di S. Maria Assunta (XII secolo), la cappella barocca di S. Giovanni Battista. Da non perdere è poi il Museo del Camoscio, dovuto alla collaborazione del Parco Nazionale d'Abruzzo. La presenza di un centro fortificato che permetteva di sorvegliare il valico di Forca d'Acero, fa ritenere che le origini di Opi sono da far risalire all'epoca preromana. Intorno al Mille il borgo assunse l'attuale conformazione; anticamente feudo dei Di Sangro e dei D'Aquino, nel tardo Settecento divenne baronia della famiglia Serafini di Scanno. Vari terremoti hanno più volte danneggiato il centro. Dal paese dipartono numerosi sentieri escursionistici che conducono in alcuni dei luoghi più suggestivi del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise tra cui la Val Fondillo, Forca d'Acero e Monte Marsicano».
http://www.pescasseroli.biz/opi.asp
«Il paese di Oricola è posto a sud di Carsoli, nella Piana del Cavaliere, ai confini con il Lazio. L'abitato è dominato dall'imponente castello, ricostruito alla metà del Quattrocento, è situato alla sommità dell'altura sovrastante il tracciato della via Tiburtina. L'edificazione del castello risale, comunque, intorno al IX secolo (?). Fu costruito per difendere gli abitanti di Oricola e dei paesi vicini dalle incursioni saracene e ungare molto frequenti nella zona in quel periodo. I conti dei Marsi edificarono la rocca secondo il loro stile, una fortezza quadrata, massiccia dalle mura molto possenti, con bastioni e punti di osservazione posti in ognuno dei quattro torrioni. Nonostante i numerosi interventi di trasformazione che rendono difficile la lettura delle vicende costruttive, è ancora riconoscibile l'impianto nelle forme assunte presumibilmente a partire dal XV secolo. L'attuale impianto presenta una pianta triangolare con tre torri cilindriche ai vertici e scarpa alla base; le due torri sul fianco orientale sono state completamente ristrutturate, mentre quella ovest conserva ancora caratteri originari e mostra una interessante feritoia mista, comprendente un'arciera con una fuciliera. La struttura del nucleo originario è caratterizzata da una muratura in pezzame di calcare di piccole dimensioni. NOTIZIE STORICHE 1096: prime notizie sul borgo si hanno quando il castello fu ceduto dai conti dei Marsi ai monaci di Subiaco. ????: fu feudo dei Berardi-De Ponte. 1381: venne in possesso di Adriano Montaneo, generale delle truppe tiburtine, della famiglia Orsini. 1528: Napoleone Orsini invade Oricola e sconfigge i Colonna e si inferocì contro le loro genti, avendo scampo solo coloro che si riuscirono a rifugiare nella fortezza. 1557: nuova invasione del duca d'Alba. Dopo l'invasione del duca d'Alba gli abitanti si ridussero da 5000 a 300 e il paese, completamente decaduto, si ripopolò solo nell'Ottocento. 1806: il Comune perse l'autonomia amministrativa e fu legato a Pereto. 1907: si stacca amministrativamente da Pereto. Secondo del Bufalo invece: 816: sotto Stefano IV Oricola risulta far parte dei possedimenti del Monastero benedettino di Subiaco. X sec. perviene in feudo a Rainaldo, conte dei Marsi, e quindi passa agli Orsini. ... La destinazione d'uso attuale del corpo di fabbrica nord-ovest è uffici comunali, mentre al piano terra nella parte sinistra sono ubicati gli uffici postali. Il resto del castello ha un uso residenziale. Originariamente, nel secolo XIII, il castello aveva funzione difensiva e residenziale. ... Edificato sul finire del XII secolo, il castello ha assunto la configurazione attuale nella seconda metà del XV secolo».
http://turismo.egov.regione.abruzzo.it/web/guest/scopriabruzzo/arteestoria/castellitorri/laquila/castellooricola...
Ortona dei Marsi (ruderi del castello, torre)
redazionale
Ortucchio (castello Piccolomini)
redazionale
«Il centro turistico montano, conserva alcuni resti di mura medievali e di un antico castello, nella parrocchiale si conserva una statua della Madonna in terracotta di arte locale del Cinquecento. Un recinto fortificato italico delle popolazioni dei Marsi, l'ipotesi che l'antico castrum fosse distrutto tra il 91 e 89 a.C. ed il rinvenimento della interessante villa romana a S. Potito, probabilmente appartenuta a Lucio Vero e forse frequentata dall'Imperatore Adriano per seguire i lavori del prosciugamento del Lago Fucino, testimoniano l'importanza strategica e militare del territorio di Ovindoli sin dal periodo romano. Il nucleo medievale, probabilmente sorto tra l'XI e il XIII secolo, si dislocò su uno sperone roccioso a controllo della sottostante valle che sfocia nel Fucino, in posizione di cerniera tra il Piano delle Rocche ed il fondovalle. Si strutturò con torre e mura fortificate di avvistamento, di cui permangono poche tracce, tra cui la porta di accesso al borgo con arco gotico, Porta Mutiati. Fu fortemente legato a Celano, tanto che nel 1222 il suo Conte Tommaso si rifugiò ad Ovindoli per difendersi da Federico II. Inoltre, nel 1279 il Conte di Celano Ruggero era signore anche dei castelli di Ovindoli e di S. Potito. Il castello di Ovindoli faceva parte del sistema difensivo di avvistamento del castello di Celano tramite la torre di S. Potito e di S. Iona. La spinta economica legata alla pastorizia e alla transumanza si riscontra a partire dal XV secolo nella crescita edilizia e della popolazione: nel 1527 Ovindoli viene tassato per 104 fuochi, che nel 1595 risultano essere 132. Col tempo il piccolo borgo si espande e si trasforma, comincia a perdere la funzione strettamente difensiva e di arroccamento. Nei secoli XV e XVI si costruisce all'interno del nucleo la Chiesa di S. Sebastiano, poi della Vergine, e le case-mura che in alcuni tratti ne definiscono il perimetro. Nel frattempo il feudo di Ovindoli viene posseduto da diversi signori, dai Savelli ai Piccolomini, poi ai Cabrera-Sforza-Bodavilla fino all'abolizione dei feudi nel 1806. ... Da visitare: borgo medievale con porta di accesso ad arco gotico, Porta Mutiati».
http://www.parcosirentevelino.it/comuni_dettaglio.php?id=66065
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